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Ciò che serve in Europa per convergere e crescere assieme*

Si accrescono i timori che l’appartenenza all’Unione monetaria non coincida necessariamente con un processo di convergenza nei redditi pro-capite. Quali sono le condizioni per riavviare il motore di questo obiettivo comunitario?

Tre criteri di convergenza
L’euro summit del 24 ottobre 2014 ha fissato l’obiettivo di sviluppare “concreti meccanismi per un piu forte coordinamento delle politiche economiche, per la convergenza e per la solidarietá”. Il termine convergenza economica presenta però diversi significati.
Alla base del trattato di Maastricht c’era la convergenza nominale (definita in termini di variabili quali tassi di interesse, inflazione, tassi di cambio, deficit e debito pubblico): l’obbiettivo non era solo di creare una moneta unica ma anche una moneta stabile e per questo era necessario prendere l’esempio dai paesi piú virtuosi in termini di stabilitá macro-finanziaria.
Richiedere la convergenza nominale (in termini di moneta e finanza pubblica) era un modo per sottolineare che, come suggerito nel dibattito accademico sulle “aree valutarie ottimali” (Avo, oppure Oca in inglese)”, per far funzionare un’unione monetaria occorreva la convergenza reale cioè che le economie reali degli stati membri fossero realmente simili (in termini di reddito pro capite, di dotazione di risorse e di tecnologia) in modo da ridurre il rischio di instabilitá legato a shock diversi tra paesi, difficili da contrastare in un’unione monetaria. Si riteneva che la convergenza reale avrebbe reso i paesi più simili dal punto di vista della struttura economica, e che tale convergenza strutturale avrebbe avvicinato i paesi membri ai criteri Oca, rendendo a sua volta piú agevole il rispetto dei criteri di Maastricht.
Aspettative disattese
La fase di rincorsa verso l’Uem è coincisa con un rapido processo di convergenza nominale: le differenze tra tassi di inflazione sono state ridotte sensibilmente, cosi come quelle tra tassi di interesse per l’ulteriore effetto della eliminazione del rischio di cambio (Grafico 1).
Grafico 1. Tassi di interesse: media e varianza per i paesi Euro Area-12
grafico1
Fonte: elaborazioni su dati AMECO
Dopo il completamento dell’Uem la convergenza nominale è stata sostanzialmente raggiunta, eccezion fatta per il criterio del debito pubblico, mentre la convergenza reale non si è arrestata, in particolar modo per i paesi di nuova adesione Ue (Grafico 2; si veda anche questo studio della Bce).
Grafico 2: Crescita pro-capite (1999-2007) e PIL pro-capite in PPP (1999), Euro Area
grafico2
Source: elaborazioni su dati AMECO
La convergenza nelle possibilitá di spesa tra i paesi Ue è stata alimentata dai massicci afflussi di capitale dal “centro” alla “periferia” associati all’eliminazione del rischio di cambio e alla riduzione nel rischio di credito percepito. In parallelo, gli squilibri nel saldo di partite corrente tra centro e periferia hanno raggiunto livelli senza precedenti (Grafico 3). Queste accresciute possibilitá di spesa, unite a performance soddisfacenti in termini di crescita e occupazione hanno allontanato la percezione dei rischi ritardando anche le riforme strutturali necessarie nei paesi della periferia Uem necessarie per garantire un aggiustamento efficace in caso di shock diversi tra paesi.
Grafico 3. Saldi di partite correnti e tassi di disoccupazione, media ponderata per centro e periferia Euro Area
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Fonte: elaborations on AMECO data – Centro: BE DE LU NL AT FI. Periferia: EE IE EL ES FR IT CY LV LT MT PT SI SK. Centro e periferia sono raggruppati secondo il criterio proposto in Buti and Turrini (2013): con poche eccezioni i paesi del cntro hanno registrato surplus di partite correnti durante il periodo 1999-2009, mentre i paesi della periferia hanno registrato deficits.
La sostenibilità dell’afflusso di capitali nella periferia dell’ zona è tuttavia dipesa dalla qualità degli investimenti resi possibili dai bassi costi del capitale. In questo senso, non ha aiutato il fatto che afflussi massicci di capitale fossero in molti casi associati a perdite di competitivitá, e che le attività finanziate fossero in gran parte nel settore non commerciato, (in particolare quello delle costruzioni). Per converso, i paesi del centro, via via piú competitivi, sono cresciuti soprattutto attraverso le esportazioni.
In breve, durante il primo decennio Uem la convergenza reale non è stata associata a un processo di convergenza strutturale come atteso, ma piuttosto di divergenza nelle struttura delle economie (Grafico 4).
