Lavoce.info

UNA GRANDE DEPRESSIONE ITALIANA

.

La gravità dell’attuale scenario macroeconomico italiano impone, prima ancora di un’analisi econometrica o di politica economica, la presa di coscienza delle dimensioni del problema. Sebbene, infatti, le statistiche rilevino uno scenario di profonda sofferenza, a volte si ha l’impressione che nel dibattito se ne ignorino i reali contorni. Un termine naturale di confronto è quello con le esperienze più disastrose nella storia contemporanea dei paesi sviluppati: la grande depressione statunitense (1929-1940) e la crisi finanziaria giapponese dell’inizio degli anni Novanta.

GLI INDICI AZIONARI

La figura 1 mette a confronto l’andamento degli indici azionari in termini di perdita cumulata dal picco pre-crisi durante i tre episodi considerati. A 62 mesi dal picco, l’indice Ftse-Mib perde il 70,6 per cento contro il 75,6 nel corrispettivo periodo negli Stati Uniti e “solo” il 52,1 per cento in Giappone.

Figura 1: Indici azionari

Nota: Gli indici azionari usati sono il Ftse-Mib per l’Italia, il Dow Jones Industrial Average Index per gli Stati Uniti ed il Nikkei Index per il Giappone. Le date considerate picco pre-crisi sono aprile 2007 per l’Italia (valore dell’indice 43,755), agosto 1929 per gli Stati Uniti (valore dell’indice 380.33) e dicembre 1989 per il Giappone (valore dell’indice 38,915.87). Fonte: Bloomberg.

LA PRODUZIONE INDUSTRIALE

Il quadro che emerge dal confronto è severo in termini di produzione industriale. Analogamente alla figura 1, la figura 2 mostra la perdita cumulata dal picco pre-crisi. L’ultimo dato disponibile per l’Italia è quello di marzo 2012. Il volume di produzione dell’industria italiana rimane 22,2 punti percentuali sotto il picco 2007. Nello stesso arco temporale, la produzione industriale americana aveva perso circa il 33 per cento e quella giapponese il 4,7 per cento.

Figura 2: Produzione industriale

Nota: Il grafico si riferisce alla produzione industriale comprendendo il settore delle costruzioni. Dati destagionalizzati. Le date considerate picco pre-crisi sono agosto 2007 per l’Italia, luglio 1929 per gli Stati Uniti e maggio 1991 per il Giappone. Fonte: Istat, Fred database Federal Reserve St. Louis, Global Financial Data.

LA DISOCCUPAZIONE

In termini di disoccupazione, gli effetti sono oggi più contenuti rispetto all’esperienza americana degli anni Trenta. Negli Stati Uniti i disoccupati passarono, infatti, da 1,55 milioni nel 1929 (pari al 3,1 per cento delle forze di lavoro) a 12,8 milioni nel 1933 (pari al 24,7 per cento delle forze di lavoro). Attualmente il tasso di disoccupazione italiano è del 10,2 per cento (aprile 2012). Ma gli occupati (a tempo pieno e parziale, con varie tipologie di contratto) sono solo 22,7 milioni (pari al 37,7 per cento della popolazione totale) mentre le persone in cerca di occupazione sommate agli inattivi in età lavorativa raggiungono i 17,2 milioni (ovvero il 28,5 per cento della popolazione).

IL PIL CUMULATO

La vera cattiva notizia è data dalle prospettive di medio termine. In termini di Pil cumulato, la perdita di ricchezza nazionale in Italia potrebbe essere perfino superiore alla perdita durante la grande depressione negli Stati Uniti – e certamente superiore alla perdita di Pil italiano negli anni Trenta.
La figura 3 mostra la perdita cumulata in termini di prodotto interno lordo dall’inizio della crisi 2007. In questo caso le osservazioni sono annuali e le previsioni per l’Italia (linea tratteggiata nel grafico) sono basate sugli ultimi dati disponibili del Fondo monetario internazionale (World Economic Outlook, aprile 2012). Nei primi cinque anni di crisi, la perdita di ricchezza in Italia è un quarto rispetto alla perdita americana negli anni Trenta, ma è già superiore a quella giapponese negli anni Novanta. È anche superiore alla perdita accumulata dalla stessa Italia nel periodo 1929-1933.
La stagnazione economica prevista per i prossimi quattro anni (in peggioramento) porterebbe la caduta del Pil reale a superare quella registrata nella grande depressione statunitense entro la fine del 2015. Già oggi le previsioni per il 2012 del Fondo monetario internazionale appaiono ottimiste: attualmente, il Fondo prevede una contrazione del Pil dell’1,9 per cento nel 2012. Ma secondo l’ultimo bollettino Istat la perdita acquisita da inizio anno è stata, solo nel primo trimestre, dell’1,3 per cento.

