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LA RIFORMA È FATTA. LUNGA VITA ALLA PROSSIMA RIFORMA

Dalla mediazione tra governo e partiti è uscita una riforma del lavoro con più rigidità in uscita in cambio di meno restrizioni all’abuso di contratti temporanei rispetto alla proposta iniziale. Il compromesso ci consegna un mercato del lavoro che non risolve il dualismo e che aumenta il cuneo fiscale e la complessità della procedura di licenziamento. Ci sarebbe voluto molto più coraggio sulla limitazione delle forme di lavoro parasubordinato e sul percorso verso la stabilità di chi cerca lavoro a tutte le età. A ridurre il precariato ci penserà, inevitabilmente, la prossima riforma.

Nella tradizione della monarchia inglese, le successioni al trono vengono scandite con un “The King is dead, long life to the King”. Oggi dovremo rassegnarci a scrivere “La riforma è stata fatta, lunga vita alla prossima riforma”.
Dopo la pasticciata approvazione in Consiglio dei ministri, la riforma ha cambiato tavolo. Dalla cosiddetta concertazione, la riforma è infatti approdata al tavolo dell’ABC, alla mediazione di Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini. E quanto ne è uscito guarda ancora meno dalla parte dei giovani di quanto vi era entrato. Proprio mentre i dati sui redditi e la ricchezza delle famiglie dell’indagine della Banca d’Italia confermano l’acuto stato di disagio sociale dei giovani e il crescente ruolo di ammortizzatore sociale esercitato dalle loro famiglie.
Lo scambio è stato più rigidità in uscita in cambio di meno restrizioni all’abuso di contratti temporanei. È su quest’asse che si è trovata la mediazione. Il compromesso ci consegna un mercato del lavoro che non risolve il suo dualismo e che aumenta sia il cuneo fiscale che la complessità della procedura dei licenziamenti. Lo sforzo è stato notevole. I risultati modesti. Vediamo ora come la riforma sarà gestita in Parlamento. Nel frattempo, accettiamo di vivere con un cantiere permanente, perché i nostri problemi sono purtroppo ancora tutti lì.
In questo primo commento, vediamo per sommi capi l’Abc della mediazione.

PIÙ RIGIDITÀ IN USCITA

Il ruolo dei giudici verrà ulteriormente potenziato. Dovranno ora decidere anche sull’insussistenza dei motivi economici addotti dall’impresa per il licenziamento individuale e, in tal caso, imporre la reintegrazione del lavoratore. Si noti che il reintegro potrà essere disposto anche nel caso in cui il fatto rientra tra le “tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili”. In altre parole, il giudice potrà anche rifarsi a quanto disposto dalla contrattazione collettiva circa le causali dei licenziamenti economici. Aumenta così l’incertezza sui costi dei licenziamenti e presumibilmente anche la loro durata a dispetto delle corsie accelerate. E se si vuole inserire nella riforma del lavoro anche quella della giustizia bene chiarire se la priorità a contenziosi sul licenziamento può allungare le cause su temi più rilevanti per i giovani, quali la verifica dei requisiti per partite Iva, Asspa e altre forme di parasubordinato.

MENO RESTRIZIONI PER I CONTRATTI TEMPORANEI

È stata tolta la causale per l’avvio di contratti a tempo determinato. Il divieto alle associazioni in partecipazione è stato ammorbidito: varrà solo oltre il terzo grado di parentela e tre associati.  È stato anche concesso un anno di moratoria per le imprese nel recepire le nuove disposizioni sulle partite Iva. Si noti che, secondo la legge, laddove celino rapporti di lavoro subordinato, dovranno essere trasformate in collaborazioni coordinate e continuative e non in contratti di lavoro dipendente. Sono modifiche relativamente marginali rispetto al testo uscito dal tavolo della concertazione, ma il segno è quello di allentare i vincoli nell’abuso di contratti temporanei. Dato che i controlli in questo campo sono a dir poco lacunosi, ben altro doveva essere il messaggio. Positivo il fatto che dall’entrata in vigore della legge i contratti “a progetto” e le collaborazioni “ripetitive” vengano considerate forme di lavoro subordinato, ma sulle partite Iva si poteva e si doveva fare di più. Positiva anche l’idea di aumentare i contributi per i lavoratori temporanei, in quanto è molto più probabile che dovranno utilizzare gli ammortizzatori sociali. L’aumento, tuttavia, fa crescere il cuneo fiscale e, in assenza di canali alternativi di ingresso, rischia di diminuire la domanda di lavoro, come dimostrano le critiche della Confindustria.

MANCA IL PERCORSO VERSO LA STABILITÀ

Continua a non esserci canale di ingresso con percorso verso la stabilità. Non può esserlo l’apprendistato dato che al termine del periodo formativo si può essere licenziati senza alcun compenso. E poi l’apprendistato non può certo essere offerto a donne che rientrano dopo periodi di maternità o a ultracinquantenni espulsi dal processo produttivo.

L’ASPI E LA MANCIA ALLA GENERAZIONE 1000 EURO

La riforma degli ammortizzatori e l’introduzione dell’Aspi (assicurazione sociale per l’impego), come abbiamo già scritto, non cancella la cassa integrazione straordinaria e quella in deroga. Cancella invece la vecchia mobilità. Il governo sostiene che con la riforma degli ammortizzatori aumenterà la platea dei beneficiari. Non è chiaro come questo avvenga. La cosiddetta mini Aspi è in tutto e per tutto l’indennità a requisiti ridotti vigente. L’unica differenza è che si applicherà anche a collaboratori a progetto o “finte” partite Iva. Per questi lavoratori era attualmente in vigore la mancia introdotta dal ministro Sacconi nel 2008, che valeva mediamente 800 euro all’anno e che copriva 9.500 lavoratori in tutto su di una platea di 125.000 potenziali beneficiari. Ora la mancia verrà ridotta, ma estesa a una platea più vasta. Leggendo con cura l’articolo 35 e prendendo il caso più favorevole (per l’entità dell’erogazione) di un collaboratore disoccupato per sei mesi l’anno precedente che avesse percepito nei restanti sei mesi 1.000 euro al mese, l’indennità sarà di 300 euro in tutto. Le regole sono tali per cui comunque la somma erogata non potrà eccedere i 1.000 euro (nei rarissimi casi in cui un collaboratore guadagni 4.000 euro al mese per 6 mesi, dato che il contributo è pari al 5 per cento di questa somma).

LA PROSSIMA RIFORMA

Per ridurre davvero il dualismo ci sarebbe voluto molto più coraggio sulla limitazione delle forme di lavoro parasubordinato e sul percorso verso la stabilità. La priorità assoluta rimane quella di prosciugare il parasubordinato offrendo un sentiero verso la stabilità a chi cerca lavoro a tutte le età. Peccato che questo obiettivo sia stato sacrificato a una confusa riforma dell’articolo 18 per tutti i lavoratori esistenti, che ha finito per trasmettere ansia a un paese in recessione. Ad ogni modo guardemm innanz. A ridurre il precariato ci penserà, inevitabilmente, la prossima riforma.

