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NON CI RESTA CHE CRESCERE

Dal welfare al fisco, dalle liberalizzazioni alla scuola, un libro (Università Bocconi Editore) raccoglie le risposte di vari esperti a quattro domande. Che cosa si può fare subito per rimettere in moto l’economia italiana? Che cosa nell’arco di due legislature? Quali interessi si oppongono alle riforme e come arginarli? Quali interessi avrebbero tutto da guadagnare e come mobilitarli? Pubblichiamo alcuni passi dell’introduzione del volume.

Le analisi raccolte in questo libro non si limitano a ricordare cosa dobbiamo fare per tornare a crescere, ma si concentrano su come farlo tenendo conto delle caratteristiche del campo politico. In altre parole, si tratta di individuare gli interessi che trarrebbero beneficio dalle riforme ma sono finora rimasti zitti in disparte, in modo tale da mobilitarli politicamente e convincerli che cambiare è possibile, anche in Italia. E individuare, allo stesso tempo, gli interessi che avrebbero tutto da perdere da un rimescolamento delle carte oggi sul tavolo, in modo tale da arginarli (politicamente, s’intende) o compensarli almeno in parte per le perdite che subirebbero, ammesso che siano legittime e sostenibili le loro pretese di compensazione.

RIFORME IN CERCA DI AUTORE. POLITICO

L’Italia sta cambiando pelle. È vero, per il momento si tratta di un cambiamento sottotraccia, difficile da decifrare per la sua incapacità di farsi sistema. Agli occhi di chi ci osserva da fuori, sembriamo ancora un paese troppo innamorato dei propri vizi per cambiare davvero. La stagnazione della nostra economia negli ultimi due decenni, e le crisi di sfiducia o gli attacchi speculativi che colpiscono regolarmente il nostro debito pubblico sui mercati internazionali, ci parlano del fallimento di un’intera classe dirigente, non solo politica. Ognuno continua a rinchiudersi nella difesa di rendite non più sostenibili e officia riti privi di significato, in un gioco degli specchi per cui le riforme, come le discariche, sono necessarie, ma sempre da un’altra parte. Sperando che – qualora non sia più possibile scaricare il costo delle mancate riforme sulle generazioni future – questa volta siano gli impiegati tedeschi (a colpi di Eurobond o interventi della Bce) a tirarci fuori dalle secche in cui ci siamo infilati, per la nostra incapacità di cambiare un modello di sviluppo e d‘intervento pubblico nell’economia che non è più né sostenibile né equo.  (…)
Tuttavia, i semi del cambiamento sono già visibili. Nel paese si sta rafforzando una vera e propria constituency delle riforme: un insieme di elettori che potrebbero dare fiducia a un programma di profondo cambiamento del paese, a patto che gli sia spiegato in maniera esauriente, all’interno di una visione positiva del nostro futuro, tenendo insieme costi e benefici, efficienza ed equità. Giovani lavoratori tanto instancabili quanto flessibili, gravati da aspettative pensionistiche da fame; donne in cerca di una valorizzazione professionale che non schiacci il loro desiderio di famiglia; imprenditori con un’alta propensione al rischio e una scarsa dimestichezza con le relazioni politiche o «di categoria»; insegnanti e dipendenti pubblici poco gratificati all’interno di una scuola e di una pubblica amministrazione incapaci di valutare e valorizzare le proprie risorse umane; manager abituati a confrontarsi con il pungolo dei mercati; ricercatori sottopagati nonostante il prestigio internazionale della loro produzione scientifica; studenti con il gusto di viaggiare (magari low cost), consapevoli che, senza bisogno di essere esterofili, certe cose che funzionano all’estero non si capisce perché non debbano funzionare anche da noi: è fra questi elettori dispersi che si annida la speranza di un cambiamento reale, in attesa che qualcuno la faccia germogliare politicamente.
Che la si chiami «rivoluzione liberale», «agenda riformista» o semplicemente «big bang», poco importa: c’è una prospettiva di cambiamento che ha un programma e un potenziale elettorato, ma è in cerca di un autore. Politico. (…)

