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Banche troppo grandi per funzionare

Si fanno sempre più insistenti le voci su nuove aggregazioni nel sistema bancario italiano. Dati alla mano, tuttavia, sembra d’obbligo la cautela: le banche coinvolte negli ultimi anni in processi simili hanno spesso mostrato risultati nettamente peggiori rispetto agli istituti più piccoli.

Il decennio delle aggregazioni
Negli ultimi tempi si sono fatte sempre più insistenti le voci su un prossimo nuovo processo di aggregazioni nel sistema bancario italiano. Non si tratta degli eventuali progetti di fusione che coinvolgono banche di piccola dimensione. Si parla invece di istituzioni già di medie dimensioni, dalla cui eventuale aggregazione si genererebbero nuovi gruppi bancari con un valore degli attivi superiore ai 100 miliardi e di operazioni di acquisizione, domestiche o internazionali, guidate da gruppi già molto grandi.
Nell’attuale contesto di crisi economica e finanziaria, sono in molti ad auspicare soluzioni di questo tipo, in particolare le autorità di vigilanza, nella speranza che ciò possa contribuire a migliorare l’efficienza del sistema e a rafforzarne la solidità, risolvendo nel contempo i problemi di alcune banche in difficoltà. Sembrerebbe quindi che non ci siano dubbi sul fatto che le grandi aggregazioni bancarie siano sempre vantaggiose e apportino benefici agli azionisti così come al sistema finanziario in generale. Ma è davvero così?
Dalla fine degli anni Novanta all’inizio della crisi nel 2007-2008, il sistema bancario europeo è stato interessato da un forte processo di consolidamento, che ha raggiunto il suo apice tra il 2006 e il 2008 con un volume di transazioni che ha superato i 400 miliardi di euro. Le operazioni di aggregazione sono avvenute o per acquisizione o per fusione; in entrambi i casi hanno prodotto un sensibile accrescimento del totale degli attivi di bilancio e, per le acquisizioni, anche consistenti avviamenti, derivanti dalla differenza tra i prezzi di acquisto e i corrispondenti valori contabili delle banche acquisite.
Come è andata a finire
Per analizzare gli effetti delle operazioni di aggregazione abbiamo dunque segmentato il settore bancario in base alla dimensione del totale degli attivi (banche con attivi maggiori e minori di 100 miliardi di euro) e in base al livello del rapporto tra avviamento e patrimonio netto, considerando i valori di bilancio registrati negli anni 2007/08. Le analisi si basano su di campione di 98 banche europee quotate, con una capitalizzazione di mercato superiore a 500 milioni di euro e appartenenti all’area geografica dell’Europa occidentale.
Il grafico sotto mostra che dal 2006 gli andamenti di mercato medie delle banche con totale attivi superiore ai 100 miliardi sono state costantemente inferiori di circa il 30 per cento rispetto a quelli ottenuti dagli istituti con attivi sotto i 100 miliardi. Le banche che hanno effettuato acquisizioni particolarmente rilevanti o onerose hanno registrato performance ancora peggiori, con una distruzione di valore molto elevata per gli azionisti: lo sconto per gli istituti con rapporti avviamento/patrimonio netto superiori al 40 percento è dell’85 per cento sui valori di inizio 2006.
Figura 1 – Evoluzione performance di mercato
Schermata 2015-09-02 alle 16.29.12
L’analisi degli andamenti medi di alcuni indicatori di redditività ed efficienza operativa confermano le tendenze rilevate in termini di performance di mercato. I primi due grafici di figura 2 mostrano l’andamento medio per ogni sottoinsieme della redditività netta e lorda. Anche in questo caso, le banche di maggiori dimensioni e quelle con elevati rapporti tra avviamento/patrimonio netto hanno registrato i risultati reddituali peggiori. Nei due grafici successivi abbiamo considerato due indicatori che dovrebbero catturare eventuali efficientamenti connessi a economie di scopo e di scala. Anche qui le banche di maggiore dimensione e quelle con elevati rapporti di avviamento/patrimonio netto evidenziano livelli peggiori degli indicatori di efficienza.
Figura 2 – Evoluzione indicatori reddituali e di efficienza
Schermata 2015-09-02 alle 16.29.42
Un processo in perdita
L’intenso processo di aggregazioni bancarie che ha interessato il sistema bancario europeo negli ultimi anni non ha prodotto benefici evidenti. L’analisi dimostra che mediamente le operazioni di aggregazione hanno contribuito più ad aggravare le condizioni dei gruppi bancari e a distruggere valore per i loro azionisti che a generare benefici economici (questo naturalmente non esclude che talune operazioni possano aver apportato dei vantaggi).
Del resto, anche le ingenti svalutazioni degli avviamenti effettuate negli ultimi anni ben testimoniano il fenomeno. Tra il 2009 e il 2014 la svalutazione degli avviamenti per le maggiori banche italiane ha cumulato perdite per circa 50 miliardi di euro, più della metà dell’attuale capitalizzazione di mercato delle prime cinque. Se la crisi finanziaria ed economica ha colpito tutte le banche, quelle che sembrano risentirne di più sono proprio le banche nate dai processi di acquisizione, con un divario in termini reddituali che si è allargato sempre di più negli ultimi anni.
L’idea che un nuovo processo di ulteriore concentrazione del sistema bancario italiano sia la soluzione per i problemi che in questo momento affliggono alcune banche dovrebbe essere valutata con molta cautela.

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  1. Andrea Venturini

    Le banche italiane con oltre 100 mld di attivo sono 5 (dati 2013 – http://www.imperialfashion.com/pdf/24-10-2014_Il%20Sole24Ore.pdf). Le ipotesi di aggregazione, quindi, che non superano i 100 mld sarebbero – in base alle argomentazioni svolte nell’articolo – quasi tutte performanti per definizione?

    • giuseppe montesi

      Premesso che 100 mld non è un numero aureo, le banche italiane con attivi superiori a 30/40 mld sono diverse e quindi ipotizzando anche una aggregazione tra queste si creerebbero dei nuovi gruppi con attivi molto vicini e in molti casi superiori ai 100 mld. Inoltre molte ipotesi di aggregazione circolate negli ultimi mesi prevedono progetti di aggregazione tra le prime cinque, o comunque il coinvolgimento di almeno una di esse. Ad ogni modo l’argomento ha una valenza generale cha va anche oltre i confini italiani, in considerazione del fatto che ormai l’architettura del sistema bancario europeo lo delinea la BCE, per cui se l’indirizzo da dare all’assetto del mercato sarà improntato ad una maggiore concentrazione (come sembra) è ragionevole immaginarsi integrazioni con banche anche di altri paesi dell’Unione.

  2. stefano fontana

    Aggiungerei, alle esatte indicazioni dell’articolo, che l’annientamento di Banco di Napoli e Banco di Sicilia, ha avuto effetti esiziali in Campania e Sicilia, Tale eliminazione è stata fatta gridando allo scandalo in ragione di bilanci che, a giudizio di Bankitalia, presentavano deficit patrimoniali di alcune centinaia di miliardi di lire nei primi anni novanta, ma nessuno ha gridato allo scandalo quando Unicredit, due anni fa, ha presentato un bilancio in perdita di 14 miliardi di euro, cioè 28.000 miliardi di lire

  3. IC

    D’accordo con l’Autore. Non sempre il gigantismo corrisponde ad economicità

  4. Menato Giulio

    In tema di problematiche nelle aggregazioni del sistema bancario riporto la sintesi di un intervento di un socio in occasione dell’assemblea di bilancio di una grande cassa rurale trentina.
    L’intervento si fonda su elaborazioni dei bilanci del locale sistema di credito delle casse rurali.. Queste in sintesi le considerazioni:Sotto il profilo dei tassi, attivi e passivi, (non sono contemplati ad altri servizi) essere socio di una cassa piccola, o di una grande, non porta apprezzabili benefici. Dal grande al piccolo, non sono i tassi a variare, ma sono solo i costi unitari. Le piccole casse, pur con costi unitari elevati, riescono a mantenere gli stessi tassi di quelle grandi ed è quindi molto probabile che, in queste ultime, si nascondano delle sacche di inefficienza. Per preparare le fusioni, i riflettori andrebbero rivolti più verso le casse grandi ed i loro costi, che su quelle piccole oggetto di fusioni. Si ottengono sommando bacini di utenza, clienti, fatturati ed anche i costi, i componenti più negativi delle piccole casse. Si sommano anche le esperienze gestionali delle casse oggetto di fusione. Visti i risultati, sembra che la somma algebrica non sempre porti al livello manageriale richiesto dalle nuove dimensioni. Conclude segnalando che, nell’esperienza Trentina, le fusioni non hanno portato a far emergere quelle economie di scala che caratterizzano la regola aurea che viene normalmente associata all’aumento della dimensione.

  5. Meneghetti

    In tema di problematiche nelle aggregazioni del sistema bancario riporto la sintesi di un intervento di un socio in occasione dell’assemblea di bilancio di una grande cassa rurale trentina.
    L’intervento si basa su elaborazioni dei bilanci del locale sistema di credito delle casse rurali e arriva alle seguenti considerazioni: Sotto il profilo dei tassi, attivi e passivi, (non sono contemplati ad altri servizi) essere socio di una cassa piccola, o di una grande, non porta apprezzabili benefici. Dal grande al piccolo, non sono i tassi a variare, ma sono solo i costi unitari. Ed afferma che se le piccole casse, pur con costi unitari elevati, riescono a mantenere gli stessi tassi di quelle grandi è molto probabile che, in queste ultime, si nascondano delle sacche di inefficienza. Nelle le fusioni, i riflettori andrebbero rivolti più verso le casse grandi ed i loro costi, che su quelle piccole oggetto di fusioni. Osserva anche che le fusioni si realizzano sommando bacini di utenza, clienti, fatturato e costi, ossia i componenti del bilancio che nelle piccole casse rappresentano l’aspetto più negativo. Si sommano anche le esperienze gestionali delle casse oggetto di fusione. Visti i risultati, conclude, sembra che, nel trentino, le fusioni non abbiano fatto emergere quelle economie di scala che caratterizzano la regola aurea che viene normalmente associata all’aumento della dimensione e che la somma algebrica non sempre porti al livello manageriale richiesto dalle nuove dimensioni.

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