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IL FATTORE ANZIANI AL LAVORO

Nel breve periodo la riforma delle pensioni del governo Monti porterà a un aumento del 5 per cento circa della forza lavoro e a una riduzione dei pensionati compresa tra il 10 e il 15 per cento. Di conseguenza, la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei prossimi decenni sarà progressivamente più anziana, in particolare fra le donne. La sostenibilità e l’adeguatezza del nostro sistema pensionistico si giocherà allora sugli effetti che questo avrà sulla produttività della nostra economia e sulla domanda di lavoro da parte delle imprese.

L’aumento dell’età di pensionamento è l’elemento caratterizzante della riforma delle pensioni approvata dal Parlamento in dicembre. L’Italia si è così affiancata alle nazioni europee più virtuose nel breve periodo ed è diventata la prima della classe nel lungo. In sintesi, il provvedimento legislativo mira ad aumentare l’età di pensionamento media nei prossimi decenni attraverso un irrigidimento delle condizioni di accesso per età/anzianità contributiva e tramite l’introduzione di vincoli sull’importo necessario affinché il diritto al pensionamento possa essere esercitato. Tutto ciò prelude a un cospicuo aumento dell’offerta di lavoro, sia nel breve che nel medio – lungo termine: in una società dove il numero degli anziani rispetto al totale della popolazione è destinato a crescere in maniera esponenziale, non può che essere una buona notizia.
Tuttavia, e questo è meno scontato, la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei prossimi decenni, sarà progressivamente più “anziana”. Quali le implicazioni di questo cambiamento sulla produttività della nostra economia e sulla domanda di lavoro da parte delle imprese? Quali gli effetti dei prezzi relativi delle retribuzioni dei lavoratori anziani rispetto a quelli più giovani? È in realtà su questi punti che si giocherà la partita della sostenibilità e dell’adeguatezza del nostro sistema pensionistico. Un primo passo per capire quello che potrebbe succedere è quello di misurare l’entità del cambiamento atteso nel mercato del lavoro.

GLI ELEMENTI ESSENZIALI DELLA RIFORMA

L’aumento dell’età media di pensionamento viene perseguito con differenti strumenti:

  • la progressiva omogeneizzazione dell’età di pensionamento per vecchiaia, oggi differenziata per genere e categoria, e il suo agganciamento, con cadenza biennale, alle variazioni nell’aspettativa di vita all’età di 65 anni;
  • la previsione che il diritto al pensionamento di vecchiaia possa essere esercitato solo a patto che l’importo pensionistico maturato sia pari almeno a 1.5 volte quello dell’assegno sociale;
  • l’abolizione del sistema delle quote (somma di anzianità contributiva ed età) come canale di accesso al pensionamento di anzianità e la previsione di uscita in anticipo solamente attraverso il raggiungimento del requisito di anzianità;
  • il mantenimento della possibilità di accesso anticipato a 63 anni (indicizzati anche essi all’andamento delle aspettative di vita) per i lavoratori entrati nel mercato del lavoro successivamente al 1995, a patto che l’importo del trattamento pensionistico sia pari ad almeno 2.8 volte il trattamento minimo.

La figura 1 mostra, sulla base dei dati forniti dalla relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge che ha introdotto la riforma, l’evoluzione della forbice all’interno della quale ragionevolmente si situerà la grandissima maggioranza delle uscite per pensionamento nei prossimi decenni.

Figura 1

Età di maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia e al pensionamento anticipato

Il fenomeno più evidente che si coglie è il continuo innalzamento dell’intervallo all’interno del quale sarà possibile accedere al pensionamento. Eccezion fatta per i lavori usuranti, nel 2050 non si potrà andare in pensione prima di aver compiuto 66 anni e 7 mesi e l’età del pensionamento di vecchiaia sarà fissata a 69 anni e 9 mesi.
Con l’innalzamento dell’età di pensionamento, la riforma, giustamente, si preoccupa di assicurare al mercato del lavoro futuro un numero “sufficiente” di lavoratori per fronteggiare il forte aumento di quello dei pensionati: solo in questo modo, sembra essere il ragionamento, l’economia italiana sarà in grado di generare in futuro le risorse necessarie al finanziamento di pensioni adeguate e sostenibili. A causa della caduta nella fertilità registratasi nei passati decenni in Italia, infatti, si affacceranno nei prossimi decenni sul mercato del lavoro coorti di giovani lavoratori di dimensioni ridotte rispetto a quelle in uscita. (1) La riforma forza dunque tutti gli individui a restare più a lungo in attività: questo significa però che in futuro, per contrastare la caduta del numero di lavoratori di età più giovane, l’età media della forza lavoro sarà destinata ad aumentare in misura sensibile.

GLI EFFETTI SULL’OFFERTA DI LAVORO

I risultati di un nostro modello di micro simulazione dinamica aiuta a comprendere la dimensione del fenomeno atteso nei prossimi decenni. (2)
La figura 2 mostra gli effetti della riforma pensionistica sullo stock di occupati e pensionati in una simulazione che comprende le modifiche apportate alla normativa pensionistica nel dicembre 2011, assumendo per il futuro uno scenario di partecipazione e occupazione coerente con quello osservato nel passato recente.

Figura 2
Variazione percentuale di occupati e pensionati
a seguito degli effetti della riforma delle pensioni. 2012–2050

Si tratta evidentemente di cambiamenti speculari, seppure di dimensione percentuale differente a causa della diversa numerosità dei pensionati e degli occupati. In entrambi i casi tuttavia è evidente che l’impatto della riforma è importante. Nel breve periodo porterà a un aumento del 5 per cento circa della forza lavoro e a una riduzione compresa tra il 10 e il 15 per cento dei pensionati. L’effetto si attenua nella seconda parte del periodo esaminato, a conferma dell’esistenza di un impatto significativo dei provvedimenti della riforma nel breve periodo a seguito della forte restrizione sulle pensioni di anzianità.
In termini quantitativi le nostre stime segnalano che l’aumento dell’occupazione si concentrerà tra coloro che avranno più di 60 anni. La figura 3 dà una misura sia della dinamica di questo comparto della popolazione attiva prima della riforma del dicembre 2011, sia dell’impatto che la medesima eserciterà su questo segmento della popolazione. L’effetto è molto importante: se all’inizio della simulazione gli individui attivi con più di 60 anni non superano il milione di unità, alla fine del periodo crescono di più di quattro volte. Le modifiche contenute nel decreto “salva Italia” confermano le dinamiche di lungo termine e accelerano sensibilmente quelle di breve.

 Figura 3
Numero di occupati con più di 60 anni prima e dopo la riforma pensionistica del dicembre 2011.

Le nuove norme sul pensionamento porteranno di conseguenza a un consistente incremento nell’età media di pensionamento, più sostenuto per le donne rispetto agli uomini, ma comunque di dimensioni importanti: secondo i dati della nostra simulazione si passerà da valori intorno ai 65/66 anni nel prossimo decennio a valori medi leggermente superiori ai 68 anni alla fine della simulazione. Quanto alla quota della popolazione attiva con età superiore ai 50 anni, ammonta a circa il 25 per cento del totale nel 2012, ma salirebbe a valori vicini al 40 per cento nel 2050. Detto in altri termini, ad aumentare dovrà essere soprattutto il tasso di partecipazione nell’ultima parte della vita attiva, che attualmente è basso nelle comparazioni internazionali ed è spesso indicato come uno dei punti deboli dell’economia italiana. La nostra simulazione mette in evidenza come, con il passare degli anni, il tasso di partecipazione sia destinato a crescere, in maniera particolarmente intensa per le donne.

I PROBLEMI APERTI

Quali e quanti cambiamenti saranno necessari nel mercato del lavoro per sostenere un rimescolamento delle proporzioni presentate nelle figure?
Per dare una risposta a questa non semplice domanda, occorre interrogarsi sulla relazione tra invecchiamento della forza lavoro e produttività. Ad esempio, quali potrebbero essere le conseguenze sul profilo temporale delle retribuzioni o se vogliamo sul salario relativo dei lavoratori “anziani” rispetto a quelli “giovani” di un così forte cambiamento nel peso relativo dei primi rispetto ai secondi? Oppure è ragionevole pensare che la produttività media dell’economia possa riprendersi dalla stagnazione in cui si trova da più di un decennio in presenza di una forza lavoro che invecchia? Oppure ancora, in che modo le condizioni di salute della parte più anziana della popolazione attiva influenzeranno le performance dell’economia nel futuro prossimo e in quello più lontano? E infine: sarà ancora sostenibile nel futuro un modello di “welfare” nel quale la cura degli anziani e quella dei bambini viene lasciata in buona parte a carico delle donne adulte?
Sono questi gli aspetti che, a nostro parere, segneranno il successo o il fallimento della riforma delle pensioni nei prossimi anni. Sulla carta, la riforma assegna ai pensionati prestazioni adeguate e sostenibili, ma non è naturalmente in grado di influenzare la dinamica del prodotto, che in ultima analisi è la base sulla quale anche le pensioni vengono finanziate. Detto in altri termini, le regole pensionistiche influenzeranno nei prossimi decenni la dimensione dell’offerta complessiva del fattore lavoro. Nulla dicono, ed è ovvio sia così, sulla produttività di chi sarà sul mercato del lavoro e sulla domanda di lavoro che verrà da parte delle imprese.

(1) Il risultato resta valido anche considerando il flusso di neo-immigrati previsto dall’Istat per i prossimi decenni.
(2) Per una descrizione del nostro modello e delle sue applicazioni visita questa pagina

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34 commenti

  1. tonio

    Se hanno aumentato il minimo contributivo a 42/43/44/45/46 anni, non vedo come può crescere l’occupazione ,penso che sia il contrario .Penso che come rendimento sul lavoro renda più un giovane di 25 anni che un anziano di 62/63/64/65/66/67 anni, e che per il lavoro di scarico e carico merci pesanti per 8 ore di fila all’anziano ci vuole qualcuno che l’accompagni. Non avete calcolato che gli anziani che hanno maturato 40 anni di contributi non ce la fanno più. Quanti lavoratori si metteranno in malattia,o piccoli infortuni e con l’ aumento dell’età pensionabile ci sarà più assenteismo. Tanti tecnici teorici e cattedratici ora ministri dovrebbero provare a LAVORARE NELLE FABBRICHE, NEI CANTIERI, O ANCHE IN UN UFFICIO SOTTOPOSTI A MOBBING PER 8 ORE DI FILA per 46 anni, avete sbagliato tutto, questa riforma previdenziale è stata una controriforma e va corretta, 41 anni di lavoro sono sufficienti per pagare una pensione, al limite l’aumento dovrebbe essere molto piu’ graduale, nel 2019 ci vorranno piu’ di 43 anni di contributi è una assurdità.

    • La redazione

      Condividiamo l’idea che l’aumento dell’eta’ pensionabile sia seriamente problematico per categorie di lavoro “usuranti”. E’ arduo pensare che un dipendente a 69 anni possa continuare ad accudire anziani (a volte anche più giovani, se con disabilità), bambini o lavorare in cantiere senza interrogarsi sulle possibili ripercussioni di tale scelta in termini di sicurezza (non solo del lavoratore). Come gia’ segnalato in risposta ad altri commenti a questo articolo, le nostre proiezioni mirano ad identificare potenziali problemi nel mercato del lavoro. Pensiamo che se si intende continuare sulle tracce delineate dall’ultima riforma pensionistica, l’agenda del mondo accademico e politico dovrebbe trovare un adeguato spazio per approfondire tali questioni.

  2. FILIPPETTI

    Non cadiamo nell’errore che + anziani al lavoro significhi meno giovani al lavoro.Partiamo invece dal presupposto che + anziani al lavoro + soldi per le pensioni già concesse + consumi + possibilità di crescita + lavoro per i giovani per le imprese etc etc . La riforma ci costringe poi a rivedere l’organizzazione di lavoro: E’ vero in termini di + e – , la produttività di un giovane equivale a due anziani , ma in cosa.? lavori pesanti ? ma veramente pensiamo ad un futuro di braccia e muscoli oppure è più logico considerare che grazie a Dio, lo sviluppo della tecnologia porterà ad una società dove il fattore forza e salute fisica saranno meno richiesti e invece si chiederà più esperienza più creatività e dove i giovani come i meno giovani potranno trovare lo spazio e la dignità per vivere il proprio lavoro come un impegno e non come una costrizione! Pensiamo a come eravamo trent’anni fa per misurare gli effetti della riforma ma nel 2050 non adesso..

    • La redazione

      Condividiamo l’idea che la riforma costringe ad un ripensamento dell’organizzazione del lavoro. Aumento dell’occupazione tra gli anziani (specie tra le donne) potrebbe necessitare un’espansione di servizi ora soddisfatti in maniera informale (si pensi a nidi, scuole infanzia, strutture protette e centri diurni per anziani). La nostre proiezioni hanno il modesto obiettivo di identificare potenziali problemi futuri che – a nostro parere- rappresentano un sfida importante.

