Lavoce.info

PERCHÉ LA GRECIA È UNICA

La Grecia è davvero unica: per la lenta crescita pre-euro, per l’accelerazione drogata prima della crisi e per l’entità del declino post-crisi. Un’uscita dall’euro porterà nel migliore dei casi al ritorno alla crescita precedente al 1997. Se invece il paese intraprende le riforme a lungo rinviate potrà sperare in una vera modernizzazione dell’economia. A patto che l’Europa riconosca che, oltre al taglio dei salari, occorre anche migliorare le infrastrutture materiali e umane con il contributo fondamentale di aiuti europei e di una cancellazione parziale del debito.

Lo ha detto Mario Draghi. “La Grecia è unica”. Purtroppo non si riferiva alla bellezza del Partenone o delle sue isole. Voleva dire che, se l’Unione Europea approverà il Fiscal Compact nella riunione dei capi di Stato di marzo 2012, metterà al sicuro i conti pubblici degli Stati dell’eurozona e potrà quindi permettersi di salvare la Grecia senza pregiudicare il rispetto del rigore di bilancio – principio irrinunciabile di una potenziale Unione fiscale europea. Non tutti la pensano come lui: molti – in Germania ma non solo – credono che salvare la Grecia con soldi europei sarebbe una scelta sciagurata che finirebbe per inghiottire l’euro in un vortice di default successivi, a cominciare dal Portogallo per continuare con l’Irlanda e poi chissà. E invece se si guarda a qualche dato che va un po’ indietro nel tempo si vede che Draghi ha molte ragioni dalla sua.

LA GRECIA DI UNA VOLTA NON CRESCEVA

C’è una data da cui partire per capire il dramma greco, gli scontri e le fiamme di piazza Sintagma e gli interventi concitati dei membri del Parlamento greco mostrati dalle Tv di tutto il mondo. La data è il 5 settembre 1997. Quel giorno il Comitato olimpico internazionale, nella sua 106esima sessione tenuta a Losanna, stabilì che i Giochi olimpici del 2004 si sarebbero tenuti di nuovo ad Atene, per la prima volta dal 1896, cioè da quando hanno ricominciato a svolgersi le Olimpiadi dei giorni nostri. Dopo 108 anni, cioè, le Olimpiadi tornavano a svolgersi nel paese dove erano nate.
Fino a quel momento, il Pil greco – il totale dei redditi prodotti nell’economia greca – era cresciuto a un tasso relativamente moderato: dell’1,7 per cento annuo circa, a partire dal 1970. Nello stesso periodo, gli altri paesi con reddito pro-capite relativamente basso nel Mediterraneo – tutti impegnati a rincorrere il tenore di vita del nord Europa – crescevano ben più rapidamente: del 2,5 per cento l’anno Spagna e Italia e addirittura del 3 per cento il Portogallo. Se alla fiacca crescita del Pil si aggiunge poi una dinamica demografica più da paese in via di sviluppo che da paese europeo (+0,7 per cento l’anno di crescita della popolazione), viene fuori che per 27 anni i greci si sono trovati con una crescita del loro tenore di vita – misurato dall’aumento del Pil, pro-capite – vicina all’1 per cento l’anno. A causa di questa fiacca dinamica, nel 1997, nel momento in cui il Cio assegnava al governo di Atene il compito di organizzare i Giochi olimpici, il reddito pro-capite di un cittadino greco era superiore a quello del 1970 solo del 30 per cento. Nello stesso periodo, i redditi degli spagnoli e gli italiani erano quasi raddoppiati (+95 per cento rispetto al loro livello del 1970); e per i portoghesi più che raddoppiati (+120 per cento rispetto a 27 anni prima). Insomma, ancora nel 1997, quella greca non era una società stazionaria, ma quasi. I tanti italiani che hanno passato le loro vacanze trasportati da barche disastrate sulle meravigliose ma un po’ rurali isole greche in quel periodo hanno un ricordo che non differisce molto dall’arido quadro fornito dalle statistiche.

OLIMPIADI + EURO: UNA BENEDIZIONE?

Con l’assegnazione delle Olimpiadi la società greca nel suo insieme vede la possibilità di una svolta modernizzatrice. E alla possibilità di modernizzazione data dal treno delle Olimpiadi – quello che passa ogni 108 anni – si accoppia un’altra opportunità potenzialmente da sfruttare: l’euro. Proprio in quegli anni, una parte consistente dell’Europa si stava dotando di una valuta comune, tra l’altro in un quadro mondiale in cui – chi più chi meno – ci si poteva avvalere dei primi frutti della rivoluzione di Internet accoppiata con la finanza globale.
Da quel momento molte cose cambiano nella società e nell’economia greca. A partire dal 1997, la spesa pubblica si avvia a crescere in modo incontrollato, alimentando investimenti pubblici di dubbia utilità e sostenibilità. La rapida riduzione del costo del credito indotto dall’aspettativa dell’entrata nell’euro alimenta gli investimenti privati. Magicamente (ma non troppo, a pensarci) la crescita del Pil pro-capite greco accelera notevolmente. Nel 1997-2008 triplicherà rispetto ai trent’anni precedenti al 3,2 per cento annuo, anche agevolata da un rallentamento della dinamica demografica, grazie alla diminuita crescita della popolazione (da +0,7 a +0,2 per cento annuo). E così il miglioramento nel tenore di vita, quasi assente per tanti anni, diventa d’un tratto un elemento molto tangibile per la società greca. Il reddito pro-capite aumenta del 50 per cento in poco più di 10 anni, dopo che c’erano voluti 27 anni per aumentarlo solo del 30 per cento. Viene il momento della riscossa nei confronti degli altri paesi dell’Europa mediterranea che nello stesso periodo sperimentano tutti una crescita inferiore: la crescita si dimezza rispettivamente a +1,5 e +1,3 per cento per Portogallo e Spagna e quasi si azzera a un modesto +0,4 per cento per l’Italia.
Ma la riscossa è di breve durata. E il bagno di realtà successivo particolarmente drammatico. Quando arriva la crisi del post-2008, nessun paese se la passa bene in Europa. Nel 2009-11, però, il Pil pro-capite greco scende più di tutti, del 4,5 per cento annuo, mentre in Spagna e Italia il calo è “solo” del 2 per cento e in Portogallo dell’1,5 per cento. E arrivano la troika (Commissione europea, Fmi e Bce) e gli scontri e le fiamme di piazza Sintagma. Mentre la grave crisi nel resto dell’Euro-Med avviene in presenza di limitati conflitti sociali.

MORALE DELLA STORIA

Nel Mediterraneo, cioè tra i paesi oggi ritenuti a rischio di bancarotta, la Grecia è unica: per la sua lenta crescita pre-euro, per l‘accelerazione drogata della sua crescita prima della crisi e per l’entità del suo declino post-crisi. Le proteste dei manifestanti di Sintagma – e più in generale della società greca – sembrano il prodotto del rifiuto della dura medicina imposta dalla troika sull’economia greca. Ma sono anche il risultato delle aspettative di benessere sollevate dal decennio di rapida crescita 1997-2008 e poi – è il caso di dirlo – bruciate negli ultimi tre anni. Una crescita figlia di eventi non ripetibili come le Olimpiadi. E anche di decisioni non sostenibili – come l’ingresso nell’euro – da parte di un’economia come quella greca che esporta solo il 7 per cento del proprio Pil e non è in grado di produrre rilevanti entrate fiscali dalla principale ricchezza del paese, cioè il turismo, a causa di un’evasione fiscale anche più endemica di quella italiana.

Dopo dieci anni di crescita ininterrotta, anche una piccola recessione è difficile da accettare, figuriamoci un tracollo del Pil come quello sperimentato dai greci negli ultimi tre anni. Ma i dati di lungo periodo ci dicono anche che, se la Grecia rifiuta di intraprendere le politiche della troika e dunque in un modo o nell’altro lascia l’euro, il meglio che i cittadini possono aspettarsi è di ritornare alla crescita precedente al 1997: +1 per cento l’anno. Non c’è insomma il regno del Bengodi ad aspettarli là fuori dall’euro. Se invece il paese decide di intraprendere le riforme a lungo rinviate, rimarrà nell’euro e subirà il vincolo del cambio, ma potrà sperare di rilanciare la crescita con una vera modernizzazione dell’economia. Sempre che l’Europa capisca una lezione di base: che un rapporto debito-Pil al 120 per cento – il punto di arrivo dell’attuale strategia di riduzione del debito greco nel 2020 – è un’incudine troppo pesante per rilanciare la crescita. Lo è anche in paesi molto più solidi della Grecia e lo è a maggior ragione in un’economia oggi debole e provata come quella greca.

Malgrado tutto, però, non è troppo tardi per rimediare agli errori del passato. I greci possono impegnarsi a ridurre il peso del loro settore pubblico e ad accrescere la loro competitività con politiche di moderazione salariale. Il resto dell’Europa deve però riconoscere che, per ritornare a crescere, ai greci non basterà tagliare i salari ma occorrerà anche migliorare le infrastrutture, materiali e umane, del paese con il contributo fondamentale di aiuti europei e di una cancellazione del debito – parziale ma più sostanziale di quella prevista finora. Il tutto condizionato alla prosecuzione delle riforme oggi rifiutate in piazza Sintagma.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Capitali cinesi per le batterie made in Europe
Leggi anche:  Nuove regole fiscali europee: è pur sempre una riforma*

Precedente

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Successivo

LA CAPORETTO DELLA CRESCITA E I DUE MARIO SUL PIAVE

12 commenti

  1. Piero

    Ottima analisi della situazione greca. Quello che non riesco a capire però è come i greci possano ripagare tutto questo debito e tornare a crescere esportando esclusivametne prodotti alimentari. (feta) I greci non hanno industria, ma vivono esclusivamente di turismo. Lo sanno quelli della troika? Mi sembra una situazione alquanto paradossale.

  2. SAVINO

    Debito pubblico alle stelle, elevata corruzione, evasione fiscale stratosferica, crescita zero, scarsa produttività e, di conseguenza scarsa competitività nel mondo globalizzato, ascensore sociale zero, infinite diseguaglianze, pessimi politici pagati troppo, pessima formazione ed università, pessimi imprenditori, pessime maestranze, giovani abbandonati, derisi e umiliati,incrostazioni corporative, pastoie burocratiche, vizietto della raccomandazione, zero infrastrutture,troppo clientelismo, troppi dipendenti pubblici fannulloni, abbondanza di approssimazione e di sprechi, cattiva informazione. Ho anche io un caso più unico che raro e si chiama Italia. L’abbiamo scampata per un pelo, ma restiamo una nazione già ampiamente fallita.

  3. Tommaso Pieragnoli

    Siamo sicuri che l’euro sia una moneta “adatta” ai paesi del sud europa? Sono dei paesi che possono sostenere il peso di una moneta “forte”? Il fatto è prof. Daveri che quando siamo entrati anche noi nell’euro non abbiamo approfittato dell’abbassamento dei tassi per ridurre lo stock di debito ed oggi è dura ridurlo senza la valvola di sfogo della valuta… E le vorrei rivolgere un ultima domanda: su quali dati si afferma che le liberalizzazioni avranno un effetto molto positivo sull’economia italiana? Grazie

  4. MAURO CAPRARA

    Sui motivi storico-politico-economici che hanno portato al disastro la Grecia non posso che essere d’accordo d’altronde anche l’Italia per certi versi ha finanziato la sua scarsa crescita col debito pubblico e maggiormente quando la svalutazione della lira non portava ulteriori benefici ma solo inflazione e poi entrati nella moneta unica abbiamo scoperto (?) di non essere competitivi rispetto ai Paesi principali dell’economia globale. Ora però mi corre una riflessione quanto è giustificato questo rigore richiesto ai greci quando poi si dovrà comunque prendere atto che il paese non può camminare con le sue gambe e dovrà ricorrere a incessanti prestiti a rischio insolvenza già prima di erogarli. Festeggiano gli speculatori sul default, sui Credit Default Swap e sulle Banche che detengono titoli di debito greco, questi speculatori, si fregano le mani come “arpagone” nel momento che presta i soldi dietro pegno (strozzinaggio). Ma quale pegno potrà mai dare la Grecia se non i suoi beni pubblici ai creditori e quindi ipotecare la crescita futura svendendo tutto il possibile? Sembra vi sia una similitudine forte con lo strozzinaggio, ma da noi è perseguibile penalmente. E in Europa?

  5. Alfonso Fumagalli

    Se rimane nell’euro, la Grecia è strozzata dalle restrizioni imposte. Se esce dall’euro, le esportazioni sono troppo ridotte per dare un impulso al paese. Ma forse sarebbe l’unica soluzione: il default libera la Grecia dal fardello del debito e la crisi profonda successiva potrebbe cambiare il carattere della nazione. Mi sa che la Germania ha interesse a mantenere l’euro, anche se i tedeschi non se ne rendono conto. Pur con un potenziale ed un export molto maggiore, l’Italia si trova in una situazione simile

  6. lucio sepede

    Caro prof. Daveri, ritengo che, oltre a tutto quello detto nell’articolo, sarebbe opportuno aggiungere che la Grecia farebbe bene a tagliare interamente le spese militari superiori a 7 miliardi di euro previsti nel 2012, pari al 3% del Pil (in Italia siamo allo 0,9%) che per la maggior parte consistono in forniture delle industrie tedesche e francesi. Premesso che i sacrifici sono indispensabili per i greci, come per gli italiani, penso che affidarsi completamente alla troika finanziaria sia molto pericoloso, visti i precedenti tutti più o meno disastrosi e dato che l’attuale situazione è stata innescata dalla crisi della finanza speculativa (quella che non ha alcun rapporto diretto con l’industria e l’economia ma è un puro gioco speculativo) fatta pagare non da chi ha perso le sue scommesse nella grande giostra della bisca globalizzata ma da tutti i cittadini attraverso gli interventi degli stati sovrani. Temo che, senza nuove regole per la finanza speculativa e con una moneta (euro) priva di una forte guida politica, tutti i sacrifici possano essere vanificati.

  7. alessandro

    Con tutto l’amore che porto per questa terra pilastro della nostra cultura e della nostra lingua (e del mio nome) credo sia meglio che la Grecia esca dall’euro. per il tipo di economia che ha (turistica essenzialmente e con poche esportazioni di carattere prevalentemente alimentare, industria inesistente e bassa qualita’ dei servizi, scarso interscambio con gli altri paesi europei) e’ meglio una moneta che possa controllare che una moneta con la quale e’ controllata (per cui capisco la rabbia dei cittadini greci). Se ci pensate quando andiamo in vacanza fuori dall’europa (tutta la sponda sud ed orientale del mediterraneo per esempio) non ci facciamo problemi a cambiare la moneta (e in molti di qs paesi accettano anche l’euro) e anche a spendere di piu’ per via della scarsa familiarita’ con il valore locale del denaro. Tornare alla dracma forse farebbe crescere la grecia solo all’1%, restare nell’euro rischia di farla diventare un protettorato tedesco a crescita zero utile solo come luogo di villeggiatura di ricchi tedeschi (che cosi’ non verrebbero nemmeno piu” in Italia).

  8. enzo

    Non capisco perché o fuori dall’euro o riforme debbano essere necessariamente scelte alternative. Certamente è assurda, pur nella sua disperazione, la contestazione greca che non vuole una politica economica dettata dalla Germania ma pretende i soldi dei tedeschi per pagare gli stipendi. In altri termini non crede che una soluzione “argentina” possa contemporaneamente creare da un lato i presupposti di una competitività greca (niente debito ,svalutazione) e dall’altro porre i greci di fronte alla realtà senza alibi e false illusioni (riduzione dell’enorme apparato pubblico , politiche che favoriscano l’attrazione di capitali esteri )? Un’ultima cosa , gli stati/banche creditori non si fidano della grecia, ma i greci possono fidarsi dei paesi creditori?

  9. michele

    La moderazione salariale sarebbe il rimedio per far ripartire l’economia? O per i disordini sociali, e per la crescita elettorale degli estremismi di destra e sinistra, che mettono in pericolo la democrazia greca? E’ pensabile che la domanda interna possa riprendere con salari medi di 700 euro e un salario minimo di 500? questo modello economico, insieme a nuove infrastrutture materiali ed umane, serve a rendere la Grecia una colonia di lavoratori a basso costo, a creare una concorrenza al ribasso fra Paesi europei che delocalizzarenno lì la produzione.

  10. Spartaco

    Oppure la grecia resta nell’Euro e fa uno scherzetto a tutti facendosi salvare dalla Cina, che ne userà porti e infrastrutture per esportare merci in tutta la UE. Intanto si sono comprati il porto del Pireo.

  11. Ars Longa

    Legge questo articolo Il Premesso che condivido parte della analisi, sono perplesso sulle valutazioni circa tasse e numero di impiegati pubblici in Grecia. Mi sembra una sorta di “mantra” che oramai si ripete in modo continuo. Ieri sul Financial Times Richard Parker scriveva: “But almost none of the moralising clichés were true. Greek taxes were more than a third of gross domestic product, near the European average. […] Government was not bloated in terms of employees – at a fifth of the labour force, it was about the European average”. Insomma … potremmo metterci d’accordo e analizzare la realtà greca senza ricorrere a stereotipi ma puntando a dati sicuri?

  12. Marco

    Faccio presente che c’è chi dice, dati alla mano, che il pubblico impiego in Grecia non ha mai avuto nessuna sostanziale differenza rispetto al resto dei paesi UE: http://www.gustavopiga.it/2012/quella-grecia-cosi-simile-alleuropa/ e dunque non può essere considerato nè la causa del default nè una colpa che i greci dovrebbero espiare con l’austerità.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén