La curva che indica il numero di imprese in funzione del numero di addetti mostra una flessione verso il basso in corrispondenza dei 15 dipendenti. Dipende dallo Statuto dei lavoratori che si applica proprio oltre quella soglia? Circa il 5 per cento di occupati in più in un campione di aziende.
Il numero medio di occupati per azienda in Italia è molto inferiore rispetto alla media UE: 3,9 contro 6,1. Questa relativa piccolezza delle imprese italiane è spesso vista come una delle cause della debolezza dell’economia italiana nei mercati globali.
Un’ipotesi che è stata avanzata per spiegare il fenomeno è che la legislazione italiana sul lavoro rende oneroso per un’azienda crescere al di sopra dei 15 dipendenti perché oltre questa soglia scatta l’applicazione integrale dello Statuto dei lavoratori e, in particolare, dell’articolo 18 sui licenziamenti senza giusta causa. Il forte indennizzo al lavoratore, in aggiunta al rischio di un reintegro forzato, potrebbe indurre alcune aziende a scegliere di rimanere sottodimensionate.
Se il comportamento delle aziende risente dello Statuto, la distribuzione delle imprese in funzione del numero di addetti dovrebbe mostrare una significativa variazione in corrispondenza dei 15 addetti.
Per sottoporre a test questa ipotesi, analizziamo qui una serie di dati su circa 250mila imprese italiane nel periodo dal 1986 al 1998 i cui addetti variano da 5 a 25, pubblicata da Fabiano Schivardi e Roberto Torrini in “Identifying the effects of firing restrictions through size-contingent differences in regulation” del 2008. L’andamento medio è illustrato in figura 1 in coordinate logaritmiche.
Una variazione di tendenza attorno a 15 addetti appare manifesta. L’andamento della curva tra 5 e 14 addetti appare molto ben descritto da una legge di potenza (una linea retta nel grafico 1).
La differenza tra andamento sopra e sotto-soglia è ancora più evidente in figura 2, dove mostriamo il numero complessivo di addetti per classe.
Che le aziende modifichino il loro comportamento riguardo la crescita del numero di occupati in prossimità di 15 addetti sembra quindi evidente. Anche ammesso che l’effetto dipenda unicamente dallo Statuto dei lavoratori, resta comunque difficile e rischioso stimarne l’entità e soprattutto prevedere gli effetti di una riforma dello Statuto stesso.
I DUE SCENARI
Al fine di stimolare il dibattito sulla questione, si propongono qui due scenari, entrambi basati sull’ipotesi che la naturale distribuzione delle imprese in una economia senza vincoli artificiali alla crescita sia una legge di potenza. L’ipotesi appare confermata dai nostri dati italiani, separatamente sopra e sotto la soglia di 15 dipendenti, oltreché da analoghi studi condotti in Francia e in diversi altri paesi.
Figura. 1 – Numero di imprese in funzione del numero di addetti
Fonte: elaborazione su dati in Schivardi-Torrini). La retta tratteggiata indica la legge di potenza tra 5 e 14 addetti (cerchi blu). I punti successivi (quadrati rossi) si discostano notevolmente dall’andamento estrapolato. La retta continua è ottenuta riscalando la legge di potenza in modo da fornire lo stesso numero complessivo di imprese.
Figura 2 – Totale numero occupati per classi di addetti
La regione in grigio corrisponde al numero di occupati aggiuntivi tra aziende con più di 15 addetti.
Nel primo scenario, si assume che le aziende ben al di sotto dei 15 dipendenti, contrariamente a quelle al di sopra, non siano influenzate dallo Statuto, e crescano quindi senza limiti fintantoché rimangano sotto soglia.
In questo caso, si potrebbe ragionevolmente immaginare che se lo Statuto fosse riformato, l’andamento a legge di potenza sotto-soglia si potrebbe estendere inalterato fino almeno a 25 dipendenti. Assumendo che le imprese non nascano né cessino, ma semplicemente si ridistribuiscano, si può stimare un aumento di circa 130mila nuovi occupati, ovvero il 5 per cento del campione (pari a circa 2 milioni e mezzo di dipendenti). Il numero potrebbe scendere fino a 100mila circa se invece di una legge di potenza si utilizzassero distribuzioni più complesse, che però non appaiono statisticamente giustificate dai dati.
Nel secondo scenario, si potrebbe immaginare che le aziende più piccole del nostro campione, quelle con 5 dipendenti, non sarebbero incentivate a crescere neppure nel caso di riforma dello Statuto e quindi che il loro numero resterebbe costante. Solo via via che ci si avvicina a 15 dipendenti si potrebbe indurre un comportamento virtuoso di crescita. In questo caso, sempre mantenendo costante il numero complessivo di imprese, la legge di potenza sarebbe più ripida, e il numero di nuovi occupati teorici scenderebbe a circa 85mila, pari al 3,5 per cento del totale. Questi valori sono notevolmente superiori alla precedente stima di Schivardi e Torrini sugli stessi dati.
Naturalmente, altri scenari teorici sono possibili, ma solo a patto di deviare da una legge di potenza o di assumere paradossalmente che il numero di aziende con pochi dipendenti aumenti in conseguenza della soppressione dello Statuto.
Ripetendo la stessa analisi per un campione più ristretto, ma molto più recente (2014) di aziende tra 10 e 20 dipendenti, si ottiene un aumento potenziale di addetti del 2,5 per cento; se estrapolato fino a 25 dipendenti, il risultato sarebbe molto simile (o leggermente superiore) a quello precedentemente ottenuto.
Da questa breve analisi non si può ovviamente far discendere in maniera meccanica una relazione di causalità tra l’andamento spezzato della distribuzione delle imprese e lo Statuto dei lavoratori. Neppure è possibile prevedere con certezza come le aziende risponderebbero a una sua modifica, soprattutto in tempi di crisi. Ed è chiaro che la stima del 5 per cento di addetti in più è relativa al solo campione di aziende qui considerate e non si può assolutamente estendere all’intera platea dei lavoratori italiani senza una analisi ben più ampia.
Soprattutto, se anche tutte le ipotesi fin qui menzionate fossero confermate e si producesse davvero un aumento del 5 per cento di occupati, la scelta di riformare lo Statuto dovrebbe comunque mettere in conto una molteplicità di aspetti sociali, politici, economici, che non possono essere catturati da semplici estrapolazioni.
Ciononostante, questa breve analisi indica chiaramente che le aziende tra 15 e 25 addetti hanno una minore tendenza a crescere rispetto alla media. Rimuovere le cause di tale comportamento, qualunque esse siano, potrebbe generare da 80mila a 130mila nuovi addetti a parità del numero di imprese, ovvero il 3,5-5 per cento del campione totale.
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