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Rapporto Cottarelli: dove e come tagliare nella sanità

Nel Rapporto del commissario per la revisione della spesa, il capitolo “sanità” (110 miliardi) ha un’importanza particolare. Vediamo dove la spesa continua crescere, dove si è riuscito a risparmiare e tutto ciò (tanto) che è possibile ancora tagliare. Soprattutto, in che modo conviene farlo.
Anche la sanità – con i suoi oltre 110 miliardi di euro di spesa – è stata ovviamente oggetto di attenzione di uno dei gruppi di lavoro del commissario Cottarelli. Non c’è un vero e proprio testo; nelle slide che costituiscono il rapporto ci si concentra solo su alcune categorie specifiche di spesa: quella per beni e servizi non sanitari, per farmaci e dispositivi, per la diagnostica ambulatoriale e per le Aziende ospedaliere universitarie. Non c’è invece una riflessione più generale sulla spesa per l’intero Servizio sanitario nazionale; né si trovano quantificazioni esplicite dei possibili risparmi a livello nazionale con i relativi tempi di realizzazione.
Quando sale la spesa e quando si risparmia
Nello specifico, dal rapporto si scopre che la spesa per beni e servizi non sanitari è stimata in più di 9 miliardi di euro nel 2012. Rientrano nella categoria le spese per lavanderia, pulizia, mensa, riscaldamento, utenze elettricità, smaltimento rifiuti e utenze telefoniche, che valgono circa 4,5 miliardi, così come la copertura dei sinistri, che vale 1,1 miliardi. Nonostante l’introduzione di prezzi di riferimento, alcune componenti sono comunque cresciute: gli aumenti più consistenti si registrano, in particolare, per le utenze elettriche e il riscaldamento. I suggerimenti per ottenere risparmi non sono certo delle novità: si punta sul benchmarking fra strutture, attraverso indicatori meglio definiti sui prezzi di acquisto; su una maggiore centralizzazione degli acquisti; sulla razionalizzazione dei consumi energetici, che però richiede investimenti nel breve periodo per l’efficientamento degli impianti (un punto che richiama il problema dell’età avanzata di molte strutture ospedaliere).
Per quanto concerne la seconda componente considerata, la spesa per farmaci (pubblica e privata) e per dispositivi arriva a 30 miliardi di euro. Anche in questo caso, le proposte di razionalizzazione non sono nuove e – soprattutto – sono già state incluse nel Patto per la salute 2014-2016 (articoli 23, 24 e 26): si parla, per esempio, di sviluppare gli Osservatori prezzi e l’Health technology assessment, di un maggiore e più veloce ricorso ai farmaci generici, di regionalizzare le gare per gli acquisti. Qualche indicazione di possibili risparmi si trova invece nella sezione più eterogenea, dedicata all’appropriatezza, nella quale – dopo aver evidenziato come sia difficile con i dati nazionali valorizzare le prestazioni inappropriate – si presenta il caso di studio della Valle d’Aosta: sulla diagnostica ambulatoriale per immagini, il valore delle prestazioni ad alto rischio di inappropriatezza è stimato nel 14 per cento circa della spesa. Non poco, soprattutto se si considera che accanto a queste possibili riduzioni della spesa, nella stessa regione, i risparmi già conseguiti sulle spese di noleggio e assistenza tecnica delle attrezzature per la diagnostica (tomografi, Tac, Pet) sono stati pari al 25 per cento tra il 2012 e il 2013.
Così si disbosca la giungla degli acquisti
Valutato nella sua interezza, il rapporto del gruppo di lavoro sulla sanità sembra quindi puntare molto sul tema degli acquisti, dove gli spazi per le razionalizzazioni e i risparmi sembrano effettivamente esserci. E dove peraltro si annida la corruzione, la forma peggiore di inefficienza della pubblica amministrazione. Bene quindi l’insistenza sull’individuazione di prezzi di riferimento e sulla costituzione di Osservatori prezzi: sono questi i “costi standard” (degli input) da considerare, eventualmente per arrivare a definire un costo standard dei servizi, non certo la parodia della legge 68/2011, una foglia di fico per dire che nella sanità si è già superata la spesa storica.
Quello che manca è tuttavia una visione più “micro” del problema degli acquisti: come già ricordato in un precedente intervento, sono i direttori delle Aziende a fare gli acquisti, non le regioni o lo stato; e, fra le regioni e – all’interno di ciascuna di queste – fra le Aziende, l’eterogeneità in termini di risparmi già conseguiti sono marcate. Richiedere ancora a tutti gli stessi sforzi rischierebbe di essere un premio per i cattivi e/o – peggio – di originare l’effetto ratchet, con i migliori direttori che limitano i risparmi sapendo poi che a loro verrebbe chiesto ancora di più. Per evitare questo tipo di problemi occorre non utilizzare la pratica dei tagli lineari, sia nel riparto tra le regioni, sia all’interno delle regioni stesse, dove alcune Aziende potrebbero essere considerate “più uguali” di altre. In ogni caso, nell’ottica del Documento di economia e finanza che il governo vara in questi giorni, i risparmi non saranno facili da portare a casa: sia perché – come detto – è richiesto il contributo di ciascuna singola Azienda (e il monitoraggio spetta a ciascuna regione), sia perché – sulla base dei dati Agenas – la variazione percentuale media annua della spesa sanitaria tra il 2008 e il 2010 è stata del 1,37 per cento e tra il 2010 e il 2013 del -0,28, con un calo in termini nominali. Segno che qualcuno ha già fatto la sua parte; e potrebbe essere molto complicato, per chi ha già fatto tanto, fare ancora di più.

