La crisi ha avuto un impatto negativo sulla capacità produttiva, ma il modello usato in Europa tende a sovrastimarlo, per l’Italia e per il resto dell’area euro. Con la persistente carenza di domanda aggregata, è un limite di questo tipo di approccio metodologico.
I PUNTI CONDIVISI
Nella loro risposta al nostro intervento Kieran Mc Morrow e Werner Roeger sostengono che il Pil potenziale determinato dal modello concordato in sede UE non sia sottostimato; le loro argomentazioni tuttavia non ci convincono. Partiamo da tre punti sui quali non c’è alcun disaccordo, ma che è bene ribadire onde evitare equivoci:
a) il modello usato in Europa è concordato dai paesi membri dell’Unione. Lo abbiamo scritto nel nostro articolo, lo ribadiamo volentieri. Va evitato ogni possibile scaricabarile. Non è il “loro” modello bensì il “nostro comune” modello;
b) l’Italia cresceva poco già prima della crisi e per problemi strutturali specifici della nostra economia;
c) siamo più che convinti che la crisi abbia avuto un impatto negativo sulla crescita potenziale.
LE RISPOSTE MANCATE
Ciò detto, la nostra tesi è che quando la carenza di domanda aggregata persiste per così tanto tempo il modello – basandosi prevalentemente su filtri statistici – sottostima il potenziale. In generale, non solo per l’Italia, come sottolineato nel nostro contributo. A questa critica non ci sembra sia stata data una risposta.
1) Mc Morrow e Roeger affermano che la crescita potenziale italiana stimata dal modello è realistica perché analogamente si è ridotta la crescita potenziale dell’Eurozona. Il nostro intervento non sostiene che il modello sottostimi il solo Pil potenziale dell’Italia, e non quello degli altri paesi – bensì il nostro punto è che c’è il rischio che il modello sottostimi il Pil potenziale dell’area e nei diversi paesi, anche quello dell’Italia. Confrontare le dinamiche italiane con quelle di altri paesi non confuta i nostri argomenti.
2) Altri organismi internazionali, per esempio l’Ocse, usano metodologie simili. Usarli come punti di riferimento è, di nuovo, fuorviante. La nostra critica riguarda il metodo, non l’istituzione che lo usa.
3) È ovvio che l’output gap per l’Italia è maggiore oggi che nel 2009 – ci mancherebbe altro dopo un calo del Pil di nove punti… – ma il tema è la sua dimensione;
4) L’osservazione sulla produttività totale dei fattori non tiene conto del fatto che anche per questa variabile rileva l’effetto distorsivo di una durata anomala della fase di carenza di domanda;
5) Nel discutere il tasso di disoccupazione strutturale, Mc Morrow e Roeger fanno un parallelo con la stima della stessa variabile per gli anni 1981-1995, supposti simili agli ultimi anni. Se il modello è lo stesso non ha senso confrontarne i risultati su due periodi apparentemente simili. Tra l’altro, le attuali condizioni macroeconomiche non sono confrontabili con il periodo 1981-1995 quando i sintomi di una carenza di domanda aggregata non erano così evidenti come oggi, basti pensare alla dinamica dei prezzi (e del Pil). Non sosteniamo che l’aumento del tasso di disoccupazione strutturale è “ingiustificato” bensì sovrastimato;
6) Le problematicità della stima della disoccupazione strutturale che emergono dalla metodologia attualmente usata è evidenziata dalle implicazioni che si avrebbero per l’inflazione. È realistico assumere che – in un contesto quasi deflattivo come quello attuale – riducendo la disoccupazione da poco sopra il 12 per cento a poco sotto l’11 si scatenerebbe l’inflazione?
Da ultimo, è significativo che non viene commentata l’incoerenza evidenziata nel nostro contributo tra la descrizione dell’economia fornita dal modello e le raccomandazioni di politica economica delle istituzioni europee. Se l’isteresi è così marcata, il consolidamento di bilancio ha effetti deleteri non solo nel breve, ma anche nel lungo termine. Lo stesso Laurence M. Ball, che Mc Morrow e Roeger citano a supporto del loro punto di vista, trae le seguenti implicazioni dal suo lavoro: “se i governanti riuscissero a creare una forte espansione economica, l’isteresi potrebbe funzionare nella direzione opposta. Investimenti pro-ciclici potrebbero incrementare lo stock di capitale; l’abbondanza di opportunità di lavoro potrebbe rafforzare la permanenza dei lavoratori nella forza lavoro, e così via. Forse, una forte espansione potrebbe spingere l’output potenziale verso il livello pre-crisi” (“if policymakers can somehow create a strong economic expansion, hysteresis might work in reverse. Procyclical investment could increase the capital stock; plentiful job opportunities could increase workers’ attachment to the labor force; and so on. Perhaps a strong expansion could push potential output back toward its pre-crisis path”).
* Le opinioni qui espresse sono soltanto quelle degli autori e, in particolare, non riflettono necessariamente quelle delle istituzioni di appartenenza.
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