Il salario minimo è diventato un tema caldo in giro per il mondo. Quale potrebbe essere un livello adatto per l’Italia? Per fissarlo è necessario che sia in proporzione alla produttività ed ai salari prevalenti nelle varie realtà territoriali.
Un dibattito aperto in molti paesi
Da qualche giorno il salario minimo è tornato alla ribalta sui media. L’Economist ed il New York Times hanno osservato che in Gran Bretagna, Germania ed in America, sulla spinta delle imminenti elezioni, la discussione sul giusto livello di salario minimo sta assumendo un ruolo di primo piano. In precedenza, anche su questo sito, abbiamo discusso di come l’introduzione di un salario minimo legale in Italia possa aumentare il reddito di alcune categorie di lavoratori meno specializzati e più deboli nella contrattazione del proprio salario, senza diminuire l’occupazione. Maggiore equità senza danneggiare i livelli di efficienza: sarebbe un caso raro in economia.
In Italia non esiste ancora un vero e proprio salario minimo legale. C’è il sistema dei minimi stabiliti dai contratti nazionali, che escludono però larghe porzioni della forza lavoro. C’era la proposta nella legge delega del Jobs Act, scartata, almeno temporaneamente, dal governo: un salario minimo legale intorno ai 7 euro l’ora. C’è la proposta del Movimento 5 Stelle, parte del disegno di legge sul reddito minimo, che ipotizza un livello di salario minimo di 9 euro l’ora.
Il diavolo è nei livelli
Un livello troppo basso di salario minimo sarebbe chiaramente inutile, se non addirittura una potenziale base per l’abbassamento degli stipendi. D’altra parte, se fissato a un livello eccessivo, il minimo legale rischia di creare disoccupazione e lavoro nero. Il calcolo del livello minimo è quindi cruciale. E non semplice. Innanzitutto, un salario minimo legale dovrebbe essere proporzionato alla produttività del lavoro. Se il salario eccede il valore del prodotto di un lavoratore, si crea una situazione non sostenibile per l’impresa, che decide di non assumere o di assumere in nero. Il grafico sottostante mostra i livelli di salario minimo reale (in dollari americani), misurati sull’asse verticale di sinistra, e i livelli di produttività, misurati sull’asse di destra, dei paesi Ocse. Per il salario, si va da un massimo di 10,80 dollari in Lussemburgo a un minimo di 0,80 dollari in Messico. Questi valori sono reali, quindi tengono conto della differenza di potere d’acquisto presente fra i paesi in questione. Inoltre, i dati risalgono al 2013 e non comprendono gli Stati che hanno introdotto il salario minimo di recente, come la Germania.
Pur senza poter affermare una diretta causalità, risulta evidente che solo quando la produttività è alta ci si può permettere di fissare livelli di salario minimo legale alti, evitando effetti controproducenti sull’occupazione. L’Italia, che ha un Pil/ora di 50,10 dollari a parità di potere d’acquisto l’ora, potrebbe avere un salario minimo simile a quello di paesi con valori di produttività analoghi, come Australia (53,30 dollari ppp/h), Spagna (50,60) o Canada (49,10). In euro si traduce con un livello di salario minimo fra i 4,70 e i 6,20 euro l’ora. In secondo luogo, è utile mostrare in un grafico i livelli di salario minimo legale espressi come percentuale del salario mediano presente nel paese. La Turchia risulta così il paese più generoso nell’imposizione di un salario minimo, insieme al Cile e alla Francia. Fanalini di coda della classifica sono invece Stati Uniti, Messico e Repubblica Ceca. È interessante notare come la maggior parte dei salari minimi sia imposto fra il 40 e il 60 per cento del salario mediano presente nel paese.
La determinazione di un ipotetico livello per l’Italia dovrebbe prendere in considerazione anche queste proporzioni. Il salario mediano nel nostro paese è di 11,50 euro l’ora: introdurre un salario minimo al 60 per cento di quello mediano vorrebbe dire fissarlo a 7 euro l’ora; al 40 per cento sarebbero 5 euro l’ora. Possiamo quindi dare una prima valutazione delle ipotesi in campo per l’Italia. Un salario minimo a 9 euro l’ora (quasi l’80 per cento del salario mediano), come nella proposta M5S, sarebbe molto superiore ai livelli degli altri paesi Ocse sia in termini di salario mediano che in confronto alla produttività, rischiando di creare disoccupazione e lavoro nero. I 7 euro l’ora ipotizzati e poi esclusi dal Jobs Act sembrano invece una stima in linea con il confronto internazionale.
Vale la pena provarci
La nostra valutazione è tuttavia semplificatoria. Considerando per esempio le differenze in termini di salari e costo della vita tra le diverse regioni italiane, un salario minimo nazionale rischia di danneggiare le aree che attualmente hanno salari e costo della vita più bassi, spesso già le meno competitive. Si potrebbe pensare, come infatti era esplicitamente previsto nella legge delega, a una introduzione sperimentale in particolari settori, o per una categoria specifica, o in un’area limitata. Previe opportune sperimentazioni, un salario minimo legale, a un livello adeguato e uguale per tutti, permetterebbe di semplificare e modernizzare il nostro sistema economico, rendendolo allo stesso tempo più equo e inclusivo. Vale la pena provarci.
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