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L’auto è condivisa, ma le emissioni restano

Dopo un avvio stentato, il “car sharing” sembra ormai destinato a rapida diffusione. Tanto che a Roma, così come a Firenze e in altre città, hanno pensato di fotocopiare il bando di Milano. Ma, se boom dev’essere, è opportuno che sia accompagnato da una ben maggiore attenzione alle emissioni. 

CAR SHARING IN EVOLUZIONE

Il car sharing, letteralmente “condivisione dell’auto”, è un modello di noleggio automobilistico in cui gli utenti possono servirsi di un autoveicolo per lassi temporali anche molto brevi, pagando solo in funzione del tempo effettivo di utilizzo.
Chi ricorre all’auto condivisa ottiene, o dovrebbe ottenere, i benefici di un’automobile privata senza però sopportarne i costi e i gravami tipici della proprietà, che, peraltro, in Italia sono quanto mai pesanti.
Il prezzo pagato da un utilizzatore di car sharing è composto di due sole parti: una quota d’iscrizione al servizio e una quota per i singoli utilizzi effettuati. (1) In cambio, l’utente ottiene anche dei benefici: l’accesso gratuito alle zone a traffico limitato, in alcuni casi l’uso delle corsie preferenziali, la sosta gratuita sulle strisce blu e la possibilità di circolare anche durante eventuali limitazioni del traffico.
Negli anni scorsi, terminato l’utilizzo, si doveva lasciare il mezzo presso lo stesso parcheggio del gestore da cui era stato preso in consegna, o in un’altra stazione di scambio. Ciò, oltre a ostacolare i viaggi di “sola andata”, limitava notevolmente la flessibilità d’uso, su cui incideva anche il numero relativamente ridotto di automezzi disponibili. Al momento della prenotazione era poi necessario indicare, in anticipo, il tempo di utilizzo dell’auto, cosa che impediva l’estensione dell’itinerario di viaggio, salvo il caso in cui per quell’auto non ci fossero altre prenotazioni.
Grazie all’innovazione tecnologica, l’utilizzo dell’auto condivisa, in Europa e in Italia, da qualche tempo è arrivato a una svolta, proprio per l’aumento di flessibilità. Il servizio si evolve e si stanno facendo largo nuovi modelli di utilizzo. Innovazioni chiave sono la possibilità di visualizzare e prenotare le macchine disponibili attraverso app per smartphone, la possibilità di servirsi di un qualsiasi parcheggio come partenza e arrivo, l’eliminazione dell’obbligo di esplicitare in anticipo il tempo di utilizzo. Sempre grazie al miglioramento tecnologico, è anche possibile aprire e guidare l’auto prenotata senza essere in possesso della chiave, ma semplicemente attraverso una tessera o il proprio telefono.
All’iniziale modello di car sharing a tempo, si è così affiancato quello a flusso libero che, potendo anche contare un dispiegamento di mezzi di molto superiore, gode di una crescente popolarità.
Il caso di maggior successo è quello di Milano, dove tre gestori mettono in campo quasi 1.500 vetture per un numero di abbonati che, con tutta probabilità, supererà i 200mila entro fine anno, benché siano molto frequenti i casi di utenti in possesso di più abbonamenti.

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ATTENZIONE ALLE EMISSIONI

I buoni risultati milanesi hanno progressivamente determinato un discreto effetto emulativo, con ampio compiacimento degli amministratori che hanno introdotto il car sharing, o sono in procinto di farlo, perché l’utilizzo dell’auto condivisa, oltre a garantire un bell’introito nelle casse comunali (1.100 euro annui per veicolo a Milano, 1.200 a Roma, 600 a Firenze), avrebbe indubbi benefici ambientali. Diversi studi stimano infatti in misura variamente crescente i benefici che si avrebbero con un utilizzo diffuso dell’auto condivisa: minor numero di veicoli pro capite, minore domanda di spazi di parcheggio, minori costi fissi e complemento del trasporto pubblico, con una riduzione degli impatti energetici e ambientali, tenendo anche conto dei cambiamenti sui modelli di proprietà e utilizzo di veicoli.
Fattori che nella vulgata comune e comunicativa vengono sintetizzati nel quasi slogan secondo il quale ogni auto del car sharing sostituirebbe un certo numero di auto private. E meno veicoli in strada significano meno traffico e dunque meno inquinamento. L’assunto, però, per essere preso per buono abbisogna di dimostrazioni specifiche per ogni città. A Milano, per esempio, si dovrebbe tener conto dei numerosissimi fruitori della città, che oltre a non essere residenti, non possiedono un auto: pendolari, studenti e lavoratori fuori sede, e così via.
Inoltre, le due macro categorie di utilizzo condiviso dell’auto non possono essere paragonate: dunque i risultati degli studi sul car sharing a tempo (quelli condotti finora) non possono essere considerarsi validi per il car sharing a flusso libero. (2)
Ben maggiore, poi, dovrebbe essere l’attenzione alle flotte dei veicoli. Nei bandi (fotocopia) di Milano, Roma e anche Firenze sono ammesse solo auto euro V e successive, di tutte le alimentazioni, con un discreto vantaggio per i veicoli esclusivamente elettrici che sono esentati dal canone annuo. Ma tutte le auto nuove sono euro V. Anzi, si possono già comprare auto euro VI. Per inciso, a essere pignoli, anche la tariffa a tempo confligge con il contenimento delle emissioni.
Nei bandi, però, mancano i grammi di CO2 emessi per chilometro percorso (gCO2/km). Eppure da tempo le direttive europee ci hanno insegnato che gli standard di emissione non bastano per identificare le prestazioni ecologiche di un veicolo. E dovrebbe essere anche noto che in Europa il settore automobilistico deve perseguire target di contenimento delle emissioni, vincolanti e specifici. (3)
I gCO2/km sono solo un altro modo per esprimere i litri di carburante consumati per chilometro percorso: basse emissioni corrispondono a bassi consumi. Qualità, peraltro, ben percepita dagli automobilisti.
Cosa che spiega perché le auto nuove, da un anno all’altro, consumano ed emettono sempre meno.

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Figura 1 – Media ponderata delle emissioni (in grammi/km di CO2) delle auto di prima immatricolazione(dati 2014 aggiornati ad agosto)

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Fonte: elaborazioni su dati Agenzia europea per l’ambiente e Unrae, 2014

Ad agosto la media ponderata delle emissioni delle auto nuove vendute in Italia (comprese Ferrari e Lamborghini) si è attestata a 117,7 gCO2/km, 117,9 nei primi otto mesi dell’anno. Quest’ultimo valore, già oggi, è inferiore a quello di almeno una delle auto utilizzate da uno dei gestori di car sharing a flusso libero. Ma la stessa auto può emettere solo 92 gCO2/km, a patto di spendere un po’ di più per avere una motorizzazione molto più efficiente ed ecologica.
Non tenere conto dei gCO2/km è quindi un grave errore. Alle auto del car sharing, infatti, oltre al parcheggio gratis, è permesso il libero accesso alle zone interdette o a pagamento per le altre: un robusto incentivo, giustificabile solo da un dimostrato minor impatto ambientale. Nel caso di Milano, poi, l’incentivazione di un car sharing “di massa”, totalmente esentato dal pagamento del pedaggio anticongestione, mal si concilia con l’obiettivo di contenere il numero di auto in circolazione nel centro.

(1) Specie nel modello a flusso libero, la quota di iscrizione parrebbe destinata a scomparire.
(2) Come ha già scritto la German Association Car Sharing.
(3) Senza addentrarci in complicati dettagli tecnici, ci limitiamo a ricordare che il regolamento 443/2009/Ce anche dopo le modifiche del recente regolamento 333/2014/UE, fissa un obiettivo di 95 gCO2/km al 2020 per il livello medio di emissioni per i veicoli di nuova immatricolazione e determinate emissioni specifiche medie di CO2 per anno.

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  1. Marco Ferrari

    Le emissioni non sono solo il CO2, che aumenta l’effetto serra, ma in ambito urbano sono molto più dannose le emissioni di polveri sottili, di ossidi di azoto, di benzene e altre. Dannose per la salute delle persone nell’immediato, oltre che per l’ambiente. E’ per questo che non si capisce come mai dal bando del Comune di Milano non siano state escluse le auto diesel.

    • Interessante articolo che solleva il tema delle emissioni dei veicoli del car-sharing, sistema che in questo senso è forse vittima del proprio successo e su cui è comunque ipotizzabile in futuro pretendere standard più severi (in questa fase era anche necessario facilitare l’avvio del sistema, non era così scontato che funzionasse). Tuttavia l’articolo, che nella prima parte elenca bene quali siano i benefici attesi (“minor numero di veicoli pro capite, minore domanda di spazi di parcheggio, minori costi fissi e complemento del trasporto pubblico, con una riduzione degli impatti energetici e ambientali, tenendo anche conto dei cambiamenti sui modelli di proprietà e utilizzo di veicoli”), sembra poi concentrarsi sulle sole emissioni di gas climalteranti, che sono solo una delle componenti in gioco. Un’analisi più completa dei costi e dei benefici mi sembra necessaria (la mia impressione è che sarebbe positiva).

  2. Enrico

    Sarebbe stato più interessante utilizzare esclusivamente mezzi elettrici per il car sharing.
    Anche perchè sarà quella la vera rivoluzione: immaginate le città con un ridottissimo rumore di sottofondo, *molto* meno inquinamento. Immaginate il miglioramento della qualità della vita, l’impatto sulla salute pubblica.

    • Osvaldo Forzini

      Sulla questione auto elettrica ha già risposto il commento di Alessandro Nanni: c’è un problema di “flessibilità” dell’utilizzo (ovviamente in funzione della problematica km percorribili e tempi di ricarica) per cui nel car sharing appare che per la auto elettriche si dovrebbe ricorrere all”irrigidimento” di prevedere presa e riconsegna solo in luoghi ben precisi, intendo luoghi dotati di ricarica ecc.
      Piuttosto, faccio notare una parte dell’articolo, in cui si segnala, in sostanza, che il car sharing può essere un mezzo di “incentivazione all’uso di auto” per persone che non la userebbero: magari senza car sharing userebbero la metropolitana o l’autobus… specie nel momento in cui si permette il parcheggio gratuito nelle zone con le strisce blù (e l’accesso in quelle ZTL).
      Infine, un’osservazione: 60.000 utenti (Roma, se ricordo) è un “successo”? Ci sono quei numeri che vengono maneggiati disinvoltamente, per esempio quando si fanno le raccolte di firme “2000 lettori hanno firmato la petizione!!!”: premesso che potrebbe anche voler dire che “gli altri” lettori non sono d’accordo… poi sul successo va visto: è un giornale da 100.000 o da 2milioni di lettori? Non è la stessa cosa..

  3. Alessandro Nanni

    Purtroppo il discorso è molto complesso, semplificando al massimo, se si guarda alla sola CO2 allora bisognerebbe considerare anche le emissioni per la produzione e lo smantellamento dei veicoli, se il risultato è la produzione di meno veicoli il vantaggio è evidente (e secondo me prevalente). In ambito urbano, e quindi di ambiente e salute, altri sarebbero gli inquinanti da considerare ma il discorso mi pare convincente. E’ chiaro che non è uno strumento di politica ambientale urbana e l’adozione di veicoli elettrici riporrebbe il problema della flessibilità.

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