Figura 3. Prodotto Interno Lordo

Nota: Il grafico si riferisce al prodotto interno lordo a prezzi costanti. Gli anni su cui sono state calcolate le variazioni sono il 2007 per l’Italia, il 1929 per gli Stati Uniti ed il 1990 per il Giappone. Fonte: Imf World Economic Outlook database, Fred database Federal Reserve St. Louis, Global Financial Data, Maddison historical database, Istat.

Questo intervento non vuole soffiare sul fuoco dell’allarmismo economico, in nome del quale generalmente si operano interventi squisitamente politici e redistributivi. Al contrario. Ciò che appare in gioco è il livello di benessere che gli italiani hanno raggiunto con decenni di lavoro e di risparmio.
La grande depressione non è inevitabile. Ma è difficile pensare a un’inversione di tendenza senza un’azione decisa di politica economica. 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Sanità oltre la Nadef
Leggi anche:  Dalla Nadef alla manovra 2024: quanto incide il Superbonus

Precedente

PERCHÉ GLI EUROBOND NON SONO LA SOLUZIONE

Successivo

UNA RC-CASA CONTRO LE CALAMITÀ

28 commenti

  1. Johann Gossner

    L’Italia produttiva è in crisi anche e soprattutto per il livello di tassazione imposto. Quante aziende sono emigrate per scappare da essa ? Quante sono morte a causa di essa ? Quante non nasceranno a causa di essa ? Si crei un regime fiscale favorevole all’impresa. Ha il Governo il Coraggio e l’Onestà di proporre un nuovo accordo fiscale alle aziende italiane ? Tutto ruota intorno a questo nodo irrisolto.

  2. Piero

    Ormai è riconosciuto da tutti, Monti ha deluso gli italiani non ha saputo affrontare i problemi economici sul tappeto, avendo a suo favore una larga maggioranza che avrebbe fatto passare tutto, lui non può preoccuparsi degli scioperi dei taxi, è un governo tecnico, non si deve presentare alle elezioni, invece ha ceduto, questo è un piccolo esempio, ha preso energicamente solo le misure che interessa al mondo da cui proviene, quello bancario, non ha esitato a concedere la garanzia statale sul collaterale dato dalle banche alla bce per il prestito all’1% , mentre non ha ancora firmato il decreto per aumentare la garanzia del medio credito per i mutui all’imprese di 1000000 di euro contenuta nello stesso provvedimento di sei mesi fa. Il paradosso noi cittadini italiani con la garanzia dello stato alle banche abbiamo personalmente garantito le obbligazioni emesse dalle banche date in garanzia alla Bce per ottenere la liquidità, poi quando noi andiamo in banca ci dicono che il mondo è cambiato e troviamo il blocco del credito. Stanno morendo 1000 imprese al giorno, abbiamo solo qualche settimana per prendere decisioni importanti, la prima a livello europeo sul ruolo della bce.

  3. Savino

    Il livello di benessere finora raggiunto dagli italiani non è frutto di decenni di lavoro e risparmio, ma di una congiuntura favorevole che dopo la guerra ha visto primeggiare sulla scena economica mondiale solo 7 Paesi. I problemi sono sorti quando abbiamo cominciato a fare i conti con un’economia globale, in particolare con i veri giganti, che sono i Paesi del BRICS. Adesso che sono diventati decisivi fattori quali la produttività del lavoro e la propensione al risparmio e ad un tenore di vita sobrio emergono tutte le nostre falle e si capisce che non eravamo poi questi stakanovisti e queste formichine come venivamo dipinti. Le nostre relazioni industriali e i preoccupanti riscontri sull’indebitamento dei privati (c’è anche quello oltre al debito pubblico) lo dimostrano in modo lampante.

  4. Giorgio A.

    La scelta dei dati difficilmente poteva essere peggiore:
    – Indici azionari: li DJIA e il Nikkei225 sono indici ponderati per il prezzo dei componenti, non hanno alcuna scientificità (un’azione del valore unitario di 10$ ha un peso nell’indice che è 10 volte quello di un’azione del prezzo di 1 $…). Sono inoltre indici large-cap: che senso ha focalizzarsi solo su qualche azienda per valutare il mercato nel suo complesso? Meglio (anche se non perfetto, ovviamente) sarebbe stato usare l’S&P 500, il Topix e il FTSE Italia All Share. – Produzione industriale: poteva essere utile disaggregare le costruzioni, se i dati sono disponibili.
    – Disoccupazione: che senso ha mettersi a parlare di popolazione inattiva italiana, se poi non si forniscono i dati relativi a USA e Giappone, due società dove, rispettivamente negli anni Trenta e Novanta, la percentuale di casalinghe era molto elevata?
    – PIL: se la fonte delle variazioni dei PIL post ’29 sono i “comptes fantastiques” di Maddison, allora stiamo freschi…

  5. luigi saccavini

    L’impressione che si stia adottando un politica di piccoli passi quando si dovrebbe correre, trova conferma dal sintetico ma efficace contributo. Per la foresta di inefficienze e di sovraccosti strutturali si rende necessario il machete, se si intende davvero dare una svolta seria al decennio di stagnazione, facendo ripartire il Paese. Abbiamo un governo tecnico che può tentare di farlo, lasciando perdere proclami sui ritocchini che al massimo servono a non affondare. I partiti avrebbero difficoltà a far cadere il governo per non bere dall’amaro calice. Credo che un colpo di reni che metta il Paese di fronte allo stato delle cose, si possa fare. Sarebbe salutare: ove Monti fosse mandato a casa potrà dire di averci provato nell’interesse del Paese.

  6. Edo

    E’ difficile pensare a un’inversione di tendenza senza un’azione decisa di POLITICA tout court, quella ormai scomparsa e di cui si attende con ansia il ritorno in questo disgraziato Paese.

  7. mauro caprara

    Riepilogando tutti gli elementi di confronto le analogie tra la la crisi del 29 e del 2007, a parità di mesi dal picco sia la disoccupazione che la riduzione della produzione industriale sono quasi confrontabili, , la perdita cumulata di PIL Italiano dal 2007 è maggiore. Le cose come si combinano? Il sospetto fort è che il PIL sia sostenuto dal Debito Pubblico accumulato per finanziare i deficit di bilancio negli anni derivanti dalla “voluminosa” attività economica pubblica (Appalti pubblici, Sanità, finanziamenti a pioggia vari etc..) e all’altrettanto voluminosa attività finanziaria del settore bancario (emissione di mutui a ruota libera, operazioni sui derivati sia del settore privato che pubblico) : una divaricazione tra economia reale e nominale. La politica industriale in questi anni è stata quella delle svalutazioni, della delocalizzazione e delle privatizzazioni delle infrastrutture causando l’inarrestabile sgretolamento della grande industria, la fragilità dei distretti industriali di fronte alla crisi, la perdita di Know How per l’emorragia di risorse a scapito della ricerca che hanno minato la capacità di produrre e distribuire ricchezza nel Paese.

  8. Alessio Liquori

    Aggiungo ai dubbi sulla metodologia statistica già espressi in un commento precedente anche la considerazione che la crisi del ’29 è stata anticipata di due anni in Italia. Nel 1927 la decisione di rivalutare la lira a “quota 90” provocò una fase recessiva anticipata rispetto all’ottobre ’29. Il “picco” pre-crisi utilizzato per misurare l’andamento del PIL italiano nei primi anni ’30 (ultimo grafico) potrebbe essere poco significativo.

  9. adreag.

    I dati non sono confrontabili direttamente, anche perchè il mercato finanziario degli anni 30 non è quello degli anni 90 e primo decennio 2000. Inoltre manca un confronto dei tassi di disoccupazione, inflazione, andamento valute e domanda interna che sarebbero le proxi migliori per desumere le dinamiche della ricchiezza privata di questi paesi. Ma stiamo confrontando dati vecchi di 80 anni con situazioni molto più recenti e non mi sorprende che la crisi finanziaria giapponese non abbia tarpato le ali alla produzione industriale, essendo quello un paese fortemente esportatore, mentre l’Italia lo è ma in minore misura, e ha un tessuto sociale fatto di piccole e micro imprese.

