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Un incentivo a salve per l’edilizia residenziale

Nel decreto “Sblocca Italia” è stato inserito un incentivo fiscale per chi compre una casa per poi affittarla a canone più basso di quello di mercato. Il problema è che riguarda un numero esiguo di abitazioni. E ben poche le risorse. Il vantaggio di passare da deduzione a detrazione. 

MISURA ALLA FRANCESE

Con il decreto legge 133/2014, il cosiddetto “sblocca Italia”, il Governo spera anche di smuovere il mercato dell’edilizia residenziale, una delle condizioni ritenute necessarie per ridare fiato all’economia nazionale. L’articolo 21 prevede la concessione di un incentivo fiscale a favore dei contribuenti che acquistano una casa da affittare a canone più basso di quello di mercato: un tentativo di prendere due piccioni con una fava. Il Governo Renzi si è ispirato (vedi relazione al decreto legge) alla Francia del dispositivo Scellier, oggi non più applicato, perché sostituito, a partire dallo scorso anno, dal dispositivo Duflot (ora anch’esso oggetto di riforma).
La presenza o meno di questo incentivo fiscale è stata una delle ragioni di maggiore suspense sul contenuto del Dl: un giorno c’era e l’altro no. Alla fine c’è, ma il suo possibile impatto non sembra essere all’altezza delle attese suscitate (almeno se misurate con i titoli che la stampa le ha dedicato).

UN INCENTIVO CRESCENTE CON IL REDDITO ….

Le disposizioni dell’articolo 21 dello sblocca Italia incentivano le persone fisiche non esercenti attività commerciali ad acquistare, tra il 1° gennaio 2014 e il 31 dicembre 2017, un’abitazione nuova, ristrutturata o in costruzione (con determinate caratteristiche) da affittare per almeno 8 anni a canone concordato o determinato applicando specifiche norme.
L’acquirente dell’abitazione beneficia della deduzione dal reddito Irpef pari al 20 per cento del prezzo di acquisto, distribuita in otto anni, entro il tetto massimo di 300mila euro. Per l’applicazione del meccanismo occorre attendere un decreto ministeriale (che non sarebbe male fosse pronto per la data di conversione del decreto legge).
La missione assegnata in Francia ai dispositivi Scellier-Duflot è di stimolare la produzione di nuovi alloggi (come in Inghilterra il programma Help to Buy), invece la misura che il governo propone per l’Italia deve agire dal lato della domanda, per cercare di smuovere un mercato nel quale si è accumulata una mole notevole, sebbene di difficile quantificazione, di abitazioni nuove che non riescono a trovare un compratore.
La convenienza ad avvalersi dell’incentivo dipende da una serie di variabili che difficilmente consentono di valutarla a priori. È rilevante l’aliquota Imu+Tasi applicata a questi alloggi; la decidono i comuni (anche se nella relazione tecnica del Dl 133 è prevista al 10,6 per mille) e nessuno può garantire che resti la stessa per tutta la durata del vincolo a cui è assoggetto l’alloggio. Nel corso di otto anni anche il canone può subire variazioni notevoli, in alto come in basso.
L’unica punto fermo è che a parità di tutte le altre condizioni, il vantaggio dell’agevolazione fiscale – essendo essa in una deduzione dal reddito – cresce con il reddito dell’acquirente, come si può constatare dal prospetto 1.
Va osservato che anche per gli acquirenti che si collocano nello scaglione di reddito con l’aliquota Irpef più elevata, quelli che traggono il maggior beneficio dall’applicazione del dispositivo, l’abbattimento del prezzo degli alloggi dovuto al vantaggio fiscale, è notevolmente inferiore rispetto a quello attualmente previsto in Francia, dove ogni contribuente per quattro anni, tra il 2013 e il 2016, può detrarre dalle imposte il 18 per cento (distribuito in nove anni) della spesa massima di 300mila euro sostenuta per l’acquisto dell’abitazione.

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…E A BASSO POTENZIALE

Se la convenienza, per gli investitori, del nostro meccanismo va verificata nei singoli contesti, vi è una constatazione che può essere fatta a priori: la debolezza del suo impatto atteso. È, infatti, la stessa relazione tecnica che accompagna il decreto legge, a stimare in 4.020 (valore unitario 250mila euro; aliquota marginale Irpef media 40 per cento) il numero di abitazioni aventi i requisiti e le condizioni previste dall’articolo 21. La relazione ipotizza anche “che ulteriori 200 immobili (il 5 per cento di 4.020) vengano acquistati e locati annualmente in conseguenza dell’effetto incentivante della norma stessa, per un totale di 4.220 immobili”. In tre anni non si arriva a 15mila abitazioni. Un numero modesto, dal quale non ci si può attendere un contributo rilevante né per smaltire lo stock di alloggi invenduti né per alimentare il mercato dell’affitto a canone concordato. L’impatto su entrambi i mercati potrebbe migliorare se ad acquistare fossero contribuenti a basso reddito, come si può vedere dall’ultima riga del prospetto 1: in tre anni il numero massimo di operazioni che potrebbero essere interessate all’agevolazione salirebbe a poco più di 27mila abitazioni. È il doppio di quanto stimato nella relazioni tecnica, ma non sarebbe lo shock di cui l’edilizia residenziale avrebbe bisogno. In ogni caso, questa è l’ipotesi meno probabile: tutte le abitazioni dovrebbero essere acquistate da contribuenti appartenenti allo scaglione Irpef più basso (che in molti casi potrebbero anche essere incapienti per fruire di tutto lo sconto fiscale).

