Il dato di aprile sull’occupazione è superiore alla attese. E si aggiunge ad altri segnali che fanno ben sperare. Ma qualche cautela andrebbe mantenuta. Perché se il lavoro cresce più velocemente del Pil, la produttività media si abbassa. L’aumento inatteso del tempo determinato.
Dati positivi, con cautela
Il dato occupazionale di aprile è stato decisamente positivo e superiore alla attese. Rispetto allo stesso mese del 2014, il numero di occupati è salito di 261mila unità, mentre la disoccupazione totale è diminuita di qualche punto percentuale, arrivando al 12,4 per cento. Si registra anche una notevole riduzione della disoccupazione giovanile.
Dopo la doccia fredda di febbraio e marzo, il governo canta vittoria. Guardando la dinamica del lavoro a termine, occorrerebbe invece più cautela.
Lo scorso mese l’Istat ha certificato il primo dato positivo del Pil. Nel primo trimestre del 2015, dopo undici trimestri sott’acqua, il Pil italiano ha ripreso a crescere, sebbene soltanto dello 0,1 per cento su base annua. Ad aprile 2015 l’occupazione invece è aumentata dell’1,2 per cento rispetto a dodici mesi fa, con un tasso di crescita che surclassa la crescita del Pil, di poco superiore allo zero.
Si tratta di una dinamica crescita-lavoro davvero particolare. Ricorda il “lavoro senza crescita” dell’inizio degli anni Duemila, quando l’occupazione cresceva dell’1 per cento all’anno con un Pil che sonnecchiava intorno allo 0,5 per cento. Vedremo nei prossimi mesi cosa succederà al Pil nel secondo trimestre. Tuttavia, quando l’occupazione cresce molto più velocemente del prodotto interno, la produttività media si abbassa. E uno dei problemi principali dell’Italia è proprio la bassa crescita della produttività.
Una crescita di lavoro a bassa produttività può essere pericolosa, come ci insegna la storia della grande crisi del 2008, quando con il suo scoppio, la disoccupazione passò in pochi anni dal 7 al 13 per cento. Certamente non vogliamo rientrare nello schieramento dei “gufi contro il governo” e ci rallegriamo per l’incremento del numero di occupati. Il paese ne ha bisogno e gli indizi positivi sono numerosi. Rispetto ad aprile 2014 si osserva infatti anche una crescita dell’occupazione femminile del 2 per cento, mentre nel primo trimestre l’occupazione è aumentata non solo nel Nord, ma anche nel Centro e nel Mezzogiorno, dove si registra la crescita più sostenuta (più 0,8 per cento rispetto al primo trimestre del 2014).
Cresce il tempo determinato
Il balzo dell’occupazione è davvero tutto merito del Jobs act e delle politiche del Governo, come i tweet ministeriali e presidenziali suggeriscono? È troppo presto per dirlo. I dati più precisi (al di là del numero di occupati e disoccupati) dell’Istat rilasciati il 3 giugno si riferiscono al primo trimestre del 2015 (gennaio-marzo), mentre il nuovo contratto a tutele crescenti è entrato in vigore solo il 7 marzo. Il risultato più inaspettato è la crescita del lavoro a termine, che registra un incremento di 72mila unità rispetto al primo trimestre del 2014. L’incidenza del lavoro a termine sale così dal 9,4 per cento del primo trimestre del 2014 al 9,7 per cento del primo trimestre del 2015.
È davvero un dato inaspettato. Da gennaio 2015 (prima che entrasse in vigore il nuovo contratto) le assunzioni a tempo indeterminato avvengono praticamente senza oneri contributivi per il prossimo triennio. Sia il ministero del Lavoro che il nuovo osservatorio della precarietà dell’Inps hanno indicato un incremento delle assunzioni a tempo indeterminato.
Il dato dell’Istat va invece nella direzione opposta. Queste discrepanze suggeriscono grande cautela prima di giungere a conclusioni definitive partendo da una semplice statistica sul lavoro. Ma in tutto il mondo- non solo in Italia – le statistiche economiche si commentano pressapoco così: quando un dato è positivo il merito è del governo in carica, mentre quando un dato è negativo è quasi sempre poco significativo, colpa delle politiche precedenti e qualche volta addirittura dell’Istituto nazionale di statistica.
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