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L’ignoranza degli italiani inizia sui giornali

L’Italia ha il dubbio primato di paese peggio informato. Un risultato preoccupante perché il grado di informazione sulla realtà circostante è un elemento vitale per stabilire le priorità e aiutare i cittadini a valutare l’efficacia delle politiche pubbliche. Le “colpe” dei media poco indipendenti.
 GLI ITALIANI E L’INDICE DI IGNORANZA
Diceva lo scrittore e medico umanista François Rabelais che l’ignoranza è la madre di tutti i mali. Se credessimo ai ricercatori britannici di Ipsos Mori, secondo il cui sondaggio internazionale gli italiani risultano i peggio informati sulle caratteristiche di base del proprio paese, avremmo ottime ragioni per preoccuparci ulteriormente.
L’indagine si basa su interviste a un campione di oltre 11mila individui in quattordici nazioni ad alto reddito per misurare le percezioni su caratteristiche sociali, demografiche ed economiche del proprio paese, quali la percentuale di immigrati, il tasso di disoccupazione, la percentuale di musulmani e di cristiani e l’affluenza elettorale alle ultime elezioni.
I risultati mostrano come le percezioni degli individui siano in genere piuttosto lontane dalla realtà in cui essi vivono. Per esempio, in tutti i paesi, gli intervistati ritengono in media che la percentuale di immigrati sia molto più alta di quella reale. Si va dagli australiani che pensano che gli immigrati siano il 35 per cento contro il 28 per cento effettivo, agli italiani che li valutano il 30 per cento della popolazione quando il dato reale è solo il 7 per cento.
Allo stesso modo in tutti i paesi il campione sottovaluta il tasso effettivo di partecipazione elettorale. Gli americani sono quelli più informati (indicano il 57 per cento invece che il reale 58 per cento), mentre i francesi hanno la percezione più distorta (57 per cento contro l’80 per cento reale).
Una delle aeree in cui l’opinione del pubblico è più lontana dalla realtà è il tasso di disoccupazione. Gli italiani sono di nuovo i meno informati, ritenendo in media che un concittadino su due sia disoccupato, quando invece il tasso di disoccupazione è del 12 per cento. Ma anche i tedeschi, che hanno la percezione più precisa, sbagliano di molto: 20 per cento contro il 6 per cento effettivo.
Aggregando le discrepanze tra percezione e realtà tra tutte le domande, i ricercatori hanno creato un indice – chiamato “indice di ignoranza” – che classifica i paesi dal meno al più informato sulle propria situazione sociale, demografica e politica. L’Italia conquista il dubbio primato di paese peggio informato, seguito dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud. I più informati (o meglio i meno ‘ignoranti’) sono tedeschi e svedesi. Il risultato è preoccupante visto che nelle democrazie il grado di informazione sulla realtà circostante è un elemento vitale per stabilire le priorità di politica pubblica e aiutare i cittadini a valutare l’efficacia delle politiche pubbliche.
IL REDDITO NON C’ENTRA
Per cominciare a capire da che cosa sia determinato questo grado di ‘ignoranza’ si possono calcolare delle semplici correlazioni tra la classifica dell’indice Ipsos e quella ottenuta sulla base di alcune possibili variabili esplicative.
La figura 1a mostra la correlazione con la classifica sulla base del reddito pro-capite nel 2013.
L’ipotesi è che il livello e la qualità dell’informazione dei cittadini vadano di pari passo con il reddito. La relazione tra le due classifiche è negativa (come ci si aspetterebbe), ma debole e non statisticamente significativa. La relazione rimane debole anche quando si utilizza il valore in dollari del reddito pro capite invece che la classifica dei paesi (figura 1b).
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Fonte: World Bank(World Development Indicators)
LA QUALITÀ DELL’INFORMAZIONE
Un’altra possibile ipotesi è che sia la qualità dell’informazione a determinare quanto il pubblico sia informato sulla realtà nazionale. In mancanza di una misura diretta, è possibile utilizzare l’indice della libertà dell’informazione giornalistica prodotto annualmente dall’associazione Reporters Without Borders. Oltre a misurare la libertà e l’indipendenza delle testate e dei giornalisti, l’indice prende in considerazione anche la trasparenza della regolamentazione dei media da parte del legislatore e dell’esecutivo e il grado di concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione.
Al contrario di quanto avviene con il reddito, la figura 2 mostra una relazione con il grado di ‘ignoranza’ negativa e statisticamente molto significativa. L’Italia, la Polonia e la Corea hanno indici di libertà di informazione tra i più bassi e livelli di ‘ignoranza’ tra i più alti del campione. Esattamente il contrario di Svezia, Germania e Giappone. Quasi due terzi della variazione nella classifica di ‘ignoranza’ sono spiegati solamente dalla variazione nella classifica della libertà dell’informazione. E aggiungendo il livello di reddito pro-capite si raggiunge un potere esplicativo dell’80 per cento (con il coefficiente della libertà di informazione che rimane altamente significativo).
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I nuovi media dovrebbero permettere ai cittadini di informarsi direttamente attraverso una molteplicità di fonti anche estere, bypassando l’informazione tradizionale. In effetti, paesi con più alta percentuale di utenti internet tendono in genere ad avere più bassi indici di ‘ignoranza’ (figura 3). Per esempio, l’Italia ha la più bassa penetrazione di internet del campione, mentre la Svezia, ultima nell’indice di ‘ignoranza’, ha quella più alta. Tuttavia, la classifica di penetrazione di internet smette di essere correlata con quella dell’indice di ignoranza una volta che si include nell’analisi statistica anche la classifica della libertà di informazione.
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Un’ulteriore ipotesi è che sia la qualità del sistema educativo a formare cittadini informati fornendo loro gli strumenti per essere aggiornati sulla propria realtà. La blanda correlazione (e statisticamente non significativa) tra la classifica dell’Ipsos e la classifica delle competenze di lettura nel test Pisa (Programme for International Student Assessment) dell’Ocse non corrobora questa ipotesi. E l’assenza di correlazione persiste anche quando nell’analisi si inserisce questa variabile assieme a quelle precedenti.
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Questi risultati sono da prendere con molta cautela visto il basso numero di paesi considerati e la mancanza di un’analisi causale. Tuttavia forniscono una prima ipotesi su cosa determina il grado di informazione dei cittadini nei paesi ad alto reddito. Quando il giornalismo non è pienamente indipendente dal potere politico ed economico e la legislazione che regola i mezzi di informazione non è trasparente, stampa, tg e nuovi media non informano i cittadini adeguatamente anche su temi sociali e politici di centrale importanza per la società. E visto che gran parte dei cittadini attingono queste informazioni principalmente dai media (tradizionali), finiscono per essere male informati. Suona familiare?
* Le opinioni qui espresse dall’autore non rappresentano necessariamente quelle della Banca Mondiale o dei suoi paesi membri.
 

