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Il capitale? In Italia rende poco

Il sistema produttivo italiano non è stato in grado di contrapporre una sufficiente capacità innovativa alla crescente competizione internazionale. Interventi fiscali o moderazione salariale possono favorire il recupero della redditività. Ma se non cresce la produttività, l’economia resterà al palo.
Cresce la rendita immobiliare
Come si distribuisce il prodotto interno lordo italiano? In molte analisi ci si limita a descrivere l’andamento della quota del lavoro, attribuendo indistintamente il suo complemento alla remunerazione del capitale. La quota del capitale nei conti nazionali è tuttavia costituita da due componenti niente affatto omogenee: i profitti lordi di impresa da un lato e le rendite immobiliari dall’altro, comprensive di quelle imputate alle abitazioni occupate dai proprietari.
Dagli anni Ottanta la quota delle rendite immobiliari, a causa dell’aumento del prezzo relativo dei servizi immobiliari, è costantemente cresciuta, arrivando al 13 per cento del valore aggiunto al costo dei fattori. Le rendite imputate hanno raggiunto il 9 per cento del valore aggiunto. Se si scompone la quota del capitale in una quota dei profitti e una quota delle rendite, quest’ultima è salita da circa il 20 per cento dei redditi da capitale negli anni Settanta al 37 per cento negli ultimi anni.
Ciò mostra il ruolo chiave del settore immobiliare non solo per la distribuzione della ricchezza, ma anche per la distribuzione primaria del reddito.
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Scendono i profitti
Questi andamenti hanno oscurato il costante declino della quota dei profitti a partire dall’inizio degli anni Duemila, coincidenti con la fase di stagnazione dell’economia italiana che ha preceduto la grande crisi. La quota dei profitti, che agli inizi dello scorso decennio era tornata ai valori degli anni Sessanta, già nel 2007 si era riportata ai valori minimi degli anni Settanta e con la grande crisi è scesa a un minimo storico.
Considerando il solo settore privato al netto delle rendite immobiliari, la distribuzione del valore aggiunto tra lavoro e profitti mostra chiaramente la repentina inversione di tendenza a partire dal 2001. Il recupero della quota del lavoro si è rafforzato successivamente con la grande crisi. Sugli andamenti più recenti incidono fattori ciclici, ma la tendenza è ben chiaramente delineata già negli anni precedenti, quando contrariamente a quanto avvenuto negli anni Settanta, il recupero della quota del lavoro si è associato a una stagione di moderazione salariale, forte crescita dell’occupazione e sostanziale ristagno della produttività del lavoro.
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Il calo della quota dei profitti ha interessato tutti i settori, sia quelli esposti alla concorrenza internazionale come il manufatturiero, sia quelli rivolti al mercato interno, eccezion fatta per i comparti regolati, maggiormente interessati dalle privatizzazioni e dalle liberalizzazioni degli anni Novanta (energia, trasporti, finanza e telecomunicazioni). Il calo della quota dei profitti e l’aumento della intensità di capitale (rapporto tra capitale e valore aggiunto) si sono tradotti in una riduzione del rendimento del capitale investito, come misurato dal rapporto tra il margine operativo al netto degli ammortamenti e il capitale ai prezzi di sostituzione (figura 3).
In un recente studio (Labour, profit and housing rent shares in Italian GDP: long-run trends and recent patterns) ipotizzo che il recupero della quota del lavoro, accompagnato da una crescita dell’occupazione fino alla grande crisi e da un aumento della intensità di capitale, possa essere spiegato da una riduzione dei mark-up e dei margini di profitto delle imprese. Di fronte a una crescente pressione competitiva internazionale, il sistema produttivo italiano non sarebbe stato in grado di contrapporre una sufficiente capacità innovativa, soffrendone in termini di dinamica della produttività e redditività. Se il recupero della redditività può essere favorito da interventi fiscali o da un’accentuazione della moderazione salariale, difficilmente l’economia italiana potrà tornare a crescere in maniera sostenuta senza accrescere la sua produttività, ovvero senza un aumento della capacità di produrre servizi e prodotti a più elevato valore aggiunto per unità di lavoro.
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Il primo morso alla mela

11 commenti

  1. bob

    “….accentuazione della moderazione salariale” Professore per “moderazione salariale ” intende stipendi più bassi? Grazie

    • franco milli

      Ma naturalmente, che domande!! I salari degli altri naturalmente. Quelle delle élite non si toccano. Sono indispensabili per permettere loro di lavorare per il nostro bene in assoluta tranquillità d’animo.

  2. Silvio

    Buongiorno, non è normale che la quota profitti decresca nel corso di una crisi, visto che i salari sono relativamente costanti, mentre i profitti risentono del ciclo economico?

  3. Franco Becchis

    Analisi interessante sarebbe utile conoscere l’impatto dell’evasione fiscale sulla quota di profitti

  4. Franco

    In Italia ormai da 20 anni non cresce la produttività e tutte le grandezze correlate. E’ una litania, tutti se ne lamentano.
    Profitti in calo, salari stazionari, aumento della rendita .. E’ congiura?, è incapacità?, è stupidità?, è mancanza di imprenditorialità?, è riottosità/ esosità dei salariati?, sono relazioni industriali e sociali ingestibili?
    Mai nessuna analisi che approfondisca il tema. Si saprebbe, in un contesto negoziale, come attivarsi per intervenire sul problema. Venti anni di ritardi tendono a descrivere un quadro di totale incapacità d’azione.

  5. Maurizio sbrana da Lucca

    I salari più bassi di così…si muor di fame!
    Se per ‘interventi fiscali’ si intende riduzione del cuneo fiscale ed una Riforma che riprenda i concetti originari dell’Art.53 della nostra Costituzione (che farebbe emergere l’immenso sommerso che esiste in Italia…), allora siamo d’accordo! Ma occorre fare presto a diventare un paese credibile, perchè il tempo sta scadendo!!

  6. Rainbow

    Articolo molto tecnico,ci sono alcune cose che non ho capito bene nonostante legga molto di Economia! L’articolo dice che il Pil, a livello distributivo, si riparte tra salari, profitti e rendite immobiliari. Ma nel PIL non dovrebbe esserci anche la rendita finanziaria ossia la quota del Prodotto Nazionale che remunera il capitale finanziario: interessi su obbligazioni,dividendi, etc?
    Per rendita immobiliare, se ho capito bene, si intende il servizio abitativo, ossia l’affitto virtuale che remunera chi possiede una abitazione. E cosi?

  7. VITTORE DE BORTOLI

    L’analisi fornisce elementi concreti per cercare di analizzare a livello generale l’ evoluzione del sistema economico nazionale. Vale la pena di sviluppare qualche ulteriore breve considerazione, forse utile a capire aspetti collegati al fenomeno descritto.
    In breve: 1) la rigidità del costo del lavoro e quindi dei redditi da lavoro (ciò senza per altro avere un corrispondente effetto positivo sul reddito disponibile e sui consumi) ha impedito nei periodi di congiuntura positiva di avere benefici marginali per i percettori, ma ha anche impattato in maniera crescente sulla redditività delle attività industriali nelle fasi di congiuntura negativa. Gli effetti collaterali sono stati in parte la delocalizzazione, in parte anche l’acuirsi delle crisi aziendali con conseguente aumento della disoccupazione. 2) la riduzione della marginalità nel manifatturiero ha penalizzato in maniera sostanziale la possibilità di investire e la propensione all’innovazione (ricerca e sviluppo) e quindi la possibilità di aumento della produttività, 3) La progressione delle rendite immobiliari ha nella sostanza dirottato crescenti risorse dal settore produttivo verso il settore finanziario, riducendo un importante buffer di risorse da destinare agli investimenti.
    In tale contesto inoltre va evidenziata la situazione fiscale del paese. Una spesa pubblica su livelli limite e assolutamente rigida, con collegato carico fiscale molto alto, ha disincentivato gli investimenti produttivi interni.

  8. Emanuele

    Ci sarebbe una “produttività” che in Italia è costantemente in crescita mentre dovrebbe essere frenata. La burocrazia e le continue modifiche normative.Troppe risorse sprecate in pratiche inutili e improduttive con costi altissimi.

    • bob

      esattamente! Non solo la “massa burocratica” ha innescato una nuova “lotta di classe” per difendere privilegi assurdi pensiamo solo alla barzelletta degli evasori considerati tali i baristi, i fruttivendoli, piccola e media impresa cioè coloro che senza chiedere nulla e rischiando sulla propria pelle sono i “ladri” di questo Paese distogliendo l’attenzione su multinazionali, banche etc . . Per avere un quadro del peso dell’inutile burocrazia basta vedere i dati delle elezioni: 50% non votanti “coloro che ogni giorno si invetano la vita”, 40% votanti privilegiati in qualche maniera dalla politica , 10 % per dovere civico

  9. Giacomo

    Il fatto più inquietante dell’articolo, sul quale però si mette poco peso, è che i profitti crescono, guarda caso, nei “comparti regolati, maggiormente interessati dalle privatizzazioni e dalle liberalizzazioni degli anni Novanta”.
    Questo la dice lunga su come sono state fatte le privatizzazioni in Italia, e sul fatto che non hanno beneficiato né lo stato né i consumatori, ma soltanto chi di quelle imprese si è appropriato.

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