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La riformetta fiscale

Con l’approvazione degli ultimi cinque decreti attuativi si è concluso il lungo cammino della riforma fiscale. Ma possiamo dire che il sistema tributario è stato riformato? Per l’equità, pesa il mancato intervento sul catasto, mentre su certezza e semplificazione qualche miglioramento è arrivato.
Solo interventi migliorativi
Con l’approvazione degli ultimi cinque decreti attuativi si è concluso il lungo cammino della riforma fiscale (legge 23/2014). Davvero è stato riformato il nostro sistema tributario? Parrebbe proprio di no.
Il cammino della riforma comincia con la proposta presentata dal governo Monti il 18 giugno 2012 (n. 5291) e ripresa dal disegno di legge 282 del 15 marzo 2013 (governo Letta). Nell’illustrare quest’ultimo i presentatori, con apprezzabile realismo, chiarivano subito che le “norme proposte non hanno l’obiettivo di disegnare un’organica riforma del sistema generale di tassazione” mirando, piuttosto, “ad attuare interventi migliorativi del sistema fiscale in termini di equità, certezza delle regole e semplificazione”.
Il sistema, insomma, resta quello disegnato dalla riforma fiscale del 1971: quella che ha creato la dichiarazione dei redditi, la ritenuta alla fonte e l’Iva. Ma che spaziava in una società dove i confini nazionali erano ben netti, industria e finanza realtà separate, le multinazionali solo agli albori, la Cina un paese sottosviluppato, le parole “internet” o “globalizzazione” del tutto inesistenti. E dove il 50 per cento delle attività economiche italiane appartenevano allo Stato. Che c’azzeccano, allora, norme concepite in quel quadro con la realtà attuale?
Un pizzico di ambizione in più non avrebbe guastato. Si è preferito, invece, il realismo. Ma sono stati almeno raggiunti i pur più modesti obiettivi che ci si era prefissi? Fra quelli enunciati – equità, certezza e semplificazione – risponderei di no per il primo, di sì per gli altri due.
Il catasto resta com’è
Il pezzo forte della “equità” stava nella delega per la riforma del catasto, che non è stata esercitata. È arcinoto che il catasto costituisce lo strumento base per la regolamentazione del settore immobiliare e che le classificazioni e i valori che esprime sono – e lo sono da tempo – del tutto inadeguati a fotografare in misura anche solo minimamente attendibile la situazione effettiva. Ma classificazione e valori catastali sono alla base di qualsivoglia forma di tassazione immobiliare, tanto che verta in tema di rendita teorica degli immobili ai fini delle imposte sul reddito, quanto che si discuta di valori di mercato rilevanti per le imposte sui trasferimenti, quanto che se ne apprezzino le specificità ai fini della tassazione da parte degli enti locali. Insomma, un catasto carente sotto il profilo della fotografia della situazione immobiliare effettiva mantiene tutte le ingiustizie da tempo unanimemente individuate e accentua i caratteri distorsivi della pur opportuna maggior tassazione del settore.
A queste considerazioni di merito va aggiunta quella di metodo che l’attuazione di una riforma in questo ambito richiede tempi di “lavorazione” prolungati e che più tardi ci si mette all’opera, più se ne allontanano i risultati.
Certo, della “equità” fa parte anche il sistema sanzionatorio e la sua riforma merita apprezzamento. Da sottolineare, in particolare, la più chiara definizione di comportamenti così offensivi da meritare la sanzione penale – tutti quelli che contengono una falsificazione esplicita – rispetto a quelli che si limitano a interpretazioni di comodo o a semplici ritardi nei pagamenti (se non stratosferici), per i quali può bastare una, anche severa, sanzione amministrativa.
Il punto su certezza e semplificazione
Migliore è, invece, il giudizio su “certezza” e “semplificazione”.
La “certezza” di un sistema tributario, sia chiaro, era e resta un’araba fenice. Il sistema si esprime con norme; queste sono sequenze di parole ed è impossibile che il loro significato sia sempre e comunque inequivoco. La realtà, poi, è soggetta a cambiamenti e fenomeni non considerati dal legislatore si affacciano continuamente, così da creare inevitabilmente situazioni nuove e opinabili.
La ricerca della “certezza” non può che ruotare, allora, intorno a strumenti di definizione – non penalizzante per alcuna delle parti in causa – delle fattispecie dubbie. E su questo terreno i decreti delegati svolgono adeguatamente il proprio ruolo. Lo fanno con due distinte normative: attraverso una più chiara definizione di che cos’è “elusione” o “abuso di diritto”; e attraverso una più efficace sistematizzazione del dialogo fra contribuente e fisco (i decreti sull’interpello). Entrambi gli istituti richiedevano un più chiaro quadro definitorio, che oggi esiste. Ma non ne va sopravvalutata la portata, visto che il quadro migliora solo in relazione ai concreti comportamenti dell’amministrazione finanziaria. Essa deve migliorare, in particolare, sulla capacità di comprendere le problematiche che le vengono sottoposte e sulla tempistica delle risposte. Tematiche che generano problemi sia di ordine organizzativo che di costo di un personale altamente specializzato e, come tale, appetibile per la concorrenza (cioè il mondo delle imprese e delle professioni). Per dire: gli interpelli si presentano alla Direzione regionale competente per territorio. Ha senso dotare la Direzione regionale del Molise o della Val d’Aosta di personale così qualificato? Chi si occupa di ruling internazionali – con problematiche riferite perlopiù a multinazionali – può rientrare in percorsi di carriera ordinari? La riforma avrebbe dovuto cimentarsi anche con queste, non secondarie, circostanze. Non lo fa e fare lo struzzo spesso non paga.
Sulla “semplificazione” gli interventi paiono incisivi e graditi. Ma sparpagliati in più decreti, il che è per certi versi inevitabile. Anche in questo caso rilevano più i comportamenti concreti dell’amministrazione finanziaria che le pur utili norme varate. E rilevano le modalità organizzative che è chiamata a darsi con normazione interna tutta da scrivere.
Positivo è, infine, il giudizio sul decreto sul monitoraggio dell’evasione fiscale. Non per gli obiettivi di riduzione del prelievo che ne possono derivare; ma perché definisce luoghi e strumenti di misurazione del fenomeno che consentiranno nel tempo di discutere meno sull’onda di sensazioni o estrapolazioni da ricerche di terzi e più sulla base di mirate conoscenze proprie.
 

