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Di cosa parliamo quando parliamo di produttività

Si dice spesso che per tornare a crescere, l’Italia deve incrementare la produttività. Ma se si analizzano i dati, si vede il ruolo importante giocato dall’integrazione dei lavoratori marginali nel mercato del lavoro. Ed è l’aumento della produzione che favorisce la crescita della produttività.
Il mantra di stagione e l’analisi dei dati
“L’economia italiana per crescere deve aumentare la sua produttività”: è ormai un mantra che non ammette contraddizioni. L’afferma il governo nella sua politica, lo sostiene la Confindustria che vuole basare sulla produttività i contratti di lavoro, lo ammettono gli stessi sindacati dei lavoratori che rimproverano agli imprenditori di non saper fare il loro mestiere, lo confermano numerosi studi di economisti. Ma l’affermazione è proprio così incontrovertibile? Proviamo a guardare alcuni dati. A causa della lunga crisi, la produttività del lavoro (Pil a prezzi costanti per addetto) è scesa del 7,5 per cento in Italia tra il 2005 e il 20013 (vedi tabella). Altri paesi europei hanno fatto meglio: in Germania e in Francia la riduzione è stata solo dello 0,8 per cento, mentre nell’Eurozona si è avuto un piccolo incremento (+0,3 per cento). Nello stesso periodo, la crescita economica (Pil a prezzi costanti) è stata fortemente negativa in Italia (-8,4 per cento), mentre è stata positiva altrove: +7,9 per cento in Germania, +2,3 per cento in Francia e +1,1 per cento nell’Eurozona. Questi confronti sembrano testimoniare che la maggiore produttività si associa a maggiore crescita. Ma la variazione della produttività in un periodo (dal 2005 al 2013, nel nostro caso) nulla dice sul suo livello assoluto, che dovrebbe essere la vera variabile che influenza la crescita. Se si prende il prodotto per addetto espresso in euro, quello dell’Italia risultava, nel 2013 e malgrado la lunga recessione, ancora superiore a quello tedesco (72.500 euro in Italia contro 71.400 in Germania) e a quello dell’Eurozona (71.000 euro). Quello della Francia era superiore a tutti (82.200). Questi risultati possono meravigliare se si pensa che invece la Germania aveva nel 2013 un Pil pro-capite (34.400 euro) superiore a quello dell’Italia (26.500) e della Francia (32.100). La spiegazione sta tutta nel tasso di occupazione, che è in Germania (48,1 per cento della popolazione) ben superiore a quello dell’Italia (36,6 per cento) e della Francia (39,1 per cento). In altre parole, la Germania assorbe, rispetto agli altri due paesi, ben più occupati, anche in attività a più basso valore aggiunto, ciò che deprime la produttività media, ma aumenta il reddito prodotto complessivo (Pil). Ovviamente, questo non vuol dire che la Germania sia un paese poco competitivo per la bassa produttività assoluta. In effetti, la produttività del lavoro è solo un quoziente di dubbia interpretazione perché trascura del tutto gli effetti di composizione, in particolare del denominatore, che invece hanno una rilevanza particolarmente forte: le variazioni di legislazione e i movimenti demografici modificano l’offerta di lavoro e possono determinare risultati che alterano di molto l’interpretazione del fenomeno produttività.
Gli anni Novanta in Italia
Prendiamo il caso dell’Italia a partire dagli anni Novanta. Il paese soffriva di una scarsa capacità di attivare occupazione a causa, si diceva, della poca flessibilità del mercato del lavoro. Per ovviare all’inconveniente, il governo introdusse misure di liberalizzazione del lavoro (pacchetto Treu del 1997) che resero possibili gli impieghi a tempo determinato. Queste misure determinarono una crescita del tasso di occupazione, grazie all’inclusione di molti lavori che prima erano fuori mercato perché ritenuti illegali o svolti nel mercato nero e quindi non rilevati. Va da sé che i nuovi lavori avevano mediamente una produttività (prodotto per addetto) più bassa rispetto a quelli a tempo indeterminato, sicché la produttività del lavoro è scesa. In altre parole, è cresciuto il contenuto di occupazione dell’economia italiana, che era proprio l’obiettivo di quei provvedimenti. Se poi si tiene conto che dagli anni Novanta è cresciuta l’immigrazione nel nostro paese, ne dobbiamo dedurre che anche questa nuova offerta di lavoro, che il paese è stato in grado di assorbire, ha mediamente contribuito ad abbassare la produttività del lavoro per effetto di composizione. Ma anche questo fenomeno, lungi da essere negativo, ha contribuito ad allargare la platea dell’occupazione, ha favorito processi di integrazione e consentito di generare ulteriore reddito complessivo. In conclusione, sembra potersi dire che i paesi che sono cresciuti di più hanno potuto aumentare la loro produttività (prodotto per addetto) pur inglobando quote di lavoratori marginali, mentre i paesi che sono cresciuti meno (come il nostro) hanno conosciuto una caduta della produttività (prodotto per addetto) anche perché hanno comunque dovuto inglobare quote di lavoratori marginali pressati dalle condizioni sociali. Se così è, ne risulta totalmente invertita la relazione che qualcuno avanzava, ossia che la crescita della produttività favorisce la crescita economica. È invece vero l’inverso, almeno nel breve termine: la crescita della produzione (e quindi della domanda) favorisce la crescita della produttività. Questo non vuol dire che si debba rinunciare a politiche per l’aumento della produttività (istruzione, innovazione, ricerca, in particolare). Ma, per aumentare reddito e occupazione, sono necessarie anche politiche per la crescita della domanda e per l’assorbimento di maggiore occupazione.
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13 commenti