UNA GRANDE OPERA DI POTATURA

Per aggredire in profondità le cause del «dolce declino» dell’Italia, senza illudersi di poter continuare a scaricare i costi dell’aggiustamento sulle giovani generazioni, i contributi che seguono propongono ricette che ruotano intorno a una parola chiave: «selezione». Dobbiamo selezionare le risorse economiche e sociali, aprendo molti mercati e professioni oggi protette alla concorrenza, affinché le risorse disponibili vadano laddove sono più produttive. Dobbiamo selezionare le politiche pubbliche, perché se vogliamo aiutare chi resterà indietro, non possiamo permetterci di dare tutto a tutti.
Per dirla con una metafora, l’Italia ha bisogno di una grande opera di potatura. Dobbiamo potare qualche ramo della pianta per far sì che possa produrre più frutti. E non si tratta solo di tagliare rami secchi; purtroppo è un po’ più complicato: con la potatura, si devono tagliare anche i rami che hanno scelto di crescere verso l’interno. Lo si deve fare per lasciare spazio a quelli che crescono verso l’esterno, perché solo quelli servono alla pianta per fruttificare. E questo, fuor di metafora, in termini economici e sociali, è facile a dirsi ma difficile a farsi. È difficile perché si tratta di tagliare rami vivi, non secchi, parti del tessuto economico e sociale che hanno una loro capacità di sopravvivenza. Perché laddove noi vediamo delle rendite, qualcuno vede un diritto acquisito, un modo dignitoso per sbarcare il lunario. Non c’è niente di moralistico in questo. Anche a me piacciono le rendite: le mie. E la selezione, la meritocrazia, hanno dei costi, anche psicologici. Una cosa è fallire perché ci sono le raccomandazioni degli altri, le rendite degli altri, gli abusi di potere degli altri. Altra cosa se il fallimento avviene in un ambiente competitivo, dove la colpa finisce per ricadere sui miei limiti. Come diceva George Orwell, «il problema della concorrenza è che qualcuno vince». Tuttavia, quest’opera di potatura e selezione, per quanto costosa, è ormai indispensabile, perché i costi dell’assenza di dinamismo sono maggiori e cominciano a farsi insopportabili. Non esistono alternative se vogliamo valorizzare le risorse umane e materiali del nostro paese per tornare a crescere.
Insomma: la potatura non deve consistere in una crociata ideologica contro le rendite, ma in una politica capace di offrire una visione d’insieme. Se la politica ha una visione e indica un obiettivo raggiungibile (la crescita della pianta), anche qualche sacrificio (la potatura di qualche ramo) può essere accettabile. Altrimenti, senza visione, senza progetto, ognuno si rinchiude nella difesa del proprio ramoscello, nelle barricate corporative che hanno bloccato le riforme negli ultimi vent’anni. È proprio questo lo sforzo di questo libro: offrire una visione unitaria degli interventi che servono al paese, e individuare gli ostacoli politici che si sono finora frapposti alla loro realizzazione. Due gli ostacoli principali: ritardi culturali e difese corporative.

