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PRENDERSELA COI FIGLI DI PAPÀ O COI PAPÀ DEI FIGLI?

Ringrazio i lettori per le loro richieste di chiarimento e i loro commenti.
Parto dalle prime. I dati relativi al numero di citazioni di Silvia Deaglio, così come il valore dell’h index, sono stati presi dal programma Publish or Perish (PoP) considerando solamente le pubblicazioni nell’ambito medico. Più precisamente l’area disciplinare selezionata è Medicine, Pharmacology, Veterinary Science. Per numero di citazioni si intende il numero di volte che la pubblicazione in questione viene citata in pubblicazioni su Google Scholar. Un lettore offriva un’altra fonte per misurare il solo numero di pubblicazioni in campo medico. Ho controllato: secondo questo sito, le pubblicazioni di Silvia Deaglio sono 62, mentre in Publish or Perish sono 66, quindi non mi sembra che ci siano discrepanze degne di nota tra le due fonti. Un lettore mi chiede anche come sia possibile che una pubblicazione sia precedente alla laurea. Non conoscendo Silvia Deaglio, non conosco neanche la risposta. Posso solo dire che ho avuto studenti che hanno pubblicato prima di laurearsi e il corso di studi in economia è mediamente più breve che a medicina. Infine, ci tengo a sottolineare che io ho potuto misurare solo la produzione, l’output, non l’input, dunque gli strumenti che la ricercatrice ha avuto a disposizione. Qualche lettore sostiene che si possano comprare pubblicazioni a questo livello (referate a livello internazionale). Non lo sapevo e lo dubito fortemente perchè queste pubblicazioni sopravvivono solo se riescono ad avere un forte impact factor e, se comprate, perderebbero autorevolezza. In ogni caso, l’indice proposto non conta le pubblicazioni in quanto tali, ma le pesa per il numero di citazioni, quindi l’impatto che hanno avuto nella professione. Dubito che un “articolo comprato” raccoglierebbe molte citazioni.
Un lettore mi chiede di misurare anche la produttività dei genitori di Silvia Deaglio. Il grafico qui sotto lo accontenta usando la distribuzione del numero di citazioni. Ricordo che il numero di citazioni non può che essere molto diverso fra disciplina e disciplina. Quindi i valori assoluti non sono comparabili a quelli già mostrati per medicina. Ma è possibile guardare alla posizione dei singoli nella distribuzione, come nel grafico qui sotto (per questioni di scala esclude 49 osservazioni con più di 1000 citazioni).