  3. Anonimo

    Un buon sistema economico dovrebbe garantire il pieno impiego del fattore di produzione lavoro, altrimenti un buon sistema di walfare è quello di garantire anche la disoccupazione (vedi sistemi di sussidi) anche in equivalenza ad una uscita anticipata dalla forza lavoro attiva. In altre parole le pensioni di anzianità dovrebbero essere tutelate come sistema generalizzato di ricchezza.

  4. Fabio Faretra

    L’ottimo articolo di Mazzaferro/Morciano propone una diversa lettura defli effetti della recente riforma delle pensioni. Oltre l’angolo di visuale della sostenibilità del sistema, principale preoccupazione dei riformatori, e dell’adeguatezza delle prestazioni, dimenticato imperativo dell’articolo 38 della Costituzione, vi è senz’altro quello degli effetti in termini di produttività e costo del lavoro, dati dalla permanenza in servizio degli anziani. Vorrei proporre un ulteriore aspetto, finora trascurato: i contratti di lavoro prossimi venturi. Le attuali regoli pattizie, nazionali e aziendali, sulla durata del periodo di ferie, di aspettativa, di recesso, etc. sono state pensate per una popolazione attiva di età compatibili in termini di parità di trattamento. I prossimi rinnovi dovranno necessariamente prevedere periodi di ferie differenziati al crescere dell’età, aspettative specifiche per gli anziani, orari di lavoro comprimibili, regole di recesso più flessibili. La decorrenza della riforma è fissata al 2013. É perciò già il tempo di elaborare piattaforme innovative.

    • La redazione

      Condividiamo l’idea che oltre alle regole pensionistiche anche le modalità di permanenza nel mercato del lavoro dei soggetti più anziani debbano essere ripensati.

  5. Danielone

    La mia esperienza mi dice che il pensionamento precoce-e a sessant’anni normalmente lo e’- e’ uno spreco di esperienze,formazione e maturita’ decisionale. C’e poi da interrogarsi e documentare come gli altri in Europa hanno risolto organizzativamente la presenza dei più anziani senza perdere di efficienza.

    • La redazione

      Infatti. Il passaggio cruciale (e sicuramente non risolto) sarà di chiedersi in che modo i lavoratori anziani potranno restare sul mercato del lavoro in maniera produttiva.

  6. EMILIO LONGO

    I lavoratori andranno in pensione sempre più tardi. Di certo aumenteranno i sessantenni al lavoro. Mentre ho qualche dubbio che l’intervento sulle pensioni produca di per sè un aumento del 5% degli occupati, a meno di non ipotizzare che le aziende non siano intenzionare a coprire il turnover. Il ritardo nei pensionamenti avrà l’effetto di ritardare anche le nuove assunzioni. Il costo medio del lavoro pagato dalle imprese dunque non potrà diminuire grazie alla staffetta tra lavoratori giovani e anziani. Conseguentemente la produttività dovrà aumentare in altro modo. Le imprese dovrebbero organizzarsi per ‘ringiovanire’ i lavoratori anziani (formazione, motivazione). Ma i professori che preconizzano la rimozione del divieto di licenziamento senza giusta causa (art. 18) sembrano volere offrire qualche scorciatoia. In sintesi, l’intervento sulle pensioni pone un’ipoteca sulla vita degli attuali lavoratori e un ulteriore ostacolo per i giovani in cerca di occupazione. Tutto per non toccare il partito di chi in pensione c’è già, a condizioni d’oro, ove si annidano milioni che godono di redditi e patrimoni superiori a quelli dei lavoratori che stanno pagando loro la pensione.

    • La redazione

      Condividiamo l’idea che la strada per rendere sostenibile la riforma pensionistica sia l’aumento della produttività. Meno l’assunzione, non dimostrata dalle evidenze empiriche internazionali, che un lavoratore anziano in più significhi automaticamente un lavoratore giovane in meno: come scritto in risposta ad un altro lettore questa ipotesi poggia sulla convinzione che le economie siano statiche (anche nella produttività) e che la numerosità delle coorti in uscita per pensionamento sia pari a quelle delle coorti in entrata nel mercato del lavoro, cosa che non accadrà in Italia nei prossimi decenni a seguito del passaggio al pensionamento delle numerose generazioni del baby boom.