MERCATO, VALUTAZIONE E UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE

Se si vuole selezionare, non si può fare a meno di puntare su due altre parole chiave: «mercato» e «valutazione». Qui, però, casca l’asino. Perché mercato e valutazione sono concetti che provocano crisi di rigetto quando si tenta di impiantarli nella cultura collettiva degli italiani. Attratti da un generico egualitarismo di maniera e da retaggi ideologici anti-mercato, siamo sempre pronti a vedere l’ombra della disuguaglianza dietro a queste due parole. Il cortocircuito è poi alimentato dal fatto che questi tic culturali sono preda di capipopolo alla ricerca di facili consensi, oppure sono cavalcati da quelle lobby che si oppongono al cambiamento. Col risultato che, all’ombra della lotta alla disuguaglianza, mettono radice disuguaglianze basate sulle rendite di posizione piuttosto che sul merito. (…)
Per raccogliere una sufficiente massa critica di consenso tra i soggetti che avrebbero tutto da guadagnare dalle riforme – interessi diffusi, donne, giovani e neoborghesia dei flussi – è però necessaria una classe politica con le carte in regola. Idee giuste e visione d’insieme, da sole, non bastano. Serve una risorsa che in politica è un bene prezioso: la credibilità. Una risorsa che l’attuale classe politica sembra aver esaurito. Come rendere credibili, allora, politici chiamati a far passare nel paese una terapia shock di selezione? Innanzitutto, mettendo ordine a casa propria. Perché, francamente, è difficile convincere il paese che servono più merito e concorrenza, mentre si è immersi nella difesa delle proprie rendite e posizioni di potere. Prima di abbozzare qualsiasi delle riforme discusse in questo libro, la classe politica dovrebbe (senza altri annunci): dimezzare il numero dei parlamentari; ridurre gli enti territoriali; introdurre controlli a tutti i livelli sulle spese per collaboratori, sedi di rappresentanza e affini; instituire una commissione indipendente che valuti costi e benefici di enti e istituzioni sotto il controllo della politica e degli interessi organizzati (per esempio, le camere di commercio sono davvero utili?); realizzare ulteriori privatizzazioni che, ancor prima che far cassa, riducano gli spazi di potere discrezionale dei politici nazionali e locali.
L’attuale classe politica è prigioniera di vecchi tic: il gioco distributivo della Prima Repubblica o le scorciatoie populiste della Seconda sono le uniche vie di ricerca del consenso che conosce. Ogni tanto infiocchetta i propri discorsi con parole come «concorrenza», «meritocrazia», «innovazione», ma non ne coglie appieno la portata per il semplice fatto che non ha mai sperimentato nessuna di queste dimensioni. Occorre riaprire, quindi, i canali dell’impegno politico e della selezione della classe dirigente. Un messaggio politico è convincente solo se le persone che lo propongono ne sono convinte, perché, nel nostro caso, hanno vissuto sulla propria pelle i costi del mancato dinamismo. La Lega Nord ci è in parte riuscita nel suo campo: se si guardano i dati sulla provenienza professionale degli amministratori locali in Italia, si vede che l’avvento della Lega nel sistema politico ha creato una rottura evidente, portando nelle istituzioni categorie e professioni prima quasi assenti (piccoli imprenditori, professionisti). Anche questa forma di reclutamento sta dietro alla capacità della Lega di parlare con il popolo delle partite IVA. Chi si proporrà di far passare nel paese l’opera di selezione abbozzata in questo libro dovrà fare qualcosa di simile: aprendo le porte dell’impegno politico agli italiani che hanno voglia di crescere, a giovani, donne e apolidi dei flussi. (…)

ASPETTANDO BLAIR

Lo so: al momento non c’è traccia di tutto questo. I meccanismi di selezione della classe politica sono bloccati. E le misure per ridurre l’invadenza della politica sono proposte in un mese e rinviate quello dopo. Ma questo circolo vizioso può essere spezzato. Ne esistono le condizioni, perché i costi economici e sociali dell’immobilismo stanno crescendo e si sta formando nel paese una constituency delle riforme. Abbiamo risorse umane e materiali che pochi paesi possono vantare, che aspettano una prospettiva credibile per rimettersi a rischiare e crescere. Manca solo un imprenditore politico (leader o partito) che accenda la miccia. Un Tony Blair italiano che trovi il coraggio di rischiare di prendere qualche calcio, pur di smettere di stare immobile e inebetito a ricevere ceffoni. L’esito potrebbe essere dirompente. Sì, nonostante le insidie del dolce declino, c’è da essere ottimisti sul futuro dell’Italia. 

(Tratto da “Non ci resta che crescere“, UBE)

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23 commenti

  1. Anonimo

    I fallimenti delle attività di mercato sono determinate dalle dinamiche funzionali delle maggiori crescite delle variazioni dei P.I.L., tale per cui l’intervento di natura pubblica è sistematico per un equilibrio delle maggiori varianze di reddito in contabilità razionale degi aumenti di reddito. In altre parole la crescita è subordinata alle aspettative di maggiori consumi: la domanda effettiva.

    • La redazione

      Alcune delle proposte contenute nel libro puntano proprio ad aumentare la domanda. Ma la domanda può essere esterna oltre che interna. E rimuovere strozzature dal lato dell’offerta può avere ripercussioni positive anche sulla domanda.

  2. LUCIANO GALBIATI

    La “tiritera” sulla liberalizzazione dei taxi nasconde il progetto di ri-regolazione del settore a favore di grandi società di capitali e soggetti giuridici di varia natura. Si crede -secondo i dettami di astratte e fallimentari teorie econometriche- di aumentare l’efficienza del servizio taxi attraverso la creazione di un oligopolio di grandi compagnie che utilizzano centinaia di autisti a cottimo precarizzati e sfruttati attraverso il sistema del noleggio di licenza e autovettura. In sintesi il modello organizzativo nordamericano (i taxi di New York). Operazione che ovviamente non produce alcun reale vantaggio qualitativo/tariffario per l’utenza. Le varie proposte di deregulation e/o distribuzione “risarcitoria” di licenze ai taxisti sono semplicemente lo strumento per fare tabula-rasa delle imprese artigiane esistenti inflazionando l’offerta di servizio. Azione finalizzata alla ri-regolazione del mercato ad esclusivo vantaggio dei futuri oligopoli. Precarizzare e proletarizzare decine di migliaia di piccole imprese a conduzione familiare distrugge reddito e fondamentali elementi di coesione sociale.

    • La redazione

      In verità nel nostro libro non si parla di taxi, perché pensiamo che le priorità siano altre. Ciò non toglie che un’opera di liberalizzazione serva anche in quel settore. Non si tratta di formulare teorie astratte, ma di riconoscere la realtà di tariffe tenute alte per permettere di ripagare un costo all’ingresso (la licenza) il cui valore è creato artificialmente dalla regolamentazione del settore. Si pensi a come compensare chi ha pagato quel costo (magari indebitandosi o investendoci la liquidazione dei genitori), ma non ci si fermi di fronte all’obiettivo di aumentare l’offerta e quindi abbassare le tariffe. In fin dei conti, si tratta di un servizio a basso valore aggiunto, che credibilmente non può garantire redditi elevatissimi senza l’aiuto di una regolamentazione protezionistica. Se ci si preoccupa di questo, ci sono molti altri redditi bassi di cui ci si dovrebbe preoccupare in Italia… Ma i redditi per sfortuna (o meglio: per fortuna) non si possono decidere per legge.

  3. rosario nicoletti

    Sono certo che le proposte delineate nel libro per uscire dalla stagnazione sono giuste ed importanti. Peraltro, di proposte ne abbiamo sentite tante, e quanti seguono con interesse le vicende economiche potrebbero recitarne un buon numero a memoria. Ma il vero problema è quello di coagulare un consenso sufficiente a realizzarle. Per ora siamo molto lontani da ciò: sarebbe necessaria innanzi tutto una classe dirigente – non solo politica – degna di questo nome. I conati dei nostri governanti – parlamento e governo – cercano di affrontare solo problemi marginali o irrilevanti. Tali sono le liberalizzazioni dei Taxi o delle Farmacie: i veri lacci allo sviluppo sono altrove, ma custoditi in santuari, che nessuno osa violare. Tanto meno l’attuale classe dirigente, cresciuta nella miseria morale e nell’ignoranza.

    • La redazione

      Grazie, ma il nostro tentativo è proprio legato al problema che lei solleva. I contributi del libro cercano di individuare i “vincenti” e gli “sconfitti” delle riforme, per dare un contributo al dibattito politico: per capire come far passare le riforme costruendovi intorno il consenso necessario. E sono molto d’accordo sui “santuari” da smascherare e liberalizzare. Anche lì i nodi da rimuovere sono politici.

  4. Maria Cristina Migliore

    Non mi piace la metafora della potatura e neppure quella dell’imprenditore politico che accende la miccia. Sono metafore molto maschili: tagliare e far esplodere, seguire un capo (maschio). Mi piace invece l’elenco dei tipi di elettori pronti a sostenere. L’autore dice un programma in cerca di autore politico. Io invece proporrei di continuare il ragionamento dicendo “sostenere il cambiamento culturale di cui sono attori e attrici nei propri ambiti di vita”. Tutto il ragionamento sottostante l’introduzione al volume si basa su una prospettiva teorica che presenta forti limiti e non è in grado di “trattare” la dimensione culturale di cui l’autore è consapevole. L’autore suggerisce ad esempio le privatizzazioni per ridurre “gli spazi di potere discrezionale dei politici nazionali e locali.” Ma siamo sicuri che gli imprenditori privati non siano permeati della stessa cultura giustamente denunciata e criticata dall’autore? Secondo me le “soluzioni” al “dolce declino” dell’Italia sono molto più complesse. Anzi non esistono. Esistono solo processi che sono in atto. Peccato che gli approcci teorici utilizzati per la maggiore non li sappiano trattare e interpretare.