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31 commenti

  1. maurizio angelini

    I più vecchi e gli appassionati di storia ricorderanno che nel giugno 1946, per festeggiare la faticosa ma benedetta vittoria della repubblica nel Referendum Istituzionale, il Governo di Unità Nazionale di allora,presieduto da De Gasperi, emanò un’ Amnistia, conosciuta con il nome di Palmiro Togliatti Ministro di Grazia e Giustizia: dell’ amnistia usufruirono migliaia di fascisti,fra questi non pochi condannati un anno prima a pene detentive assai severe- qualcuno anche a morte- dalle Corti di Assiste Straordianarie. Una delle condizioni per potere usufruire dell’amnistia era quella che le sevizie-leggasi torture- inflitte dai fascisti ai partigiani o ai renitenti o ai loro familiari non fossero state “particolarmente efferate”. Efferate sì, ma cum grano salis. Questo ricordo da vecchio mi viene in mente quando leggo che il licenziamento deciso dal datore di lavoro per un motivo economico che il giudice dichiara insussistente, ma non manifestamente insussistente, verrà dichiarato illegittimo, ma non darà luogo al reintegro del lavoratore, ma solo ad un risarcimento economico. Una vera giustizia!

  2. Piero

    A Monti serviva una riforma del lavoro da portare ai mercati, ha portato il compromesso ABC, che di riforma non ne ha nemmeno la forma, di piu’ si e’ creata piu’ rigidita’ anche in entrata, voglio vedere tutte le partite IVA tra un anno che dovranno essere cessate in cambio di disoccupazione, perche’ se le imprese volevano assumere avrebbero fatto con i collaboratori il contratto di lavoro, ricordo a tutti che l’uso della partita IVA non viene utilizzato per gli operai sulla linea di montaggio ma per i servizi avanzati e principalmente da grosse aziende che alla fine utilizzeranno le risorse umane al di fuori dei confini nazionali, già un’ azienda che conosco sta de localizzando in Romania i servizi terziari avanzati, un’altra in Serbia i servizi di architettura, non parliamo dei servizi software che vengono gia’ svolti in altri paesi. Che rimarra’ in Italia? Le linee industriali di produzione nell’abbigliamento e tessile Made in Itala con operai extracomunitari, i laureati italiani andranno a lavorare all’estero o per imprese italiane globali o per imprese estere. La vera riforma del lavoro doveva dare piu’ flessibilità in entrata e ridotto il Cuneo del costo del lavoro.

  3. roberto rovatti

    è veramente una vergogna, fino ad ora vengono colpite solo le classi più deboli e fra queste metto anche gli imprenditori oltre ai pensionati e dipendenti. lasciare ancora più potere ai giudici e lasciare invariati i privilegi e i vantaggi della nostra classe politica non fa che accentuare gli errori della nostra generazione che si è disinteressata dei problemi generali per seguire solo gli interessi propri. è un paese senza speranza

  4. marco

    La riforma è deludente? Probabilmente si perché non tocca i meccanismi di fondo dei rapporti di lavoro in Italia, basati sempre sul conflitto politico e sull’intervento della magistratura, come se i giudici non si intromettessero già abbastanza su tutto e tutti, con una mentalità burocratica e antimoderna. Stiamo affidando ai giudici la concorrenzialità del paese? Andiamo bene! A mio parere il mercato del lavoro dovrebbe ricevere robuste iniezioni di liberalismo così da facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro nel modo più flessibile possibile, correggendo i meccanismi con regole e leggi che incentivino economicamente le parti a raggiungere dei buoni accordi, ad esempio con tasse molto ridotte sul lavoro per alcuni anni iniziali (5?) e finali (altri 5?) per gli assunti a tempo determinato, senza eliminare completamente alcune forme flessibili. Gli imprenditori avrebbero così un chiaro interesse ad assumere giovani e al contempo a non privarsi di collaboratori sessantenni validi, facilitando anche un passaggio di competenze e funzioni. Che cosa impedisce questo tipo di evoluzione moderna e liberale? Lo Stato preferisce pagare cassa integrazione e disoccupazione?

  5. Roberto

    L’aumento dei contributi per i parasubordinati non può essere considerato un elemento positivo: i precari (cococo, cocopro…) vedranno contrarre i loro guadagni netti perché l’aumento sarà scaricato su di loro, i professionisti con partita IVA (quelli veri) dovranno pagare sempre di più per i contributi, potendo rivalersi solo in minima parte sul cliente. Chi guadagna poco guadagnerà meno e chi potrà farà del nero.