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I grandi numeri del Def

  1. Il monitoraggio della spesa regionale consolidata a livello nazionale è effettuato dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) ed è uno strumento efficace per individuare criticità e inefficienze del sistema. Nell’articolo si cita che “Quello che manca è tuttavia una visione più “micro” del problema degli acquisti”. Non è così il lavoro di ricerca che è a questo link è inedito http://www.monicamontella.it/wordpress/?p=4790 ma purtroppo si è potuto effettuare solo per la regione Lazio perchè i dati che mette a disposizione il Ministero della sanità http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1314&area=dispositivi-medici&menu=vuoto
    purtroppo per le altre regioni non sono affidabili. Il dlgs 118/2011 investe la GSA di un ruolo più incisivo sul controllo della spesa http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2011;118 ma non tutte le regioni hanno avviato la struttura organizzativa della GSA e le sue competenze.

    • Premesso che non sono un esperto, faccio due semplici considerazioni:
      1. in un mondo in cui la tempestività è un elemento essenziale, non disporre di dati aggiornati è già un grosso problema, così come è un problema (anzi è il disastro totale) il fatto che i dati messi a disposizione dal Ministero della Sanità **non siano affidabili**: se un cittadino fornisce dati incompleti (cioè non affidabili) o li omette, incorre in sanzioni – anche pesanti. Cominciamo a fare in modo che, anche nella PA, “chi sbaglia paga” – arrivando anche al licenziamento!
      2. la L.150/2009 (conosciuta come riforma Brunetta), che ha introdotto la misurazione delle performance cui legare l’erogazione degli incentivi in tutta la Pubblica Amministrazione, è largamente disattesa o malinterpretata. Un semplice meccanismo che prevedesse per le regioni (soprattutto quelle in deficit) la necessità di migliorare le singole prestazioni per adeguarsi **alla media** (in sia termini di costo che in termini di servizio), porterebbe un enorme beneficio.

  2. Ludovico

    In sanità, per gli ospedali ci sono i DRG. Sia gli ospedali pubblici sia gli ospedali privati accreditati e convenzionati sono pagati in base ad un tariffario che è già basato sui costi standard. Il problema si pone quindi solo per quelle strutture ospedaliere i cui costi non sono compensati dai ricavi. Sono queste strutture che vanno indagate e sulle quali vanno poi assunte delle decisioni. Se politicamente bisogna tenerle anche se strutturalmente perdono bisogna deciderlo e non tornarci più sopra perchè svolgono un compito essenziale per una comunità. Se perdono perchè sprecano allora si cambiano i dirigenti. Se invece non servono si chiudono. Per il resto della sanità i costi standard vanno applicati nella gestione dei pazienti (prescrizioni medici di famiglia, comprese le prescrizioni di ricovero). In sanità l’80% della spesa riguarda il 30% della popolazione (cronici). Oggi è possibile confrontare per fasce di età e per cronicità i consumi sanitari di ciascuno. Se un emofiliaco in alcune zone costa 10 volte di più che in altre, bisogna chiedersi il perchè e intervenire per capire la causa, che, nell’esempio, può essere che in alcune zone sono più soggetti che in altre ad “incidenti” (?!)per cui hanno bisogno del loro farmaco (un emofiliaco in un anno può costare anche 300.000 euro ad un’ASL, altro che lavanderia). Se ad esempio l’ASL fornisse direttamente alcuni farmaci a certe categorie di cronici, si può scoprire che il costo diventa un decimo(non perchè lo paghi meno)

    • Ivan

      Io non sono un esperto di questa materia, ma da quello che ho capito parlando con un amico che lavora all interno di una azienda ospedaliera sembrerebbe che il problema siano i prezzi all interno del “software” che utilizzano per comprare quello che serve, da quello che ho capito il prezzo all interno e piu elevato rispetto al prezzo di mercato, con poche possibilita di cambiare fornitore.

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