  7. Massimo GIANNINI

    Articolo interessante. Se é vero che mediamente la produttività degli anziani é più bassa il problema sarà che questa riforma ha si riequilibrato il sistema pensionistico nel suo insieme, ma il costo per l’economia sarà produttività più bassa, costo del lavoro più alto (un lavoratore anziano costa di più) e minore domanda di lavoro. Non pare una bella prospettiva…

    • La redazione

      In realtà tutto dipenderà da come il mercato del lavoro (e le istituzioni che contribuiscono a regolarlo) reagiranno. L’evidenza sulla minore produttività degli anziani non è proprio univoca (anche se prevalgono gli elementi che portano a pensare che un anziano non sia così produttivo come un giovane). Tuttavia il costo del lavoro in futuro sarà più alto solo se il ricambio nei rapporti tra numero di giovani e numero di anziani presenti sul mercato del lavoro NON modificherà il salario relativo. In altri termini se la dinamica retributiva in futuro resterà fortemente ancorata all’anzianità allora il ragionamento del lettore è corretto, ma forse questo è qualche cosa che sarebbe auspicabile che cambiasse.

  8. Andrea

    Da come viene trattato l’argomento pensioni sembra che a un calo del numero di pensionati corrisponda una calo nel numero di nuovi occupati e viceversa. Esitono evidenze empiriche (studi, analisi) che dimostrino che a un pensionato (posto di lavoro distrutto) corrisponde un nuovo occupato (posto di lavoro creato) equivalente o quasi?

    • La redazione

      La letteratura empirica internazionale ha evidenziato, sui dati degli ultimi trenta anni, che nelle economie sviluppate l’equazione un anziano in più occupato = un giovane in meno occupato, non corrisponde a verità. Questo ragionamento è vero nel caso in cui si immagini un’economia completamente statica che si replica nel tempo. Se l’economia cresce la relazione di cui sopra non è più vera. Inoltre nei prossimi decenni usciranno dal mercato del lavoro coorti molto numerose (quelle del baby boom) e verranno sostituite da coorti di dimensioni più ridotte (i giovani di oggi e del futuro). La riforma pensionistica mantiene sostanzialmente costante l’offerta complessiva di lavoro nel lungo termine a fronte di un numero crescente di occupati.

  9. Franco Ferre'

    Tutte, ma proprio tutte le analisi sul tema evitano (di proposito) di spiegare chi farà lavorare gli ultrasessantenni, visto che a) già oggi sei hai più di 40 anni (o forse bastano 35) sei vecchio per qualunque ricerca di personale; b) nel frattempo avranno abolito anche quelle residue tutele che impediscono ai datori di lavoro di licenziare i vecchi e stop. Si prepara un futuro in cui il cinquanta/sessantenne sarà costretto a lavorare, ma nessuno lo vorrà assumere. E questa è una questione anche (soprattutto?) culturale: le aziende italiane sono governate da manager che stanno nel giurassico e ritengono che tutte le forme di lavoro che non siano 8-ore-al-giorno-chiuso-in-ufficio(fabbrica)-5-giorni-la-settimana non siano veri lavori e che una persona intelligente a 40 anni non possa più imparare niente di nuovo. E allora? Parliamo anche di queste cose, ogni tanto, o ci fermiamo sempre a grafici, numeri e righette che misurano solo quello che si può misurare e non tutto l’universo del reale? E’ rassicurante mettere tutto in grafici, peccato che poi ci si scontri ogni giorno con cose che nei grafici non ci sono… e sono quelle decisive.

    • La redazione

      Il senso del nostro articolo è quello di indicare (ahimé) con grafici e figure la dimensione dei problemi che il lettore evidenzia. Se non si parte da una stima quantitativa dei fenomeni che ci attendono è più difficile prendere decisioni sui medesimi.

  10. LUCIANO GALBIATI

    Al lavoro sino a 67-70 non ci può stare nessuno, ne ora, ne in un prevedibile futuro. Il motivo è semplice: 1) Nessuna azienda tiene con sè lavoratori tanto anziani. 2) Nessun lavoratore -ad esclusione di politici, economisti e cattedratici di varia natura- può svolgere le proprie mansioni in modo sicuro e performante oltre i 60 anni. Esiste un tempo x il lavoro e un tempo x la cura dei nipoti. Mirabolanti sviluppi della medicina geriatrica sono invece confinati nei racconti fantastici del grande Isaac Asimov. Una sola certezza. Questa riforma non funziona e presto dovrà essere cambiata.

    • La redazione

      La “scommessa” della riforma sta proprio nel fatto di ipotizzare che, nei prossimi decenni il lavoro oltre i 60 anni sia possibile. Condividiamo il fatto che per alcune tipologie di lavoro questo possa risultare arduo: evidentemente alcuni correttivi (lavori usuranti, forme di impiego parziale nella fase finale della vita attiva, forme di riallocazione dei lavoratori all’interno della stessa azienda, etc) possono agire in senso positivo. La verità è che nessuno sa quali saranno le condizioni di vita dei 60 enni nel 2050. In questo senso la riforma fa una “scommessa”. Del resto i numeri della demografia e quelli della finanza pubblica questa scommessa l’hanno resa “quasi” obbligatoria.

  11. marco

    La crescita aumenta la produttività attraverso il miglioramento tecnologico e la conseguente automazione; tra qualche anno molti mestieri verranno svolti totlamente o quasi dalle macchine; non ci saranno più operai in fabbrica basterà azionare il meccanismo schiacciando un bottone su qualch display domotico- A questa realtà le aziende e il governi rispondono con una risposta quantitativa- facciamo lavorare di più chi è nel circuito lavorativo schiavizzandolo per più ore al giorno e per più anni in modo che paghi i soldi per mantenre tutti quelli che non lavorano che sono in continuo aumento;benvenuti tra i pazzi!La risposta da dare sarebbe invece qualitativa ovvero dimezzare le ore di lavoro di ognuno, impiegare tutti e ridistribuire veramente la ricchezza prodotta in modo da mantenere gli stipendi attuali e migliorar benessere sociale; che senso ha che ci sia gente che guadagna miliardi di euro facendo vedere in tv merda pubblicitaria e mezze donne nude in modo da pagare milioni di euro un pistolone che da calci a una palla, o facendo dei buchi nel suolo per ricavare della merda nera chiamata petrolio che distrugge il mondo, o dando fuoco al cibo con le biomasse affamando il mondo!

    • La redazione

      Con riguardo alla prima parte del commento, chiariamo che le nostre proiezioni sono ottenute ipotizzando che i trends osservati nell’ultimo decennio continuino con la stessa intensita’ nel futuro. Concordiamo che il progresso tecnologico possa comportare un sistematico aumento della produttivita’. Difficile quantificare oggi tale aumento prospettico e come si distribuira’ tra le diverse categorie sociali. Ogni assunzione sarebbe arbitraria e per questo ci esuliamo da questo difficile compito.

  12. Antonio Fiori

    Per un banale errore ho postato questo intervento a commento di un altro articolo, eccolo: Nei quattro interrogativi che gli autori si pongono nel paragrafo dei ‘problemi aperti’ si dimostra quanto di aleatorio vi sia sul buon esito della riforma pensionistica. Perchè allora non porsele prima queste domande? Perché non si è puntato maggiromente sul bonus per le assunzioni giovanili? Perché non si è avuto il coraggio di applicare subito a tutti la forbice dei 63-70? Perché non si è deciso di abolire definitivamente queste assurde finestre biennali, bizantine e vessatorie, essendo l’aspettativa di vita già regolata dal coeffieciente in vigore al momento dell’ uscita? Perché non si è tenuto presente che per l’equilibrio dei conti sono necessarie risorse finanziarie (tramite disincentivi e aggiornamento dei coefficienti) e non la vita delle persone?

    • La redazione

      Gentile Antonio,

      non essendo noi gli estensori della riforma possiamo solo provare a rispondere ad alcune delle tue questioni. Il messaggio generale dell’articolo è che non si può pretendere che la sola revisione delle regole pensionistiche aggiusti gli squilibri generazionali. Questo implica che cose importanti dovranno succedere nel mercato del lavoro e nell’economia in generale. Più nello specifico le finestre biennali (immaginiamo tu ti riferisca all’aggiornamento dell’età di pensionamento alle aspettative di vita) sono pensate per evitare che il sistema contributivo generi in futuro pensioni di importo troppo basso. La forbice 63-70 ha senso solo quando il contributivo sarà a regime e non nella fase transitoria.

  13. SAVINO

    Visto che i 60-70enni di oggi, rispetto a quelli di ieri, “si sentono più giovani” non c’è modo migliore per dimostrarlo che lavorando. Semmai il problema è quello di responsabilizzare chi ha avuto la fortuna di avere un posto fisso ed ha anche il barbaro coraggio di sputare nel piatto in cui mangia, quando vi sono milioni di giovani con fior di preparazione, teorica e pratica, a spasso. Chi ha un posto fisso deve imparare ad apprezzarlo nel rispetto di chi è nato dopo e sta pagando per tutti.

    • La redazione

      Come abbiam segnalato in risposta ad un altro commento, il messaggio generale dell’articolo è che non si può pretendere che la sola revisione delle regole pensionistiche aggiusti gli squilibri generazionali.

  14. luciano

    Riforma assurda e sensa senso , i conti dell’inps sono già in ordine, sono bel altri i problemi ad iniziare da tutte le ruberie e furti che è soggetto l’istituto e la marea di denaro sperperato malamente.

  15. Giovanni D.

    A leggere i “problemi aperti” mi è dapprima sembrato che pochi avessero possibilità di essere affrontati con successo, nelle attuali condizioni: ma è bene operare per cambiarle, tali condizioni, e allora forza con la ricerca di maggiore produttività dei lavoratori anziani. Cominciando dal loro aggiornamento nelle ICT e dalle attività di prevenzione delle malattie e degli infortuni. Aggiornamento tecologico e condizioni psicofisiche sono le basi per la crescita della produttività non solo per i lavoratori anziani. Quelli delle micro e delle piccole e medie imprese, poi, sanno fare di tutto nel loro settore e l’esperienza accumulata potrebbe essere valorizzata dall’aggiornamento e dalle buone condizioni di salute: le opportunità di lavoro che potrebbero nascere dal ridimensionamento del consumismo e dello spreco, dall’oculatezza e dalla convenienza a fare manutenzione, a riparare, a riadattare, potrebbero trovare nei lavoratori anziani l’offerta più adeguata.

  16. Enzo

    Non mi intendo di pensioni. Commento da uomo della strada: un fesso tra i molti. Una riforma seria, se seria doveva essere, avrebbe dovuto legare le sorti generazionali. I conti vengono sempre fatti senza l’oste. Ho alle spalle, come tanti, 36 anni di lavoro. Lavorare non mi pesa e non voglio pesare sui miei figli e su quelli degli altri. Ma non voglio neanche essere costretto a pagare le pensioni dei miei colleghi (con cui ho lavorato per quasi 30 anni) che si trovano a godere la loro pensione dopo 35 anni di versamenti con il sistema retributivo. Trovo che il sistema per essere equo dovrebbe legare le sorti dei lavoratori con quelle dei pensionati (non è stato così nel bene con le sacrosante rivalutazioni?). Se diritti quesiti non ne esistono più non devono esistere per nessuno. Voglio dire che mi sembra equo che se l’età contributiva aumenta dovrebbe aumentare anche per i pensionati con l’applicazione di un coefficiente. Se sei andato con 35 anni e ora ne servono 42 ti prendi 35/42 di pensione. Dividiamo il peso tra tutti, mi sembra più equo. Ovviamente fermo restando un minimo non riducibile, oltre un massimo non superabile. Le pensioni oltre 2000 € costano 70 MD.

  17. giacomo

    Un disastro per la società ne pagheremo le terribili conseguenze fra un decennio,ma ci pensate, chi poteva a 60 anni mettere il proprio tempo a disposizione del sociale sarà ancora al lavoro, voglio vedere chi si occuperà di ambulanze, assistenza anziani e quant’altro, chi lo farà e a che prezzo, (forse stanno pensando di privatizzare anche la solidarietà?) le ditte vedranno i giorni di assenza per malattia aumentare vertiginosamente. Come si fa dopo circa 40 anni di turni usuranti a tenere per forza in servizio persone che avrebbero diritto di godere di meritato riposo?

  18. Mario

    Secondo le stime l’Italia nel 2020 avrà l’età media di pensionamento più alta della CEE, mentre lo scorso anno era – dicono – quella più bassa. La riforma che ci hanno consegnato ha disegnato per i lavoratori il peggiore sistema pensionistico possibile. Con questa tutti i vari cantori dei sacrifici (altrui) saranno soddisfatti e per un po’ senza parole: non hanno nulla da peggiorare, auanto fatto ha superato ogni loro previsione. Ma – tranquilli – la riforma è buona solo per sfamare di sangue i mercati finanziari. Alla lunga la riforma non reggerà se ad esempio, tra i tanti problemi irrisolti, non saranno individuati i lavori che possono essere svolti da vecchi di 66 anni e 7 mesi, con la prospettiva che diventino 69. Se non si pensa di offrire alle persone arrivate ad una certa età -penso ad esempio agli operai, agli infermieri, alle insegnanti di scuola materna, ai muratori e ad altri cento lavori simili- un lavoro che possano fare senza farsi male e con un minimo di significato economico in termini di resa o produttività, fuori del loro settore o all’interno del loro settore in mansioni protette, saranno creati enormi e penosi problemi sociali.

  19. francescovilla

    Un dato che l’ INPS non fornisce é la vita media dei lavoratori dipendenti (operai e impiegati) iscritti INPS. Questo dato è FONDAMENTALE perchè l’innalzamento dell’età pensionabile riguarda soprattutto loro. Quello che non si dice è che la vita media dei lavoratori dipendenti maschi (operai e impiegati) iscritti all’INPS , è notevolmente inferiore ai 70 anni. Salta subito all’occhio che se l’età pensionabile è di 67 anni, ben che vada al lavoratore dipendente è di poterne usufruire solo per qualche anno. Il dato utilizzato dal governo e dai suoi sostenitori per far passare l’iniqua manovra, è quello dell’aspettativa di vita, che si attesta sui 80 anni: peccato che si riferisca agli ultimi nati, che potrebbero, in media, vivere sino al 2090 ! Un esempio concreto: per la generazione nata nel 1920, ipotizzando che i “superstiti” vivano sino ai 100 anni, la vita media dei maschi si attesta a 54 anni.

  20. marisa molli

    Ho 65 anni, sono una lavoratrice autonoma con partita iva e ho sempre difeso con orgoglio la mia figura professionale, pagando senza lamentarmi tasse e contributi. Ora però la ministra Fornero mi ha costretto a cambiare idea. Prima della sua equa riforma avrei potuto andare in pensione a settembre del 2011 con 16 anni di contributi piu’ due anni come pubblica dipendente. La sventurata riforma mi ha stravolto tutto, disponendo l’obbligatorietà di un minimo di venti anni di contributi. questo per me significa ancora circa tre anni di attività lavorativa, 18 mesi di attesa per l’erogazione della pensione: pena la perdita dei versamenti fino ad ora eseguiti ( una cifra per la verità abbastanza consistente). Mi chiedo se questo sia un nuovo esempio di cancellazione da parte dello Stato dei diritti acquisiti dei suoi normali cittadini, di spreco di denaro della collettività o il risultato di incompetenza e superficialità di chi ha predisposto questa riforma ? inoltre tra lacrime, tentennamenti, ricatti manca chiarezza di quanto la ministra intenda predisporre.

  21. graziella

    La “riforma” delle pensioni è iniqua. Ma la vuole capire la signora Fornero che a una certa età sei out nel mercato del lavoro? Scrivo e parlo correttamente due lingue (inglese e francese), sono grafica editoriale e pubblicitaria, conosco vari programmi professionali, etc. etc. Ho cominciato a lavorare a 14 anni, ora ne ho 60 e avrei dovuto andare in pensione nel 2013. Sono disoccupata e trasmetterei volentieri il mio know-how a un giovane, ma non conosco nessuna azienda disposta ad assumermi, anche solo part-time. Perché la ministra (o meglio il ministro come preferisce essere chiamata) non guarda gli annunci economici? Max 30 anni! Ora, se patto intergenerazionale ci deve essere, non dovrebbe essere lo Stato ad occuparsene? Semplice, molto più semplice prendere i soldi a chi non ha mai evaso le tasse senza preoccuparsi di cosa ne sarà di loro. Dietro i numeri ci sono le persone, se lo sono dimenticato i “geni” della finanza? Questa non è una riforma ma una scellerata nonché controproducente imposizione che incentiverà il lavoro nero.

  22. giorgio gragnaniello

    Il convitato di pietra in questo annoso dibattito sull’adeguamento dell’età pensionabile alle aumentate (come no!) aspettative di vita” – sostenuto come dogma di fede neo-liberista da questo e altri santuari Friedmaniani c’è ed ha due facce in parte interdipendenti: il Welfare (di cui il Neoliberismo, a fondamentale differenza dal Liberalismo galantuomo di Malagodi fa volentieri a meno)e per esso la qualità del lavoro e della vita e della stessa quantità temporale di quest’ ultima! I sovietologi di Reagan previdero nel 1985 l’ imminente crollo URSS solo su dato svelato dell ‘ incipiente calo dell’ età media in URSS. E in Germania – il cui Welfare è ben migliore del nostro, nondimeno è aumentata nell’ ultimo lustro la mortalità anziana nei Land più vulnerabili alla crisi: quelli ex-DDR. Il Neo-Liberismo è fallito! Ha capito ora l’ antifona persino Oscar Giannino!

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