    • La redazione

      Accolgo la critica ma “imprenditore politico” non voleva essere una metafora maschile, visto che si specificava che poteva trattarsi anche di un partito o di un movimento, non necessariamente di un personaggio politico (maschile o femminile). Ma su Blair ok: avrei potuto scrivere un Blair o una Thatcher. Al di là delle scelte di entrambi, che possono essere condivise o meno, di quel tipo di politici (o di politica) avremmo bisogno per muovere le acque stagnanti di un approccio consensuale e indecisionista, vittima di continui veti incrociati a livello politico o sociale.

  5. roberto romano

    osservo che il problema della mancata crescita dell’Italia rispetto alla media europea, meno 11 punti di pil tra il 1996 e il 2010, diventa un tema da discutere. tutti sappiamo che il pil è un indicatore sintetico della capacità di crescita, ma cosa non ha funzionato nella composizione del pil? suggerisco una lettura realmente meno ideologica. In particolare si potrebbe utilizzare la destinazione della produzione industriale. quanti sanno che la produzione industriale dei beni strumentali italiani è stata più bassa del 20% di quella tedesca dal 2003 al 2010? non solo, ma i prezzi alla produzione sono di ben 10 punti più alti della media europea, cioè si importa sostanzialmente l’attività ad alto valore aggiunto? stiamo parlando di un settore che sottende per definizione un oligopolio (S. Labini). Forse, uscire dai luoghi comuni aiuterebbe a trovare delle soluzioni adeguate.

    • La redazione

      Non solo PIL: la cosa preoccupante sono la stagnazione della produttività e degli investimenti (in tutte le forme di capitale, a partire da quello umano).

  6. Paolo

    Cominciando dalla fine: non mi pare che Tony Blair abbia prodotto risultati tali da indurre a volerlo imitare: un leader affascinante, ma ricordiamoci l’Iraq e che adesso c’è di nuovo un governo conservatore-isolazionista nella più vieta tradizione britannica. La classe dirigente non è solo il ceto politico: possiamo affermare che il ceto politico non è all’altezza dei tempi, ma guardando a industriali, grandi professionisti, professori, intellettuali, economisti, ecc. non mi sembra che ci siano differenze sostanziali di livello e capacità di guida verso il futuro. In altri termini non abbiamo un’élite degna di questo nome. La rinascita italiana potrà basarsi solo su cambiamenti a livello della società, che potranno forse produrre una nuova classe dirigente, ma ci vorrà tempo e nel frattempo staremo comunque male.

    • La redazione

      Veda la risposta sopra: quella su Tony Blair voleva essere solo una metafora sul tipo di politica di cui avremmo bisogno, al di là delle politiche o delle scelte fatte da Blair stesso.

  7. marco

    Potare che cosa? Il sistema italia fa acqua da tutte le parti, specie per le piccole aziende. Come si fa produrre reddito in un contesto così degradato? A mio parere gli imprenditori medio-piccoli sono degli eroi a volere proseguire la loro attività nonostante gli incredibili ostacoli che devono superare ogni giorno. Le banche che non danno credito, costi esorbitanti del lavoro, rigidità incredibili con il personale, tassazione eccessiva e addirittura anche su guadagni non fatti, incassi lunghi e difficili. Ma chi o cosa li spinge ad andare avanti? Per tenerli buoni lo stato li blandisce con contributi ed elemosine travestite da Progetti di Ricerca e simili. Oltretutto sono anche malvisti dalla popolazione che viene sobillata a credere che siano tutti esportatori di capitali all’estero, magari alcuni lo sono davvero però se ammanigliati col potere politico. Da ex-socio di una piccola azienda ho visto la situazione degradarsi nel corso di venti anni e oggi ringrazio il cielo di essere uscito da questo sistema infernale, anche rimettendoci soldi che non non è stato più possibile incassare da clienti falliti, morosi, scomparsi. Lo Stato dovrebbe tagliare a metà le imposte e liberalizzare.

    • La redazione

      Abolire “contributi ed elemosine travestite da Progetti di Ricerca e simili” è un ottimo esempio di cosa intendo per opera di potatura. Idem per la riduzione della pressione fiscale su chi produce ricchezza (aumentando quella su chi detiene ricchezza), come propone con dovizia di particolari uno dei contributi del libro (il capitolo di Filippo Taddei).

  8. porto antonio

    Sono d’accordo, cerco nel mio piccolo di presentare progetti e stimoli, da tempo. Non trovo però interlocutori presso la classe politica, li trovo, gurda caso, nei cittadini e nelle associazioni! Qualcosa dorà essere modificato o no, nei partiti, o vogliono governare con una partecipazione ridicola?

    • La redazione

      Sono molto d’accordo con la sua analisi. I partiti attuali sono organizzazioni chiuse e autoreferenziali, e respingono piuttosto che attirare i fermenti che si muovono nella società. Senza riforma della politica e delle forme di partecipazione, qualsiasi altra riforma avrà vita breve.

  9. Maurizio

    Parto da una semplice constatazione: i sindacati CGIL in testa rappresentano sia i lavoratori privati che quelli pubblici, i precari cosi come i pensionati. La Confindustria rappresenta le PMI e le grandi imprese di stato spesso ex monopolisti. In questo conflitto di interessi permanente come si può pensare di potare qualcosa? Questa situazione rende maggioranza nel paese chi vuole lo status quo. Nessuna organizzazione si priverebbe autonomamente di una sua parte e dunque di una quota di potere. In questa situazione non si può affermare un interesse al rinnovamento e alla crescita del Paese. Solo una crisi disastrosa può scardinare il sistema e dunque permettergli di ripartire su basi completamente diverse. Non so cosa sperare

    • La redazione

      Condivido la sua preoccupazione. Ma le crisi possono agevolare le riforme (se innescano una presa di coscienza collettiva che occorre cambiare registro) oppure ostacolarle (se prevale un istinto naturale a proteggere il proprio orticello sperando che passi la nottata). Dipende da molte variabili. È forse presto per dire se noi italiani sceglieremo la prima o la seconda strada.

  10. Sebastiano

    Blair chi? Tony Blair ha contribuito con Bush a fornire prove false riguardo alle armi di distruzione di massa che sarebbero state a disposizione dell’Iraq di Saddam Hussein! Ma vi rendete conto? Qui si sta parlando del problema politico e sociale italiano, che affonda le sue radici soprattutto nella mancanza di moralità nella vita pubblica, e qualcuno vuole citare come esempio Tony Blair? Il libro lo legga qualcun altro, grazie (la presentazione di questo libro, con la citazione di Blair, diventa quasi una metafora del declino di valori, innanzitutto, della società occidentale).

    • La redazione

      Voleva essere una metafora, che non c’entra niente con i temi da lei sollevati. In quel passaggio “Tony Blair” sta per qualsiasi politico pronto a combattere con coraggio una battaglia (rischiosa) per cambiare prima la propria parte politica e poi il paese. Ci sono pochi dubbi che Blair questo sia stato nella storia del Labour Party e della Gran Bretagna, poi uno può legittimamente pensare che non vi sia riuscito o che l’abbia fatto nella direzione sbagliata. Ma questo non ha niente a che fare con il senso della metafora.

  11. Paolo Sbattella

    Le ricette per la crescita possono essere molte e in questo 2012, che si preannuncia complesso, il Governo Monti deve saper fare la sua parte. Occorre puntare sullo sviluppo, perchè altrimenti la nazione si avvolge in una spirale critica dalla quale sarà molto difficile uscire. Occorre sostenere le imprese con tutti gli strumenti a disposizione, soprattutto quelle che rimangono in Italia e non delocalizzano, perchè creano lavoro e ricchezza. E questo non sembra essere stato fatto. Ridare fiducia agli investitori, sia nazionali che esteri, convincendoli con provvedimenti pratici che l’Italia é un’opportunità per chi vuole creare qualcosa di serio. E questo non sembra essere stato fatto. Le banche devono essere indotte, dopo aver avuto prestiti ad un buon tasso dalla Banca Centrale Europea, a riversare questa liquidità sul mondo delle imprese che negli ultimi anni hanno avuto una restrizione del credito fin troppo evidente. E questo non sembra essere stato fatto. Mi piacerebbe tanto, durante questo 2012, di essere convinto del contario.

  12. Altro lettore

    Anch’io desidero segnalare che la metafora “Tony Blair” é molto infelice. Credo che ci sia poco da imparare da quel politico, senza sentirsi vetero-statalisti.

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