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L’Orchestra Verdi e i masnadieri ministeriali *

La Verdi di Milano è una delle maggiori orchestre sinfoniche italiane. Ha molti spettatori ed è anche capace di ottenere donazioni e finanziamenti da privati. Eppure, lo Stato le ha ridotto i fondi. Ma è tutto il tema della ripartizione dei fondi per lo spettacolo dal vivo che va ripensato.

Un trono vicino al sol
La Verdi di Milano è una delle maggiori orchestre sinfoniche italiane, nata nel 1993 su iniziativa di un gruppo di cittadini milanesi, con l’appoggio di imprese private, e salita nel 2014 al tredicesimo posto tra le più amate orchestre del mondo (l’unica italiana tra le prime venti; ascesa al quinto posto nella prima settimana di sondaggio 2015); una delle poche che registrano e incidono con una importante etichetta internazionale. Un’orchestra di successo (dai 25 mila spettatori del 1994 ai 218 mila del 2014), che – secondo la relazione della Corte dei Conti al Parlamento (doc. XV, n° 182, 29 luglio 2014) – nel 2012 si era collocata al quinto posto per spettatori tra gli enti musicali italiani, preceduta da tre enti lirici (Arena di Verona, Scala, Opera di Roma) e da una sola orchestra sinfonica (l’Accademia di Santa Cecilia).
La cosa interessante, però, è che mentre l’Accademia di Santa Cecilia aveva avuto un contributo pubblico per spettatore pari a 47 euro, alla Verdi ne erano toccati 17 (alla Scala 109 e all’Opera di Roma 232). Inoltre, all’Accademia di Santa Cecilia i contributi pubblici erano pari all’88,5 per cento delle entrate proprie, alla Verdi erano pari al 43,6 per cento. E non si può tacere che (sempre dai dati della Corte dei Conti) al Lirico di Cagliari si era arrivati a un rapporto tra contributi pubblici e ricavi propri del 693,5 per cento, al Massimo di Palermo del 729 per cento (per la Scala, grazie ad abbondanti sponsorizzazioni private, il rapporto era 54,6 per cento).
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La Corte dei Conti ci dice, inoltre, che la Verdi aveva il 70,4 per cento delle entrate proprie di tutte le istituzioni concertistiche orchestrali (Ico) – tra cui importanti complessi come la Haydn di Bolzano, la Toscanini di Parma e l’Orchestra regionale toscana – e solo il 10 per cento di tutti i contributi pubblici. Nel 2013 la Verdi ha fatto registrare il 59 per cento degli spettatori di tutte le Ico del Nord e quasi il 105 per cento degli incassi. Complessivamente, dal 1993 al 2014, i contributi pubblici hanno rappresentato solo il 27 per cento dei ricavi della Verdi, che si è procurata con abbonamenti, biglietti, sottoscrizioni dei soci e sponsor il rimanente 73 per cento. Nessun altro ente musicale italiano è andato avanti in queste condizioni, dovendo per di più pagare le rate del mutuo acceso per acquistare e ristrutturare l’auditorium di Milano, mentre altre istituzioni utilizzano sedi messe a disposizione e mantenute dai comuni. Nel 2012 la Verdi è stata scelta da 1.502 contribuenti quale destinazione del proprio 5 per mille (cinque volte il numero di quelli che hanno scelto la Scala), per un incasso di oltre 82mila euro, il più alto tra tutti gli enti musicali italiani.
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La Verdi è dunque amata dal pubblico pagante e dai contribuenti, ma non dallo Stato, che nel 2014 ha ridotto i contributi a soli 200 mila euro dai 3 milioni e 150 mila del 2013, senza alcuna motivazione degna di nota o dotata di senso. Sempre nel 2014, la Toscanini di Parma ha ricevuto 2 milioni e 200 mila euro con meno di un terzo degli spettatori della Verdi. Un trattamento incomprensibile e penalizzante.
Rendendosi conto dell’assurdità della situazione, il ministro Franceschini – con proprio decreto del 1° aprile 2015 – riconosce per la prima volta, dopo ventidue anni, la Verdi come Ico, ponendo così le premesse per un più sostanzioso e stabile finanziamento pubblico. Ma, a fine giugno, il direttore generale dello spettacolo – il potente e discusso Salvatore Nastasi, ora divenuto vicedirettore generale di Palazzo Chigi – decide di disattendere il decreto ministeriale e ventila un presunto ricorso dell’Orchestra Regionale Toscana (mai pervenuto) contro l’inserimento della Verdi tra le Ico per “declassare” l’orchestra milanese a complesso strumentale (come fosse una piccola orchestra da camera o una banda di paese e non un complesso con 72 professori di orchestra stabilmente assunti). Il risultato è che, invece degli oltre 2 milioni e 160 mila euro che le sarebbero toccati (per il 2015) come Ico – dato il punteggio che avrebbe ottenuto in base alle norme vigenti – alla Verdi è stato assegnato 1 milione (a stagione completata per due terzi). Da notare che all’Orchestra regionale toscana (la presunta ricorrente), con un punteggio inferiore, sono stati assegnati 1 milione e 973 mila euro. Eppure l’Ort ha fatto, nel 2014, 101 concerti con circa 51 mila spettatori, contro i 207 concerti (solo sinfonici) con 132 mila spettatori della Verdi (senza contare le sue altre attività, che portano quasi altri 90 mila spettatori). Per non dire che gli incassi della Verdi sono stati pari al 352 per cento di quelli dell’orchestra toscana e che, se anche alla Verdi fosse stato riconosciuto il contributo “standard” come Ico, il rapporto tra soldi pubblici e ricavi totali atteso per il 2015 sarebbe stato pari al 41 per cento, il più basso tra gli enti musicali italiani.
E che baccano sul caso strano andrà dimane per la città
È chiaro come la Verdi sia stata oggetto di una discriminazione autocratica. E contro “fatti sì enormi” la Fondazione farà ricorso all’autorità giudiziaria nelle sedi appropriate. Ma tutto il tema della ripartizione dei fondi per lo spettacolo dal vivo, e per la musica in particolare, va ripensato, riconducendo il finanziamento pubblico alla finalità propria di ampliare la platea degli spettatori, di promuovere la cultura e l’educazione musicale e di premiare chi riesce a finanziarsi di più con risorse proprie, secondo la logica dei matching grants. E anche i tempi vanno rivisti, con i fondi assegnati prima dell’inizio della stagione e non con otto mesi di ritardo. Anche questo è rinnovare l’Italia con serietà.
* L’autore è componente del consiglio di amministrazione della Fondazione orchestra sinfonica e coro sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, nominato da Banca Popolare di Milano. L’incarico non è retribuito.
 

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  1. bob

    …l’Italia dei campanili che non va da nessuna parte!

    • SERGIO

      Commento esatto!!!!

    • fabrizio

      Concordo pure io: siamo un Paese dove i localismi esasperati bloccano ogni ragionamento di merito a livello nazionale; dalle banche alle fiere agli sport alle orchestre è tutto un tiramento da parte di politici e politicanti da strapaese. Altro che interesse (e unità) nazionale. Uniti sì: nell’arraffo di risorse per scopi localistici.

  2. maurizio

    Ben venga una misura asettica delle performance di un orchestra, che serva per distribuire i finanziamenti dello stato

  3. luca pozzoni

    manca un
    P.S.: l’orchestra più finanziata d’Europa è l’Accademia di Santa Cecilia di Roma, 15,6 milioni di euro l’anno

  4. Mario Calandra

    Che sconforto!
    Purtuttavia, articoli come quello che ho testé letto mi riempiono di orgoglio per essere concittadino dell’autore e mi fanno sperare nel futuro fino a che sentirò simili voci. Sui politici è preferibile non dire nulla onde non scadere nel volgare; del resto, sin dall’unità d’Italia si sono comportati così. Ha ben detto “fabrizio”..

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