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UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA PER IL RATING

 Da quattro anni, ogni volta che le agenzie di rating emettono i loro verdetti si scatena il putiferio, con il solito corredo di accuse su complotti politici e conflitti di interessi. Ma la disciplina delle agenzie di rating negli ultimi tempi ha fatto importanti passi avanti, che non devono essere sottovalutati. Quello che ancora manca è un processo che attenui il rilievo del rating nelle regole di vigilanza. E che soprattutto valorizzi l’autonomia di giudizio e il ricorso a una pluralità di fonti informative da parte di banche e investitori.

Da quattro anni ormai ogni volta che le agenzie di rating emettono i loro verdetti si scatena il putiferio, con il solito tormentone di accuse su complotti politici e conflitti di interessi, poi la tempesta passai e tutto torna come prima.

I VERDETTI DEGLI ORACOLI

Ma, guardando al futuro, che possibilità abbiamo di non dover vivere sempre nella perenne e ansiosa attesa del vaticinio degli oracoli della finanza globalizzata?
La prima banale considerazione è che avere a disposizione qualcuno che in un codice alfanumerico riassume la valutazione di un’attività o di un emittente, abbassa i costi di informazione e consente rapide comparazioni. Può quindi aiutarci nelle nostre scelte.
La seconda, altrettanto banale, è che soprattutto quando è così sintetica e diffusa, l’informazione deve assolutamente essere corretta, autonoma e trasparente.
Se durante i lavori della commissione d’inchiesta del Senato americano sulla crisi del 2008 è saltata fuori una mail interna a una agenzia di rating, dove si ammetteva candidamente che i valutatori dei famigerati prodotti strutturati erano talmente dipendenti dalle laute commissioni degli emittenti da aver maturato la “sindrome di Stoccolma”, vuol dire che sul terreno dell’indipendenza e della trasparenza parecchie cose proprio non funzionavano e quindi non ci si può fidare. (1)

LE REGOLE CHE CI SONO E QUELLE CHE MANCANO

Ma da allora molte cose sono cambiate e sarebbe ingeneroso, oltre che ipocrita, trascurare i progressi dei regolatori per disciplinare soggetti che prima agivano senza alcun vincolo.
Al di qua e al di là dell’oceano, leggendo i regolamenti comunitari, gli orientamenti dell’Esma, l’Autorità europea che vigila sui mercati finanziari, e il Dodd-Frank’s Act statunitense, emergono importanti passi avanti sul terreno della prevenzione dei conflitti di interessi, di una governance più autonoma, di una verifica delle procedure di valutazione e anche di una disciplina dei limiti di accesso maggiormente favorevole ai nuovi entranti, per i ben noti e ancora irrisolti problemi di concorrenza del settore.
E, detto per inciso, anche i giudici, sul terreno dei danni causati dai giudizi errati della agenzie, hanno cominciato a fare la loro parte incrinando il muro che prima impediva di sanzionare sul piano civilistico la loro responsabilità. (2)
Rimangono sicuramente alcune criticità, ad esempio nella travagliata discussione sul Dodd-Frank’s Act non sono passati quegli emendamenti che tendevano a vincolare gli incarichi alle agenzie, proponendo di passare dal modello issuer pays a uno subsciber pays, ma bisogna anche fare attenzione a non calcare troppo la mano. (3) Così l’Esma ha il potere di emanare standard tecnici che regolamentino e rendano trasparenti le metodologie di analisi, senza però interferire nel contenuto delle analisi stesse, ma il confine tra le due cose non sempre è così netto. (4)

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PENSARE CON LA PROPRIA TESTA

In sostanza, la strada di una equilibrata disciplina è ormai intrapresa ed è quella giusta, anche se mancano alcune tappe. Adesso, lasciando da parte le inutili e pericolose misure draconiane che in omaggio ai soliti furori populistici vorrebbero spostare il rating in capo a agenzie pubbliche, la palla torna innanzitutto ai regolatori che devono, e non è un paradosso, deregolamentare e subito.
C’è una strana asimmetria nelle scelte compiute immediatamente dopo la crisi del 2008: mentre ci si è dati subito da fare sui requisiti organizzativi e operativi di chi elabora il rating, con molta, troppa, lentezza si è seguita la road map da tempo indicata dal Financial Stability Board: per “evitare le risposte meccaniche dei mercati” (testuali parole), eliminare il riferimento al rating nelle disposizioni di vigilanza e regolamentari, responsabilizzando maggiormente il risk management di banche e investitori.
In altri termini, da un lato smantellare quello che viene chiamato l’outsorcing regolamentare e cioè il fatto che sono gli stessi supervisori nelle loro prescrizioni a dare troppo importanza al rating, e dall’altro valorizzare l’autonomia di giudizio di ciascuno avviando proprie due diligence su investimenti e affidamenti. E la lentezza con la quale si procede è facilmente comprensibile: i rating rendono la vita più comoda a tutti, lasciarsi alle spalle la pigrizia di quella che efficacemente Amar Bhidè ha chiamato la “la robotizzazione del decision making”, verso processi incentrati su autonomi criteri di valutazione e l’utilizzo delle proprie conoscenze facendo affidamento su una pluralità di fonti informative, di fatto significa una sorta di rivoluzione copernicana. (5)
Ma è la strada maestra se non vogliamo piangerci addosso ogni volta che gli “oracoli” emanano le loro sentenze, giuste o sbagliate che siano. I diversi attori della finanza devono avere la forza di immaginare e organizzare nuove forme di raccolta ed elaborazione di dati e informazioni che li aiutino a ragionare con la propria testa. Appunto, una autentica rivoluzione.

(1) F. Vella, Capitalismo e Finanza, Il Mulino, 2011.
(2)
F. Parmeggiani, “I problemi regolatori del rating e la via europea alla loro soluzione”, in Banca, Impresa, Società, n. 3/2010.
(3)
C. A. Hill, “Limits of Dodd-Frank’s Rating Agency Reform”, sul sito www.ssrn.com.
(4)
Esma, “Draft RTS on the assessment of compliance of credit rating methodologies with CRA Regulation”, 22 December 2011ESMA, /2011/462.
(5)
A. Bhidè, A Call for Judgment, Oxford University Press, 2010.

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  1. michele

    “Eliminare il riferimento al rating nelle disposizioni di vigilanza e regolamentari, responsabilizzando maggiormente il risk management di banche e investitori”. E proprio no, direi che fin che il risk management è così ben remunerato anche quando non rischia niente in proprio ma fa rischiar pressochè esclusivamente chi sottoscrive e compra titoli e quant’altro (come dimostra l’attuale crisi…), il problema è proprio il rovescio. E i vincoli posti, anche per statuto, a chi opera sul mercato finanziario son l’unica difesa per chi affida i propri capitali, piccoli o grandi. Non mi risulta che la crisi sia derivata da quei vincoli, ma dal proliferare di strumenti e operazioni incontrollate, da crescite esponenziali ma fittizie nelle quali all’intermediario di investimento conveniva fingere che il debitore fosse vivo anche quand’era moribondo. E non staccargli la spina, con “accanimento finanziaro…Meccanismi simili a quelli che si dovrebbero trovare in un casinò piuttosto che in una banca, poichè tra rischio, azzardo e truffa ci son ancora differenze. La deregulation per flessibilizzare gli automatismi, in questo contesto, sarebbe una ideologia che serve ad altro.

  2. Eg

    Indipendenza in un mondo totalmente interdipendente è una parola grossa, secondo me una buona via è la politica della riduzione del rumore di fondo. Per esempio bisognerebbe affidare la valutazione ad un pool di agenzie create in varie zone economiche del mondo e poi estrarre una valutazione media. Forse i governi dovrebbero affidare il compito alle università sia europee, che americane, che asiatiche. Si potrebbe creare un protocollo di valutazione in stile peer-rewieving a doppio cieco, cioè ogni ente darebbe la propria valutazione senza sapere cosa stanno facendo gli altri seguendo un protocollo comune a tutti e il più possibile rigido e imparziale, poi un organismo internazionale farebbe una media solo sui risultati finali senza sapere “chi” ha valutato “come”. inoltre le valutazioni dovrebbero uscire a periodi costanti per non generare il sospetto che ci sia un “attacco” premeditato. Certo un sistema del genere forse è troppo complesso, magari la teoria dei giochi potrebbe venire in aiuto. In sostanza credo che le idee ci siano ma forse è la volontà politica che manca.

  3. Anonimo

    Le agenzie di rating fanno il proprio lavoro con la mission di difendere il risparmio e gli investimenti di carattere privato. In altre parole una efficiente allocazione dei capitali è determinata da una perfetta informazione (full-information) nelle dinamiche di crescita della moneta finanziaria o, anche detta velocità di circolazione della moneta, in alternativa alle network-organization (vedi assenza di concorrenza nel settore di riferimento) e, quindi dei social-escalation monetari (vedi inflazione finanziaria).

  4. Giulio Trigilia

    Condivido l’idea che il problema del Rating si poss migliorare attraverso riforme più che rivoluzioni. Tuttavia non mi convincono due sue argomentazioni: 1)  Dodd-Frank non e’ un passo in avanti, ma il segno che gli Usa non riescono a fare le riforme quando si tratta di finanza. La vera riforma utile sarebbe stata il ritorno al modello investor-pay, visto che gli elevati profitti delle agenzie in questi anni non mi pare si siano tradotti in maggiore qualità o tempestività del Rating ( si veda ad esempio il mio articolo su lavoce. http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001688.html). 2) lei sostiene che debbano essere eliminati i molteplici riferimenti al Rating nella regolamentazione. Ad esempio, il divieto per gli investitori istituzionali di tenere in portafoglio titoli speculative-grade. Non sono d’accordo. Sebbene questi riferimenti trasformino i Rating in delle specie di licenze regolamentari, e dunque abbiano effetti distorsivi, eliminarli sarebbe passare dalla padella alla brace (come si sostiene nel precedente commento). Se le agenzie fossero pagate dai fondi pensione eccetera, avrebbero interesse a tutelarli e dunque ad informarli tempestivamente (magari utilizzando nelle l

  5. Ugo

    Il rating è solo un voto e il mercato può valutare la sua attendibilità. Non si può negare però che la previsione di un andamento, soprattutto se condivisa, possa condizionare l’andamento stesso. In psocologia si parla di previsione che si auto-avvera.

  6. michele81

    Lo scarso livello di consapevolezza nella comunità finanziaria ha giocato un ruolo importante in questa crisi. è altrettanto impensabile di tendere a un modello di razionalità perfetta. Se le agenzie non sono più la stella polare degli investitori, ne esce sconfitto il libero incontro fra domanda e offerta. L’incertezza soggettiva dell’investitorore farà salire il premio di rischio richiesto, oppure renderà molto meno liquido il mercato e difficile trovare persone disposte a prestare i loro soldi. Dove prima bastava il rating, ora occorre un utente che impiega tempo per essere informato, oltrea doverne essere capace. e’ fondamentale il pluralismo dell’informazione finanziaria, ma anche una ferrea disciplina del conflitto d’interessi, e l’introduzione di un apposita figura di reato che punisca come corruzione le aziende che tendono a orientare l’indipendenza dei singoli analisti o delle società di rating, a prescindere dal successivo abuso di informazioni privilegiate.

  7. Giorgio Groppello

    Le agenzie di rating hanno una capacità di sviluppare modelli predittivi sugli sviluppi delle economie mondiali, spesso utilizzando parametri che al mercato non sono proprio chiari, capaci – a volte – di prevedere veramente il futuro. E’ difficile capire se e quanto siano delle previsioni capaci di influenzare a tal punto il mercato da renderle autoavveranti. Cerchiamo di non vedere il complotto o la speculazione, almeno per questo ragionamento. Ammessa quindi la “buona fede” bisogna cercare di identificare le Agenzie che più hanno “azzeccato” nel passato. E qui arriviamo alla domanda: è possibile sviluppare un modello matematico che, prendendo in considerazione rating passati e valutazione di quanto poi siano stati veritieri, restituiscano un dato di affidabilità delle Agenzie? Il modello, fosse di facile lettura, quindi semplice e decriptabile dal singolo investitore, potrebbe dare un’indicazione dell’affidabilità delle Agenzie oltre chiaramente a metterle tra di loro in concorrenza. Basandosi su dati del passato (quindi a disposizione) non dovrebbe essere di difficile realizzazione quanto quelli che si propongono di anticipare il futuro.

  8. SALVATORE ACOCELLA

    Credo poco ai “voti” dei professori, persino ai “Nobel” come Milton Friedman che lo ha ricevuto perché funzionale alla Tacher e a Regan e i loro accoliti “Pèperoni” per opprimere ni lavoratori (anch quelli della “mente”). Credo ancora meno a delle agenzie private che danno “voti” agli Stati, ben poco sui “fondamentali”, ben più sulle “convenienze politiche” del momento

  9. D.A.

    sono totalmente d’accordo: banche e investitori tornino a fare il loro mestiere di valutare autonomamente il merito di credito dei prenditori e la bontà degli investimenti. La loro funzione dovrebbe essere quella di colmare il GAP informativo leader-borrower, non di seguire passivamente le imperfette informazioni del mercato. Aggiungo che l’uso dei rating ha inquietanti conseguenze pro-cicliche: se uno stato sovrano viene declassato perché giudicato poco solvibile, il peggioramento colpisce a cascata le banche di quel paese (nella regolamentazione prudenziale la ponderazione per il rischio della banca e’ direttamente colegata al rating sovrano) che perciò si troveranno in difficoltà a raccogliere fondi e quindi a loro volta saranno meno in grado di sottoscrivere il debito sovrano indebolendo ulteriormente la posizione finanziaria dello Stato etc.

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