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26 commenti

  1. davide445

    Riguardo il tema informazione riporto il mio caso: ho deciso da tempo di non leggere alcun giornale nazionale ne regionale. Dopo essere passato dalle testate più generaliste a quelle più specializzate ho semplicemente deciso che i pattern (ed i problemi) in Italia si ripetono costantemente e quindi è inutile continuare a leggere eventi e commenti del tutto simili mese dopo mese, inoltre l’informazione è vista nell’ottica dei vari centri di potere che controllano le testate più note, motivo per cui ben poco affidabile.
    L’unica eccezione è lavoce che continuo a leggere con piacere, mentre per il resto leggo esclusivamente una testata estera su carta stampata, webzine specializzati ed aggregatori di news sempre esteri, dove posso leggere con distacco il caso italiano.
    Riguardo le competenze specifiche mi ritengo mediamente ignorante o discretamente informato a seconda dei punti di vista, conosco abbastanza bene gli indici economici molto meno quelli sociali e democratici.
    Ma come dite quando mi serve una analisi ci sono tantissime fonti online dove attingere ad una enorme mole di dati anche di qualità.

    • Caruto

      Tuttavia anche i media stranieri possono essere pre-giudiziati nei confronti dell’Italia.
      A parte gli stereotipi, che possono anche contenere delle piccole grandi verita’, gli interessi economici e finanziari esteri possono benissimo condizionare il giudizio che viene dato delle cose italiane.

      • davide445

        Il vantaggio di leggere solo fonti estere é che innanzitutto si ha una visione più ampia, inoltre si riduce il rumore di fondo fastidioso dei pietosi casi Italiani, che ottundono il cervello e obbligano ad usare tempo e neuroni preziosi per leggere e magari analizzare casi di nessuna rilevanza a livello internazionale e che comunque si ripeteranno ad intervalli regolari.
        Leggendo dell’Italia dall’estero evito l’Italietta e trovo quello che conta, sta a me poi sapere interpretare, ma una volta tanto lo faccio con piacere, leggendo nel frattempo del mondo e capendo trend più generali.

  2. scusate ma… di che stiam parlando?… si sa che tutti i media, carta e TV, che vanno per la maggiore sono asserviti alle oligarchie dominanti. Vedi solo l’ultimo esempio di BREBEMI, che tutti i media (e ovviamente i rappresentanti dei vari partiti) spacciavano come grande impresa di successo, project-financing privato al 100%, e invece la realtà emersa recentemente era diversa.

  3. Sergio P

    Due considerazioni.
    Non mi stupisce che le idee più distanti dal “vero” siano quelle circa il tasso di disoccupazione, in quanto viene misurato sulla base di definizioni convenzionali non proprio intuitive. Una persona di normale cultura potrebbe avere un’idea diversa da quella convenzionale circa una persona che svolga due ore settimanali di lavoro retribuito, oppure che in mancanza di altro aiuti la ditta del padre, e ogni due mesi dedichi un po’ di tempo alla ricerca di un’occupazione migliore.
    Soprattutto, però, mi verrebbe in mente un’altra possibile variabile esplicativa: il livello di istruzione. Non a caso, mi pare, dai dati Eurostat risulta anche che l’Italia è nettamente il paese più ignorante nell’Europa a 27.

  4. Leon

    Lo si sapeva già, basta guardare il livello di qualsiasi telegiornale, con picchi in negativo imbarazzanti ( tipo Studio Aperto…). Solo 2 cose : 1 Il tasso di disoccupazione , tanto per essere precisi, è del 13.7% mi pare, o comunque siamo lì sopra il 13, non è del 12, ma vabbè certamente non è un errore grave, ma gli italiani hanno una percezione più alta semplicemente perché effettivamente la percentuale reale è molto più alta : chi viene considerato disoccupato ? Chi magari fa 1-2 giorni di inventario per un supermercato, non viene conteggiato come disoccupato. Chi non “cerca attivamente” ( qualcuno poi me lo spiegherà , senza vaghezza , cosa vuol dire , DI PRECISO intendo ) cioè chi non perde ulteriore tempo al CPI dove non fanno niente per i disoccupati ( ma servono solo a dare lo stipendio a chi ci lavora) , non viene considerato disoccupato. Quindi la percentuale reale di disoccupazione non sarà del 50%, ma sopra il 25% , e forse del 30% ( e lo sappiamo tutti) 2 Immigrati : la percentuale è un po’ più alta, e comunque in alcune zone gli immigrati addirittura superano gli italiani. E’ ovvio che se chiedi a queste persone che stanno in queste zone, la percezione che dicono è alta, ma è vera…senza contare , tra l’altro, i clandestini che non vengono conteggiati, e sono moltissimi…

    • diana

      Chi ‘non cerca attivamente’ rientra di solito in 2 categorie: non pensa di trovare lavoro e quindi non va nei centri per l’impiego e simili (quando il tasso di disoccupazione aumenta, è una mezza buona notizia: più persone pensano di riuscire a trovarlo), oppure non ne hanno bisogno (basti pensare a tutte le casalinghe degli anni 70-90, che non erano iscritte alla disoccupazione).

  5. IC

    Sono scandalizzato dalla TV di Stato che quasi quotidianamente ci propina errori di geografia, storia, economia, pronuncia di nome stranieri. Ad es. ieri in un programma di storia, parlando del conflitto italo-etiopico si è detto gli scontri di Ual Ual erano al confine fra la Colonia Eritrea e l’Etiopia..

  6. Rainbow

    Non sono d’accordo con le conclusioni dell’articolo,ossia che la colpa della cattiva informazione sarebbe dei giornali: in Italia,su ogni cosa, la colpa e’sempre degli altri,il cittadino elettore e’sempre vittima,incolpevole,irresponsabile! Non e’vero che in Italia i giornali informano male sul sociale,sull’,economia,casomai la televisione informa male! I giornali sono ben fatti,da anni leggo i principali allegati economici dei quotidiani italiani: corriere economia,affari e finanza,ed altri, sono ottimi,leggendoli costantemente e’possibile formarsi una ottimacultura economica. Il problema e’che li leggono in pochi!,in edicola mi dicono che gli acquirenti dei quotidiani,spesso,non sono interessati agli allegati economici perche’complicati e difficili da capire. Non e’vero,e’solo questione di dedicare del tempo a leggere! Concordo sul fatto che e’la tv che informa male:i talk politici,tranne poche eccezioni,sono fatti malissimo,confondono solo le idee,da tempo ho smesso di guardarli! La buona informazione sull’economia e sul sociale si ottiene solo leggendo bene i giornali,gli allegati economici,libri ed internet; su internet ci sono ottimi magazine economico-sociali come la voce.info,l’Inkiesta,ma,anche qui,pochi li consultano!

  7. A proposito di ….
    “…. stampa, tg e nuovi media non informano i cittadini adeguatamente anche su temi sociali e politici di centrale importanza per la società” ….
    si potrebbe dire che l’adeguamento dell’informazione si potrà ottenere solo quando i cittadini inizieranno ad imparare come adeguare “il sistema sociale” alle loro aspirazioni.
    Putroppo il giornalismo ha sempre raccontato solo gli aspetti tecnologici e di mercato dell’evoluzione della tecnologia dell’informazione, ignorando completamente gli aspetti sociali [e culturali] che hanno permesso l’adeguamento dei primi sistemi operativi alle aspirazioni delle comunità scientifiche.

  8. Dati molto interessanti, concordo sul livello di ignoranza direttamente proporzionale ai limiti dei media tradizionali, pero’ per quanto riguarda la differenza fra i numeri reali e quelli percepiti dei musulmani in italia, secondo me e’ piu’ un fenomeno psicologico che statistico. Chi vive nelle grandi citta’ e chi guarda la tv vede tanti immigranti sbarcare in italia, e’ logico pensare ad una invasione, perche’ si vede.
    Non credo ci sia una diretta relazione fra reddito e informazione, altrimenti gli americani dovrebbero i piu’ informati e non lo sono, perche’ come in Italia, molti parlano solo una lingua e non leggono giornali stranieri.

  9. bob

    “L’ignoranza degli italiani inizia sui giornali”. Inizia dalla casa e dalla scuola. La nostra classe dirigente proviene da quelli ” del 6 politico”

  10. bob

    La riforma della scuola e la scuola stessa creano ignoranti ! Da modesto diplomato credo che le riforme scolastiche non possono essere fatte in funzione dei posti da garantire agli insegnanti. Un buon artigiano ha stessa dignità culturale di un professore ma la nostra vecchia provinciale arcaica mentalità ci porta a pensarla diversamente. La scuola, è fin troppo banale, dirlo, dovrebbe creare cittadini colti in pratica dovrebbe essere un “laboratorio- fabbrica” di cultura. Oggi basta vedere le riforme attuali per capire che la miriade di scuole o specializzazioni ad hoc sono solo per soddisfare inpiego di un immensa folla di “professori” in attesa di posto di lavoro. Un esempio su tutti salta all’ occhio: la riforma del Liceo Scientifico! Spezzettato in mille specializzazioni (liceo scientifico, Liceo scienze applicate, liceo umanistico etc) dove togliendo 2 ore di latino da una parte si crede di poter formare un eccellente matematico dall’altra, pura follia! Per non parlare della sovrapposizione inutile degli Istituti tecnici con quelli professionali doppioni inutili che non servono a nulla soprattutto in una fase storica/tecnologica come l’attuale. Un perito chimico come il sottoscritto oggi si forma con 1 anno di corso e non con 5 inutili anni che potrebbero essere utilizzati per ben altre esperienze formative sia culturali che lavorative. Appunto l’ opificio degli ignoranti

