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VERSO UN NUOVO DUALISMO: PRIVATI CONTRO PUBBLICI

Il principale difetto della riforma Brunetta era il rilievo assoluto dato alla valutazione individuale, con fasce di valutazione definite per legge e deresponsabilizzazione della dirigenza. Il ministro Patroni Griffi rinnega quella proposta, ma sembra voler distanziare quanto più possibile il pubblico impiego dalla nuova normativa del settore privato, per esempio nella disciplina dei licenziamenti. Un impiego pubblico più efficiente deve invece basarsi su un sistema premiale, con obiettivi chiari e misurabili, nel quale ciascuno si assume le proprie responsabilità. A partire dal ministro.

Mentre la Commissione lavoro del Senato sta disfacendo e rifacendo la riforma Fornero, rimediando a diverse storture e contraddizioni del disegno di legge presentato dal governo, il ministro della Funzione pubblica cerca di distanziare il più possibile il pubblico impiego dalla nuova normativa del settore privato. E rinnega la proposta di riforma Brunetta, alla cui stesura, tra l’altro, aveva partecipato direttamente. Al contrario di altri commentatori non siamo affatto nostalgici della riforma Brunetta e riteniamo che il sistema più efficiente per il pubblico impiego debba basarsi su misure premiali che guardino contemporaneamente ai singoli e alle amministrazioni, mentre la proposta di Filippo Patroni Griffi pare ignorare gli incentivi individuali. Ma ci piace ancora meno la strada intrapresa dal titolare di corso Vittorio Emanuele soprattutto per quanto riguarda la disciplina dei licenziamenti. Tuttavia, riteniamo che il tentativo di “deligiferare” proposto da Patroni Griffi sia da incoraggiare.

PERCHÉ È GIUSTO ABBANDONARE L’IMPOSTAZIONE DELLA PROPOSTA BRUNETTA

Nella proposta Brunetta la valutazione individuale ha un ruolo di assoluto primo piano e le fasce di valutazione definite per legge irrigidiscono i sistemi, deresponsabilizzando la dirigenza. Questo è il problema più grande perché i dirigenti sono gli unici che davvero “osservano” la performance dei singoli lavoratori. I dirigenti hanno tutte le possibilità per capire chi – nei loro uffici – davvero lavora e chi invece tende a fingere di farlo.
Il punto più debole della riforma è proprio nella deresponsabilizzazione di politici e dirigenti pubblici, trasformati in esecutori di decisioni prese da presunte autorità indipendenti o tribunali.
Come datori di lavoro, il governo e il ministro della Funzione pubblica devono, invece, prendersi le loro responsabilità. Determinino loro, sulla carta rappresentanti di interessi generali, gli obiettivi delle amministrazioni e ne rispondano davanti agli elettori. Non deleghino ad altri (soprattutto a chi deve essere valutato) queste decisioni.
Per le amministrazioni che sono in rapporto diretto con i cittadini è possibile definire obiettivi misurabili su grandezze che sono sotto il controllo della Pa. Ad esempio, possono essere stabiliti in termini di presenza sul territorio della pubblica sicurezza. In altri casi, l’impegno profuso dalle singole amministrazioni è meno visibile ai cittadini. Ma non per questo non si possono definire indicatori (ad esempio l’Agenzia delle entrate di Trento utilizza il numero di controlli operati, pesati in base allo sforzo richiesto per queste operazioni) e rendere di pubblico dominio i risultati raggiunti dalle singole amministrazioni.

LA RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI E I PREMI A CASCATA

Se si riesce a misurare in qualche modo la produzione di ciascuna amministrazione (non è invece necessario misurare l’output del singolo dipendente), si può poi generare un meccanismo di incentivi piramidali. Al livello più elevato della piramide, saranno le singole amministrazioni, e non i singoli lavoratori, a essere premiate nel caso di raggiungimento degli obiettivi. Se l’amministrazione non raggiungerà i propri obiettivi, non dovrà essere concesso alcun premio ad alcun membro di quella amministrazione.
Se non si accetta il principio che al livello più elevato della piramide vanno premiate le amministrazioni, si rischia, come nella riforma Brunetta, di attribuire i premi anche alle amministrazioni inefficienti. Facciamo l’esempio di due anagrafi con standard qualitativi molto diversi. Nel caso della riforma Brunetta, le due amministrazioni avrebbero la stessa quota di dipendenti premiati e anche lo stesso ammontare di premio. Nel nostro caso si premierebbe invece solo l’amministrazione efficiente,
Se i premi sono definiti a livello di singola amministrazione, potranno anche essere non monetari. Spesso i premi che stimolano di più il gioco di squadra all’interno dell’amministrazione sono in natura anziché in termini stipendiali. Ad esempio nella scuola i premi più ambiti sono quelli in termini di materiale didattico, attrezzature, oppure in un ospedale è la possibilità di aprire un asilo nido per i figli dei dipendenti.

