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Il coraggio di perdere il controllo

Da RaiWay ad A2a qualcosa si muove nel panorama delle proprietà pubbliche nazionali e locali. Forse servirebbe un po’ di coraggio anche per Fs e Poste, senza illudersi sui tempi. E senza inventarsi riforme della governance delle imprese che consentono di mantenere il controllo anche vendendo.

UN SASSO NELLO STAGNO
La tentata operazione di Mediaset su Rai Way può piacere o meno, ma quanto meno pone in luce come un processo di privatizzazione – anche solo parziale – metta in moto meccanismi di mercato che potrebbero alla fine generare valore per il paese. Si può discutere se la governance pensata da Mediaset (“comando io, insieme al mio maggiore supposto rivale”) sia desiderabile o meno, ma fin quando la rete di torri della Rai era sotto totalitario controllo pubblico e il dibattito sulla razionalizzazione della rete di trasmissione dei segnali televisivi non era neppure avviato.
In questo senso, qualche altra operazione di privatizzazione potrebbe essere desiderabile ed è positivo vedere che qualcosa si intravede all’orizzonte.
Si parla in primo luogo di Poste e Ferrovie dello Stato. Ben vengano, e la fuoruscita del Tesoro da queste imprese non sarebbe certo un problema per il paese, anzi… Il vero problema è come farlo.
CON TRENI E POSTE CI VUOLE PAZIENZA…
Tutto sommato Fs è un’impresa già ben strutturata in vista di una possibile privatizzazione. Avendo operato da tempo la separazione societaria tra i diversi segmenti (la rete ferroviaria dai servizi di trasporto, nonché il cargo dal servizio passeggeri e in parte tra alta velocità e servizio regionale), l’eventuale collocamento sul mercato di Fs si presta a diverse soluzioni, da studiare con attenzione nell’interesse generale del paese. Uno dei nodi principali, soprattutto nella chiave dello sviluppo della concorrenza, è la separazione tra ciò che può “andare a mercato” (l’alta velocità, per intenderci) e ciò che invece dipende da contratti di servizio regionali. Fin quando le regioni pagano, tutto bene; ma non è facile vendere un’impresa che dipenda troppo da contributi pubblici che purtroppo possono ridursi per effetto di politiche o difficoltà finanziarie ahimè non difficili da prevedere. Occorrerà o separare questo segmento, oppure neutralizzarlo in qualche modo con opportune operazioni finanziarie.
Poste italiane resta un conglomerato di attività assai diverse tra loro, ma inestricabilmente legate, tanto da non sapere se – dato l’attuale perimetro dell’impresa – si starebbe vendendo un operatore postale, una banca o una (ugualmente grande) compagnia di assicurazione. E restano poi tuttora irrisolti i nodi di un’impresa con un carico di manodopera importantissimo, e che negli ultimi anni non ha esattamente imboccato la strada dell’efficienza. Se Fs nel 2016 potrebbe verosimilmente pensare di porsi sul mercato, Poste italiane sembra avere davanti a sé una serie di passaggi intermedi destinati ad allungare i tempi.
In entrambi i casi, comunque, non si tratta di operazioni pronte, e le intenzioni dichiarate dal Tesoro qualche tempo fa fanno pensare alla cessione di quote di minoranza, non del controllo di queste imprese.
ENEL È SEMPRE UN MODO DI FAR CASSA, SENZA PERDERE IL CONTROLLO
Con Enel la differenza è solo nei tempi, con il Tesoro che sembra pronto a scendere subito a circa il 25 per cento. Si tratta di un’operazione meramente finanziaria, mirata a fare cassa e poco più. Effettuata, non a caso, in un periodo nel quale gli operatori finanziari sono ben disposti rispetto a Enel, che nel 2014 è riuscita a tagliare il suo debito oltre le aspettative.
Enel rimarrà comunque saldamente nelle mani del Tesoro, anche grazie alla introduzione del voto plurimo, che molti hanno giustamente criticato perché rende le imprese meno contendibili e le sottrae al controllo del mercato, consentendo ai grandi azionisti di controllarle anche senza avere il capitale necessario. Forse la vera ratio di quella norma era proprio questa: consentire al Tesoro di ridurre la sua quota in Enel (e domani Eni?) senza perderne il controllo.
QUALCOSA IN PERIFERIA SI VEDE…
È interessante poi che qualche analoga operazione si veda anche nella periferia, nel mondo del cosiddetto capitalismo municipale. I comuni di Brescia e Milano hanno venduto quote azionarie di A2a e sono scesi a un totale appena sopra il 50 per cento del capitale dell’impresa energetica. E forse non è finita qui. Di nuovo, per altro, si cedono quote, ma non il controllo. Ma basta vendere un po’ di quote per vedere una buona reazione dei mercati, che premiano il titolo, tornato a livelli sconosciuti da parecchi mesi.
Si noti poi che nel momento in cui i comuni scendessero sotto il 50 per cento – ciò che potrebbe avvenire presto, guardando alle necessità finanziarie dei due azionisti pubblici – A2a potrebbe veramente essere scalata. Dubito che Enel lo sarebbe – è troppo grande. E in Italia fatico a concepire una scalata ostile contro il governo. Ma a livello municipale i valori sono diversi, e mentre il Tesoro ha molti modi per difendersi da una scalata non desiderata, due comuni non hanno le stesse armi.
In sostanza, il quadro non cambia molto rispetto a qualche mese fa e – forse – rispetto agli anni passati. Il settore pubblico fatica molto a cedere il controllo, anche quando è difficile vedere buone ragioni per tenere bloccato il denaro pubblico su certi asset. L’unico modo per costringere il nostro settore pubblico a cedere terreno sembra essere – come sempre – quello che gli anglosassoni chiamano “to starve the beast”, affamare l’animale. Se non ha fame, non venderà nulla. Ma il lungo digiuno delle finanze locali e nazionali forse comincia a fare qualche effetto.

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Il Punto

  1. Daniele Perotti

    Invece di “affamare la bestia” espressione cara ai Chicago boys e a Milton Friedman, che tanto bene fecero al Cile di Pinochet in termini di privatizzazioni di asset pubblici suggerisco di affamare qualche docente di Università pubblica propalataore del verbo neoliberista per cui mercato e bello mentre il cosiddetto “capitalismo” municipale suscita orrore e ripugnanaza.
    Ma, di grazia, quali sono i magnifici risultati delle privatizzazioni anni ’90 se non quelli di svendita di patrimoni pubblici di grande valore. E quale rilevanza hanno vauto rispetto al debito pubblico italiano (generato dalla crescita esponenziale degli interessi). E perchè A2A che è patrimonio pubblico dei cittadini di Brescia Bergamo e Milano, se ben gestita, dovrebbe essere venduta? E quali prove di essere un vantaggio per i cittadini (specialmente le fasce più deboli) hanno dato le privatizzazioni dei servizi pubblici? Certo il capitalismo municipale è pessimo finchè è gestito dagli Alemanno come quello privato quando gestito da Tanzi. O no? E intanto che ci pensiamo proviamo a dare una ripassatina alla Costituzione, artt. 41 e 43 giusto per cominciare.

  2. umbe

    Dice bene quando dice : “…nell’interesse generale del paese…”
    E’ proprio quello che è sempre mancato e penso sempre mancherà.
    Così non si tratterà di privatizzazioni ma solo di regalie.
    In un paese di 60 milioni di abitanti non privatizzi, spenni solo i polli.
    Cordialmente
    Umbe

  3. bob

    “metta in moto meccanismi di mercato che potrebbero alla fine generare valore per il paese” . Quale valore ha generato la “privatizzazione” delle Autostrade? Quali vantaggi hanno avuto i clienti? Esiste un Paese/Stato al mondo che si priva delle infrastrutture fondamentali? In un Paese di capitalisti d’ accatto che non sanno cosa vuol dire mercato e concorrenza parliamo di privatizzare. I signori Agnelli costruivano l’ Arna sapendo che l’avrebbero venduta ai vigili urbani di tutta Italia. Questi sono i capitalisti imprenditori che regalandogli le società pubbliche fanno miracoli? Faccio piccola impresa a scanso di equivoci

  4. Marcello Romagnoli

    “metta in moto meccanismi di mercato che potrebbero alla fine generare valore per il paese.”
    Oppure invece favorisca l’impoverimento economico del paese attraverso acquisizioni private estere le quali vengono in Italia, ma in qualunque altro paese, per ricevere più che dare. Abbiamo esempi eclatanti.
    Dove andranno le tasse che prima pagava FIAT Group allo stato italiano, quindi al paese tutto? E la Montedison chi se la ricorda più? Una delle prime aziende chimiche del mondo e poi venduta a spezzatino. Che dire delle aziende del lusso italiane andate ai francesi? Chi ci ha guadagnato? Forse chi le ha comprate. Ora non voglio dire che privatizzare è sempre brutto e che le aziende italiane devono essere in mani solo italiane, ma occorre vendere con oculatezza avendo ben presente che privatizzare e soprattutto vendere a privati esteri non è il bene assoluto.

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