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Chi ha paura del bail-in?

L’Italia è in procinto di recepire le nuove regole sulle crisi bancarie. Compreso il bail in, che entrerà in vigore nel 2016. Finisce l’epoca dei salvataggi di istituti di credito con soldi pubblici. Ma i correntisti non hanno nulla da temere. Costi più alti per l’approvvigionamento di capitale.
Come funziona il bail-in
Si avvicina il momento del recepimento in Italia delle nuove regole sulle crisi bancarie. Come si è già avuto occasione di dire, l’intervento ha dimensioni molto vaste, e conterrà varie novità.
Fra tutte, spicca il famigerato “bail-in”, che entrerà in funzione dal 2016. Cos’è? È veramente uno strumento del quale aver paura?
In caso di dissesto di una banca, l’autorità (la Banca d’Italia per le banche minori, il nuovissimo Single Resolution Board con sede a Bruxelles per le banche maggiori e i gruppi transnazionali con sedi nell’Eurozona) potrà decidere se farla fallire e liquidarla (in Italia, mediante la procedura di liquidazione coatta) o invece assoggettarla a “risoluzione”. La decisione dipende principalmente dal fatto se la crisi minaccia o meno la stabilità del sistema finanziario.
Strumento principe della risoluzione è il bail-in, che fa pagare le perdite della banca ai suoi creditori. Ad esempio, se l’istituto per poter operare deve avere un patrimonio di +10 e ha invece un deficit (cioè ha un attivo inferiore ai debiti) di ‒100:
– si eliminano gli azionisti;
– si riducono di 100 i diritti dei creditori, secondo il loro ordine di soddisfazione (da quelli subordinati a quelli via via più garantiti), riportando il passivo della banca a un valore uguale al suo attivo;
– così azzerato il deficit, si converte un’altra parte delle pretese dei creditori (sempre rispettando la gerarchia), facendoli diventare azionisti nella misura necessaria a ripristinare il patrimonio di 10, che occorre alla banca per operare. Se invece la banca ha solo un patrimonio insufficiente, ma non un deficit, allora gli azionisti vengono diluiti, ma non eliminati.
Si tratta, come dicono la legge francese e la stessa Banca d’Italia, di un salvataggio interno della banca in crisi, contrapposto a quello fatto con i soldi dei contribuenti.
Soldi pubblici: la festa è finita
In realtà, la vera innovazione non è il bail-in, ma il fatto che, per effetto dell’esperienza della crisi finanziaria recente, si è deciso di porre fine ai salvataggi pubblici (che in paesi diversi dall’Italia hanno assorbito centinaia di miliardi, di euro e di dollari), e, di conseguenza, all’implicita garanzia che anche in caso di crisi i creditori di una banca non rischiano nulla.
Alla luce di questo, se il bail-in è cosa buona o no dovrà essere giudicato alla prova dei fatti, e non confrontandolo con un passato che non esiste più. La domanda alla quale rispondere è dunque questa: il bail-in, che ha l’effetto di sottrarre le banche al fallimento, può ridurre le perdite che i creditori subiscono in tali procedure?
Il bail-in: mito e realtà
La risposta non è agevole, dato che nessuno ha la sfera di cristallo. Alcune cose, però, si possono dire sin d’ora:
1) principio ispiratore del bail-in è il criterio del no creditor worse off: nessun azionista o creditore della banca subisce perdite maggiori di quelle che subirebbe con il suo fallimento. Per definizione, non c’è dunque alcun danno per azionisti e creditori (rispetto al fallimento, appunto, non rispetto alla passata stagione dei salvataggi pubblici);
2) la banca è tenuta a mantenere in ogni momento un cuscinetto potenzialmente molto ampio di debiti che possono essere “sacrificati” in caso di dissesto: si tratta del minimum requirement of eligible liabilities, o Mrel. Questo cuscinetto serve a consentire alla banca di ricapitalizzarsi (mediante la riduzione dei debiti e la loro conversione in azioni di cui si è detto) anche in scenari di crisi molto difficili, beninteso a scapito dei creditori (e sempre partendo da quelli meno garantiti);
3) i depositi protetti (tutti quelli fino a 100mila euro per ciascun intestatario o cointestatario) sono sempre esentati dal bail-in;
4) anche i depositi al di sopra di 100mila euro sono comunque anteposti rispetto agli altri creditori, e dunque non vengono toccati salvo scenari davvero catastrofici;
5) non sono poi ovviamente toccati i patrimoni dei clienti (come azioni, obbligazioni, titoli di fondi) che la banca ha in gestione o in amministrazione;
6) sono esenti, entro certi limiti, le passività nei confronti di dipendenti, fornitori essenziali e sistemi di garanzia dei depositanti;
7) per ragioni di interesse pubblico o di opportunità, l’autorità che dispone la risoluzione può infine esentare alcuni creditori dal bail-in, ma sempre nel rispetto del principio del no creditor worse off e dunque senza che ciò possa cagionare un danno agli altri.
Nel contesto della risoluzione può inoltre intervenire, sempre per ragioni di interesse pubblico, il finanziamento di un apposito fondo costituito con l’apporto di tutte le banche europee, nonché, nei casi più gravi, perfino il sostegno straordinario dello Stato.
Un contesto del tutto nuovo
Se le azioni e le obbligazioni di una banca, e in generale i prestiti a questa fatti, sono divenuti più rischiosi, ciò non è dovuto al bail-in, ma al nuovo contesto in cui questa opera, nel quale la implicita garanzia sovrana non esiste più. Il bail-in, semmai, riduce i costi rispetto al caso del fallimento. I depositanti protetti non rischiano nulla e anche quelli non protetti possono dormire sonni ragionevolmente tranquilli.
La verosimile conseguenza del nuovo assetto sarà un incremento del costo di approvvigionamento del capitale per la banca: le obbligazioni bancarie, e particolarmente quelle subordinate, presentano adesso rischi analoghi a quelle di altre imprese, industriali o commerciali. Ne risultano così ridotti anche gli incentivi degli amministratori delle banche ad assumere rischi eccessivi.
Di conseguenza, chi fa credito a una banca dovrà, come per qualsiasi altro debitore, valutarne le condizioni patrimoniali e pretendere una remunerazione adeguata in termini di interessi. Strano? No. “È il mercato, bellezza!”
 