  6. marco

    Per fare una riforma del lavoro vincente,sul modello danese, in grado di coniugare flessibilità e protezione e di rilanciare la crescita si sarebbero dovuti rivoluzionare gli ammortizzatori sociali, con l’introduzione del famoso reddito minimo garantito, e diminuire drasticamente il cuneo fiscale-Ma per fare ciò sarebbe servita “una paccata di miliardi” che il governo dice di non avere- In realtà ci sarebbero basterebbe prenderli dove sono ovvero dai patrimoni,dalle rendite finanziarie e dagli sprechi della pubblica amministrazione tagliando le spese improduttive- In questo modo si otterrebbe anche un effetto redistributivo che veramente, non solo a parole rilancerebbe la crescita- Questa operazione è stata fatta in Germania, ad esempio, ma in Italia non si possono dare dispiaceri agli amici che sostengono il governo che, tutti sanno, sono in condizioni di grave indigenza economica…si tratta di quel famoso ABC o forse, sarebbe meglio, UVZ…

  7. Stefano Sordi

    E’ proprio vero: una riforma insufficiente che cambierà poco, in meglio. Sarebbe stato più utile e conveniente uno scambio per i i nuovi contratti tra minore precarietà in entrata, con graduale stabilizzazione, e maggiore flessibilità in uscita. Per i giovani sarebbe stato comunque meglio (tanto per i 3/4 entrano in forme molto precarie) accettare lo scambio. La proposta iniziale del governo (per fortuna attenuata) di modificare l’art. 18 per tutti con il solo indenizzo, avrebbe comportato il rischio di escludere molti ultracinquantenni obsoleti e poco “economici” per le aziende

  8. ALBERTO LANZA

    Gia autori danno appuntamento già alla prossima riforma ma molti giuslavoristi, in questi giorni, hanno auspicato moderazione negli interventi sulla legislazione del lavoro interessata, in questi anni, da continue manomissioni. L’alba dell’ultima riforma viene praticamente salutata da tutti, giuristi, parti sociali (con un’inversione di favore, intiepidito quello di confindustria, migliorato quello del sindacato), consulenti e operatori del lavoro, come un’occasione mancata. Al di là degli aspetti critici (parecchi) sulle singole misure adottate, la domande spontanea che si pongono coloro che da tempo, da anni, hanno seguito il dibattito e gli schemi intorno a cui ipotizzare una strutturale riforma del lavoro, è la seguente: per quale motivo nessuna delle parti al tavolo del confronto ha mai preso davvero in considerazione la misura vera della riforma ossia quella del passaggio a un contratto “unico”, “prevalente”, “dominante” capace di garantire un graduale inserimento stabile nel mercato del lavoro salvaguardandone, nel contempo, la corretta e fisiologica dose di flessibilità e contrastandone l’anomalia duale che rimane praticamente invariata?

  9. Marco S.

    C’è un vizio tutto nostro, italiano, di scrivere i testi delle leggi in una maniera tale che, per capire bene, ci vuole un’enciclopedia. Basterebbe spesso riscrivere la nuova norma come esce dalle modifiche introdotte da una riforma, piuttosto che proporre frasi sibilline del tipo “al posto della frase x, nella legge y, si aggiunge la parola alfa…”. Quale onesto cittadino o lavoratore non si trova in difficoltà a leggere e capire? Scrivere meglio le leggi darebbe più potere a tutti noi, togliendone agli intermediari del consenso. Ma detto questo il punto sul licenziamento economico a me pare ottimo. Il Governo introduce da un lato una possibilità per le imprese, dall’altro un’arma per il lavoratore discriminato, sotto false parole, di fare emergere la verità. Quindi la nuova norma sembra introdurre disincentivi a mentire per ambo le parti.. E dissento da Boeri sulla “maggiore incertezza”. Se il licenziamento individuale è veramente motivato da ragioni oggettive, allora l’impresa può utilizzarlo. Se invece il datore di lavoro (che succede nel lavoro pubblico?), opera solo una discriminazione, allora chi se non un magistrato può stanare e sanzionare la discriminazione?

  10. Alfonso Fumagalli

    Non sono un esperto sulla materia, ma quello detto dagli esperti di dx e sx e da Confindustria, mi conferma che la riforma ha una impostazione “burocratica”, contro la semplificazione, il ruolo delle caste dei giudici e dei sindacati ( e politici). D’altra parte il governo è onesto e meglio (ma è facile) di quello Berlusconiano, ma fatto da burocrati. Che senso ha delegare un giudice, che mai ha studiato economia e al 90% odia la matematica, ha valutare gli aspetti economici ? La riforma è impostata come se i ns. competitori fossero Germania e Francia, mentre i competitori sono i paesi dell’Est.

  11. Bruno

    …. è un po’ strano che chi si considera esperto nel governo non presti ascolto agli esperti. é sfiancante come Paese andare avanti a riforme successive; crea incertezza, confusione e “paura”. Non si sa mai dove si possa andare a parare in un lasso di tempo ragionevole che spunta la riforma successiva, non sempre migliorativa.

  12. franco castelli

    Condivido la vostra analisi della “mini-riforma” del mercato del lavoro; in particolare, ritengo che dal punto di vista della flessibilita’ in uscita la riforma cambi poco o nulla – cosi’ come i giudici ritenevano sussitere la giusta causa in rarissimi casi sotto il sistema vigente, allo stesso modo riterranno sussitere i motivi economici in rare circostanze sotto il sistema riformato. Dove non mi trovo d’accordo con voi e’ sull’ottimismo sulla prossima riforma. L’esperienza insegna che una volta fatta una riforma – anche se fittizia – poi per 10 anni non succede piu’ nulla, con la scusa che al problema abbiamo gia’ messo mano. Pertanto, condivido la posizione di Confindustria, e cioe’ che piuttosto che una finta riforma, meglio nessuna riforma.

  13. Lettore attento

    Sarà anche una mancia ma, a leggere i quotidiani, si spenderà comunque una “paccata di miliardi” che vengon recuperati con tasse strambe.

  14. HK

    Si, su questo ha propio ragione Monti. Da imprenditore infatti è una riforma che porta a non assumere. E se non assumono gli imprenditori chi dovrebbe assumere? Altro che riduzione della disoccupazione. Lo scopo di questa riforma è chiaro. Spostare in modo pacchiano il più possibile di oneri dallo stato all’impresa. Tentare di ridurre la crescita della disoccupazione dovuta alla recessione rendendo più difficile l’interruzione dei rapporti. Poteva essere una buona riforma, dovremmo forse aspettare la prossima dopo aver fatto soffrire molta gente. PS: c’e un punto della sua proposta che a mio avviso dovrebbe essere riconsiderato. Lei immagina che i lavoratori dovrebbero essere stabilizzati dopo un certo tempo sufficiente ad averne convalidato le prestazioni. Questo funziona solo se si immagina che quel lavoratore non avrà crescita professionale ad esempio da tecnico a manager o semplicemente da da operaio a operaio specializzato. Buona Pasqua a tutti.

  15. graziano degan

    A una prima lettura non sembra che la riforma incida concretamente su precariato ,lavoro parasubordinato e in genere sulla trasformazione del lavoro da precario in stabile. Rileggendo la proposta di legge Nerozzi mi convinco sempre di più che si è persa l’occasione per una reale riforma del lavoro in Italia. Pubblici Dipendenti e applicabilità art. 18: si veda l’articolo 51, c. 2, del d. lgs. 165/2001: “La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”. E, se vi fossero ancora dubbi: sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro 1 febbraio 2007, n. 2233. Una cosa comunque è certa:il metodo con cui il governo ha costruito la riforma cancella la stagione della concertazione distinti saluti

  16. Angelo

    Di questa riforma mi sembra si possa affermare che inizia dalla coda. Ossia i nostri accademici hanno iniziato una riforma non partendo dal mercato del lavoro, ovvero in qualche modo facilitando la possibilità per chi ha perso il lavoro di ritrovarlo, ma consentendo di poter licenziare più liberamente (la coda). Una volta licenziato il lavoratore non troverà nulla, per cui chi lo sarà rimarrà senza lavoro, senza contributi ed alla fine ci sarà anche il disincentivo perché abbiamo lasciato il lavoro prima.

  17. CORAGGIO FRANCESCO

    Ora che c’è maggiore libertà di licenziare i lavoratori dipendenti privati, mi augurerei che l’indennità di licenziamento spettante al lavoratore possa essere considerata ESENTASSE. Mi sembrerebbe giusto pricipalmente per due motivi:
    – l’indennità dovrebbe servire al lavoratore a sopravvivere in attesa di trovare altra fonte di reddito; sarebbe illogico che dovesse dividerla con lo Stato.
    – perchè il lavoratore dipendente già sopporta il più alto carico fiscale durante la vita lavorativa, sarebbe congruo che nel momento della difficoltà possa disporre di maggiori risorse.

  18. cristiano

    Perlomeno sull’articolo 18, che si chiamerà art.14, resta come forma di deterrente il reintegro contro gli abusi:in ognuna delle3 tipologie di lic.c’è la possibilità del rentegro, che funge da deterrente per il datore di lavoro. Ovviamente è indebolito perchè ora decide tutto il giudice, il reintegro non è più certo ma francamente mi aspettavo anche peggio viste le premesse. Certo è che alla fine mi sembra tutto annacquato: se per irrigidire ancora l’uscita si è dovuto, nel compromesso fra ABC , ammorbidire l’entrata mi chiedo alla fine cosa resti dei miglioramenti contro il precariato auspicati dal governo.Mi sembra che alla fine anche questo sia diventato un governo politico.

  19. no verba vana

    Vorrei capire se con questa modifica allo statuto dei lavoratori l’onere della prova sulla strumentalità dei motivi economici addotti incombe sul lavoratore, a piangere non dev’essere nè Marcegaglia nè Fornero ma io e tutti i lavoratori dipendenti, in compagnia dei principi ispiratori del diritto del lavoro. Le energie impiegate a piangere da queste sopraffine menti potrebbero essere più utilmente dedicate ad innovare i prodotti ed i processi lavorativi. Per fare un esempio: la Fiat potrebbe pensare a produrre nuovi modelli di auto appetibili, e questo è un originale consiglio a Marchionne, dato gratis. Più tempo per progettare auto, meno tempo per licenziare strumentalmente delegati sindacali.

  20. Marcello Romagnoli

    La reazione del Presidente di Confindustria all’eliminazione dell’automatico del licenziamento per cause economiche ha scoperto il bluff di Confindustria e del Governo. Si voleva “riformare” l’art.18 per poter più facilmente licenziare il che è una demenzialità in situazione di crisi. L’imprenditoria non ha bisogno di eliminare l’art.18, ma ha bisogno di:
    1) Meno burocrazia, ma poche e chiare regole fatte rispettare con rigore e celerità
    2) Mercati più liberi
    3) Maggiore attenzione alla ricerca
    4) Più sostegno dello Stato alla possibilità di commerciare nei paesi emergenti
    5) Una giustizia più rapida ed efficiente
    6) Banche che fanno le banche e non giocatori sui mercati
    7) Una banca centrale che fa la banca centrale (meglio se non una banca privata, ma una banca degli stati europei) Ecco caro economista come un semplice uomo della strada ti insegna cos’è l’economia. Altro che art.18!

  21. Fabio Palladino

    E’ stata persa un’occasione per fare due vere azioni che avrebbero aiutato concretamente a creare lavoro anzichè mantenerlo in vita col respiratore artificiale: 1) Ridurre! Da 10% a 15% il cuneo fiscale su ogni posizione lavorativa (privata e pubblica). Con quali risorse? Riducendo in modo importante la spesa pubblica. Per inciso è la spesa pubblica il grande nodo che non viene affrontato e affrontando il quale si libererebbero le risorse che attualmente ci ostiniamo a voler fare pagare ai soliti noti. 2) Semplificare! Eliminare gli arbitraggi fiscali/previdenziali tra formule contrattuali puntando sul lavoro subordinato stabile in entrata fino a redditi lordi pari a 50/60mila euro e sul lavoro autonomo per redditi superiori. Eliminare del tutto i contratti parasubordinati e simili. E adesso?

  22. Luca

    Mi confermate che, con questa riforma, se un’azienda vuole potere usufruire del canale dell’apprendistato, deve mostrare che degli apprendisti usati in precedenza una consistente percentuale deve risultare stabilizzata? Se così fosse, l’apprendistato non sarebbe più uno degli strumenti di precarizzazione, o no?

    • La redazione

      Il lavoratore può essere licenziato dopo il periodo di formazione

  23. Piero

    Al momento non ho visto nessuna riforma, solo aumento delle tasse, la riduzione delle spese è quella in atto con le misure estive di Berlusconi, che l’attuale governo sta in parte rinviando o non completando, ma vi e di più l’attuale governo fa previsioni che dopo tre mesi vengono puntualmente disattese, tutto per salvare l’euro, penso che Monti non sia il premier degli italiani ma della moneta unica, da salvare a tutti i costi, anche con le vite umane. Nel salva Italia riduzione PIL del 0,4% oggi del 2,2%, altri 20 mld di manovra da fare, che Monti dice non occorre perché c’e la lotta all’evasione, non mi risulta che il gettito dell’evasione venga recuperato dalle grandi imprese ma dalle piccole che già soffrono con il credit crunch, penso che Monti sia un marziano vive su un’altro pianeta.

  24. senza progetti

    Cari autori, sono una precaria con contratto a progetto. Ho letto il disegno di legge. Mi chiedo se abbiamo letto lo stesso. Io ho capito che sia l’Aspi che la miniAspi saranno riservate solo ai lavoratori subordinati. Quindi, a differenza di quanto riporta l’articolo, resteranno fuori collaborazioni e partite iva. Mi sbaglio? In secondo luogo (e questo proprio non l’ho capito) come potranno le finte partite iva diventare co.co.co. nel settore privato? Diventeranno dipendenti?

  25. grimilde

    Sfugge che il tessuto imprenditoriale italiano è fatto di micro, piccole e medie imprese; il 20% delle imprese è costituito da grandi imprese, il restante 80% è fatto da piccole e medie. questa riforma del lavoro si basa su presupposti che in Italia non esistono. quando le aziende chiudono, ci si deve preoccupare di tenerle aperte, non dell’articolo 18. perché non si tengono in piedi le aziende per legge, né per decreto. se io chiudo, tu stai a casa. se io mi trasferisco in serbia, tu stai a casa. fine della trasmissione. non puoi obbigare per legge un imprenditore a fare l’imprenditore. non puoi obbligare per legge un imprenditore a mantenere un’azienda in vita, né puoi obbligarlo per legge a mantenere gli impianti in italia. quindi, prima di preoccuparsi di flessibilità in entrata e flessibilità in uscita ci ci deve preoccupare di avere imprese che possano offrire lavoro. come si fa? per esempio si riducono – drasticamente – le tasse. per esempio si riducono – drasticamente – i costi dell’energia. si riducono gli adempimenti burocratici. si riduce il costo del lavoro. così le aziende rimangono in vita e magari ne arrivano di nuove. questa è l’unica possilità di sopravvivenza.

  26. mariorossi103

    Mi pare utile segnalare in argomento il contributo pubblicato qualche giorno fa sul qui.

  27. luca

    La realtà è che questa è l’ennesima “non riforma”. Lo dice un “giovane” 30enne. Laureato a 26 anni, sono 4 anni che lavoro con partita iva e guadagno meno di 1000 euro al mese nella ricca Milano. Si parla di 30 per cento di giovani disoccupati, ma andrebbero sommati tali numeri con i tantissimi giovani che guadagnano somme da terzo mondo per lavori di intelletto. La riforma del lavoro doveva prevedere 3 sole cose:
    1) eliminazione di tutte le forme di contratti precari con la previsione di 3 sole forme di collaborazione: stage (solo in ambito universitario e per periodi limitatissimi, max 3 mesi, max 4 ore al giorno, ogni azienda max tot stageur ogni tot lavoratori assunti), contratto a tempo indeterminato, contratto a termine (con tassazione doppia).
    2) previsione di un reddito minimo garantito
    3) riduzione del 50 % delle tasse sul lavoro e incentivi per gli investimenti nel paese ed assunzioni a tempo indeterminato, ma no continuiamo con le non riforme. Poi non stupiamoci se una ragazza di 28 anni laureata in ignegneria gestionale si suicida come è successo qualche giorno fa.

  28. Emanuela Bambara

    Già, ci voleva più coraggio riformista a tutela dei lavoratori, il “percorso a tappe verso la stabilità” che Boeri e Garibaldi, con intelligenza pragmatica da anni propongono. Viviamo, invece, il paradosso che i tecnici al Governo si lascino manipolare dai politici affinché tutto cambi perché nulla cambi per i poteri forti, mentre i più deboli vedono cambiare in peggio la loro posizione. L’ottimismo conduce a sperare in una prossima riforma..ma chi dovrebbe farla? I politici che oggi impediscono questa? Voi economisti illuminati, fate valere le ragioni del buonsenso e dell’equità, adesso. Siete una minoranza, davvero esigua, nel dibattito politico, ma difendete la maggioranza del Paese, tradito dalla maggioranza di opinionisti e sindacalisti che difendono i privilegi di pochi.

  29. precario2

    Ci vuole coraggio a chiamare le modifiche proposte alle regole sul lavoro “Riforma”. Questo al più è un aggiustamento ben lontano da ciò che serviva. Bastava eliminare le forme atipiche e prevedere un unico contratto con tutele fisse per tutti e con tutele legate alle ore lavorate, all’anzianità di servizio e altri parametri da stabilire. Se una persona lavora partime o a tempo pieno, da 10 anni o da un mese ha diritto comunque alla malattia. Se lavora da 6 mesi a tempo pieno e l’azienda necessita di licenziarlo avrà diritto ad un certo rimborso, mentre se lavora da 6 anni forse è il caso che sia più protetto. Se poi una ditta riassume la stessa persona per altri 6 mesi diciamo che la terza reiterazione non è possibile, a meno che non ricada in certe tipologie ben precise tipo i lavori stagionali. Il cuneo fiscale deve essere ridotto, reperendo risorse dalle rendite/grandi patrimoni e si deve favorire, con incentivi fiscali, chi assume disoccupati da lungo periodo, precari di ogni età. Poi per i dettagli spazio alla contrattazione aziendale e nazionale.

  30. Carlo Borgnis

    Chi è titolare di pensione di vecchiaia non corre il rischio, in caso di svolgimento di un’attività lavorativa alle dipendenze di un’azienda o di un lavoro autonomo, di vedersi sospesa o ridotta la pensione.
    Dal 2001 la sua rendita previdenziale è, infatti, totalmente cumulabile, con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo.
    Come viene inquadrata l’abolizione del divieto di cumulo pensione/retribuzione nella nuova Riforma del Lavoro? Come si concilia tale trattamento in un contesto della crescita della disoccupazione e della spesa pensionistica?

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