DALLE AMMINISTRAZIONI ALLE PERSONE: PREMI A DIRIGENTI E DIPENDENTI

Incentivi per i singoli potranno anche essere definiti in termini di carriere, dato che i posti pubblici durano a lungo. Più che imporre regole rigide per la distribuzione dei premi ai singoli, bene fissare regole rigide per gli avanzamenti di carriera che impediscano le promozioni generalizzate.
Le amministrazioni premiate avranno automaticamente un premio per il dirigente apicale, la persona che in prima istanza è responsabile dell’operato della singola amministrazione e dei suoi dipendenti. Se l’amministrazione e il dirigente saranno premiati, si procederà ai livelli inferiori della piramide.
In questo sistema, il dirigente locale avrà tutti gli incentivi per valutare i suoi collaboratori in varia dimensione, anche prefigurando i loro potenziali avanzamenti di carriera. Dal modo con cui riesce a farlo e a giustificarlo agli occhi di tutti gli interessati, dipenderanno le motivazioni e la coesione del gruppo, dunque i risultati dell’unità che dirige, di cui sarà direttamente responsabile. Insomma non creiamo nuova burocrazia e, soprattutto, ciascun dirigente si prenda le sue responsabilità. A partire dal ministro competente..

EVITARE UN NUOVO DUALISMO

Abbiamo già scritto che non siamo d’accordo con la riforma dell’articolo 18 contenuta nel disegno di legge Fornero. È una proposta confusa, che non riduce incertezza procedurale delle imprese e che trasmette ansia ai lavoratori di un paese già depresso. Tuttavia, non ha senso creare un ulteriore dualismo in Italia: allo storico dualismo Nord-Sud, si è già aggiunto nel mercato del lavoro  un lacerante dualismo precari-non precari. Non c’è davvero bisogno di aumentare ulteriormente la distanza fra pubblico impiego e lavoro privato alle dipendenze. Se il governo, come datore di lavoro, non è in grado di applicare a se stesso le norme che impone agli altri datori di lavoro, bene che riveda la riforma nel passaggio parlamentare, rendendola applicabile anche ai suoi dipendenti.

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IL PAESE DI POLLICINO

15 commenti

  1. serlio

    Mi chiedo da tempo come mai, anzichè introdurre sanzioni per chi non fa il proprio lavoro come deve o dovrebbe, nel pubblico impiego si premia chi vi è tenuto in forza di un contratto d’assunzione. Già nel pubblico impiego è impossibile licenziare qualcuno, se poi si premia chi fa semplicemente quello che sarebbe il suo dovere fare, beh allora è facile indicare come questa sia il vaso di Pandora di tutti i mali d’Italia. Altro che evasione fiscale, il vero cancro di questo paese è la pubblica ammnistrazione, scadente, autorefenziale, pletorica etc etc.

  2. cosimo benini

    Non è possibile separare l’aspetto del miglior impiego delle risorse umane, dalla rimodulazione delle missioni del settore pubblico e va superata, lo dico da dipendente e da ex sindacalista, la rigidità organizzativa, anche in un’ottica di accorpamento per missioni di amministrazioni diverse, anche attraverso una standardizzazione contrattuale sotto il duplice profilo giuridico ed economico, attraverso la riforma del sistema di formazione, per accorpamento delle varie SSPA, FORMEZ; SSEF ecc. In termini logici prima lo Stato ridefinisce le sue missioni, poi plasma la struttura della PA su di esse e non viceversa.

  3. s.simili

    Da dirigente di una amministrazione pubblica condivido pienamente quanto proposto nell’articolo in merito alle modalità di valutazione ed alla necessità di una assunzione di responsabilità da parte della dirigenza pubblica nell’ambito di un sistema premiale che tenga insieme il collettivo ( a partire dalla Sede e da ciascuna area manageriale ) ed i singoli che contribuiscono a creare il valore del collettivo in base alle loro caratteristiche individuali che in quanto tali vanno considerate e valutate. Varrebbe forse la pena di capire meglio se la dirigenza pubblica ha le capacità e soprattutto la volontà di farlo e, se così non fosse, individuare il percorso con cui attrezzarla a costruirle. Sul dualismo pubblico/privato val la pena di ricordare che esiste un sistema di regole e sanzioni, che in teoria nella PA il licenziamento sarebbe previsto, laddove opportuno ( in alcuni Istituti la riduzione di personale è stata vera e pesante, non dimentichiamolo): varrebbe quindi la pena di approfondire le ragioni per cui quel sistema è inapplicato. E provare a rimuoverle: ma davvero e non solo sulla carta.