  10. nicola

    Trovo disarmante che ad oggi 06/06/2012 non si sappia quante imposte versare sul reddito del 2011, che scadono il 16/06/2011 (tra 9 giorni) perchè mancano ancora dispositivi ministeriali come aggiornamenti/integrazioni delle istruzioni e programmi di calcolo; non solo, non si sa se concederanno una proroga o andremo tutti in sanzione per ritardato versamento. Nel commissariamento italiano, una delle scelte più utili ed a maggior impatto mediatico sarebbe quella di mandare a casa il plotone di dirigenze preposte a questa attività perchè, far slittare il versamento delle imposte da un mese all’altro influisce sui fabbisogni di cassa, crea smarimento e disagio a chi le imposte le deve versare.

  11. Aleversilia

    Gli Italiani devono ritorvare una classe politica che dica la verità: oggi gli italiani sono un paese povero! Da qui potremo, come hanno fatto i nostri nonni ed i nostri padri, rimboccarci le maniche ripartire, perchè l’Italiano è una persona creativa ed ingegnosa che nelle difficoltà estreme da il meglio di se stesso.

  12. Giovanni Bassini

    Gli unici interventi possibili in considerazione dei vincoli strettissimi di bilancio sono: annullamento di ogni forma di privilegio; tagliare le unghie alla corruzione; eliminare i conflitti di interesse; ripristinare la meritocrazia e agevolare le imprese che producono reddito e occupazione. Monti su questi fronti ha iniziato e poi immediatamente interrotto il cammino. Per poter perseguire questi obiettivi però è indispensabile il cambio della classe politica e dirigenziale, anche attraverso una loro drastica riduzione: di solito occorre qualche generazione, e il cambiamento passa attraverso eventi dolorosi. In Italia per fortuna esiste ancora tanta gente laboriosa, onesta e che saggiamente fa affidamento alla Provvidenza di Dio più che ai politici.

  13. Spalletti Duilio

    Il termine di confronto dell’attuale crisi con la grande depressione e il Giappone inizio anni ’90 aiuta per dare una dimensione. I grafici, al di fuori della reale entità economica dei Paesi, hanno un andamento verso il basso che mette paura e sembrano una fotocopia della storia di un disastro. La possibilità di uscire da questa buca non credo che possa però rifarsi a soluzioni del passato e ritengo che il margine di ripresa per una economia come la nostra che non ha mai avuto la possibilità di fuggire dal ricatto dell’illegalità abbia più riserve per crescere degli Stati Uniti e del Giappone presi come esempio. Una fonte di progresso potrebbero essere i ricambi generazionali nei luoghi di lavoro per favorire attività che fanno infrastruttura come l’agricoltura, le comunicazioni, la Pubblica Amministrazione e trovare accordi condivisi per una società più solidale ed unita da intenti comuni. Non credo che la domanda e l’offerta del libero mercato vadano incontro ai bisogni reali delle popolazioni, è subentrata una certa stanchezza dei consumi imposti dalla produzione che non vedo come una cattiva notizia.

  14. Anonimo

    Le economie pubbliche di mercato sono casuali in termini di raggiungimento degli equilibri temporali di bilancio tale per cui un’intervento pubblico è a garanzia delle eque distribuzioni di ricchezze in alternativa concorrenziale con le attività produttive private delle società market-intensive e delle competizioni imperfette in termini di boom-makers, la speculazione dell’arbitraggio.

  15. Vittime della P2

    Bisogna ricordare quanta influenza ha l’illegalità nel nostro sistema economico, poichè ad ogni difficoltà che si rileva a livello internazionale, il nostro sistema economico riesce ad amplificare i problemi grazie all’economia sommersa o illecita che prospera tranquillamente nel nostro paese.

  16. Di Fabrizio Aldo

    Vorrei solo chiedere conferma del fatto che il Dow Jones del periodo 1920-1930 si sovrappone o quasi a quello del periodo 1990-2000 evidenziando alcune cause simili nei due periodo (poca cooperazione tra le banche sotto l’aspetto regolatorio).