    • Io debbo ringraziare mille volte la scuola italiana fino al 1970! Mi ha insegnato benissimo a fare l’architetto, il docente di architettura, il direttore di istituti artistici ma anche il cittadino. A mio avviso anche l’operaio e l’artigiano debbono essere colti, non solo nello specifico del mestiere. Nessuna scelta consapevole può essere fatta senza cultura fondamentale in ogni campo. La rovina della scuola italiana è stata la scuola media unificata introdotta nel 1963. Dopo di questa data un diluvio di semianalfabeti inconsapevoli. Lo hanno ammesso più volte sia gli esperti che gli addetti ai lavori. Il numero di professori in Italia è in linea con l’Europa e i dipendenti pubblici sono meno degli altri paesi. Che siano formati male e senza valutazione efficace è un fatto e sarei d’accordo per una preparazione universitaria ad hoc e un reclutamento più rigoroso. La scuola deve tornare ad essere seria, difficile ed efficace, ma non selettiva per censo o classe sociale. Occorre sapere e conoscere a fondo la materia prima di esprimere giudizi.Anche questo fa parte di un certo analfabetismo di ritorno per cui la scuola non è certo esente da colpe.E i social networks ne sono lo specchio evidente e drammatico.

  11. Pif

    Bell’articolo con spunti interessanti, il dato più preoccupante è l’uso di Internet che visto il livello di giornali e tv potrebbe fare la differenza, anche se pure su questo guardando cosa postano le persone sui social network conta molto la capacità di selezionare le fonti, su Internet ci sono moltissime cose buone ma anche molto ciarpame. Manca infine la correlazione con la lettura di libri dove penso ci posizioniamo molto male.

  12. L’ignoranza degli Italiani inizia sui giornali, ma quella dei giornalisti dove inizia? Me lo sono domandato oggi leggendo che “la locomotiva cinese rallenta”. In realtà il PIL cinese è aumentato del 7,4% nel 2014 rispetto al 2013, e si discosta in misura minima dalle previsioni (7,5). E se loro rallentano col +7,4, allora noi col -0,4 acceleriamo?

    • Matteo

      Stiamo parlando del paese dove Corriere e Repubblica tirano insieme 900.000 copie e la Gazzetta dello Sport da sola circa 300.000. Stiamo parlando del paese dove solo il 50% della popolazione si definisce “lettrice” e di questo 50%, ben il 50% legge solo tra 1 e 3 libri all’anno. Non so dire se la situazione negli altri paesi del campione è la stessa, ma secondo me, per l’Italia, libertà di informazione e tasso di penetrazione Internet c’entrano poco con l’ignoranza. Manca il piacere di essere informati su cosa accade intorno a noi, lo stimolo ad avere uno spirito critico ed il gusto di leggere. Di chi sia la colpa non lo so. A mio avviso però potremmo anche avere 3 pc a testa e 100 testate giornalistiche, ma è un dato di fatto che per tanti leggere costerà sempre più fatica che andare a prendere un aperitivo o tirar due calci ad un pallone.

      • bob

        ” Corriere e Repubblica tirano insieme 900.000..” Attenzione credo che siano copie- diffuse non vendute. I rimborsi all’ editoria ai quotidiani venivano dati sulle copie diffuse. A marzo chi non si ricorda Corriere + gratis la Gazzetta

