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Anche l’università ha il suo Invalsi, si chiama Teco

Il test Teco è rivolto agli studenti universitari che stanno concludendo il loro ciclo di studi. Mira a valutare competenze generaliste e trasversali. Difficile, però, considerarlo uno strumento di valutazione della qualità dell’offerta didattica degli atenei. Come evitare il clima di sospetto.
Secondo round per il test Teco
L’Anvur (l’Agenzia di valutazione nazionale per università e ricerca) ha dato avvio alla seconda edizione della sperimentazione di Teco – test sulle competenze effettive di carattere generalista dei laureandi italiani. Mentre alla prima edizione, del 2013, hanno partecipato dodici università, a questa seconda edizione ne aderiscono ventitré, distribuite su tutto il territorio nazionale.
Il test (gemello del Collegiate Learning Assessment, CLA+, somministrato negli Stati Uniti) è rivolto agli studenti del terzo anno dei corsi di laurea triennale e laurea magistrale a ciclo unico che soddisfino determinati requisiti di merito nello svolgimento della loro carriera universitaria: devono aver ottenuto almeno il 75 per cento (triennali) o 90 per cento (ciclo unico) dei crediti di base e caratterizzanti previsti dalla classe di laurea.
Lo scopo del test Teco, identico per tutti i laureandi indipendentemente dal percorso accademico seguito, è quello di accertare e certificare le competenze generaliste e trasversali degli studenti: capacità di lettura, di analisi critica, di argomentazione e comunicazione, di problem solving e così via. Come evidenziato dal sito dell’Anvur, si tratta di competenze che vengono ritenute particolarmente importanti dalle imprese (gli studenti che partecipano al test possono richiedere un certificato indicante il risultato ottenuto) poiché da esse dipende la capacità di adattamento ai cambiamenti professionali e di risposta alle situazioni impreviste.
Le difficoltà
Questo tipo di test, come quello Invalsi, può essere un utile strumento per misurare le competenze degli studenti e cercare di effettuare delle comparazioni basate su un metro comune. Ben venga, quindi, anche nelle università italiane.
Non si può però ignorare che l’utilizzo dei risultati al test come strumento di valutazione della qualità dell’offerta didattica degli atenei pone una serie di problemi di non facile soluzione. Innanzitutto, non essendo il test Teco obbligatorio, si attivano processi di autoselezione degli studenti di cui non è facile prevedere l’effetto. Come evidenziato dal rapporto Teco 2014, al test del 2013 ha partecipato circa il 27 per cento degli studenti idonei (5.898 studenti su 21.872 idonei), con forti differenze tra atenei (con un minimo del 13,9 per cento per l’università di Bologna e un massimo del 64,3 per cento per quella di Udine).
Come è facile intuire, i partecipanti hanno caratteristiche diverse dai non partecipanti e ciò rende difficile interpretare i risultati del test. Ad esempio, gli studenti di una certa università potrebbero ottenere risultati particolarmente buoni rispetto a quelli di un’altra perché si sono presentati a sostenere il test solo i più bravi, mentre nell’altra università hanno partecipato anche studenti di abilità inferiore.
Inoltre, il risultato al test Teco dipende non solo dalla formazione acquisita attraverso i corsi universitari, ma anche da una serie di variabili pregresse come, ad esempio, la qualità della scuola frequentata o l’ambiente familiare. Di conseguenza, gli studenti iscritti a un particolare corso di laurea di una data università italiana possono ottenere buoni risultati al Teco non tanto grazie alla formazione ricevuta durante i corsi universitari, ma perché queste competenze le possedevano già al momento dell’iscrizione.
Per ovviare al problema, a partire da quest’anno, l’Anvur ha previsto (in alcune università) la somministrazione del test anche agli studenti iscritti al primo anno, in modo da poter poi effettuare un’analisi longitudinale all’inizio e alla fine del percorso universitario e valutare il valore aggiunto prodotto dagli atenei. Tuttavia, anche in questo caso non è facile far fronte ai problemi di selezione; in più, gli studenti in uscita potrebbero essere molto diversi da quelli in entrata a causa dell’abbandono, una decisione che potrebbe essere influenzata dalla qualità dell’offerta formativa.
A carte scoperte
Gli esperti dell’Anvur conoscono perfettamente questi problemi e sanno, ad esempio, che se non si individua il meccanismo che spiega la partecipazione degli studenti al test non è possibile correggere i risultati per le distorsioni derivanti dall’autoselezione.
Di certo, non è facile individuare soluzioni convincenti: ad esempio, il meccanismo di autoselezione potrebbe non essere lo stesso per tutti gli atenei e dipendere da caratteristiche inosservate degli studenti. Tuttavia, è importante incominciare a discutere delle possibili soluzioni e a condividerle con gli studenti e i docenti. Un tentativo in questa direzione, anche se non facile in questo stadio, aiuterebbe a evitare che nelle università si crei lo stesso clima di sospetto che si registra nelle scuole rispetto ai test Invalsi.
D’altra parte, il test Teco si inserisce in un processo più ampio e complesso che ha come obiettivo ultimo quello di valutare la qualità della didattica e dare informazioni sui risultati ottenuti con le risorse impiegate, dunque è forse giunto il momento di indicare con maggiore chiarezza cosa comporterà l’uso di questo indicatore di qualità in termini di attribuzione delle risorse.
Giocare una partita a carte scoperte non è certo una cosa usuale in Italia, ma è necessario per riuscire a creare un clima di fiducia.

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Come mettere il professore giusto nella scuola giusta

  1. Giuseppe Mingione

    A passi sempre più veloci verso la definitiva liceizzazióne dell’università

  2. Giuseppe Moncada

    Ho ho letto sul Fatto Quotidiano il bell’articolo di Raffaele Simone “La Babele delle valutazioni” relativo all’ANVUR per i docenti Universitari che all’INVALSI per i docenti e gli alunni.
    Perché non si dice con chiarezza che la causa principale della decadenza culturale dei nostri professionisti è dovuta alla errata riforma universitaria del 3+2 ?
    In Finlandia chi deve andare ad insegnare si forma in 5 anni, teoria e pratica, in modo che apprendano il compito,più difficile di tutti: divertire i ragazzi, catturare la loro attenzione e fare in modo che imparino.
    Il praticantato sul campo consiste in 60 ore di uditore affiancato a un insegnante, oltre 60 di pratica guidata w infine un semestre in classe sempre sotto sorveglianza.
    Ecco come si formano i buoni insegnanti, successivamente devono superare il concorso per accedere all’insegnamento.
    Sono i buoni concorsi che creano buoni docenti..

  3. Autrice: “il risultato al test Teco dipende non solo dalla formazione acquisita attraverso i corsi universitari, ma anche da una serie di variabili pregresse come, ad esempio, la qualità della scuola frequentata o l’ambiente familiare”. Per i test Invalsi non vale lo stesso? Osservo molto poco entusiasmo nell’accademia quando si parla di valutazione della qualita’ dell’insegnamento universitario.. La valutazione “oggettiva”, la mobilita’ triennale, la chiamata diretta vale solo per la scuola? cordialita’

  4. Piero

    Credo che se non incominciamo a rifomare il nostro sistema scolastico la nostra Italia avrà ben poco da innovare nel prossimo futuro.Le sedi universitarie sono cresciute a dismisura per far posto a professori ordinari di insufficiente cultura.Io mi sono laureato in fisica ed ho frequentato lezioni dove ad isegnare erano i professori ordinari e non assistenti,i quali tenevano corsi di esercitazione.Nel mio anno su 60 iscritti a fisica ci siamo laureati appena in 10.La selezione era durissima e superato il biennio i contatti con i professori erano tanto frequenti che a quel punto l’esame diventava solo un esame proforma.Il professore sapeva chi eri e quanto valevi.Attualmente come funziona l’Università?.Esiste ancora un rappoeto così strtto tra docenti ordinari e studenti?Perchè i ricercatori invece di fare il loro mestiere fanno lezone al posto dei professori ordinari.Perchè si accettano pubblicazioni senza che esse abbiano un refery?Le università hanno veramente la capacità di promuovere solo i meritevoli e non gli amici degli amici.Chi sale in cattedra?Chi giudica i nostri professori universitari?Come sono composte le commissioni giudicanti?Questi sono i problemi sui quali l’università deve riflettere.Credo che una riforma organica della scuola in ogni ordine e grado debba essere fatta.Ma deve esser scelta una commissione di veri competenti perchè la scuola rappresenta veramente il futuro di una Società.

  5. Marco Antoniotti

    C’è un modo semplice di trattare i TECO.
    Rifiutare di riconoscerne l’esistenza (ad esempio rifiutando di lavorare per essi) e prendere bene le misure dei suoi proponenti. Naturalmente, come demeriti.

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