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Lascio ai lettori giudicare. Certamente, sulla base di queste misure, non potrei definire eccellente la produzione scientifica dei genitori di Silvia Deaglio.  Immagino peraltro che, più di lei, abbiano avuto accesso a finanziamenti di un certo rilievo. Si noti inoltre che il numero di citazioni è una misura che favorisce i docenti di lungo corso. Non ho ancora i dati di citazioni per anno dall’inizio dell’attività di ricerca. Vi posso solo dire che nel caso di Mario Deaglio sono meno di una citazione all’anno (per l’esattezza 0,89).   Michele Boldrin mi chiede i dati di Michel Martone. Cercherò di accontentarlo al più presto.
Quanto ai commenti, un’annotazione frequente è “se non si chiamasse Silvia Deaglio non ne avrebbe parlato, non l’avrebbe difesa”.  Concordo pienamente. Se non avesse avuto quel nome, non ne avrei trattato. Per il semplice motivo che è proprio perchè aveva questo nome che la Prof.ssa Deaglio è stata oggetto di una gogna mediatica senza precedenti. E’ stata questa gogna mediatica e il riscontro che non solo non aveva alcun fondamento, ma gettava fango su una di quelle ricercatrici, di quei cervelli che tutti dicono di voler tenere in Italia a spingermi a scrivere. Molti tirano in ballo i bamboccioni. Credo di essere stato tra i primi a condannare le esternazioni di Mario Monti e dei suoi colleghi di governo. Non posso che trovare paradossale che per condannare queste esternazioni ce la si prenda con i figli e non con chi le ha fatte. In Italia ce la si prende sempre coi “figli di papà” e non con i “papà dei figli”.
Credo, in ogni caso, di avere fatto bene a fornire questi dati perchè volevo giungere alla stessa conclusione cui arrivano molti altri commenti: “il problema non è Silvia Deaglio, ma l’università italiana”. Non potrei essere più d’accordo. Quindi lasciamo in pace Silvia Deaglio e occupiamoci dei veri problemi. Come scrive Barbara Veronese, “il problema dell’Italia è che molti dei miei coetanei economisti (diciamo sotto/sui 40), che pure vantano esperienze all’estero, hanno pubblicazioni internazionali sopra la media, anche sopra la media dei docenti che li esaminano nelle commissioni di concorso spesso, e nonostante possano esibire un grafico come quello che ha fatto Lei nell’articolo non ottengono il posto, da nessuna parte”.  E’ proprio per questo motivo  è che il numero medio di citazioni ad economia è così basso. Se l’università funzionasse premiando il merito scientifico, la ricerca, non alimenterebbe tutti questi sospetti. Questo sito ha, da quando esiste, sempre denunciato questo stato di cose. Personalmente non credo di essere certo stato tra gli ultimi a denunciare il caso del rettore della Sapienza e le omonimie alla facoltà di Bari. Al di là della denuncia dei casi più eclatanti e della documentazione sui concorsi universitari (cui ha dedicato tantissimo tempo ed energie, uno dei redattori de lavoce, il prof. Roberto Perotti), il problema va combattuto cambiando le regole con cui si assegnano i fondi all’università italiana. Purtroppo ho visto sin qui solo passi indietro nell’azione di questo Governo; il bando per il PRIN è un ritorno alle baronie accademiche perchè obbliga le università a fare la selezione al loro interno oppure ad assemblare progetti che nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro sia in termini di temi affrontati che di qualità dei ricercatori coinvolti. E’ un modo per il Ministero di scaricarsi dalla responsabilità di selezionare i progetti. A mio giudizio l’unico vero ruolo del Ministero dovrebbe essere proprio quello di garantire che tutti i docenti e gli atenei vengano valutati e che queste valutazioni vengano utilizzate nell’allocazione dei fondi pubblici. Se abdica a questa funzione, il Ministero non ha proprio ragione di esistere.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

17 commenti

  1. Riccardo Puglisi

    Ho una posizione molto banale su questi temi: più dati e più informazione “non rumorosa” su questi temi sono sempre una cosa buona e giusta. Sulle citazioni comparate di Michel Martone e dei suoi colleghi al concorso da ordinario vinto da quest’ultimo si veda in particolare questo pezzo: http://www.linkiesta.it/blogs/una-firma-di-tutto-riposo/martone-e-il-suo-concorso-farsi-citare-e-da-sfigati

  2. Lettore attento

    … non deve essere nemmeno sospettabile !!. Applicare alla singola Università la regola che si legge in alcuni contratti di lavoro: ” … non possono essere assunte persone che vantino parentele fino al terzo grado con un dipendente …”. Non impedirebbe tutto ma almeno sarebbe un passo avanti.

  3. Gabriella Caputo

    Tutto quell’affannarsi a spiegare chi è e cosa fa la Sig.ra Deaglio sembra distogliere l’attenzione da quello che è il vero problema e cioè che un signor nessuno pur avendo gli stessi meriti e dico gli stessi, della signora nelle nostre università avrebbe ben poche possibilità di fare carriera come lei. Questo è un dato di fatto che nessuno può fare finta di non vedere.

  4. Daniela

    Quando e’ esplosa la polemica contro la Deaglio, ho provato a cercare i verbali delle selezioni alle quali aveva partecipato per diventare prima ricercatore e poi professore associato. Non le ho trovate, forse ho cercato male. Ma se tali verbali fossero pubblici forse la polemice finirebbe. Non c’e’ bisogno di dire che mi aspetto di leggere i nomi di piu’ candidati, e non che diversi si sono ritirati e solo uno o due hanno partecipato. Intanto pero’, sembra che in rete non ci siano. Ma non sono atti pubblici?

  5. Marco Fracasso

    Magari dico una siocchezza, ma le prospettive di un laureato in medicina suppongo siano diverse da quelle di altre facolta’. A 37 anni si puo’ tranquillamente essere in posizioni con stipendio piu’ elevato che che quello di un professore associato. Quindi non mi pare il suo caso cosi’ privelegiato da giustificare tutta questa polemica.

  6. Methodologos

    Il problema non sta nelle capacità della Prof.a Deaglio ma nel fatto che forse ha trovato la strada spianata mentre altri – ugualmente bravi – hanno affrontato innumerevoli ostacoli, a volte talmente insormontabili da spingerli a rinunciare (impoverendo così la società). Un sistema di promozioni che privilegia di fatto i figli di papà ( nel senso che rende loro la vita più facile, a prescindere dai loro meriti ) può non creare particolari guasti sociali in ambiti ristrettii ( il mondo del calcio o dello spettacolo ). Ma nel complesso della società appare, sul lungo periodo e se non viene contrastato, devastante: risulta neofeudale perché blocca mobilità sociale e innovazione ( poiché tra un bravo protetto e un più bravo non protetto privilegia comunque il bravo e non il più bravo). Infine una considerazione amara sulla pretesa oggettività del numero delle pubblicazioni: per chi è ben “protetto” una firma su un articolo collettivo è un diritto, per chi non è “protetto” la firma è una concessione.

  7. AM

    Far passare il piu’ bravo è sacrosanto. Ma questo deve valere anche se è un “figlio di”, altrimenti si rischia una discriminazione al contrario. I Curie erano una famiglia… con questo è ovvio che non tutti i figli di siano bravi, quindi valutazione delle pubblicazioni e dei titoli rigorosa, per tutti.

  8. Emanuele Costamagna

    C’è nel nostro paese, ma in credo accada anche altrove, una tale differenza di opportunità tra chi nasce in una famiglia X piuttosto che Y, che la selezione, prima del merito, la fa l’anagrafe. Sono contento che persone capaci abbiano riconoscimenti adeguati. E’ strano che in generale quasi sempre gli studenti capaci abbiano alle spalle famiglie che possono offrire opportunità, contatti, relazioni, formazione, ben al di là di quelle che in condizioni normali un giovane ha. Certo è un grave problema che genitori inetti impongano alla società figli inetti. E’ un errore che va corretto. Ma anche che i più capaci nascano prevalentemente nelle famiglie con più opportunità è un problema: indice di deficit democratico della società. Quando avremo sconfitto il nepotismo rischieremo forse di trovarci in una società oligarchica? Come diceva don Milani: “Dio fa nascere gli incapaci nelle famiglie dei poveri?” Grazie dell’attenzione.

  9. Luigi Sandon

    Il problema con queste pubblicazione è che di molte l’elenco degli autori sembra un elenco del telefono. Chi cita chi? Impossibile saperlo. Così come non è possibile sapere il contributo di ogni singolo autore. A mio modesto parere questi indici lasciano il tempo che trovano.

  10. Alfonso Fumagalli

    Le pubblicazioni ed impact-factor non sono l’unico criterio di valutazione. In campo medico, che conosco bene, un medico universitario ha due compiti: curare paziente e attività scientifica. Pubblicare comporta tempo sottratto alla cura dei pazienti. C’è chi preferisce curare, chi pubblicare. Mi immagino ci siano analogia anche in altre facoltà. Monti pubblica in questo momento !, ma non toglie che sta sperimentando molto. Basta polemiche capziose ed equilibri.

  11. sergio cagnazzo

    Chiaro, documentato, lucido. Sconfiggiamo lo sport nazionale di denigrazione aprioristica di chi lavora seriamente anche se con cognomi ingombranti.

  12. andrea cazzaniga

    Come si possono comparare le pubblicazioni in diversi ambiti scientifici, o anche diversi settori all’interno della stessa disciplina? Non e’ la Bibbia ma su Wikipedia c’è scritto che mediamente i medici hanno un impact factor maggiore dei fisici, per esempio. mah, resto scettico riguardo all’efficacia di questi indici.

  13. Altro lettore

    Tito, secondo me non ti rivolgi in modo diretto al punto fondamentale. Alcuni ministri hanno fatto affermazioni infelici, moralizzanti, che denotano una sorprendente ignoranza della realtà dei giovani lavoratori italiani. Come era prevedibile i media, i blog etc con toni a volte altrettanto infelici, hanno segnalato che la preparatissima figlia del ministro ha percorso tutta la carriera universitaria nella sua città e nell’università dove insegnano entrambi i genitori. Il nostro sistema universitario ci é stato ampiamente descritto da decine di libri e articoli. E’ facile dunque convincersi che con un cognome diverso la preparatissima ricercatrice si sarebbe dovuta muovere ogni tre-quattro anni e correre, “competere”, forse un po’ di piu’, con tutti i costi umani che ne conseguono. Alla luce di questa umanissima esperienza famigliare, si fa veramente fatica a non percepire un po’ di ipocrisia nelle uscite infelici dei ministri che auspicano flessibilità e mobilità che non hanno esperito in prima persona. Un bruscolino rispetto alle schifezze del governo precedente? Senz’altro, ma secondo me é stato importante che sia stato segnalato.

  14. Alessandro

    Silvia Deaglio è bravissima, una tra le migliori menti in circolazione. Dovremmo per questo rischiare di trasferire le attività degli organi decisionali delle Università e altre strutture pubbliche nei salotti delle famiglie che contano? E poi non tutte le ciambelle escono col buco. Il nostro ex-console generale ad Osaka, tale Vattani, figlio di un alto dirigente della Farnesina, ha contribuito a dare una pessima immagine del nostro paese. Nessuno ha il pudore di capire il ruolo che ricopre e, consapevolmente, interpretarlo e allontanarsi dai sospetti e le legali cattive abitudini? Nessuno vede i rischi connessi a queste pratiche semifeudali?

  15. Giovanni Rossi

    Il tema non riguarda solo la comunità scientifica ma la classe dirigente tutta intera; negli anni 60 e 70 i figli dei poveri e quelli dei ricchi, almeno nella scuola primaria si potevano incontrare; nell’ ultimo ventennio questo non è più accaduto; a trenta anni dalla mia laurea in Ingegneria, io figlio di operai non potrei permettermi di frequentare l’ università al giorno d’oggi.

  16. Vittorio

    Un h-index superiore a 20 è un buon valore. Probabilmente la Deaglio è effettivamente una brava ricercatrice. Avrà certamente avuto migliori occasioni di molti altri, altrettanto bravi. Fosse stata negli USA o da qualche alta parte con un postdoc la cosa sarebbe stata maggiormente “nella media” di quello che accade a bravi ricercatori italiani. Lei è fuori della media della sua generazione, per questo lo scalpore. Niente in confronto di quanto abbiamo visto (e continuiamo a vedere) in altri settori e da altre parti Tutt’erba un fascio non è mai stata una risorsa dialettica..

  17. tommaso

    Come qualcuno ha già fatto notare gli articoli citati sono spesso di più di 6 autori. In Italia in campo medico funziona così, l’articolo viene scritto da uno/due medici che sono “costretti” a inserire un numero indefinito di colleghi, soprattutto se con cognomi pesanti. Svolgendo la professione non si riesce a scrivere più di 1/2 articoli di rilievo per anno, per cui è bene dubitare dell’indice e di trovare un motivo valido per cui quel posto spetti alla dottoressa Deaglio e non a molti altri validi medici, senza nascondersi dietro numeri che non hanno valore.

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