L’ennesimo scandalo negli appalti delle grandi opere impone la ricerca di strumenti di contrasto alla corruzione. La tanto invocata rotazione dei dirigenti è già legge, ma va applicata. Sarebbe utile un diverso ruolo dell’Anac nei controlli. L’idea di accentramento degli appalti
LA NORMATIVA ANTICORRUZIONE
Per una prevenzione efficace della corruzione occorre ripristinare con urgenza i controlli preventivi esterni sull’attività delle pubbliche amministrazioni.
I fatti dimostrano l’insufficienza di disposizioni che hanno molto del simbolico, e molto meno del pratico, come la previsione di un’Autorità nazionale dotata di pochi uomini e, soprattutto, impossibilitata a qualsiasi intervento per fare sì che il fatto corruttivo avvenga.
Strumenti come la trasparenza degli atti, la pubblicazione dei documenti, le dichiarazioni preventive di assenza di conflitto di interessi, oltre alle mille cautele previste dalla normativa sugli appalti pubblici (sul punto fin troppo dettagliata, tanto da rendere ogni gara un’ordalia) in linea astratta ed anche pratica vanno benissimo. Ma non bastano.
La normativa anticorruzione, certamente non è perfetta, ma esiste. E, tuttavia, proprio negli ultimi anni, da quando è entrata in vigore (fine 2012) si sono inanellati casi di corruzione dalle proporzioni mai viste: dall’Expo al Mose, da Mafia Capitale ora all’affaire delle Grandi opere.
La questione è sempre la solita: le norme da sole non servono, se poi non vengono applicata ed attuate.
LA ROTAZIONE DEI DIRIGENTI
Si pensi alla questione della rotazione dei dirigenti. Tutti i media, dopo lo scoppio dell’ennesima mega corruzione delle grandi opere ed il rilievo attribuito ad Ercole Incalza, a capo della struttura di missione da tantissimi anni e deus ex machina degli appalti pubblici da sempre, invocano la rotazione come rimedio allo strapotere dei dirigenti inamovibili, come se si trattasse di una misura ancora da introdurre. Invece, la legge 190/2012, legge anticorruzione, la prevede già da oltre 2 anni.
È chiara l’assenza di un apparato efficiente di controllo. Vero che la legge 190/2012 impone ad ogni amministrazione di dotarsi di un responsabile della prevenzione della corruzione. Tuttavia, tale soggetto è nominato dai vertici politici, quelli che dovrebbe controllare.
Il RUOLO DELL’ANAC
La direzione da seguire deve essere tutta un’altra. Occorre trasformare l’Anac in una struttura dotata di poteri di controllo preventivo, magari non pervasivi e a campione, sugli atti a rischio (capitolati, bandi di gara, nomina delle commissioni, contratti, atti di concessione, erogazione di contributi, concorsi pubblici).
Vista la quantità e la diffusione territoriale delle amministrazioni, l’Anac dovrebbe articolarsi in sezioni provinciali, per rendere più semplici le attività e più immediati i contatti con gli enti. I responsabili anticorruzione non dovrebbero essere incaricati dagli organi di governo degli enti, ma dall’Anac stessa e rispondere funzionalmente solo ad essa. Trasmettendo alle strutture territoriali gli atti a rischio corruzione, perché questi soggetti preposti ai controlli li vaglino e verifichino prima che si adottino e si inneschino i processi corruttivi.
Si può obiettare che il ritorno ai controlli preventivi allunghi la filiera e i tempi dei procedimenti amministrativi. E’ certamente vero, ma vi sono due osservazioni da fare a tali considerazioni. In primo luogo, all’allungamento dei tempi si potrebbe e dovrebbe rimediare con un’accorta programmazione delle attività: partendo prima e con le idee chiare e con atti di qualità, completi e corretti tecnicamente, i controlli si affrontano e superano. In secondo luogo, è evidente che i controlli hanno un “costo”, in qualsiasi processo produttivo.
L’UTILITÀ DEI CONTROLLI
D’altra parte, i controlli rendono di per sé più difficile la vita a corruttori e corrotti. I primi, infatti, sarebbero consapevoli di non poter limitarsi all’accordo illecito con un solo soggetto, ma dovrebbero estenderlo anche ad altri. Il che rende oggettivamente più complessa la trama illecita. I dirigenti esposti alla corruzione, sapendo che i loro atti sono passati ad un vaglio di un soggetto terzo, ovviamente subirebbero una deterrenza ben più forte di norme generali e astratte, per altro non applicate.
I controlli, ancora, sono necessari perché utili a supplire all’assenza di concorrenza dell’attività pubblica. L’amministrazione rischia di incancrenire le proprie attività, perché non esposta al controllo indiretto del mercato e dei clienti, che ne giudicano l’operato. L’interposizione di strumenti di verifica preventiva della correttezza dell’azione è fondamentale, per riorientare l’azione amministrativa, nell’equilibrio tra il rispetto delle fondamentali direttive politiche e l’impiego degli strumenti tecnici per attuarle.
SERVE ACCENTRARE GLI APPALTI?
Infine, un’annotazione rispetto all’idea che l’accentramento degli appalti in pochi soggetti specializzati sarebbe un valido strumento di lotta alla corruzione. L’indagine sulla struttura di missione delle grandi opere, che concentra decine e decine di opere pubbliche, fornisce la prova inconfutabile che non è quella la scelta utile e corretta. Verticalizzare la gestione degli appalti in poche strutture fa correre il rischio di rendere addirittura più semplice la vita al corruttore.
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