RISORSE SCARSE

L’impatto del programma e la sua convenienza, per gli investitori, dipendono, ovviamente, anche delle risorse di cui è dotato. Nel suo attuale disegno costa, in otto anni, poco più di 350 milioni di euro di minor gettito Irpef; cinque volte in meno di quanto la Francia spende per gli investimenti incentivati con il dispositivo Duflot nel solo 2013.
Con stanziamenti ben più consistenti di quelli ora previsti, potrebbe essere eliminata la limitazione della concessione dell’incentivo fiscale ai soli acquirenti persone fisiche, consentendo di accedervi anche alle società commerciali (in questa direzione va anche la riforma del dispositivo Duflot, insieme al superamento del divieto, per il proprietario dell’abitazione, di affittare a parenti). In fondo, se scopo del programma è ridurre l’invenduto e accrescere l’offerta a basso canone, non dovrebbe avere alcuna rilevanza la ragione giuridica degli investitori (che dovrebbero ricevere tutti lo stesso trattamento anche relativamente alla tassazione dei canoni).
Tuttavia, più risorse sarebbero necessarie soprattutto per rafforzare l’incentivo. Può essere fatto in due modi. Se si vuole conservare la forma prevista dal decreto, si può aumentare la percentuale del prezzo deducibile dal reddito (in Francia, con il dispositivo Robien, un predecessore del meccanismo attuale, la percentuale era del 50 per cento). Resterebbe, però, la disparità del beneficio a favore dei contribuenti con i redditi più elevati: sarebbe, pertanto, preferibile trasformare quel 20 per cento del prezzo da deduzione dal reddito in detrazione d’imposta, sarebbe un allineamento al livello dell’incentivazione francese.

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Prospetto 1 – Applicazione articolo 21 del Dl 133/2014 (valore abitazione 300mila euro)

prospetto1

Prospetto 2 – Distribuzione per anno dell’onere Irpef dell’articolo 21

prospetto2

Fonte: http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0024610.pdf, p. 78

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Doccia scozzese sulla “british exit”

  1. Bell’articolo, interessante e completo.
    Tuttavia, se l’obiettivo è ridurre il canone sugli affitti mi sembra molto più efficace lavorare sulle garanzie offerte al locatore. Infatti, una buona parte dei canoni attuali comprendono un elevato “premio per il rischio”, causato dall’incertezza del rispetto dei contratti d’affitto, dalla lentezza della giustizia civile, dalle difficoltà nella gestione degli sfratti di “casi sociali”. Pertanto, una politica pubblica efficace sarebbe quella di garantire il rispetto del contratto tramite l’intervento di un ente pubblico, che si fa carico del pagamento dell’affitto in caso di morosità del locatario. Sarà l’ente pubblico a gestire il rischio di insolvenza del locatario tramite il welfare e gli interventi sociali, a riassicurarsi, a chiedere “fideiussioni sociali” ai parenti/amici del locatore. In questo modo il canone medio d’affitto potrebbe anche ridursi del 50% in pochi anni, laciando al libero mercato la scelta di investire nelle costruzioni invendute da locare a prezzo di mercato ma con basso rischio di insolvenza.

  2. Mirzio

    Oltre alla scarsezza di risorse messe in campo, mi chiedo perchè dare questo incentivo ad un parte dell’economia basata sulle rendite dei redditi più alti (gli unici che comunque possono permettersi l’acquisto dell’immobile per poi affittarlo) e dare un vantaggio minimo all’affittuario se consideriamo che sarà più incentivato verso la casa in affitto piuttosto che l’apertura di un mutuo per acquistare casa. Non sarebbe stato più efficace (anche socialmente) incentivare ulteriormente l’accensione di mutui per acquisti di casa, tra l’altro sarebbe uno stimolo pure dal lato della domanda per le generazioni future ma anche le attuali senza presente ma con speranze future, le quali potranno contare in un eredità che eviterebbe la locazione di un immobile. Si avrebbe quindi il vantaggio ulteriore di creare un ammortizzatore sociale, anzichè incentivare il parassitismo che c’è dietro certe rendite.

  3. Patrizia

    Nell’articolo non si parla dell’ipotesi di aumentare l’iva sull’acquisto prima casa dal 4 al 10 %, in questo caso non si incentiva di certo le vendite!

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