  1. Savino

    Produttività deve essere intesa sia in senso quantitativo che qualitativo. Entrambe mancano all’Italia per vincere la sfida competitiva nel mondo globale. Zero investimenti in ricerca e sviluppo, poche ore lavorate e lavorate anche male, scarso efficientamento produttivo, zero motivazioni per i dipendenti, zero partecipazione dei dipendente alle scelte aziendali strategiche, troppo sindacato per aspetti inutili, futili e marginali. Sono tutti questi i nostri problemi.

    • Miguel

      Quella delle poche ore lavorate è una balla colossale: https://data.oecd.org/emp/hours-worked.htm

      • Savino

        qualità ?

      • Andrea Fumagalli

        Infatti, in Italia si lavora troppo, male e poco remunerati. Queste sono le vere ragioni della stagnazione strutturale del paese che dura fdagli anni ’90, dove l’elevata precarizzazione abbatte la produttività e lo sfruttamento di quelle che oggi sono i veri fattori di crescità della produttività: economie di apprendimento e di rete.
        Se si scompone il prodotto per addetto tra produttività del lavoro, del capitale e total factor productivity, si vedrebbe che la produttività del solo fattore lavoro è di gran lunga maggiore di quella dipendente dal capitale (con l’eccezione del 2014, guarda caso l’anno con maggior incremento della quota di precari sugli occupati): http://www.istat.it/it/archivio/166206

  2. Fabrizio

    Il primo problema che vedo e’ come si misura la produttivita’. Il metodo esposto fa una media generalizzata che puo’ essere utile solo in alcuuni casi. Il signor Savino ha ragione, ma aggiungerei che le ragioni sono da ricercare in una classe dirigente, generalmente intesa, scarsamente preparata in termini di gestione delle risorse sia umane che materiali. DI conseguenza manca una relazione tra le necessita’ del mercato, che generano la domanda, e le caratteristiche del lavoro che creano prodotti di qualita’, che detto per inciso significa soddisfare le richieste del cliente finale… cioe’ noi. In generale le conclusioni dell’articolo sono condivisibili, ma come spesso capita del tutto generiche e vuote di contenuto; del resto se la produttivita’ e’= PIL/n.ro lavoratori non e’ che ci vuole molto a trarre le conclusioni. Forse bisognerebbe iniziare a classificare ed analizzare il lavoro nelle sue sfaccettature piu’ articolate e poi pensare ad una serie di interventi mirati per settore ponendosi obiettivi riscontrabili pre e post intervento, per capire se si va nella giusta direzione.

  3. Marcello Romagnoli

    Un modo per aumentare la produttività è investire maggiormente in ricerca e sviluppo di nuovi prodotti a maggiore valore aggiunto. Questo ci permetterebbe da un lato di combattere meglio la concorrenza di paesi a bassi salari, tasse e tutele. Purtroppo il mantra industriale è abbassare i salari e le tasse. Abbassando i salari comprimiamo la parte più abbondante degli acquisti dei beni prodotti: quella interna che non sarà mai coperta dalle esportazioni. Abbassare le tasse vuol dire dare allo stato meno risorse per le spese che sono il vero volano dell’economia con buona pace di chi pensa che all’economia basti l’iniziativa privata. Investire vuol dire rischiare e magari non guadagnare nell’immediato e questo non va bene agli azionisti e agli amministratori. Per questo chiedono il miracolo di meno tasse, ma più protezione dello stato….una quadratura impossibile

  4. Una domanda banale. Ma per “prodotto per addetto” si intende e comprende anche quello relativo al settore edilizio e, quindi, quello determinato anche dalla di abitazioni?

  5. Giovanni Teofilatto

    Le crescemti masse monetarie in elargizione degli agenti economici hanno la facoltà di determinare un aumento dei prezzi delle merci che a loro volta creano maggiore moneta attraverso il mezzo speculativo con il fine di produrre merci in sovrappiù causando un’ eccesso di produttività “sintetica” per la condizione necessaria del profitto aziendale (o della Società) in assenza di una condizione sufficiente di Rinuncia al consumo da parte delle categorie di reddito superiore con effetti di dumping consumistico a scapito delle categorie di reddito inferiori. Ecco la richiesta di maggiore produttività del lavoro quando il problema è la mancanza di rinunciare all’accumulazione di massa monetaria con effetti perversi sui prezzi dei titoli delle Borse Valori. Altro che politiche QE qui è necessario e sufficiente nella matrice degli scambi un aumento decisivo dei tassi di ineteresse soprattutto quelli a breve.

  6. Luca Citino

    Non mi è chiaro come maggiore domanda dovrebbe far salire la produttività, se pensiamo che i lavoratori al margine (assunti per soddisfare tale domanda) siano meno produttivi.
    Esistono valide ragioni per pensare che più crescita migliori la produttività in un feedback positivo (e.g. curve d’apprendimento), ma di queste non c’è traccia nell’articolo.
    Qualcuno potrebbe farmi chiarezza?
    Inoltre dovrebbe essere spiegato come mai il livello assoluto della produttività dovrebbe influenzare (anche) la crescita e non solo il livello dell’attività economica.
    Grazie

  7. Pier Doloni Franzusi

    Concordo sul fatto che un tema del genere non deve essere semplificato, e che la produttivita’ e’ fortemente legata al tasso di occupazione. Tuttavia credo sia poco indicativo misurarla per addetto, sarebbe piu’ significativo guardare al dato per ora lavorata nel momento in cui si fanno confronti con altri paesi. I Minijob tedeschi, per dire, sono forme di part time.

    • Innocenzo Cipolletta

      concordo che sarebbe meglio considerare la produttività per ora ma questa non è disponibile per l’intera economia. comunque è da considerare che anche in Italia ci sono i lavori part time e che l’orario di lavoro italiano non è maggiore di quello tedesco

  8. sandro

    Renzi farebbe bene a reintrodurre la detassazione dei premi di risultato al 10% per gli anni 2016 e 2017. Per il 2015:il mef stimava la copertura in 500 mln di euro e 160 per il 201t6.per il 2016 non è una gran cifra.come dice l articolo servono misure di sostegno alla domanda, la detassazione ha il vantaggio duplice di sostenere domanda è produttività

  9. Mauro

    Il problema della nostra crisi economica non è produrre ma vendere.
    Lo stato deve aumentare il potere di acquisto delle famiglie e non sovvenzionare la produttività delle aziende. Solo in tal modo la ruota ricomincerà a girare. La ” FIAT” non ha il problema di produrre ma quello di vendere o vogliamo aumentare le auto nei magazzini aumentando la produttività ?
    Tutte le azioni dello Stato devono andare nella ridistribuzione della ricchezza e nell’ aumento del potere di acquisto.
    Lo stato deve ora comportarsi da ” imprenditore” e deve investire sul potere di acquisto nelle famiglie non elargendo ora in produttività, questo si dovrà fare dopo.

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