La crisi delle quattro banche dell’Italia centrale manda sul lastrico i risparmiatori a cui hanno rifilato i loro titoli ad alto rischio. Le istituzioni coinvolte (in modo più grave la Consob che dovrebbe vigilare sulla trasparenza dei mercati) fanno a gara nello scaricabarile delle responsabilità. E fa comodo addossarle all’Europa che non permette più salvataggi a spese dello stato. Bisognava pensarci (e informare) prima. Il meccanismo usato per risolvere questa crisi solleva poi vari interrogativi: sul ruolo dei finanziatori del “salvataggio” (Intesa, Unicredit e Ubi), su quello della Cassa depositi e prestiti che di fatto garantisce con 400 milioni di soldi pubblici e sulle procedure per distribuire l’ammanco tra i vari soggetti coinvolti.
Quando finisce una recessione, negli Usa la disoccupazione scende al 5 per cento, nell’Eurozona invece si stabilizza a livelli ogni volta più alti. Ma se è così, non basta che la Bce punti al 2 per cento d’inflazione, come scritto nel suo attuale statuto. Di cui appare evidente l’inadeguatezza quando si rischia la deflazione.
Ce la farà il mondo ad azzerare le emissioni di gas serra per la metà del secolo? L’Italia – come gli altri paesi – ha il suo piano, elaborato dall’Enea, in occasione di COP21. Ma, anche se gli impegni sono a lunga scadenza, il tempo stringe perché, oltre ai piani, serve mobilitare massicce risorse tecnologiche, economiche, di ricerca. Anche da parte del settore privato.
Entrata dalla porta dell’università, la meritocrazia nel reclutamento dei docenti rischia di uscire subito dalla finestra. A darle una spinta all’ingiù sono le armate baronali che vogliono riconquistare le posizioni perdute con la riforma Gelmini. Per impedirlo occorre cambiare la governance dei dipartimenti. Presto.
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