Grafico 4 – Tassi di crescita cumulati del rapporto tra valore aggiunto settori non commerciati/commerciati, e del rapporto valore aggiunto nel settore costruzioni/PIL (medie ponderate per centro e periferia Euro Area, medie per sotto-periodi relativi a run-up verso UEM, prima decade UEM, post-crisi)
Schermata 2015-09-04 alle 10.32.14
Fonte: elaborazioni su dati AMECO
La crisi che ha fatto traboccare il vaso e le cose da fare in futuro
La crisi finanziaria è stata il detonatore alla base della correzione degli squililbri accumulatisi durante i primi dieci anni Uem. I capitali hanno cominciato ad orientarsi in direzione opposta in virtú dell’accresciuta rischiositá percepita di molti paesi delle periferia Ue. Il brusco riequibrio nelle partite correnti è coinciso poi con un processo di divergenza nei tassi d’interesse nominale e nei tassi di crescita e occupazione tra paesi del centro e della periferia (Grafici 1 e 3). In tale fase, alla divergenza nominale e reale si è affiancato un processo di convergenza strutturale: le contrazioni maggiori delle economie della periferia si realizzarono soprattutto nel settore che produce beni non scambiati sul mercato globale e in quello delle costruzioni; nel complesso la struttura delle economie tra paesi dell’euro area è pertanto divenuta meno dissimile.
Il processo di convergenza strutturale in atto da alcuni anni è un requisito necessario per riaccendere il motore della convergenza reale negli anni futuri: le economie della periferia non possono mantenere modelli di crescita basati sull’indebitamento estero.
La convergenza strutturale non è tuttavia una condizione sufficiente per un buon funzionamento dell’unione monetaria. Il primo motivo é che un sostenibile sentiero di crescita basato sulle esportazioni richiede riforme nella periferia dell’eurozona e un quadro di politica economica coerente. Il secondo motivo è che tale crescita richiede maggiore competitività di prezzo, ossia un differenziale negativo di inflazione. Ma in un contesto di inflazione molto bassa sale il rischio che il debito diventi non più sostenibile: una efficace politica anti-deflazionistica da parte delle autorità di politica monetaria gioca pertanto un ruolo fondamentale, assieme ad una domanda interna piú dinamica nei paesi in surplus. In ultimo, un rinnovato processo di convergenza reale sostenibile richiede un adeguato quadro istituzionale per l’Uem, cruciale per il recupero e il mantenimento di un clima favorevole per l’investimento nella periferia dell’ eurozona. Il rapporto “dei cinque presidenti” del 22 giugno 2015 va incontro agli obiettivi dell’euro Summit e avanza proposte per completare il progetto dell’Uem sul fronte dell’ integrazione economica, finanziaria e fiscale garantendo la coesione sociale rafforzando la legittimità democratica delle istituzioni europee. In particolare, il completamento dell’unione bancaria e il progetto di Capital markets union, convogliando il risparmio dei paesi esportatori netti di capitale non solo attraverso strumenti di debito ma anche di equity, aiuteranno a rendere compatibili integrazione finanziaria avanzata e stabilitá macro-finanziaria come anche a stabilizzare i flussi di capitali tra paesi dell’ unione.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non coinvolgono la responsabilità delle istituzioni di appartenenza.
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  1. Luca

    Questo articolo è interessante non solo perché gli autori conducono un’analisi lucida e precisa delle cause del divario tra “Centro” e “Periferia” europea al tempo della Crisi, ma anche perché dimostra che tale gap non è imputabile, come qualcuno sostiene in maniera populista, alla moneta unica, bensì alla debolezza delle democrazie dei Paesi svantaggiati le quali non hanno realizzato per tempo le riforme strutturali necessarie ad evitare il peggio. E pensare che nella prima decade dell’introduzione dell’Euro Carlo A. Ciampi aveva avvertito la classe dirigente italiana affinché agisse non cullandosi sulla relativa stabilità del quadro economico e finanziario dovuto appunto all’introduzione della moneta unica. In questo senso va interpretata la sua celebre frase “L’Euro non è il Paradiso ma il Purgatorio”. Purtroppo quella congiuntura favorevole non è stata sfruttata come si sarebbe dovuto e oggi ne paghiamo le conseguenze.
    Se solo talvolta ci fosse un minimo di lungimiranza nei nostri governanti!

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