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Se il modello di sviluppo si tinge di verde

Per raggiungere gli obiettivi sanciti nell’accordo di Parigi è determinante che siano messe a disposizione le risorse necessarie per gli interventi che riducano le emissioni o ne mitighino gli effetti. Un messaggio chiaro ai governi e alla comunità finanziaria verso un deciso cambiamento di rotta.

100 miliardi di dollari per aiutare il clima

La finanza per il clima è stato un argomento chiave nel corso del processo negoziale che si è concluso con lo storico accordo di Parigi del 12 dicembre. La disponibilità di risorse finanziarie per investimenti in azioni volte a ridurre o a evitare emissioni di gas a effetto serra o a promuovere un modello di sviluppo capace di fronteggiare i cambiamenti climatici, è infatti determinante per raggiungere gli obiettivi sanciti a Parigi.
L’accordo impegna i paesi sviluppati a sostenere finanziariamente quelli in via di sviluppo nella realizzazione di misure di mitigazione e adattamento. E li esorta a continuare a mobilizzare risorse per raggiungere l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, obiettivo che era stato inizialmente promesso a Copenaghen nel 2009 e poi formalmente stabilito negli accordi di Cancun nel 2010.
L’accordo di Parigi chiede che l’obiettivo sia raggiunto con un piano di azione concreto e stabilisce che venga mantenuto fino al 2025; dopodiché, lo sforzo finanziario dovrà tendere verso un nuovo e più ambizioso obiettivo comune, la cui entità rimane però da definirsi. In aggiunta, richiede di rafforzare in maniera significativa gli aiuti alle azioni di adattamento, che finora hanno ricevuto una quota più ridotta degli investimenti effettuati. Benché alcuni paesi lo caldeggiassero, il testo finale dell’accordo non indica nessun obiettivo numerico in merito alla finanza per l’adattamento, ma si limita a chiedere una più bilanciata allocazione delle risorse tra azioni di mitigazione e adattamento. Richiesta politica più che scientifica, perché la necessità di un equilibrio tra i due non è chiara.
L’accordo di Parigi incoraggia poi, per la prima volta, il contributo finanziario volontario di tutti i paesi membri della Convenzione e riconosce gli sforzi già realizzati da alcuni. In particolare, in virtù del principio di responsabilità comuni ma differenziate e delle diverse capacità, e in considerazione dello sviluppo economico raggiunto da alcuni paesi (quali China, India e Sud Africa), pone le basi formali per una cooperazione ‘Sud-Sud’, complementare alla tradizionale ‘Nord-Sud’.
Il nuovo accordo sul clima enfatizza dunque la necessità di aumentare il supporto finanziario al fine di garantire la realizzazione delle azioni necessarie per limitare l’incremento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli pre-industriali.
Secondo le stime preliminari realizzate dall’Ocse in cooperazione con il Climate Policy Initiative (Cpi), le risorse finanziarie mobilizzate dai paesi sviluppati hanno raggiunto i 57 miliardi di dollari in media nel periodo 2013-2014. Il Fondo verde per il clima, il meccanismo della Convezione quadro per i cambiamenti climatici (Unfcc) creato per rafforzare il sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo, è diventato operativo nel corso del 2015, approvando i primi otto progetti poche settimane prima del summit di Parigi.
Tuttavia, benché significativi, progressi e sforzi non sono ancora sufficienti. L’Agenzia internazionale per l’energia stima, ad esempio, che per promuovere la transizione energetica saranno necessari 16,5 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari per investimenti in efficienza energetica e tecnologie a basse emissioni nei prossimi quindici anni. Ulteriori risorse saranno necessarie per gestire i rischi associati ai cambiamenti climatici (o cogliere eventuali opportunità).

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Gli investimenti in ottica ‘green’

L’accordo di Parigi manda un forte segnale politico alla comunità finanziaria e agli investitori, chiedendo di investire in maniera coerente con la rivoluzione ‘low-carbon’ dell’economia globale. La transizione verso un nuovo modello di sviluppo, infatti, impone un ripensamento delle logiche di investimento pubbliche e private e implica disinvestire da attività ad alte emissioni per liberare risorse a favore di attività a basse o zero emissioni.
L’ultimo studio Cpi sul tema dimostra che i privati stanno già investendo, e lo fanno con rinnovato vigore grazie alla riduzione dei costi delle tecnologie per energie rinnovabili e al supporto pubblico. Inoltre, diversi attori pubblici e privati si sono impegnati a disinvestire da attività o aziende ad alta intensità di carbonio, si pensi ad esempio al cosiddetto divestment movement che rappresenta istituzioni e individui con attività per 2,6 trilioni di dollari.
Agli investitori che hanno già iniziato la transizione, l’accordo di Parigi segnala che potranno continuare a farlo con maggiore sicurezza. Agli altri indica l’urgenza di cambiare rotta.
Il prossimo passo è nelle mani dei governi, che dovranno tradurre gli impegni presi a Parigi in adeguate politiche nazionali.

 

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Un rialzo che aumenta l’incertezza

  1. Jacopo Foggi

    ma perché fare questi articoli così insignificanti? L’accordo ‘storico’ stabilisce di dare 100 miliardi, quando invece ne servono, come dice l’articolo attorno ai 1000. Poi non si dice di cosa sono fatti questi 1000 e in quale proporzione dovevano essere quelli ai paesi in via di sviluppo (se dovevano essere 100 può andare bene). Poi non si dice da dove vengono, dove potrebbero essere presi gli altri 900. Si dice che si dovrebbe in qualche modo convincere gli investitori istituzionali, ma non si dice che alcuni già lo fanno da anni e quindi l’informazione che ci servirebbe è capire in cosa e quanto investono e quindi in che relazione sono con i 100 o con 1000 miliardi di cui si parla. Insomma, articolo del tutto inutile.

  2. Federico

    Giusto porre l’accento sull’importanza degli investimenti per l’effettivo raggiungimento degli obiettivi cop21. Anche i risparmiatori possono aiutare!

    Etica Sgr (Banca Etica) ha un’offerta interessante http://eticasgr.it/ ma nulla per cui il singolo possa sentire di avere fornito capitale o denari che vada direttamente in investimenti su energia verde, risparmio energetico ecc.

    Ci sono 120 grandi investitori non-fossili che sono stati attivi anche alla COP21 http://www.iigcc.org/about-us/our-members eppure non è facile trovare investimenti (economici) in energia verde… L’unica scelta sensata per risparmiare e non mettere tutte le uova in un paniere è un ETF (perché? vedi https://www.altroconsumo.it/finanza/le-7-differenze-tra-fondi-comuni-e-etf-s5180344.htm ) e ne sono segnalati 22 in un elenco come http://wire.kapitall.com/investment-idea/a-list-of-green-etfs-for-responsible-investing/ eppure per la borsa Italiana se ne trovano solo 3 e anche piccolini, sono sui 100 M€ in totale: http://tools.morningstar.it/it/etfquickrank/default.aspx?Site=IT&Universe=ETALL%24%24ALL&category=EUCA000705&LanguageId=it-IT
    Di questi 3 ben 2 sono concentrati sull’industria solare, l’unico un po’ bilanciato pare essere PowerShares Global Clean Energy (http://funds.ft.com/uk/Tearsheet/Assets-and-holdings?s=PBW:MIL:EUR ). Resta un investimento azionario ad alto rischio (http://funds.ft.com/uk/Tearsheet/Risk?s=PBW:MIL:EUR ), anche se leggermente meno della categoria.

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