 
 

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Ma troppa regolazione fa male

  1. Stefano Scarabelli

    Non sono affatto sicuro che i rischi per i depositanti al di sopra dei 100.000 € siano remoti: le banche emettono sempre meno obbligazioni senior e sempre più covered bond, che sono crediti considerati intoccabili dalla nuova normativa. Tutta questa impalcatura normativa può servire solo in caso di crisi bancaria isolata, ma i problemi delle banche europee (ed in specie di quelle periferiche, visto che la mutualizzazione dei rischi è modesta, specie in questi primi anni) purtroppo sono sistemici. Io quindi credo che il bail-in verrà applicato solo una volta, poi l’aumento esorbitante del costo del capitale di rischio e di debito dovuto ad effetto contagio costringerà le autorità a cambiare nuovamente le regole del gioco. E intanto la burocrazia di Bruxelles ingrassa a nostre spese…

    • Lorenzo Stanghellini

      Proprio a evitare il rischio che Lei paventa sta l’obbligo di tenere MREL a un livello adeguato, su cui le autorità (SRB o Banca d’Italia) hanno poteri molto incisivi. Difficilmente queste accetteranno che una banca emetta solo covered bonds.

  2. Stefano Scarabelli

    Un’altra osservazione: si richiede ai depositanti di valutare la solvibilità di una banca. Peccato che agenzie di rating e regolatori (forse anche l’osannato Draghi su Mps) si facciano cogliere impreparati esattamente come l’uomo della strada. Peraltro la Bce, con il suo Qe, costringe gli investitori privati a detenere liquidità e determina un fenomeno di squeezing-out dagli assets sicuri (ed infatti la Bce acquista i covered-bond). La conclusione è che per evitare perdite ci vuole molta fortuna…

  3. david

    Ho messo gli occhi solo ora su questo articolo nel complesso ben scritto e oserei dire anche chiaro, però, accidenti, la frase “that’s the market baby” in un contesto così regolamentato quanto questo.. me lo lasci dire. me l’ha proprio ammazzata. io di “mercato” ne vedo davvero poco.

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