  13. bipaolo

    Temo che l’autore dell’articolo abbia preso una cantonata, nel voler inferire, dalla correlazione che ha individuato tra l'”indice di ignoranza” dell’IPSOS Mori e il ranking sulla libertà di stampa di RSF, una relazione causa-effetto tra il secondo ed il primo fenomeno. Infatti, se si va a vedere il questionario originale di IPSOS, si vede che si tratta di un sondaggio sull’allarme sociale, cioè su quanto le percezioni delle opinioni pubbliche si discostano dalla realtà su temi quali le gravidanze delle minorenni, la disoccupazione, l’immigrazione, la speranza di vita, ecc., tutti temi sensibili su cui si sviluppano le ansie collettive. L’Italia è risultato il paese più pessimista: secondo gli intervistati le minorenni restano incinte a frotte, la disoccupazione dilaga, l’immigrazione ci invade, la speranza di vita declina. Una visione a tinte fosche, un quadro abbastanza lontano dalla realtà. Ma che c’entra la libertà di stampa? Se fosse asservita al potere e/o al governo la stampa diffonderebbe, ovviamente, una visione rosea ed edulcorata della realtà, non pessimismo a piene mani… Forse, paradossalmente, non è il difetto ma l’eccesso di libertà di stampa a provocare l’ignoranza, nel senso della irresponsabilità di tanti giornalisti (o blogger) che calpestando deontologia e onestà intellettuale compiono quotidiane operazioni di terrorismo psicologico sui loro lettori sprovveduti, dipingendo (a scopo politico) una situazione drammatica, un futuro catastrofico, ecc.

    • Sergio

      Grazie della precisazione, non mi pare però che tu dica cose molto diverse dall’autore. Semplicemente, in un sistema nominalmente pluralistico, la strategia di disinformazione è più raffinata che in Unione Sovietica o in Corea del Nord: Se da noi i giornali dicessero che tutto va bene, non li leggerebbe nessuno. Invece, come dici tu, la disinformazione passa per l’allarmismo, la self-deprecation nazionale generalizzata, la denuncia che tutto va male, che “i politici sono tutti uguali” ecc…. Basti pensare a una trasmissione come Striscia la notizia. La stampa, controllata abilmente, alimenta qualunquismo, scoraggiamento e noia. Passando parecchio tempo all’estero, mi accorgo sempre al mio rientro in Italia della qualità dell’informazione televisiva, e spesso anche di quella dei giornali, e infatti me ne servo assai poco. Quanto alla deontologia professionale e all’onestà intellettuale, temo che siano virtù rare.

      • bipaolo

        Ok, quindi concordiamo che la visione a fosche tinte che gli italiani hanno della realtà (che pure è tutt’altro che rosea di suo, ovviamente) è indotta dalla massiccia opera di disinformazione operata dai media (stampa, per quello che conta, e sopratutto TV). Questo avviene perché non esistono sostanzialmente in Italia mezzi indipendenti di informazione e di formazione dell’opinione pubblica. E questo si può ben definire come mancanza di libertà di stampa (ma più esattamente, carenza di organi di informazione liberi). Però i parametri che RSF considera per compilare la sua graduatoria sono principalmente polarizzati sui condizionamenti che l’informazione subisce da parte del potere pubblico, delle strutture governative, dei personaggi e partiti politici. Quindi il basso ranking all’Italia da parte di RSF farebbe immaginare una stampa non catastrofista, ma compiacente e celebrativa.

  14. Ci siamo venduti l’abbecedario come Pinocchio?
    Riprendo gli studi di Tullio de Mauro e le analisi internazionali indipendenti sulle competenze degli italiani al 2015 per una riflessione spaventata su un aspetto fondamentale dello “stato presente dei costumi degli italiani”: l’alfabetizzazione primaria.L’aspetto terrificante della questione, nonostante molti sostengano (non vorrei fossero tra i neo-analfabeti!) che internet abbia aumentato le conoscenze e le competenze dei navigatori italiani (sempre meno santi e poeti) è che il 5% degli italiani non è in grado di distinguere tra lettere e cifre e non riesce a scrivere che in uno stampatello “cuneiforme”; il 40 % ha difficoltà evidenti nella lettura; il 30% gravi difficoltà a comprendere ciò che legge: “un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile”. Il resto sono neonati o bambini in età pre-scolare. Solo il 20% è in grado di usare la lingua e la comunicazione in modo efficace. Questo si riflette in modo determinante su tutte le altre competenze, anche quelle logico-matematiche, creative o meramente operative. Come fa la maggioranza degli italiani a prendere delle decisioni sensate e a scegliere nella vita, nella politica, nel sociale, a distinguere semplicemente tra ciò che è bene o ciò che è male per sé stessi e per la collettività?

  15. M.S.

    Esprimo anche io un dubbio su due aspetti. Il termine “indice di ignoranza” suona come una forzatura per euristiche usate da non sappiamo chi (né dove sono stati intervistati, ecc.), e genera forse anche difese sbagliate.
    Di questi errori merita invece in alcuni casi comprendere meglio la motivazione. Chi avesse visto un recente film realista americano, “boyhood”, potrebbe comprendere ad es. che forse un certo allarme sociale esiste, negli Stati Uniti, per le gravidanze delle ragazze molto giovani (sopratutto in alcuni Stati interni). Da noi, invece, l’errore sul tasso di disoccupazione può dipendere dalla situazione di crisi (non siamo pessimisti, poiché il tasso di disoccupazione è realmente altissimo) e da dati reali (tra i giovani nel Sud Italia la disoccupazione giovanile approssima il 50%).
    Bisognerebbe quindi capire meglio (leggere bene le domande, ecc)..
    Anche l’indice di libertà di stampa andrebbe capito meglio, per il suo andamento. La serie storica su wiipedia (non trovata altrove), presenta per l’Italia un peggioramento notevole dal 1994 al 2006. Quindi ogni discorso su abitudini e i limiti “storici” degli italiani (siamo così o colì) non è necessariamente appropriato se collegato alla libertà di stampa misurata con quell’indice. Siamo in molti modi, ma c’è stato un peggioramento netto, se si presta fede a Freedom House.
    E’ questo quindi un invito ad approfondire, a non farsi ingannare subito dall’astuzia comunicativa di una società di consulenza.

  16. Sabrina Masotti

    Ho appena trovato questa analisi che, pur non essendo recente, mantiene comunque una grande attualità. Il vero problema, a mio modesto parere, sta nell’onestà dei singoli giornalisti. Cito il caso ad esempio di un freelance che ha condotto diversi reportage su un tema molto delicato, sia politicamente sia umanamente, come la guerra in Ucraina. Mi sono imbattuta giusto oggi in un articolo che ne descrive l’operato mostrando come anche alcuni media italiani rispettati e considerati non si facciano scrupolo a pubblicare notizie e reportage senza verificarne la validità. Un chiaro disservizio per il lettore e per la società nel suo complesso. Ecco il link all’articolo a cui mi riferisco: https://pennivendoli.wordpress.com/2017/10/06/sceresini-ucraina-guerra-dimenticata-o-giornalismo-da-dimenticare/

    • Matteo

      Ha ragione, sig.ra Masotti.
      La discriminante è proprio l’obiettivo (o il secondo fine?) con cui queste categorie operano.
      Un po’ come succede nella malasanità o nella politica: si fa l’amministratore locale con l’unico scopo di intascare più soldi possibile e garantire vantaggi personali ai propri familiari, oppure si fanno ricette inutili per ottenere rimborsi più elevati o provvigioni da qualche azienda farmaceutica.
      Lo stesso fanno i pennivendoli che infischiandosene altamente dei valori umani corrono dietro allo “scoop” da vendere, vero o artefatto o fasullo che sia, per mero e gretto tornaconto personale, per avidità, poco importa quale devastazione provocheranno nelle persone riguardate da quelle “notizie”.
      Disonestà, semplice disonestà. Il cancro di questo nostro ordinamento sociale.
      Meno male che qualcuno ne parla!

  17. worstthanso

    Dalle mie esperienze l’ignoranza è frutto di chi è ancora legato al meridione(dove come dato di fatto si legge poco) e ai detti popolari usandoli per disprezzare alcuni.Per esempio taluni dicono : se uno è stupido al sud rimarrà stupido al nord; se uno è contadino al sud fara’ il contadino al nord…ecc. Gia’ si puo’ notare la ristrettezza mentale di cui afferma con disprezzo certe idiozie. Io non so niente della loro privacy ,ma almeno sono consapevole che la moglie di chi afferma quelle cose datate era una santa al sud e quando andava al nord invece faceva un altro mestiere. Senza fare altri esempi non si possono mai fare verità assolute su alcuni argomenti come quelli che il mondo è paese. Speriamo no! Non vorrei incontrare ancora certa ignoranza

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