  17. illuminante

    La crisi economica attuale è generata da vari fattori: ricchezza illusoria basata sulla carta moneta, diminuzione della popolazione nelle nazioni attualmente più ricche, sistemi produttivi non più competitivi, tassazione eccessiva e discriminatoria, sistemi amministrativi pubblici troppo costosi e inefficenti, sistemi sociali troppo corporativi che creano troppe inefficenze al sistema delle imprese, diseguaglianze e marginalizzazione dei soggetti non appartenenti alle categorie più protette

  18. Piero

    Anche oggi Prodi afferma che dobbiamo cedere l’oro e le nostre imprese pubbliche in cambio degli eurobond, penso che lui parla del suo oro e delle sue partecipazioni alle imprese pubbliche, non può gestire l’oro di noi italiani, gli ricordiamo che nel 20 secolo l’Italia ha partecipato a due guerre mondiali, potrà disporre del tesoro dell’Italia solo chi viene eletto dal popolo con un chiaro programma sulle scelte future dell’Italia.

  19. marco

    Con l’introduzione dell’euro l’italia in pratica si è dotata di una valuta forte quasi come il marco tedesco pur avedo una economia e sopratutto un sistema stato molto più debole rispetto ai paesi del nord-europa. Il tasso di cambio ha spezzato la nostra economia riducendo drasticamente i consumi interni-Tolto il trucchetto della moneta debole tanto caro ai cinesi, che,a differenza nostra non sono masochisti, sono venute a galla tutte le debolezze del nostro sistema-Tutti dicono che bisogna fare le riforme strutturali-ovvio! Però andavano fatte quando ancora eravamo protetti da una monetà debole e avevamo una sovranità monetaria- Una volta che avremo perso una buona fetta della nostra industria manifatturiera sbaragliata dalla concorrenza internazionale e dall’inefficienza del nostro Stato ottocentesco e saremo tutti più poveri senza avere trasferimenti di fondi dalla Germania e dai paesi europei (l’Italia adesso versa all’UE più di quanto gli ritorni indietro) qualcuno mi sa dire che cosa ci avremo guadagnato? Bisogna ritornare a una moneta più debole rilanciare l’economia fare le riforme strutturali eliminare il debito e poi semmai tornare nell’euro pur rimanrndo in Europa…

  20. Farabuto

    Personalmente credo che l’Italia ce la farà. L’euro è stato, è attualmente e lo sarà in futuro un vantaggio inestimabile anche per il nostro paese, forse soprattutto per esso. L’euro ci ha salvati dal debito in lire negli anni 90′, l’euro ha obbligato le aziende italiane ad innovare per rimanere competitive (senza far ricorso alla svalutazione della moneta), l’euro e l’Unione Europea ci permetterà di essere protagonisti ancora per il futuro. Gli ostacoli si chiamano, corruzione e classe dirigente inadeguata, le soluzioni il senso civico ed il potere democratico delle urne. Viva l’Italia!

  21. Matteo

    Se l’UE decidesse domani di svalutare l’euro quali effetti positivi e negativi si avrebbero sugli stati membri? l’Italia nel recente passato é riuscita a restare competitiva nella produzione industriale meglio di altri stati europei grazie a questa leva, non potrebbe essere una ricetta da applicare a tutta l’area Euro (chiaramente affiancandola al risanamento dei conti pubblici, etc.)?

  22. Luigi Barretta

    I dati sono sconfortanti e si spiegano con una parola: produttività. La produttività del lavoro dipende dall’intensità di capitale e dall’efficienza dei processi produttivi. Il settore privato ha visto un calo degli investimenti, giustificato da alti tassi di interesse e scarsità di credito, pressione fiscale elevata, incertezza normativa, giustizia civile inaffidabile e Stato pessimo pagatore, che in parte è stato compensato da un forte iniezione di innovazione di processo e di prodotto. Il settore pubblico ha visto un calo degli investimenti pubblici a causa della necessità di mantenere un surplus primario dei conti pubblici in assenza di volontà politica di comprimere le spese per il personale. Il fallimento del governo Monti consiste nel non aver utilizzato l’arma della fiducia per aggredire il corpus normativo che garantisce totale impossibilità di riformare, con logica privatistica, la Pubblica Amministrazione. Nel privato l’efficienza si misura con il profitto e con gli SLA (service level agreement), nella PA con gli SLA ed il tempo. Rendere efficiente la PA, abbattendone drasticamente il costo, è l’unica via per recuperare produttività e salvare l’Italia e l’Euro

  23. Piero

    Oggi Monti ha toccato il fondo, per sistemare i debiti degli Italani, vende le proprietà dello stato, ferrovie, Rai, ENI ecc; certo che svendere ai tedeschi i nostri gioielli e’ una proficua politica.

  24. Luca

    Che effetto avrebbe chiedere ai lavoratori, a tutti indistintamente, di lavorare di più (es. un’ora in più al giorno per 2 anni) a parità di stipendio ma con l’obbligo per le aziende private di reinvestire il reddito prodotto e per il settore pubblico di abbattere il debito? Laddove esiste un esubero di dipendenti della Pubblica amministrazione, perchè non destinarli al settore privato, che paga loro lo stipendio per metà (l’altra metà lo integra lo stato, con garanzia sulla conservazione del posto). Dove sbaglio? grazie

  25. Piero

    Oggi Monti afferma che la crisi ha origini fuori dall’europa, in questo modo cerca di evitare che crescano i critici della moneta unica così come regolamentata, la realtà è ben diversa da ciò che afferma Monti, oggi se i paesi ad eccezione della Germania potessero tornare indietro rimarrebbero tutti fuori dall’euro come l’Inghilterra, ma purtroppo dopo che sono entrati diventa difficile uscirne, non per le difficoltà, ma solo per la paura che non sanno ciò che può accadere.

  26. francesco burco

    Peccato, l’euro e un pò di sovranità in comune con il nord europa ci avrebbe fatto bene, quanto abbiamo buttato negli ultimi 10 anni. Il nostro destino non può tornare a oscillare fra il default , l’inflazione al 20% per colpa di una classe dirigente vecchia e drogata di spesa pubblica, relazioni, voto di scambio e tasse, ecc.

  27. Piero

    Lo ripeto da mesi, tutti i commentatori sia politici che economici hanno inquadrato il problema, la mancanza di fiducia nel debito statale ha provocato tale crisi, la mancanza di fiducia deriva dalla privazione degli stati dello strumento della politica monetaria conseguente all’adozione dell’euro, alcuni paesi hanno avuto grandi vantaggi come la Germania che e’ riuscita a finanziarsi anche i costi della riunificazione, ai vantaggi della Germania devono corrispondere gli svantaggi degli altri paesi ( se c’ e’ un creditore vi deve essere un debitore). Solo decisioni europee risolvono la crisi, all’Italia non rimane che l’unica via d’uscita di abbandonare l’euro se non vengono presi gli opportuni provvedimenti in sede europea. La Fed ha rinnovato il qe, potrebbe farlo anche la Bce, sarebbe un segnale forte ai mercati ( acquistare i titoli a lungo termine degli stati sui mercati, naturalmente proquota di tutti gli stati, deve essere una politica non di salvataggio di un paese, ma una politica monetaria europea), che di fatto farebbe cessare la speculazione e darebbe fiato ai governi per prendere misure piu’ idonee: golden rule, eurobond, Unione fiscale, ecc.

  28. Ruggero di Gennaro

    L’eccessiva tassazione dei redditi sulle attività economiche non stimola le imprese a investire e produrre di più e a crescere. Anzi spinge le imprese a “studiare” come fare per pagare il meno possibile di tasse districandosi nella giungla della normativa fiscale ogni giorno più complessa e che lascia le imprese sempre sotto la spada di Damocle di pesanti sanzioni e accertamenti fiscali a volte non proprio corretti. Se si potesse dare alle imprese una sicurezza in più e consentire loro una programmazione fiscale certa, si riuscirebbe a incentivare e spingere di più la produzione. In Italia abbiamo uno strumento fiscale, gli studi di settore, che per quanto discutibili perchè si basano su presunzioni, potrebbero assolvere a questo compito. Il senso degli studi di settore è questo: se l’impresa dichiara “minimo” il reddito risultante dall’applicazione dei parametri e viene considerata “congrua”. La mia proposta è: l’impresa dichiari il reddito degli studi di settore e sul di più non paga imposte. In sostanza chi dichiara il reddito degli studi di settore si mette al riparo da ogni accertamento e tutto il reddito prodotto in più è esentasse. Si stimolerebbero investimenti e crescita.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén