Lavoce.info

A CHI FA BENE LA FRUTTA A SCUOLA

“Frutta nelle scuole” è una campagna promossa dall’Unione Europea per favorire una corretta alimentazione. Costa oltre 16 milioni di euro all’anno e coinvolge più di 5mila scuole primarie italiane. Ma mangiare più frutta non basta per combattere l’obesità nei bambini se contemporaneamente non diminuisce il consumo di cibo spazzatura. E secondo uno studio, gli acquisti di merendine e patatine sono scesi solo nella parte di popolazione che è già meno esposta ai problemi di obesità e sovrappeso, mentre sono rimasti invariati per il gruppo a maggiore rischio.

L’obesità e le patologie che derivano da una cattiva alimentazione interessano quote crescenti della popolazione di molti paesi industrializzati. In Italia, che pur presenta una situazione migliore rispetto all’America e ad altri paesi del Nord Europa, incominciano a manifestarsi segnali preoccupanti: negli ultimi dieci anni la percentuale di obesi tra i bambini è cresciuta dal 9 al 12,5 per cento e nel 2002 circa un bambino su quattro risultava sovrappeso secondo dati dell’Istituto superiore di sanità.

LA CAMPAGNA DI INFORMAZIONE

Politiche che combattono l’obesità includono l’introduzione di una tassa sui prodotti ipercalorici. In un recente articolo sul lavoce.info, Nerina Dirindin, Elenka Brenna e Cinzia Di Novi descrivono la diffusione di questo tipo di tassazione in diversi paesi occidentali ed esaminano i suoi incerti effetti attesi. Altre politiche puntano sull’informazione e sull’educazione alimentare dei consumatori. Un esempio particolarmente rilevante è la campagna “Frutta nelle scuole”, sponsorizzata dall’Unione Europea a partire dal 2007.
Si tratta di una campagna finanziata con risorse pubbliche, in parte nazionali e in parte comunitarie. Per l’anno scolastico 2012-2013, le risorse disponibili ammontano a circa 16 milioni di euro, di cui 9,5 di fonte comunitaria e il resto di fonte nazionale. (1) La campagna è stata condotta in Italia per la prima volta nella primavera del 2010 (con il coordinamento del ministero delle Politiche agricole e del ministero dell’Istruzione) e ha coinvolto circa 5mila scuole primarie. Combina la distribuzione di frutta e verdura agli studenti con attività formative tese a offrire informazioni sulle buone abitudini alimentari.
Alcuni studi hanno esaminato l’impatto di queste campagne sul consumo di frutta e verdura. Nulla si sa, invece, sul possibile impatto sul consumo dei cibi spazzatura, che include le merendine ad alto contenuto calorico. Questo tipo di consumo è molto cresciuto nel tempo e oggi riveste un ruolo centrale nella dieta dei bambini, con conseguenze negative per la salute. (2) È chiaro che un aumento del consumo di frutta e verdura non basta a combattere i problemi di sovrappeso e obesità se non è accompagnato da una riduzione del consumo dei cibi spazzatura.

L’EFFETTO SULLE VENDITE DI MERENDINE

Abbiamo cercato di valutare gli effetti della campagna sul consumo di cibo spazzatura utilizzando i dati sulle vendite giornaliere di merendine (esclusivamente quelle ad alto contenuto calorico) e patatine di alcuni supermercati che hanno sede nella città di Roma. (3)
L’idea è che, se la campagna funziona, si dovrebbero vedere effetti sulle vendite di questi prodotti nei supermercati localizzati vicino alle scuole che hanno partecipato alla campagna. A Roma nel 2010, erano coinvolte nella campagna “Frutta nelle Scuole” 100 scuole primarie su 579; il numero è salito a 170 nel 2011, con 72 scuole coinvolte in entrambi gli anni.
Abbiamo diviso i supermercati in due gruppi, un “gruppo di trattamento” più esposto e un “gruppo di controllo” meno o per nulla esposto agli effetti della campagna e abbiamo confrontato le vendite giornaliere di merendine e patatine dei due gruppi prima e dopo la campagna educativa. Non essendoci un modo inequivocabile di distinguere i supermercati le cui vendite dovrebbero essere maggiormente influenzate dalla campagna educativa da quelli meno influenzati, abbiamo usato come criterio di allocazione dei supermercati al trattamento e al controllo la distanza dalle scuole che hanno partecipato alla campagna. Abbiamo quindi considerato come “trattati” quei supermercati che si trovano entro un raggio di 500 metri dalle scuole coinvolte nel programma e come supermercati di “controllo” quelli che si collocano al di fuori di questo raggio. Le ipotesi richieste perché questa strategia di valutazione funzioni sono:
1) che le famiglie iscrivano prevalentemente i loro figli nelle scuole primarie che si trovano nella loro area di residenza;
2) che le stesse famiglie facciano la spesa di beni alimentari prevalentemente nella stessa area.
Troviamo che l’impatto della campagna sul consumo di cibo spazzatura varia con le caratteristiche del supermercato (regolare o discount) e del quartiere in cui si colloca la scuola trattata (con prezzi delle case maggiore oppure inferiore al prezzo mediano della città di Roma).
In particolare, la campagna è stata efficace nel ridurre il consumo di merendine e patatine solo nei supermercati trattati che si trovano nelle aree più ricche della città. Lì, il consumo dei prodotti di interesse è sceso del 12 per cento rispetto al consumo nei supermercati di controllo. La campagna non ha invece avuto alcun effetto (statisticamente) significativo quando confrontiamo supermercati trattati e di controllo localizzati nelle aree più povere della città.
Risultati simili emergono quando distinguiamo tra supermercati regolari e discount. Le vendite di patatine e merendine sono diminuite a seguito dalla campagna nei primi, non nei secondi. Allo stesso modo, la riduzione delle vendite ha riguardato soprattutto i prodotti commercializzati da marchi nazionali ben conosciuti (tipicamente acquistati da consumatori più ricchi), mentre non sono state riscontrate riduzioni significative nelle vendite dei prodotti commercializzati da sotto-marchi o marchi locali.
Poiché l’obesità è correlata negativamente con il livello di istruzione, che a sua volta è correlato positivamente con il reddito, sembrerebbe che la campagna “Frutta nelle scuole” abbia contribuito a ridurre i consumi di cibo spazzatura in quella parte della popolazione che è meno esposta ai problemi di obesità e sovrappeso, ma sia stata inefficace per il gruppo di consumatori a maggiore rischio. Si tratta di un risultato preoccupante, visto che la campagna costa più di 16 milioni di euro all’anno. È probabile che il risultato dipenda dal fatto che la capacità di recepire e utilizzare adeguatamente le informazioni fornite da campagne come “Frutta nelle scuole” vari con il livello di istruzione dei consumatori, e che politiche di più lungo periodo, che accrescano il livello di istruzione della popolazione, abbiano maggiori possibilità di incidere sulle abitudini di consumo e quindi su obesità e sovrappeso.

(1) Per ulteriori dettagli si veda il sito www.fruttanellescuole.gov.it.
(2) Uno studio di Piernas e Popkin, 2010, ad esempio, mostra che più del 27 per cento delle calorie assunte dai bambini americani deriva dal consumo di snack ricchi di zuccheri e grassi saturi, un fenomeno diffuso anche in Europa.
(3) Si veda Giorgio Brunello, Maria De Paola e Giovanna Labartino, 2012, “More Apples, Less Chips? The Effect of School Fruit Schemes on the Consumption of Junk Food”, IZA Discussion Paper 6488.

 

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Assistenza agli anziani: fatto il decreto, manca ancora la riforma
Leggi anche:  Pochi medici oggi, ma forse troppi domani

Precedente

SPESA PUBBLICA EUROPEA

Successivo

LA FUGA DI CAPITALI NEI CONTI DELLA BANCA D’ITALIA

  1. Sergio Rigonde

    Studio interessante, tra le spiegazioni alternative (che non mi sembra trattiate nel paper) c’è la possibilità che la politica sia meglio implementata dalle scuole più ricche (nel linguaggio di causal inference l’intensità del trattamento potrebbe non essere omogenea per tutte le scuole, e correlata con il reddito locale). Tra i check di robustezza non vedo un test della common-trend assumption.

  2. Giorgio Costa

    Mi pare che l’ Organizzazione Mondiale della Sanità sia recentemente intervenuta per la prima volta sul preoccupante problema dell’ obesità menzionando, anche qui per la prima volta, il junk food e ovviamente le bevande dolcificate, dalla Coca Cola all’ ultima arrivata delle bevande imbottigliate. La Voce potrebbe seguire questa traccia. Un paio di anni fa il sindaco di New York Bloomberg si presentò in TV raccomandando ai suoi concittadini di fidarsi di bere acqua del rubinetto e di lasciar perdere l’ acqua imbottigliata. Ho saputo che la sua campagna ha avuto un notevole successo ma non so se l’ effetto del suo richiamo persiste ancora, di fronte al potere di lobby dei fabbricanti di bevande dolcificate o non.

  3. Luigi Moraschi

    ….. se fosse un modo per aiutare le aziende che hanno una eccessiva produzione di frutta che immessa sul mercato farebbe crollare il prezzo?

  4. Paolo Dall'Aglio

    L’articolo è interessante, ma, dal titolo, mi sarei aspettato qualche risposta ad un’altra domanda: chi trae profitto da questa campagna? Mia figlia frequenta una scuola che ha aderito alla campagna:
    – le maestre ci hanno detto i giorni in cui la frutta viene distribuita, ma poi ci sono disguidi, ritardi, sorprese: meglio fornire sempre la merenda
    – la frutta è prodotta a molti km da qui, confezionata in un altro posto ancora e viaggia, viaggia… invece di appoggiarsi a produttori locali
    – la frutta non è di stagione e confezionata: cioè non fresca
    – la frutta spesso non sa di nulla e a volte è addirittura cattiva: spesso mia figlia (che, intendiamoci, è abituatissima a magiare frutta e la mangia volentieri) non la mangia e la porta a casa dove la mangio io solo per non buttarla.
    Insomma io faccio 1+1+1+… e deduco: il progetto (solo in italia o in tutta europa?) si risolve in un grande business per qualche grosso distributore – opportunamente ammanicato – che ne approfitta per smerciare derrate invendibili senza nessun interesse per l’aspetto essenziale: la salute dei nostri figli. Le mie sono illazioni senza fondamento, ma sono tanto lontano dal vero? voi ne sapete di più?

  5. Emanuela Pesce

    La criticità del progetto sta nel fatto che fornire la frutta a scuola da parte di soggetti diversi dai familiari, non stimola dei reali cambiamenti nella famiglia. Potrebbe funzionare inizialmente per stimolare l’attenzione di educatori e bambini, ma poi questa azione va assolutamente integrata in un percorso educativo a scuola e in famiglia. Sono i genitori che andrebbero educati a preparare merende sane,l’impressione è che ci si trovi di fronte a una iniziativa a carattere assistenziale e non di promozione di abitudini salutari

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén