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PERCHÉ CANCELLARE IL VALORE LEGALE DELLA LAUREA

Il valore legale del titolo di studio fa sì che ogni laurea conferita da una qualsiasi delle ottanta università italiane abbia lo stesso peso nel mercato degli impieghi pubblici. Così gli atenei hanno scarsi incentivi a scegliere docenti preparati; i laureati bravi sono intercettati dal settore privato; le risorse delle famiglie premiano i servizi formativi scadenti. Problemi che si potrebbero superare se l’amministrazione pubblica valutasse le lauree sulla base di un ranking delle università di provenienza dei candidati. Come vorrebbe una proposta in discussione nel governo.

Nel governo Monti si sta discutendo una riforma dell’’università che potrebbe avere effetti assai più rilevanti di tutte quelle succedutesi negli ultimi venti anni. Quattro sarebbero le questioni in discussione:
– eliminazione del vincolo del tipo di studio per l’accesso ai concorsi pubblici
– eliminazione del valore del voto di laurea nei concorsi pubblici
– valutazione differenziata della laurea a seconda della qualità della facoltà/università di provenienza
– eliminazione o riduzione del peso della laurea nei concorsi pubblici

LE PROPOSTE

La prima proposta è positiva perché ammettere ai concorsi per la dirigenza pubblica lauree in storia, o arte o lettere, eccetera, accanto alle tradizionali di giurisprudenza, scienze politiche o economia consente di immettere saperi utili e diversificati che arricchirebbero il sistema pubblico. La riforma però non potrebbe coinvolgere l’accesso a professioni per le quali uno specifico sapere tecnico è imprescindibile, come ad esempio quelle di ingegnere, medico o avvocato, che richiedono lauree non fungibili con altre.
La seconda, diretta ad eliminare il valore del voto di laurea nei concorsi pubblici, non convince interamente. Per un verso, curerebbe il vizio di alcuni atenei o facoltà di valutare generosamente i propri studenti, “regalando” voti alti e lodi non corrispondenti alla effettiva preparazione. Tuttavia, l’’eliminazione del valore del voto rischia di disincentivare gli studenti a migliorare la loro preparazione: se non c’è differenza tra 90/110 e 110/110 perché sforzarsi di raggiungere l’’eccellenza? E cancella un dato, forse non sempre preciso, ma utile per il possibile datore di lavoro: una laurea presa con 90/110 e una con 110/110 segnalano una differenza netta di preparazione degli studenti interessati, in qualunque università.
La terza proposta, che consiste nel “pesare” in maniera diversa le lauree a seconda dell’università/facoltà di provenienza, è quella che promette i mutamenti più radicali e positivi.

IL PESO DELL’UNIVERSITÀ

Oggi, in base al valore legale del titolo di studio, ogni laurea conferita da una qualsiasi delle circa ottanta università italiane ha lo stesso peso nel mercato degli impieghi pubblici: un giovane laureato in medicina in un’università che gli ha insegnato poco o nulla “vale”, per un possibile datore di lavoro pubblico, esattamente quanto un giovane medico laureato in un’università severa che lo ha ben preparato alla professione. Una Asl che volesse giudicare i due giovani dottori ai fini dell’assunzione non potrebbe privilegiare la laurea formativa a discapito di quella scadente. Dovrebbe trattare i due come se avessero lo stessa identica formazione e lo stesso sapere.
Questa ingessatura del mercato ha almeno tre effetti gravemente negativi.
1) Le università hanno scarsi incentivi a scegliere docenti bravi e ricercatori impegnati. Sia che la lezione la tenga il figlio/a o l’amico/a del barone locale, sia che la tenga un futuro premio Nobel, la laurea vale sempre lo stesso. Perché dunque cercare di reclutare il futuro premio Nobel?
2) Mentre il settore pubblico non può distinguere tra lauree, quello privato lo può fare, almeno in parte, basandosi sui diversi ranking oggi disponibili. Ciò implica che, ad esempio, la clinica privata, diversamente dalla Asl, può scegliere di assumere un dottore che viene da un’ottima facoltà di medicina, scartando liberamente quello che viene da una facoltà non selettiva, anche se ha un voto di laurea più alto. In tal modo, si innesta un meccanismo perverso per cui i laureati bravi sono intercettati dal settore privato, mentre quelli scadenti sono lasciati al pubblico.
3) Dato che ogni laurea, ovunque ottenuta, vale lo stesso sul mercato (almeno su quello pubblico), molte famiglie non selezionano le università in base alla loro qualità, anzi sono tentate di iscrivere i loro ragazzi dove i corsi sono più facili e voti dati con più generosità. Questo significa che le risorse private ‘premiano’ i servizi formativi scadenti invece che quelli di valore.
Come si potrebbero pesare in modo diverso le lauree? Stabilita una graduatoria di atenei riconosciuta, ad esempio quella dell’Anvur, l’’amministrazione che cerca un laureato deve valutare in maniera diversa le lauree a seconda del ranking dell’’università di provenienza dei candidati. L’Asl che bandisce un concorso attribuirà allora un certo punteggio (ad esempio, 100) alla laurea dell’università/facoltà X, prima nel ranking di riferimento, e un punteggio inferiore (ad esempio, 90) alla laurea dell’università/facoltà Y, seconda nello stesso ranking, e così via a scalare. La regola dovrebbe essere la più semplice e meno burocratica possibile. Ogni amministrazione dovrebbe poter attribuire a ciascuna università/facoltà il punteggio che vuole; si chiede semplicemente di rispettare la posizione del ranking e dunque chi precede deve necessariamente avere un punteggio superiore di chi segue.
Il “peso” dell’università diverrebbe così uno tra gli elementi da prendere in considerazione nella valutazione dei candidati, insieme al voto di laurea conseguito (e alla prova di ammissione/idoneità). Nell’ottica della riduzione al minimo delle regole burocratiche, l’amministrazione che bandisce il posto dovrebbe avere sempre la libertà di scegliere in quale misura tener conto del fattore costituito dal ranking dell’università di provenienza, di quello del voto di laurea, o di quello all’esame di ammissione (o altro). Ma, quale che sia il peso che l’amministrazione vorrà attribuirgli, il ranking dell’’università inciderebbe comunque in senso positivo sulla correttezza e precisione della valutazione complessiva dei candidati.
Peraltro, questa soluzione non implica la perdita di valore della fissazione dei requisiti ministeriali necessari alle Università per l’attribuzione di una laurea. Infatti, tutte le Università del ranking Anvur continuerebbero ad essere legittimate ad emettere un titolo di studio valido per l’accesso alle professioni e ai concorsi. Semplicemente questo titolo di studio avrebbe un peso differenziato a seconda dalle qualità (della ricerca e della didattica) dell’Università.
Questa soluzione permetterebbe, se non di eliminare, di ridurre fortemente tutti gli effetti negativi indicati sopra: a) segnalerebbe alle famiglie, in maniera immediata e facilmente comprensibile, che l’iscrizione presso una università/facoltà seria e selettiva è un investimento pagante in termini di futura occupazione dei figli, mentre (iscriversi a una università scadente penalizzerebbe il figlio in maniera sistematica in tutti i concorsi pubblici e nelle assunzioni private); b) fornirebbe informazioni precise ai datori di lavoro, sia pubblici che privati, sull’effettiva preparazione dei giovani che intendono assumere, in base all’università di provenienza; c) , indurrebbe le università a cercare di migliorare i loro servizi formativi e la ricerca, in modo da ottenere una posizione migliore nel ranking (e dunque maggiori risorse dalle famiglie); d) indirizzerebbe il flusso delle risorse privato (famiglie) verso le università di qualità invece che verso quelle scadenti, ottimizzando l’allocazione delle stesse.
Anche la quarta proposta, vale a dire l’eliminazione o la riduzione del peso della laurea nei concorsi pubblici, è diretta a ridurre i suddetti effetti negativi. Se la laurea non ha valore nella valutazione dei candidati nei concorsi pubblici, tutto quello che conta è la loro preparazione per la prova di accesso. Ciò dovrebbe indurre gli studenti a iscriversi nelle Università/facoltà migliori e spingere le Università/facoltà a migliorare la qualità dei loro servizi per attrarre iscrizioni. Tuttavia, rispetto alla differenziazione del peso del titolo, questa proposta soffre di due debolezze. Per un verso, gli incentivi positivi sono meno certi e trasparenti: agli occhi degli studenti e delle loro famiglie, una cosa è promettere una migliore preparazione, altra è assicurare un punteggio superiore in tutti i concorsi pubblici.  Per l’altro, la soluzione confina tutto il peso della valutazione dei candidati sulla prova di accesso, con il rischio di ottenere risultati molto casuali; diversamente, mantenere un certo spazio alla ponderazione degli esiti del percorso accademico consente di tenere in considerazione le prove condotte su un arco di tempo lungo e da docenti diversi, e produce pertanto risultati più precisi.

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UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA PER IL RATING

74 commenti

  1. Gabriele Marcelli

    Tutte queste considerazioni sono molto belle in teoria ma vorrei vedere come le applichereste in pratica. Tutti d’accordo sul “valutare” e “premiare il merito” ma quando si va a stringere sono chiacchiere: non esiste nessun metodo scientifico, obiettivo e riproducibile indipendentemente da terzi con medesimi risultati che consenta di misurare queste cose. Quando leggo: “La terza proposta, che consiste nel “pesare” in maniera diversa le lauree a seconda dell’università/facoltà di provenienza, è quella che promette i mutamenti più radicali e positivi. ” non posso che pensare che lo scrivente è alternativamente un inguaribile ottimista, alienato dalla realtà o, peggio, interessato a propagandare una sua tesi per qualche ragione (anche nobile: non voglio che si legga nel mio commento una malizia assente). Far fare una graduatoria delle università a qualche fantomatico ente di valutazione dando ad essa valore sostanziale, in Italia significa solo la creazione di Atenei di serie A ed Atenei di serie B – per i figli dei più abbienti i primi e di tutti gli altri i secondi. Lasciateci invece competere ad armi pari nei concorsi. Ai migliori la vittoria, *di dovunque essi provengano*.

  2. andreas

    e come determinare il consiglio direttivo dell’ Anvur?

  3. Luca

    Valutare doveroso, ma non distinguere tra i singoli dipartimenti o almeno facoltà rende la valutazione piuttosto inutile o addirittura deleteria. Questa valutazione per università sarebbe una brutta copia dei ranking americani, quando l’Italia è per sua natura il regno delle eccellenze settoriali e non dei grandi poli/campus.

  4. Federico

    Tra tutti gli effetti si dimentica quello che forse è da tenere più in considerazione. Chiunque vorrebbe il meglio per i propri figli, tuttavia molte e sempre più famiglie non possono permettersi di mandare i loro figli a studiare in università “prestigiose”, sia per il costo effettivo delle università, sia per i costi aggiuntivi che implica vivere fuori, e spesso lontano, da casa. I ragazzi sono quindi spesso costretti a scegliere l’università più vicina, coscienti almeno che con l’impegno si potrà in parte ovviare alla carenza di “prestigio” della propria università, elemento che viene già considerato dal settore privato. A mio modo di vedere è una grave violazione del diritto allo studio; chi potrà permetterselo, avrà una laurea “prestigiosa” indipendentemente dall’impegno e dal voto, e i figli delle famiglie che non arrivano a fine mese possono scordarsi di studiare, trovare un lavoro, e avere un futuro.

  5. alessandro mereu

    Bene che vi sia riflessione sul valore legale della laurea. E non bisogna avere atteggiamenti conservatori, rigettando la discussione. Al contempo però necessitiamo di miglior spirito critico, così possiamo notare che in realtà non è questo uno dei problemi cardine del sistema universitario italiano. Il primo nodo è la mancanza del coinvolgimento attivo della popolazione studentesca circa la micro e le macro decisioni sul funzionamento dell’università. Qualcuno si è interessato a cosa ne pensano gli studenti, che percezione hanno del problema e delle soluzioni proposte? Secondo nodo è la predisposizione di sistemi il più possibile immuni a fenomeni di clientelismo, da coltivare contemporaneamente a una riforma culturale e di valori del corpo docente e amministrativo. Perché se oggi le cose generalmente vanno piuttosto male, la colpa è di chi ha gestito l’università negli ultimi trent’anni, e chiedere agli stessi autori del fallimento di sollevare le cose è come chiedere a un autista ubriaco di parcheggiare meglio la prossima volta. Se non si agisce con intelligenza e con meno possibili conflitti di interesse, discussioni come questa (aldilà dell’esito che avranno) sono dettagli.

  6. Daniela

    Una proposta simile potrebbe essere interessante solo in un contesto in cui l’accesso all’università sia garantito indistintamente. Spesso, infatti, per la maggior parte delle famiglie la scelta dell’università deriva da considerazioni economiche. Già fino a poco tempo fa gli aiuti economici (esenzione dalle tasse e borse di studio) alle famiglie di reddito medio erano molto scarsi. Se una famiglia simile poteva permettersi di mandare il/i proprio/i figlio/i all’università senza troppe difficoltà economiche, sostenere la spesa per gli studi fuori casa era spesso insostenibile. Ancora peggio, oggi migliaia di studenti che rientrano nei criteri per l’assegnazione delle borse di studio e per posti letto nelle residenze universitarie, sono esclusi da tali benefici per la mancanza di fondi, e quindi impossibilitati a scegliere liberamente l’università. Per non parlare dei costi nelle università private (se si intende inserirle nella graduatoria). Finché non si garantisce uguale accesso alle università indipendentemente dalle condizioni economiche, dare un valore legale all’università in cui è stata conseguita la laurea produrrebbe solo una forte discriminazione.

  7. Vanleet

    Cfr. LUIGI EINAUDI – PREDICHE INUTILI il saggio: L’inutilità dei titoli di studio. anno 1947 Fornisce anche le sue motivazioni, mai ascoltate e riscoperte solo da qualche anno.

  8. Giuditta Castelli

    Perché cancellare il valore legale della laurea? Appunto perché ciò che fa di un professionista un buon professioista competente e preparato è la passione per ciò che fa, il gusto della ricerca, l’impegno all’autoaggiornamento e il non perdere di mira la meta che non è quella del facile quadagno. Una laurea può essere conseguita nella più rinomata Università (magari a pagamento, che può essere frequentata solo dai figli delle élite, magari viziati e con poco cervello) ma non è questa a fare di un laureato una persona onesta e competente. Il primo dubbio che mi sorge è infatti sulla base di quali criteri giudicare una Università più qualificata di un’altra?

  9. Alessandra

    Trovo importante il tema della valutazione delle Università, nell’ottica di migliorare la qualità dei nostri atenei. Non vedo, invece, come si possa pensare che eliminare il valore del titolo e del voto di laurea possa migliorare le cose. Mi sembra piuttosto che sia un modo di cancellare l’ultimo brandello di meritocrazia rimasto in Italia. Se c’è un luogo in cui si giudica senza distinzioni di genere, razza e appartenenza sociale nel nostro Paese, quel luogo sono le nostre Università. Anche se (ohimé) forse questo avviene proprio perché la posta in gioco è bassa (il titolo di laurea vale già poco). Per quanto riguarda i concorsi, assicuro per esperienza diretta che, per fortuna, nei nostri enti pubblici non mancano affatto laureati in Lettere, Storia o Storia dell’Arte. Evidentemente il modo per assumerli c’è già. Poco convincente mi pare anche l’esempio. Ad oggi una Asl, che voglia assumere un giovane medico, non lo fa solo sui titoli ma anche su prove d’esame. Il laureato più preparato è quindi già avvantaggiato, a patto che il concorso sia ben congegnato. Che sia piuttosto il caso di rivedere le modalità di selezione pubblica? Tra i bravi la valigia l’hanno già fatta in tanti.

  10. Fabrizio Villani

    Chi si laurea con 90/110 e chi con 110/110…. sono diversi… il primo va all’estero a far la specialistica e si fa il mazzo mantenendosi con un lavoro part-time in un paese straniero. Il secondo va in una università privata (la cattolica) e cerca di portarsi a casa il pezzo di carta “sudato”. Questa è l’Italia e io da bravo figlio di ceto basso e non con molto possibilità di vedere la mia condizione sociale migliorare in Italia, decido bene di emigrare e fare fortuna all’estero. (Appena stato accettato per un research project con possibilità di pubblicazione su rivista scientifica internazionale!) ciao ciao ciao figli di papà alla martone!

  11. Di gioia Calogero

    Io penso che le Università ” generose” debbano smettere di essere tali.I ragazzi meritevoli vanno premiati e questo lo vedi se mantieni il valore del voto.Oggi tutti sanno che non c’è posto per tutti ,ma solo per i migliori.Penso che debba essere un dovere di tutti operare per impedire il trionfo della mediocrità. Ci vogliono i numeri uno che stanno davanti ed i numeri due che vogliono diventare numeri uno e così via.Questo il mio pensiero. Grazie

  12. giuseppe marziano

    sono d’accordo sulla valutazione delle lauree sulla base del ranking delle università di provenienza, ma come si garantisce, veramente , che l’ accesso alle università migliori venga consentita a tutti secondo il merito e non secondo le possibilità economiche. Il presalario oggi è un sogno o al massimo viene concesso ai figli degli evasori. E quando le università migliori distano molto la loro frequenza diventa impossibile anche per i figli del ceto medio.

  13. rosario nicoletti

    I passi di questo governo verso una eliminazione del valore legale della laurea sono, al pari di altri provvedimenti, lustrini per imbellettare l’inutile. Nel caso in questione una auspicabile abolizione del VL dovrebbe essere l’ultimo tratto di un percorso che inizia con una efficace valutazione, seguito da un finanziamento differenziato degli atenei. Poi, dovrebbero esserci le condizioni per rendere possibile una scelta consapevole da parte degli studenti. Scelta che dovrebbe essere resa possibile dalla distribuzione di sostanziose borse di studio in grado di coprire tutte le spese e dalla disponibilità di alloggi presso le sedi universitarie. Mancando tutto ciò si discute sul nulla: probabilmente, introducendo cambiamenti cervellotici si peggiorerà l’esistente. .

  14. Giovanni

    Mi sembra una proposta dal sapore vagamente razzistico. Tanto varrebbe allora chiudere certe università se si sa già a priori che daranno un “prodotto” scadente. Io penso che l’individuo vada giudicato senza classificare secondo schemi prefissati il suo valore. Per quanto riguarda poi la valutazione dell’università mi sembra che questa prenda in considerazione quasi esclusivamente la produzione scientifica, mentre dal punto di vista dello studente è almeno altrettanto importante l’aspetto didattico. Abbiamo tutti conosciuto luminari che si disinteressano dello studente e professori più modesti che sanno trasmettere la loro passione.

  15. Alessandro Figà Talamanca

    Nel testo che ho io (e che prevede un successivo Regolamento ex Legg 400) manca completamente la parte riguardando una “graduatoria” o comunque una valutazione delle sedi per attribuire un diverso valore a lauree di università diverse. In ogni caso secondo le informazioni che in questo momento (ore 18) ho io le disposizioni sui titoli di studio e sull’accesso ai pubblici concorsi sarebbero state stralciate.

  16. Simone Basso

    Direi che non considerare il voto vada di pari passo con l’apertura a letterati, storici e filosofi dei concorsi. Provengono da facoltà con voti mediamente molto più alti di altre e questo potrebbe disincentivare gli altri.

  17. Pietro

    Da studente, condivido pienamente quest’analisi. Anche le mie perplessità erano concentrate soprattutto sull’eliminazione del valore del voto di laurea dai concorsi, ma se, nella versione definitiva della proposta, si opterà per una soluzione moderata che diminuisca il peso del voto senza cancellarlo, e al contempo aumenti quello delle prove di concorso senza renderlo l’unico elemento decisivo (anche alla luce, inutile nasconderlo, della tristemente nota facilità con la quale spesso le prove vengono pilotate da commissari compiacenti) il Paese avrà solo da guadagnarci. Certo, resta il problema – sollevato da molti – dell’accesso alle università migliori da parte di chi non ha le risorse economiche necessarie, aggirabile però introducendo per tutte le borse di studio pubbliche legate al reddito – che andrebbero aumentate di numero – due criteri chiave: quello della reale corrispondenza con i costi da sostenere (il contrario dele borse Erasmus) e quello del merito. È il buonismo sprecone, e non la tutela del diritto allo studio, che fino ad oggi ci ha fatto riversare gli aiuti economici su studenti poco abbienti, ma ancor meno talentuosi, affinché studino nei migliori Atenei!

  18. Sonia Zarino

    Credo che per ottenere una selezione che premi i meriti e le eccellenze sia più di ogni altra cosa importante studiare un meccanismo concorsuale che dia reali possibilità e consenta una competizione ad armi pari a coloro che hanno i requisiti per svolgere una data funzione. Penso ad esempio che concorsi su base regionale invece che banditi dai singoli Enti darebbero sufficienti garanzie di selezionare gli elementi migliori, per formare graduatorie dalle quali gli Enti stessi potrebbero attingere in base alle necessità, e con minore probabilità di accessi di raccomandati dato che non verrebbero più banditi concorsi “ad hoc”. Un valido esempio è a mio avviso il sistema di reclutamente dei funzionari della PA in Francia.

  19. Paolo T.

    Se si vuole far entrare nella dirigenza pubblica gente con una laurea di qualsiasi tipo è però necessario costruire una scuola d’eccellenza per formare tali dirigenti una volta entrati nella PA. Andrebbe quindi fortemente potenziata e migliorata la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (non proprio paragonabile all’ENA francese)!

  20. Giuseppe Zelaschi

    Mi sembra di aver percepito che il problema maggiore è il ‘Valore delle specifiche Università”. Infatti, non troppo fra le righe, si legge chiaramente che in Italia c’è una differenza abnorme tra le migliori e le peggiori. A questo punto sarebbe necessaria un’altra Autority che esprima delle valutazioni delle circa 80 università in modo che ne emerga una graduatoria. In base a questa graduatoria e gli indici che l’hanno determinata si potranno parametrizzare anche le votazioni.

  21. Giovanni Schiavin

    Secondo me sarebbe opportuno che, solo come condizione di ammissibilità per la partecipazione al concorso pubblico per dirigente, venisse previsto un punteggio di laurea minimo (ad esempio 100/110). Invece per la valutazione della preparazione del candidato tale voto non venisse preso in considerazione.

  22. Vincenzo

    La terza proposta è una aberrazione, fatemelo dire! Non è detto che chi si laurea in una Università poco rinomata sia sempre e comunque un asino rispetto a chi fa la Bocconi o la Normale. Non dimentichiamo che molti scelgono la facoltà più vicina a casa, perché fra afffitti (ovviamente in nero) e vari costi, non sempre ci si può permettere di andare dove si vuole. E, comunque, si tratta di adulti, non di ragazzini delle medie: se uno ha passione e talento, lo mette a frutto anche con strutture e docenti scarsi. Lo Stato, poi, non ha il dovere di fare classifiche, come se fossimo di fronte ad atenei privati, ma verificare con severità che nelle sue Università il livello di istruzione sia decente!

  23. armando plaia

    L’idea che ho già letto nel bel libro di Perotti è buona ma: 1) la valutazione Anvur riguarda l’ateneo non il singolo dipartimento o facoltà: non siamo in america, qui non ci sono atenei di eccellenza, al più talune facoltà di alcuni atenei, se non addirittura singoli insegnamenti: ad esempio giurisprudenza alla bocconi non è economia alla bocconi. 2) la valutazione Anvur è assai discutibile specie per le scienze sociali o comunque non empiriche (es,. diritto), in cui sostanzialmente non esistono parametri oggettivi di valutazione.

  24. Giorgio Pastore

    Merito di chi ? Cosa hanno a che fare gli sforzi e l’ impegno personale a studiare dei miei studenti con i parametri ANVUR del mio intero Ateneo ? Come spesso succede in un Paese dove la cultura della valutazione e’ a livelli primitivi, si cerca di usare strumenti nati con certi scopi per tutt’ altro e si scambiano i sintomi con la malattia. Il senso pratico e’ latitante: i ranking variano nel tempo. Me la vedo la commissione per il concorso pubblico consultare la serie storica dei ranking. Ma soprattutto il massimo della confusione e’ confondere qualificazione e qualita’ del candidato (due concetti diversi), nell’ illusione che esista un algoritmo “oggettivo” in grado di aggirare il vero problema che e’ ll’ irresponsabilita’, relativamente ai risultati della selezione, delle commissioni per le assunzioni nel pubblico. Per ogni citazione di Einaudi, andrebbe aggiunta anche quella di Licio Gelli tra i fautori dell’ eliminazione del valore legale. Last but not least, non mi aspettavo di veder completamente ignorato dall’ autore il contesto europeo e i problemi di coerenza sollevati da questo genere di proposte.

  25. io

    somo uscito da una università di eccellenza: Ingegneria Amb. di Padova che a mio dire, ho realmente poco di eccellenza…..il nome dell’Ateneo non dice nulla circa la realtà e non penso che nessun organismo potrebbe realmente capire la qualità: certe non si capiscono vivendo ogni giorno.

  26. Lanza

    Come “pesare” il voto di laurea tra diversi Atenei ovvero come “pesare” un Ateneo? Utilizzando la tabella di assegnazione annuale dei Fondi per il Funzionamento Ordinario (FFO), che già tengono conto della qualità della ricerca e della didattica dell’università.

  27. fabrizio z.

    Prima di pensare ad abolire il valore legale della laurea bisognerebbe perfezionare il sistema di valutazione degli atenei, attualmente alquanto inefficente. la stessa valutazione deve essere prima di tutto finalizzata all’assegnazione delle risorse pubbliche alle università che fanno la ricerca e la didattica migliore. Chi garantirà maggiore qualità avrà più soldi pubblici: è questo il vero incentivo a fare buona ricerca e ad assumere i migliori studiosi. Una grossa criticità dell’abolizione del valore legale del titolo di studio per l’accesso ai concorsi pubblici è che la qualità della ricerca è un elemento in costante divenire, sui cui il laureato può incidere ben poco. Faccio un esempio: il neo laureato proveniente da una delle università meglio quotate partecipa a un concorso e lo vince anche in funzione della qualità dell’ateneo, a discapito di un concorrente di una università meno prestigiosa che ha fatto meglio le prove. Ma se in futuro l’ateneo di eccellenza dovesse perdere reputazione a favore di altre università, in eventuali successivi concorsi lo stesso candidato subirebbee una penalizzazione indipendentemente dalle sue effettive qualità.

  28. Anona Marco

    Perché sono contro all’abolizione del valore legale della laurea? In primo luogo penalizzerebbe gli studenti che studiano sul serio ma che sono iscritti a un Ateneo valutato da una commissione poco prestigioso. Chi veramente ha voglia di studiare, studia e dà risultati indipendentemente dall’Ateneo di appartenenza. Secondo, sempre più si cerca di estromettere dalla frequenza universitaria i soggetti delle classi sociali meno agiate. Negli USA o in Inghilterra a Oxford, si può pensare che si possa iscrivere uno che abbia genitori onesti lavoratori ma non magnati. Terzo, ci sono i lavoratori studenti (come il sottoscritto, che si laureò nel 1995 con 102 all’Università di Parma in giurisprudenza lavorando e solo due anni fuori corso) che avrebbero difficoltà forti a combinare frequenza dei corsi e ambito (necessario) di lavoro. Quindi dico no all’abolizione del valore legale; apertura a tutti, nessuno escluso, delle Università; controlli adeguati nelle Università che rilasciano con troppa facilità voti alti.

  29. michele

    Scrive l’autore:” Nell’ottica della riduzione al minimo delle regole burocratiche, l’amministrazione che bandisce il posto dovrebbe avere sempre la libertà di scegliere in quale misura tener conto del fattore costituito dal ranking dell’università di provenienza, di quello del voto di laurea, o di quello all’esame di ammissione (o altro). Ma, quale che sia il peso che l’amministrazione vorrà attribuirgli, il ranking dell’università inciderebbe comunque in senso positivo sulla correttezza e precisione della valutazione complessiva dei candidati.” Proprio no: questa libertà di tener + o – conto del rankimg, moltiplicherebbe le differenza attuali. Il problema, nei concorsi e nelle assunzioni, non è la rigidità delle norme, è che ci son mille scappatoie informali per aggirarle. Se sii ntroduce una sorta di rating delle università. sbaglaito o giusto che sia (temo fortemente che, data la situazione, possa esser poco veriiero e cque fuorviante) almeno che poi sia considerato nella stessa misura da tutti. Ammesso serva a qiualcosa, oltre che alle esercitazioni accademiche. A me pare che si sia tutti colpiti da smania di deregulation perfettamente simmetrica alla eccessiva regulation.

  30. daniela

    Per accedere al pubblico impiego si deve superare un concorso … il laureato veramente preparato sarà in grado di superare anche il concorso più difficile qualunque sia l’Università presso cui ha sostenuto gli esami…Dare pesi diversi alle Università significa che un laureato , anche se mediocre, proveniente da un’Università consideata prestigiosa valga di più di un laureato veramente preparato che ha frequentato la più “umile” delle Università …. Forse vale di più il prestigio che la preparazione?!

  31. studente

    io studio management per l’amministrazione pubblica in Bocconi,c’è una classe sola da 100persone circa,i voti di laurea devono avere una distribuzione gaussiana..è una classe molto selezionata con persone molto in gamba,eppure una buona parte usciranno per regolamento con un voto di laurea basso.è l’unico corso in italia dove si approfondiscono certe tematiche e molti dei nostri professori sono consulenti per ministeri,regioni,asl..e ci preparano in base a quello che effettivamente serve nel settore pubblico,dandoci un livello di operatività come neolaureati che mi dispiace dirlo ma molte università in italia si sognano,specialmente in meridione.Io uscirò con un voto senz’altro inferiore al 100 poichè ci sono almeno una 50ina di persone in classe mia che si danno più da fare di me,ma mi reputo comunque più preparato di molti laureati con 110 in alcune altre università.se nei concorsi pubblici si da troppo peso al voto di laurea senza discriminare tra università come può fare il privato,il risultato è che io e molti miei compagni andremo a lavorare nel privato dove il titolo viene apprezzato di più.e nel pubblico ci resta chi soddisfa requisiti burocratici non efficaci

  32. Jack London

    Trovo questa proposta senza senso e estremamente iniqua. Nella maggior parte dei casi, ci si iscrive all’Università della propria città o a quella della città più vicina. Quanto costerebbe trasferirsi nella città che ospita l’Università di ranking più elevato? Sarebbe un ulteriore modo di favorire i ricchi a discapito dei meno abbienti. Non sarebbe molto più semplice che le commissioni di valutazione delle conoscenze professionali e culturali dei candidati a posti da laureato valutino con assoluta oggettività ed indipendenza di giudizio? Possibile che nel nostro Paese si pensi sempre a soluzioni bizantine e non ci si ispiri invece a valori come onestà e moralità?

  33. Marina

    Perchè non rimettere in discussione anche il valore del diploma di Scuola secondaria superiore? Nella P.A chi non è in possesso del diploma ha pochissime possibilità di fare un po’ di “carriera” , salvo intraprendere un’irta quanto formalmente discutibile “rivendicazione” per aver svolto “mansioni di livello superiore”. Anche ai concorsi “interni” (ormai rarissimi ed anch’essi discutibili) impiegati magari capacissimi, ma privi di diploma, non sono ammissibili. E’ un fattore di grande disincetivazione per una larga fascia di operatori del pubblico impiego che trovandosi “inchiodati” a vita al livello di partenza hanno ben poca motivazione a darsi da fare.

  34. Dario Quintavalle (dirigente del Ministero della Giustizia)

    Sono d’accordo che occorre consentire l’accesso a laureati di diverse discipline: il concorso grazie al quale sono diventato dirigente grazie alla SSPA era aperto a tutti, proprio in virtù di una ispirazione multidisciplinare del ruolo della dirigenza. Meno nell’attribuire soverchio valore al voto di laurea, che non ha un significato obiettivo, e non può costituire un marchio per tutta la vita (se uno ha un voto basso, ma vent’anni di significative esperienze professionali, queste non contano solo perchè da giovane non era un secchione?). Comunque, i concorsi pubblici sono ormai pochissimi, quindi il problema è ormai superato. Il “Mercato del Lavoro pubblico” non c’è più!

  35. fabio rossi

    Se vogliono la laurea senza valore legale, vadano a vivere in america, così chi ha i soldi si iscrive alle facoltà più prestigiose.

  36. Luca Schiaffino

    La terza proposta, oltre che sbagliata sotto ogni punto di vista, è comunque semplicemente irrealizzabile. Ogni concorso pubblico deve essere aperto quanto meno ai cittadini degli altri Stati membri della UE e per mettere costoro in condizioni di parità con i candidati italiani l’ANVUR dovrebbe stilare un ranking non solo delle università italiane, ma di quelle di tutti e 27 (quasi 28) i paesi membri.

  37. Luca

    Le Universita come sono strutturate attualmente in tutta Italia non formano per il mercato del lavoro…dato che nemmeno una laurea alla Bocconi forma, xke io li vedo a lavorare come sono messi questi laureati…sanno troppa teoria ma nella sostanza non sanno fare nulla…quindi le Universita e’ giusto che abbiano tutte li stesso peso…almeno finche non ci saranno alcuni atenei che effettivamente prepareranno al mercato del lavoro

  38. Maria Laura Bufano

    In anni in cui si tenta di unificare o almeno di avvicinare i percorsi della formazione superiore a livello europeo, mi pare che questa linea, a livello nazionale, non abbia molto senso, sia in contraddizione con il Piano Bologna, che marcia a fatica, ma dovrebbe marciare (la possibilità di muoversi almeno in uno spazio europeo dovrebbe essere garantita), e infine porti in sé il rischio, se si lega il valore della laurea al livello dell’università, di scaricare sui giovani le infinite mancanze e pigrizie del corpo docente. Non ci sono dovunque collegi universitari cui i ragazzi possano accedere facilmente e con poca spesa: questo garantirebbe la possibilità effettiva di scegliere. Un ragazzo che viene a sapere che la sua università non è adeguata, che fa? Emigra? E se non ha i mezzi per farlo? Rinuncia alla formazione universitaria? A mio parere, l’efficienza e la qualità, non solo dell’università, ma anche della scuola, sarebbero meglio garantite da “concorsi in carriera” per i docenti, in cui contino attività di ricerca, percorsi didattici certificati, valutazioni da parte degli studenti, verifiche sulla conoscenza approfondita di quel che si insegna ecc.. Concorsi con commissi

  39. Whinghis Boa

    una laurea presa con 90/110 e una con 110/110 segnalano una differenza netta di preparazione degli studenti interessati, in qualunque università. Un vero peccato che questa differenza netta di preparazione, è stimata su una serie di materie inutili, programma obsoleti e caterbe di formule matematiche imparate a memoria (parlo per esperienza).. il che non è per nulla strano vedere un 90 fare barba e capelli ad un 110. Quando i programmi universitari verranno adeguati (eliminando per esempio il concetto dello “studiare a memoria le pappardelle”.. più adatto alla scuola superiore) allora il voto sarà un parametro realmente utile

  40. Vincenza vicino

    Mi occupo da dieci anni di selezione e gestione del personale, e piú volte ho selezionato candidati che provenivano da università molto rinomate ma che non sapevano sostenere un colloquio in un italiano forbito e corretto e che comunque non si sono dimostrati all’altezza della situazione, inoltre a causa del mio lavoro mi trovo spesso a dovermi confrontare con dirigenti della pubblica amministrazione sempre provenienti, alcuni da università conosciute, che di dirigenti hanno solo la qualifica vinta per concorso. La preparazione è assolutamente importante, ma sono altrettanto importanti capacità e attitudini che non possono e non devono essere valutati semplicemente con un voto di laurea o un nome di università….rischiamo di avere tanti dirigenti con un ottimo voto di laurea provenienti da importanti università e preparati da un punto di vista tecnico, anche se non sempre…… ma incapaci nel problem solving e nei rapporti umani…….

  41. Massimo Lanfranco

    d’accordo sulla possibilità di valutare i titoli di studio, ma un altro lettore ha scritto della variabilità nel tempo della qualità delle università. Io mi sono laureato ormai vent’anni fa, come sarà valutata la mia università al prossimo concorso da dirigente? quanto pesa in realtà quel voto rispetto alla formazione che ho avuto dopo? meglio, secondo me, concentrarsi sulla selezione e sulla formazione post-assunzione. ho visto troppi funzionari e dirigenti da 110/110 assolutamente inadatti al loro lavoro: test attitudinali, test psicologici, Competence Based Test e non i soli temi!

  42. PDC

    Abolizione, che follia… chi è interessato a valutare il merito al di là del titolo di studio lo può fare. Se non lo vuole fare non è abolendo il valore legale del titolo di studio che comincerà a farlo, anzi. Se l’università non è sempre credibile la soluzione non è rassegnarsi ma agire per riformarla. Tutto il resto è aprire le porte ai barbari.

  43. lello80

    1)La polarizzazione verso le Università di “Lusso” permetterà ai figli dei soliti ricchi di farsi più facilmente strada nel mondo (stile Ivy League ). Così se non posso permettermi una Università di elite (tipo Bocconi) ma magari sono altrettanto bravo (mettiamo a parità di 110/lode) io devo essere penalizzato perchè la mia Università è “ponderata” diversamente. Sfigato due volte! 2)Facciamo una altra bella “commissione” per decidere come e quale ranking assegnare alle Università. Visto che parliamo dell’Italia nutro la massima fiducia nella nuova istituzione. 3) Se il rankng varia nel corso degli anni quale sarà la mia “ponderazione”. Caso concreto: quando mi iscrivo all’Università scelgo la meglio posizionata, facciamo la numero 1. Alla Laurea la stessa e discesa al Numero 5. Infine in prossimità di un concorso è diventata la numero 7. Facciamo una bella media? 4) Il voto è pur sempre il frutto di un lungo percorso di studio dal quale non si può prescindere. 5)I concorsi pubblici, se fatti bene, sono costituzionalmente “obiettivi”. Con le università divise in classi non sarà più così. E così si ritorna al punto 1)

  44. gr

    Le cose in Italia vanno male perché nei posti decisionali spesso vi sono dei figli di PAPA che ricoprono ruoli di cui hanno minime competenze. I figli dei figli di PAPA ora sono dei grandi bamboccioni viziati, con poca cultura e se hanno un titolo è anche con un punteggio minimo. In queste condizioni non posso succedere nei ruoli dirigenti ai loro genitori “figli di PAPA”, perché in ogni concorso troveranno sempre una schiera di candidati con titoli culturali ben superiori ai loro. Come aggirare l’ostacolo. Basta togliere il valore legale del titolo di studio. Nei concorsi pubblici il titolo di studio verrebbe minimizzato, se non annullato, e verrebbe dato il peso solo alle valutazioni soggettive delle commissioni.

  45. Umberto

    Lo spunto è interessante ma difficilmente praticabile per varie ragioni. – le valutazioni andrebbero fatte annualmente e per i singoli corsi di laurea – tutti i laureati fin’ora che coefficiente avrebbero? – ci sono evidenti problemi di costituzionalità, perchè si tratta di una discriminazione in negativo. In nessun paese al mondo, neanche anglosassone, esiste un sistema di coefficienti da applicare ai voti di laurea. Io proporrei un sistema più semplice come in Inghilterra: Concorsi aperti a tutti i laureati che abbiamo raggiunt in voto MINIMO (diciamo 105 per es.). Di lì in poi contino solo le prove d’esame, non l’università di provenienza. Io sono a Cambridge ed è evidente che i laureati di questa università hanno più chances ma non perchè le loro domande vengono messe su una corsia preferenziale! Passano i concorsi perchè dimostrano migliori competenze e ( ancora più importante) migliori capacità attitudinali.

  46. Ferdinando Manzo

    E’ lo stato che deve garantire la qualità uniforme dei titoli di studio. E’ una garanzia che DEVE perché il diritto allo studio sia garantito, come la mobilità sociale verticale (ricordate “anche l’operaio vuole il figlio dottore”?). Il problema secondo me è che il VL è esattamente questo. Così come è una scelta di classe abolirlo. Il familismo italiano, non soddisfatto di creare carriere improbabili per i suoi pargoli (che si chiamino Martone o il “Trota”) è insofferente della pur minima concorrenza che tale carriera potrebbe incontrare da parte di altri. Così può nominare senatore (ministro? Ordinario? Dirigente?) il proprio cavallo… Sognano l’Ivy League e l’educazione elitaria, dopo aver distrutto l’università pubblica (buona per gli “sfigati”). D’altra parte, con le caste, quali diritti presumiamo possano essere rivendicati? Produci (di più), consuma (e se non hai i soldi, indebitati), e infine crepa. Ma,in ogni fase, rimani al tuo posto. Il chiacchiericcio di élite egoiste e irresponsabili su tali temi non è vacuo. E’ il vecchio spacciato per nuovo, l’arretramento ammantato di moderno, il suono della campana di fine ricreazione (quale?)

  47. luigi gitto

    Parlo per esperienza: quando sarà il momento per mio figlio chiederò un prestito e manderò mio figlio a studiare in un’università prestigiosa e gli consiglierò di fare il minimo indispensabile, tanto la sua laurea varrà più di quelle di altre università meno quotate. Povera Italia.

  48. Daniela Geri

    Mi ricordo quando alla facoltà di scienze politiche della sapienza, molti colleghi si iscrivevano alla lumsa o alla san pio V (voti facili grazie alla pecunia) per fare gli esami difficili e poi tornavano per fare la tesi e prendersi il pezzo di carta targato “sapienza”. La laurea così va solo ad intasare gli uffici di collocamento. Giusto abolire il valore legale del titolo di studio

  49. Silva Seraceni

    L’unico modo “forse”, per ottenere maggiore preparazione (da parte delle università) e maggior serietà nella scelta dei candidati (questo purtroppo avviene solamente nel pubblico!) è eliminare definitivamente i concorsi, che oltre ad essere clamorose bufale in tutti quanti i settori, fanno spendere capitali pubblici ai contribuenti, danneggiando i servizi. Come è scritto nell’articolo vi siete chiesti perchè le aziende private tendenzialmente cercano di assumere i bravi e non i “segnalati”? Ogni azienda pubblica dovrebbe essere libera di scegliere chi assumere, ma nello stesso tempo si dovrebbe far carico delle conseguenze. Se la persona assunta, risulta essere incapace, l’amministrazione perderà finanziamenti e di conseguenza sarà monitorata nelle successive assunzioni e così via, in modo di incentivare veramente l’eccellenza soprattutto a favore dei servizi per i cittadini. Questo potrebbe già essere un buon inizio per cercare di cambiare finalmente qualcosa in questo paese.

  50. SAVINO

    Se serve ad evidenziare la creatività del laureato, a prescindere dal giudizio che gli è stato asegnato a livello accademico, soprattutto in settori come la funzione pubblica, va bene abolire il valore legale della laurea. Bisogna, però, tenere presente che non tutti provengono da famiglie agiate e che nel nostro Paese vi sono evidenti differenze socio-economiche territoriali; quindi, nessuna differenziazione classista tra atenei. Piuttosto, occorrono rigidissime regole di selezione, che diano ampio spazio a chi sa creare e a chi merita davvero. Ciò implica, mentalmente, la messa al bando delle raccomandazioni.

  51. marco.ascari

    Questo meccanismo incentiverebbe le università ad alzare la qualità e il livello della preparazione in modo da avere più iscritti e nascerebbe concorrenza al rialzo al posto che al ribasso come avviene adesso: positivo? Il vero problema dei concorsi pubblici in Italia è la non trasparenza, la corruzione e i criteri valutativi studiati apposta per far passare chi si vuole; il problema spesso è la mancanza di un controllo vero di un soggetto terzo esterno svincolato da conflitti d’interessi che garantisca l’imparziaIità-Se ho mio padre che insegna nel dipartimento di storia e i suoi colleghi devono valuarmi durante una prova per l’assegnazione di un dottorato, secondo voi cosa succederà? Penso anche che i concorsi pubblici abbianmigliori continueranno ad andare nel privato perchè ti danno più soldi.

  52. Morix

    Pur riconoscendo la validità di molte delle obiezioni poste, saluto con piacere la discussione sul valore legale del titoto di studio. Trovo auspicabile sviluppare un affidabile sistema di valutazione delle università, magari migliorabile con il tempo, e introdurne i risultati nelle graduatorie di accesso per i concorsi pubblici. In tal modo, si creebbero incentivi positivi per le università pubbliche, spingendole a migliorare la qualità di quanto offrono, punendo ad esempio i docenti fannulloni e premiando quelli che ottemperano con dovizia ai propri obblighi. Credo che ciò sia forse più importante che l’allocazione stessa dei fondi. È fuori discussione che questo tipo di provvedimenti dovrebbe essere accompagnato da una revisione degli strumenti di sostegno al diritto allo studio, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di spostarsi fuori sede per i meritevoli senza mezzi, in un’ottica di facilitare la mobilità sociale e la meritocrazia. Tuttavia questo tema va considerato costruttivamente e analizzato al fine di trovarne il giusto assetto normativo. Francamente che l’abbia detto anche Licio Gelli mi interessa poco, preferisco guardare alla sostanza.

  53. Giovanni

    Si parte dicendo di voler abolire il valore legale del titolo di studio e poi si propone di assegnare valore legale differenziato alle diverse università. Dire che è insensato è poco. Ma come vi immaginare che funziona un ente pubblico? Pensate che non facciamo concorsi per valutare i laureati? E chi dovrebbe fissare che l’università A ha un punteggio 100 e quella B 50? Ritorniamo alle Commissioni sovietiche?

  54. Margherita

    Si vorrebbe abolire il valore del titolo di studio (in modo che finalmente possiamo mettere un musicista all’ufficio programmazione economica regionale!) e poi si propone di dare valore legale all’università! Queste sono le classiche proposte dei tecnocrati cui manca il buon senso.

  55. matteo

    Quella di valutare in base all’università di provenienza è la soluzione più ridicola che abbia mai sentito! Chi avrà i soldi farà preparare i figli nelle migliori università (che poi chissà se lo sono davvero) In più sappiamo benissimo che queste valutazioni delle università sono alquanto soggettive e spesso basate su criteri assurdi: ad esempio uno dei criteri è vedere qual’è la capacità di inserimento lavorativo dopo gli studi. Ma secondo voi è più facile inserirsi nel tessuto economico siciliano, calabrese etc.. o in quello lombardo, veneto etc..? L’università di Milano risulterà migliore di quella di Palermo non perchè i suoi alunni sono più preparati ma semplicemente perchè è più facile trovare immediatamente lavoro a Milano anzichè a Palermo. Certo, è vero che si è liberi di spostarsi, ma converrete con me non tutti vogliono farlo. Ma la scelta del singolo influirebbe sulla valutazione dell’università!

  56. michele81

    Nel ranking dell’università/facoltà dovrebbe essere valutata la media dei voti degli studenti del corso frequentanti e che si laureano ogni anno. In questo modo, sarebbero automaticamente penalizzati gli atenei che regalano i voti, il 30 e lode, e il 110 e lode. Baserei la valutazione non solamente sul voto medio dei laureati nell’ultimo anno, in quanto potrebbe esserci stata negli anni precedenti una seria selezione, che ha lasciato al termine degli studi realmente gli allievi più meritevoli. aggiungo che se non bastano 30 esami per giudicare la preparazione di un laureato, perchè dovrebbe andare bene un concorso pubblico? è assurdo che lo Stato rilasci dei titoli di cui poi non riconosce il valore.

  57. Furioso

    Intervengo con tutta la mia autorevolezza di sfigato laureatosi a 30 anni più di venti anni fa. Quanti laureati assorbe il pubblico impiego? Credo che nelle materie tecniche, mettendo fra le tecniche anche giurisprudenza, si arriverà al massimo al 30%. Quindi tutto questo voler cancellare il valore legale della laurea mi sa tanto di statalista, di uno stato che per risparmiare cerca di diminuire le iscrizioni alle università, statali ovviamente: un problema vero, tra gli altri, è che dei laureati questo stato non sa che farsene, basta vedere come li utilizza (entrate in un qualsiasi ufficio tecnico comunale). La questione del ranking delle università: in Italia ci sono ottanta (leggo qui) università. Ho letto bene? Ottanta università! Anche Farfugnano Scalo ha un’università, o vuole averla..

  58. Calamar

    Questa è una grossa sciocchezza. Tra i peggiori direttori che conosco in un importante e grande comune ci sono quelli che sono diventati direttori (di Municipio o di Dipartimento) pur avendo una Laurea in Farmacia (!!!) o in Lettere. Penso che per gestire la macchina amministrativa occorrano lauree specifiche.

  59. Giovanni

    Prof., così Caronte si rivolge a Dante. Non è l’abolizione del valore legale della laurea lo strumento x riformare il sistema universitario. Ed una riforma universitaria è inutile, se non inquadrata in una riforma dell’istruzione e del lavoro. NeIle università il problema principale è il privilegio meritocratico. Ovvero mettere tutti gli studenti e le università in condizione di competizione, ma partendo da condizioni di parità. Tale parità è inesistente allo stato attuale e stabilire un ranking (dubbi sul soggetto poi preposto) è penalizzante soprattutto per le università del sud che hanno enormi problemi causati dall’autonomia universitaria. Avere 6-7 uni nella sola città di Roma o tre in una sola regione è inefficiente. Una delle soluzioni è creare delle città universitarie con posti letto per tutti gli universitari e con rotazione dei docenti nelle facoltà. Un investimento forse enorme, risorse reperite dai sovvenzionamenti ai privati, ma che avrebbe effetti a lungo termine.

  60. Serena

    Premetto che concordo con molte cose che ho letto, anche se sappiamo tutti benissimo che non basteranno questi accorgimenti a rendere più trasparenti ed equilibrate selezioni e affidamenti di incarichi. Nell’impostazione di questo articolo però, aleggia una (secondo me) vecchia pessima abitudine di affrontare le questioni che riguardano i giovani, soprattutto i maggiorenni. Sono le famiglie che iscrivono i figli all’università?? Che scelgono cosa e dove studierà il figlio?? Bene. Continuando così, avremo sempre giovani che camminano sui binari preparati dai genitori, i quali poi ovviamente si occuperanno anche di “piazzare” i loro figli dove di dovere. E tutti il meccanismo dei baronati, dentro e fuori le pubbliche amministrazioni, asl, università, si replicherà all’infinito. Bene le riforme, ma penso che dobbiamo cominciare ad approcciare queste questioni in modo proprio diverso. Sarà possibile

  61. Pinto

    Sono favorevole alla cancellazione del valore legale. Nelle università tutto è calcolato sui numero degli studenti laureati nell’anno, cosi per far cassa avere il punteggio migliore, si laureano anche chi non se lo merita Io leverei anche il test….. soldi buttati che non chiariscono le vere attitudini degli studenti Si possono iscrivere tutti…. ma si è più selettivi agli esami

  62. daniela

    Stilata la graduatoria ed individuate le Università migliori, perchè tenere in vita quelle peggiori? Quanto costa al contribuente mantenere un’Università scadente al tal punto da assicurare ai suoi studenti un sicuro svantaggio rispetto ai laureati delle Università prime classificate? Non devono esistere Università, come qualsiasi altra Istituzione, che non siano all’altezza dei compiti a loro assegnati; o funzionano come dovrebbero o si chiude perchè così non servono.

  63. Furioso

    80 università in Italia, non sò quanti mila insegnamenti sulle cose più disparate, ma che rating volete considerare? Variabilità nel tempo e nello spazio, indici correttivi che via via usciranno fuori, alla fine una notte scura in cui tutte le vacche saranno nere. Bisogna ridurre le università, bisogna ridurre gli insegnamenti, bisogna pretendere che i docenti scrivano almeno un libro di testo (e che adottino quello di un altro collega), che producano libri di testo in italiano. Inoltre i servizi, le case dello studente, biblioteche accessibili e dimensionate adeguatamente, spazi e laboratori soprattutto: in dieci anni da sfigato in una facoltà tecnica sono riuscito ad entrare in laboratorio al massimo dieci volte. E la preoccupazione è il valore legale della laurea?

  64. Antonio Bianchi

    Ho letto una notevole serie di “frescacce”. E’ la vita che provvede alla selezione del personaggio. Se uno è poco dotato, è ininfluente che la laurea l’abbia conseguita in una Università invece che in un’altra. Con tutto il casino che regna nel nostro Paese, si perdono in simili idiozie. Suvvia !!

  65. Federico Ottolenghi

    Condivido tutte le riflessioni di Manzini. Ne aggiungo due. 1. Naturalmente stabilire il ranking non è facile e ci vuole grande attenzione, come sottolineano anche alcuni commenti, ma è meglio un ranking imperfetto che nessuna indicazione. A questo proposito chiedo se, anche guardando al panorama internazionale, sia più appropriato valutare una laurea sulla base di un ranking per ateneo oppure per facoltà/dipartimento/corso di laurea (anche se poi inevitabilmente la combinazione di questi singoli ranking produce anche un ranking per ateneo). 2. Non c’è dubbio che questo provvedimento, che pure secondo me innescherebbe processi di mutamento profondi, non sia sufficiente se non si interviene anche su molti altri nodi del sistema universitario. Ma il fatto che da solo non basti non significa che non debba essere adottato. Insieme ad altri, appunto.

  66. salvatore rapisarda

    A chi vuole abolire il valore del titolo di studio dico ricordate che “adducere inconveniens non est solvere argumentum”. 1- attenziona al il rischio che si cada dalla padella alla brace 2- non vorrei che le migliori università siano solo quelle mainstream

  67. argip59

    Penso che la valutazione di un soggetto laureato, debba essere rivolta al soggetto sulle basi della preparazione che lo stesso può dimostrare di avere. Indipendentemente dall’avere frequentato la Bocconi o l’università sperduta di provincia. Infatti non tutti i bocconiani dimostrano di avere doti eccezzionali, non fosse per il fatto che molti sono figli “d’arte”. Cosi come non tutti i laureati nelle università di minore prestigio risultano poi essere così poco preparati. Avere frequentato una università piuttosto che un’altra credo non sia il giusto parametro di valutazione delle capacità di un’individuo laureato. Semmai si devono abolire i baronati e mettere alla gogna il nepotismo, che ha reso le unirvesità italiane aziende a conduzione familiare.

  68. Simone

    Se non sbaglio, nell’Università italiana le “lezioni” contano poco, una grande parte della preparazione si fa sui vari testi consigliati, spesso editi negli Stati Uniti e quindi uguali in tutte le facoltà, oltre che su riviste del settore ed attività pratiche. Credo quindi sia ragionevole pensare che, almeno nelle facoltà scientifiche, la preparazione sia sostanzialmente omogenea fra sede e sede e che, se differenze vi sono, dipendano per lo più dai singoli studenti, e che la reputazione migliore di alcune sedi sia sostanzialmente poco motivata. Per carità, ci sono ovviamente sedi dove la didattica è più organizzata rispetto ad altre,ma non credo che questo influisca molto sulla preparazione di un futuro professionista, se non in ben determinati ambiti non ancora codificati dove l’esperienza personale del docente/-i conta molto

  69. Zito Pasquale

    Quanto al primo punto per “immettere saperi utili e diversificati” è sufficiente non precludere l’accesso ai concorsi ai laureati in “storia, o arte o lettere, eccetera”. Non è, quindi, necessario cancellare il valore della laurea. Quando al posto si accede tramite concorso, se gestito in maniera seria (con presidente e commissari del settore), passeranno i migliori indipendentemente dal voto di laurea e dall’università che li ha laureati. Non è necessario e sarebbe ingiusto “”pesare” in maniera diversa le lauree a seconda dell’università/facoltà di provenienza”. Quanto al voto di laurea, che entra in gioco solo e soltanto dopo aver superato il concorso, se si vuole limitare la valenza dello stesso (anche in considerazione che chi si è laureato con un basso voto possa avere successivamente migliorato la propria preparazione) è sufficiente attribuire un punteggio limitato al voto di laurea. Pasquale Zito

  70. gilda saija

    C’è solo un piccolo particolare del tutto trascurabile: quali famiglie possono mantenere i figli in Facoltà universitarie di eccellenza, quelle che formano i “laureati bravi”? I signori Monti, Berlusconi, Casini, sì, certo, queste famiglie possono investire due, tremila euro al mese per mantenere i rampolli alla Cattolica, alla Sorbona, a Cambridge… I figli degli impiegati, invece, potranno sperare di lavorare come commessi al supermercato.

  71. Roberto De Renzi

    L’articolo è equilibrato nella prima parte. Poi l’autore propone addirittura un algoritmo universale per valutare assieme ranking e voto di laurea. In questo segue la migliore tradizione italo-bizantina, che consiste nell’evitare i pericolosi giudizi umani, che richiedono una componente etica, fornendo comode regole che forniscano valori assoluti. Di solito questa tendenza deleteria porta a risultati approssimativi, oppure, peggio, ad aggiungere epicicli tolemaici all’algoritmo, per correggere eventuali effetti fini. Apprezzo il pragmatismo della prima parte. Perché non essere pragmatici fino in fondo? I titoli servono ovunque, i ranking anche. Penso che la selezione non dovrebbe mai essere affidata ad algoritmi.

  72. Laura S.

    ma come si può pensare che un laureato in storia o in farmacia o lettere possa sostituire un sogetto che ha studiato Sandulli e Nigro e conosce la disciplina del procedimento amministrativo ? I problemi sono dovuti al fatto che una quantità incredibile di dipendenti senza laurea è progredita grazie alle progressioni verticali in categoria D e dirige uffici senza avere la più pallida idea di come potere migliorare i servizi! Mettiamoci anche filosofi e storici…., però se poi entro 30 gorni la p.a. non risponde al cittadino non ci lamentiamo per favore!!

  73. Davide da Reggio Emilia

    Leggendo l’articolo mi sembra di aver capito che i prof universitari spingano su con i voti di laurea…bè io vi dico che non è cosi perchè nel mio caso io sono stato “penalizzato” per quanto riguarda il voto di laurea, quindi i paletti nei concorsi che riguardo il voto andrebbero eliminati subito; perchè i voti spesse volte non dicono la verità casomai esprimono una tendenza. Seconda cosa, più che abolire il valore legale, bisognerebbe cancellare l’esame di stato e sostituirlo con 1-2 anni di praticantato per poi dopo avere la possibilità di iscriversi all’albo di appartenenza

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