  4. vittorio Campanelli

    Per quello che ho studiato e vissuto, il funzionario pubblico ha una missione, un carico di responsabilità definite e sottoposte a controllo, verso il Bene Comune, che lo distinguono dall’operatore privato. Per assolvere queste missioni e responsabilità, il funzionario necessita di condizioni e mezzi adeguati. Egli deve garantire competenza, indipendenza, etica, dignità. Indebolire il funzionario equivale ad indebolire lo Stato che allora sarà sempre meno in grado a svolgere la funzione di garanzia e di controllo al servizio dei cittadini. Vanno rafforzate la selezione, l’efficienza e la valutazione. Ottimo l’orientamento del Ministro di una valutazione dell’intero comparto, e non del singolo funzionario.

  5. marco

    Dilettanti allo sbaraglio, finti perfezionisti e cattedratici sostituiscono nani e avanspettacolo ma le voce dei pasticci combinati continuano ad arrivare alle orecchie e alle tavole degli italiani.
    Sono mesi che tutti dicono, persino le pietre, che servono esempi e che i poltici devono mostrare la via tagliandosi i privilegi e adesso scopriamo che anche i presunti tecnici, presunti perchè erano già presenti nelle seconde linee dei governi precedenti, sono dei trasformisti che difendono nascostamente i propri interessi che vengono anteposti al bene comune! E che dire del superministro esperto di lavoro che fa una riforma che ha come scopo quello di ridurre i dualismi e la rigidità del mercato del lavoro e poi nei fatti rischia di ottenenere il risultato opposto, che dice che bisogna fare presto e poi spreca mesi sull’unica cosa inutile ovvero l’articolo 18!
    Ma è così difficile fare leggi di buon senso e apprezzate come quelle proposte dal prof. Boeri?

  6. LUCA

    Il riconoscimento di premi per le amministrazioni efficienti va incontro ad un problema sostanziale: le crescenti difficoltà economiche e la necessità di un contenimento della spesa pubblica. Da cittadino, tenuto conto che in italia vi è quasi il 40 per cento di giovani disoccupati, trovo invece giustissimo il licenziamento. I servizi che fa striscia la notizia sono da schiaffo morale e le persone scoperte andrebbero licenziate in tronco, altro che giudizio (decennale) di accertamento per truffa ai danni dello stato. Ho di recente letto (se non erro sul fatto quotidiano o su Il sole 24 ore) di un dipendente della P.A. di bologna che ha denunciato l’inefficienza dei suoi colleghi 2 di questi sono stati promossi, e lui si è ritrovato vittima di mobbing e di sanzioni disciplinari. E’ questo sistema che del resto blocca da anni le assunzioni nel settore pubblico. L’unico concorso di recente che ha messo in ballo qualche posto (200 all’agenzia delle entrate) ha visto qualcosa come 30.000 giovani partecipanti. Il licenziamento in tronco è l’unica soluzione.

  7. Marinella Giovine

    Mi rendo conto di non dire niente di nuovo, e condivido il “premio alla struttura” e non ai singoli dipendenti, ma resta il problema della “qualità ” della dirigenza. Nella mia esperienza di dirigente in un ente pubblico di ricerca, mi sono resa conto di quanto sia “trainante” per chi lavora in un team (area, ufficio, divisione ecc…) avere la percezione di far parte di un gruppo efficiente e che realizza prodotti apprezzati. Ma ho anche constatato quanta arbitrarietà (per non dire altrimenti) vi sia nel nominare i dirigenti, nel revocarli in caso di incapacità, ed in generale nel valutare il loro operato, Purtroppo, e da persona di “sinistra” me ne dolgo, devo anche dire che i sindacati (tutti) certo non agevolano i meccanismi di valutazione “seria” , sempre muovendosi nell’ottica del “meglio poco ma per tutti” e mai permettendo le eventuali necessarie retrocessioni.

  8. Gianfranco Berardi

    Forse un modo per agevolare il superamento di un dannoso quanto insensato dualismo tra lavoro pubblico e lavoro privato, che va a svantaggio degli stessi dipendenti pubblici (efficienti), potrebbe essere quello di unificare le competenze in materia di lavoro in un solo ministero. Che senso ha avere due ministri per una materia che si è voluto giustamente unificare sin dal 1993? Che resti pure il ministero della funzione pubblica ma la materia del pubblico impiego rientri nelle competenze del ministero del lavoro.

  9. Alfonso Fumagalli

    Cambiare sistema premiante dopo pochi anni è gestionalmente sbagliato: è la solita incertezza giuridica che tiene lontano gli investimenti e rende poco efficiente l’Italia. Il nuovo metodo mi ricorda il 18 politico di triste e terroristica memoria. Che ci dovrebbe essere una lotta di classe fra lavoratori “privati” e pubblici è correttissimo, ma è vero da tempo. I primi lavorano, producono, si sporcano le mani, sono esposti alla concorrenza mondiale, rischiano posto e stipendi. I secondi lavorano (poco) se vogliono, si occupano in genere di piacevoli lavori in uffici, hanno posto e stipendio assicurati, campano sui primi

  10. luca borile

    Invito i due insigni autori a leggersi l’articolo di Stefano Sepe pubblicata sul Sole 24 ore di oggi; dal braccio di ferro cultural-contenutistico apertosi tra l’ex ministro Brunetta e il fronte sindacale leggibile sui maggiori quotidiani sul divenire delle riforme, appare non partigiana e sicuramente pregnante.Tra l’altro per non avvitarsi su inutili questioni che in economia di fatto possono essere sintetizzati con la famosa espressione “la coperta è corta” perchè nessuno può seriamente pensare che una tripartizione delle fasce, in cui valorizzare un 25% ne aumenti la produttività di un delta che va probabilmente sottratto al delta di gap creato da (gran) parte del 50% che si ritenga ingiustamente privato di maggiori premi (e dato che errare umanum est potrebbe anche essere) edal delta del 25% di persone che tolti casi singoli si riterrebbero inseriti in una offensivo-delatoria lista di “proscrizione”, suggerirei una ulteriore lettura.Occorre dare fiducia ad un sistema che a torto o ragione sconta problemi storici a cui non può essere dato un taglio netto, tanto più in un’ottica di allungamento dei termini di pensionamento. Occorre non inserire principi pseudo efficientist

  11. Paolo Pedaletti

    Se a giudicare i dipendenti sono questo tipo di dirigenti, non c’e’ scampo. In quella situazione e’ facile essere messi in condizioni di non poter svolgere il proprio lavoro, e quindi di non raggiungere gli “standard”. I giudici devono essere esterni, e competenti in materia.

  12. HK

    Per informazione, il piccolo stato di Slovenia (confinante a nord est con l’Italia) ha deciso il taglio degli stipendi pubblici dell’ 8%. Forse qualche riflessione la può suggerire…

  13. marco

    Le proposte di eliminare premi e avanzamenti ai bravi individualmente riservandoli soltanto agli uffici e ai settori forse ha qualche giustificazione, ma nell’insieme ricorda tanto quelle posizioni sindacali degli anni 70 che imposero premi alle squadre e non agli individui, con i meno virtuosi che avrebbero dovuto essere stimolati dai colleghi… La verità e che i sindacati hanno via via imposto un sostanziale appiattimento delle retribuzioni, indipendentemente dall’impegno dei singoli e questo ha disincentivato tutti. Siamo scivolati nella logica sovietica e ne stiamo pagando le conseguenze, compresi bassi salari. Meglio Brunetta.

  14. Salvatore Cantaro

    Dati i criteri con i quali i dirigenti pubblici sono selezionati, non è raro che una struttura pubblica funzioni bene “nonostante” la presenza di quel dirigente, grazie alla probità, all’orgoglio professionale ed allo spirito di servizio di alcuni impiegati con compiti non direttivi. Un sistema premiale che valuti in prima istanza i risultati dell’ufficio nel suo complesso (il dirigente) e solo in seconda istanza i risultati dei singoli impiegati, rischia di riprodurre in loco lo stesso difetto di selezione che ha portato in posizione apicale il dirigente inadeguato, e perderebbe di premiare quegli “eroi civili” di cui il pubblico impiego è ricco, che talora consentono alle strutture pubbliche di svolgere un buon servizio “nonostante tutto”.

  15. Alfonso Fumagalli

    Non credo che esistano soluzioni. Noi Italiani siamo abituati a farci comandare o dal Principe o dal Vescovo o dal burocrate. Non è interesse del burocrate sia funzionario sia giudice essere obbligato a funzionare. Il politico è “bravo” perchè riesce a sfruttare la situazione.

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