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13 commenti

  1. luca taglietti

    Francamente a me lascia perplesso il nuovo raddoppio dei termini di accertamento, che sa tanto di condono tacito per le vecchie annualità. Non più estensione indietro, ma in avanti. Non so voi, ma già molti evasori, sottoscrittori di dichiarazioni fraudolente, stanno festeggiando. La norma pare scritta con i piedi e non mancheranno i ricorsi di chi è in ballo, che vedrà sicuramente accolte le prorpie lamentela. Vorrei sbagliarmi, ma da anni ci azzecco, purtroppo!

  2. Raul Wittenberg

    A parte lo scoglio dell’anagrafe di milioni di immobili, un freno alla riforma del catasto è politico. Indicare l’imponibile nel valore di mercato, ad aliquote costanti significa moltiplicare la patrimoniale in modo pazzesco. Occorre rivedere le aliquote ed agganciarle ai flussi di reddito. L’abolizione dell’IMU sulla prima casa per tutti viola la progressività dell’imposizione. Toglierla sopra i 70-100 mila euro annui di reddito è ininfuente sul tenore di vita di quei contribuenti e quindi sulla propensione ai consumi, perché a quel livello l’Imu non deprime gli acquisti. Farli pagare, dunque, e redistribuire verso il welfare o alzando la soglia dell’esenzione. Se il PD è di sinistra, non cessa di stupire.

  3. Luigi Calabrone

    Verissima la constatazione che si sia trattato di una “riformetta”, più che di una riforma. Per quanto riguarda il catasto, se è vera la notizia che continuano ad esistere centinaia di migliaia di immobili ignoti al catasto stesso, che cosa si aspetta (sempre per porre basi solide al sistema) ad introdurre il sistema del “catasto tavolare” (che due secoli fa c”era già nei territori austriaci come Lombardo Veneto, ecc. e che tuttora vige nel Trentino-Alto Adige e a Trieste; persino durante l’infame regime, nelle colonie si era già iniziato ad adottare questo sistema, che è “nuovo” di almeno tre secoli nel Nord Europa )? Almeno, con questo sistema, nessun immobile sfuggirebbe al fisco. Forse che toglierebbe lavoro ai notai e agli Uffici del Registro? Ma in un paese civile, del terzo millennio, non ci dovrebbero essere più “riserve indiane”. Come mai, anche su questo sito, non se ne fa menzione?

  4. nicolas

    Quante volte si è parlato di leale rapporto tra fisco e contribuente, di fisco amico, di riforma del diritto tributario per dare certezza alle capacita contributive, tante, troppe che oramai vien la nausea solo a sentirne parlare. E’ sufficiente comprendere che quel formidabile strumento che utilizza la movimentazione bancaria ideato per colpire gli evasori e di chi fa girare somme consistenti di denaro contante si traduce nel fatti nel raccattare qualche spicciolo da chi non ha voglia di cercare lo scontrino dell’acquisto pagato in contanti o di chi non ha voglia di far valere i propri diritti di fronte ad una giustizia tributaria da terzo mondo. Resteranno i risultati di una formidabile presunzione rovesciata che determina capacita contributive mai realizzate e rilevate per distrazione da parte di chi non tiene la contabilità personale. Allora i mille di qua, mille di la per mille accertamenti fanno un milione di lotta all’evasione, poi passano i miliardi del MOSE, gli EXPO e tutta la combriccola che ci gira intorno. C’è da domandarsi di questi funzionari che hanno accertato le movimentazioni bancarie da mille euro non documentate hanno superato un concorso pubblico o sono stati ‘’premiati’’ sulla base di che meriti ?
    Ma il meglio di se la formidabile macchina erariale lo mostrerà quando avvierà i controlli sulle comunicazioni polivalenti , anche qui accertando non la capacità contributiva ma la mancanza di scambio di informazioni tra cliente e fornitore … .
    Ed ancora non si parla di strumenti per compilare le dichiarazioni dei redditi costantemente in ritardo, determinazioni impazzite (gli addetti ai lavori conoscono le detrazioni per gli autotrasportatori modificate al 7 luglio (a pagamento delle imposte effettuate) ed una secondo volta il 5 agosto sempre a valere per l’anno precedente).
    Ma che si chiede di più se all’ingresso di una qualsiasi agenzia delle entrate è esposta una scritta ‘’ per entrare abbassare la maniglia’’ che fa presagire l’intraprendenza del funzionario che da li a poco si incontrerà.

    • .Non è nemmeno una “riformetta”, parliamo di un adeguamento di norme tributarie di un restiling, principalmente avvenuto a favore del Fisco.
      Positiva per il contribuente le modifiche alle sanzioni penali e amministrative, qui il legislatore ha avuto coraggio, in ogni caso a livello giurisprudenziale, i reati di mancato pagamento delle imposte non venivano più puniti, si tratta quindi di una modifica che servirà anche a sfoltire i numerosi procedimenti penali.
      Si è dato risalto alla certezza del diritto, si è’ vero che si è tracciata una linea tra elusione e evasione, qui la confusione era stata fatta dalla giurisprudenza della cassazione che parlava di elusione anche quando vi era evasione, però non ritengo che queste modifiche siano incisive per la certezza del diritto. Avere normato il concetto di elusione/abuso con il nuovo articolo, lascia dei margini di elasticità all’ufficio molto ampi, margini che sicuramente verranno utilizzati per accertare come elusive semplici scelte imprenditoriali. Il fatto che all’elusione non sia applicabile la sanzione penale e’ un scelta di civiltà, in ogni caso vi è da precisare che essa non è applicabile nemmeno nella legislazione vigente. A mio avviso, con la norma modificata ho seri dubbi che sia applicabile anche la sanzione amministrativa.
      Si è enfatizzato l’interpello e il ruling internazionale, il secondo è presente in tutti gli altri paesi, il secondo era già presente. Sulla semplificazione, lo stato addossa al contribuente sempre più adempimenti telematici, in tale modo ha già tutto nell’archivio, penso che ciò sia una semplificazione per l’amministrazione, si potrà quindi all’attività di accertamento.
      Per il catasto e’ una fortuna che non è stato fatto, si sarebbe avuto un incremento di gettito.

  5. Franco

    Imposte sugli immobili… I valori catastali sono già stati “ritoccati”: 1.05 e 1.60 (sic!). Qualcuno pensa che con qualche equazione si possa determinare un valore di mercato e realizzare l’equità. Beata ingenuità. Poi chi lo farebbe? Una pubblica amministrazione così efficiente?

  6. Michele

    La riforma del catasto sarebbe stata la madre di tutte le riforme (quelle vere). Averla accantonata (con il conseguente enorme tempo perso definitivamente) è Il principale effetto strutturale di questa “riformetta”.

  7. Savino

    E’ inutile disciplinare cosi’ minuziosamente la prassi dell’amministrazione finanziaria ed il contenzioso tributario se manca alla base la volontà di combattere l’evasione fiscale dei pesci grandi e garantire il recupero del gettito buttato via sulla cattiva conformazione dei parametri di riferimento (vedi catasto).
    Questo doveva essere l’oggetto di una riforma seria, considerando anche che i patrimoni cumulati sono una base imponibile ben più corposa e progressiva (nel senso costituzionale del “ciascuno paga per le risorse che ha”) rispetto ai redditi prodotti.

    • AM

      Interpretazione singolare della Costituzione italiana. Tassare maggiormente il patrimonio (che in linea di massimo è reddito non consumato) che il reddito? Ma se 2 famiglie hanno il medesimo reddito, ma scelte diverse sulla sua destinazione (una risparmia e l’altra spende tutto con un tenore di vita più alto: abbigliamento, vacanze, auto, alimentazione, svaghi, ecc) sarebbe iniquo colpire più pesantemente la famiglia che accumula risparmio.

      • Savino

        lei sottovaluta il fatto che ci siano tonnellate di rendite in nero in questo Paese ed è proprio da quel contesto che nascono tanti patrimoni.

        • AM

          Ma allora si tratta di evasione fiscale che può essere combattuta anche chiedendo al titolare del patrimonio di spiegare con documentazione come tale patrimonio si sia formato (redditi risparmiati, successioni, variazioni di valori di mercato, ecc). La Costituzione non vieta certo di combattere l’evasione fiscale e deve comunque essere interpretata correttamente: la capacità contributiva si riferisce in primo luogo al reddito e solo in seconda battuta, come correttivo, al patrimonio. Quanto ai redditi in nero (eviterei l’uso del termine rendite che spesso è usato in Italia a sproposito) si deve aggiungere che vi può essere anche una parte del patrimonio sconosciuta al Fisco: oggetti d’arte, valori di varia natura, capitali e proprietà immobiliari all’estero non dichiarati nella compilazione del quadro RW. A quest’ultimo riguardo vorrei aggiungere che, da come ho costatato la grande maggioranza degli stranieri residenti in Italia che possiedono immobili nel paese d’origine non li dichiarano in quanto non compilano il citato quadro RW.

          • Savino

            i redditi non sono indicatori di ricchezza, i patrimoni si.

  8. antonello

    Per quanto riguarda la mancata riforma del catasto, a me pare ovvio che una volta dichiarato che si ri-abolirà l’imposta sulla prima casa cade anche gran parte (non tutta ovviamente, però…) della necessità di riformare il catasto. Con buona pace della nuova autonomia finanziaria degli enti locali, ecc. Che sarebbe stata una riformucola o una riformetta fiscale già si sapeva, perché il punto vero è che tutte le manovre degli ultimi 20 (venti) anni sono state guidate solo dall’esigenza di fare cassa (per i vincoli di bilancio e per ridurre il debito) mai, dico mai, per ridisegnare un quadro d’insieme coerente, razionale ed equo del nostro sistema fiscale. Anche la spada di damocle delle clausole di salvaguardia dimostra questo: accise ed iva a gogò, senza diminuire le altre imposte, però, eventualmente.

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