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IMU, QUALCUNO MANCA ALL’APPELLO

Va rivisto il trattamento fiscale degli immobili non locati previsto nella manovra Monti. All’introduzione dell’Imu fa da contraltare l’esclusione dall’Irpef delle rendite catastali per le sole abitazioni non affittate. Uno sgravio che non ha alcuna giustificazione né dal punto di vista equitativo, né tributario, né economico. È un premio per chi affitta in nero e dunque contrasta con le politiche di incentivo all’emersione. L’esclusione delle rendite catastali dall’imposta progressiva, poi, garantisce un vantaggio maggiore ai proprietari con reddito complessivo più alto.

La manovra Monti anticipa al 2012 l’Imposta municipale unica (Imu), un nuovo prelievo che sostituisce due imposte: l’Ici e l’Irpef sugli immobili non locati. L’Imu avrà un’aliquota base del 7,6 per mille, agevolata al 4 per mille per i possessori di prima casa, e incorporerà un incremento cospicuo delle rendite catastali. (1)

UN PREMIO A CHI AFFITTA IN NERO

Per le abitazioni principali il prelievo del 4 per mille è aggiuntivo, per i possessori di abitazioni secondarie (locate e non locate), invece, l’aggravio di imposta sconta il superamento dell’Ici. (2)
Per le sole abitazioni non affittate, la norma concede uno sconto ulteriore: l’esclusione dall’Irpef delle corrispondenti rendite catastali. Lo sgravio non sembra trovare alcuna giustificazione, né dal punto di vista equitativo, né tributario, né economico. Con questo intervento si producono diversi squilibri:

  • sul versante di impatto della manovra (ossia su chi paga il maggior prelievo): i soggetti con immobili a disposizione subiscono incrementi del prelievo immobiliare complessivo significativamente inferiori rispetto ad altre categorie di possessori di immobili;
  • sul versante dell’equilibrio strutturale del prelievo immobiliare: i possessori di immobili locati continuerebbero a subire due forme di prelievo, una sul reddito (la cedolare secca) e una sul patrimonio (l’Imu ad aliquota piena), mentre i possessori di abitazioni a disposizione pagherebbero la sola Imu (sempre ad aliquota piena), senza essere gravati da imposte sul reddito.

La tabella 1 riporta l’impatto differenziale dell’introduzione dell’Imu per due contribuenti: uno che affitta rispetto a uno con abitazione a disposizione. (3) Entrambi i contribuenti del nostro esempio godono della stessa riduzione Ici e dello stesso incremento Imu, ma l’eliminazione del prelievo Irpef agisce solo sul possessore di immobile a disposizione. Quest’ultimo risparmia l’Irpef calcolata sulla rendita catastale maggiorata del 33 per cento a cui è applicata la propria aliquota marginale (nell’esempio il 43 per cento, aliquota propria di un contribuente con più di 75mila euro). Accade così che il possessore di immobile locato pagherebbe rispetto oggi 594 euro in più per effetto della manovra Monti, mentre il possessore di immobile a disposizione (o affittato in nero) risparmierebbe 6 euro. (4)
Il trattamento privilegiato per i possessori di abitazioni non locate contrasta con le politiche di incentivo all’emersione contenute nel decreto istitutivo dell’Imu, che ha previsto l’introduzione della cedolare secca.
Nella tabella 2 si vede che il differenziale di prelievo (assoluto e relativo) tra un locatore e un non locatore è molto più elevato con il regime Imu 2012 rispetto al precedente regime Ici 2011. A parità di valore catastale e con un affitto pari a otto volte la rendita il differenziale di prelievo a favore di chi tiene l’abitazione a disposizione passerà dagli attuali 1.164 euro ai 1.764 euro. (5) Un incremento del vantaggio per chi decide di affittare in nero.

DUE SOLUZIONI POSSIBILI

Per riequilibrare il carico fiscale della manovra di risanamento, appare dunque necessario rivedere il trattamento fiscale degli immobili non locati. Le modalità di correzione della distorsione passano per due strade alternative:

  1. il ripristino dell’impostazione originaria dell’Imu, con l’introduzione di un differenziale di aliquota a sfavore dei proprietari di immobili non locati,
  2. il mantenimento del prelievo Irpef sulle abitazioni a disposizione.

Nell’impostazione originaria dell’Imu, e anche nelle prime bozze della manovra, per i locatari era prevista l’applicazione di un’aliquota inferiore, oggi solo facoltativa e quindi a carico dei comuni. In termini relativi i possessori di abitazioni a disposizione avrebbero goduto di uno sgravio pari all’Irpef, ma avrebbero subito un’Imu maggiorata. L’eliminazione della componente Irpef per i soli possessori di case a disposizione sarebbe stata in qualche modo “compensata” da una maggiore aliquota rispetto a chi affitta. Il mantenimento dell’agevolazione per i locatori ripristinerebbe l’impianto dell’Imu previsto nel decreto 23/2011, assicurando un profilo più equilibrato del carico della manovra tra chi affitta e chi no.
Se invece si rinunciasse all’eliminazione dell’Irpef sulle rendite delle abitazioni a disposizione (alternativa B), si risolverebbe il problema equitativo tra locatari e non e si correggerebbe anche un’altra distorsione distributiva, connessa con la perdita di incisività della progressività dell’Irpef dovuta alla sottrazione di base imponibile al prelievo personale. Anche qualora l’eliminazione dell’Irpef immobiliare fosse compensata con l’applicazione di un’aliquota maggiorata, l’esclusione delle rendite catastali dall’imposta progressiva garantirebbe infatti un vantaggio maggiore per i proprietari a reddito complessivo più elevato. Con esigenze di finanza pubblica stringenti come quelle attuali, sembra difficile non cogliere l’occasione di recuperare risorse (1,6 miliardi in questo caso) abolendo immotivati sgravi di imposta ai più ricchi. Potrebbero  finanziare misure di protezione dei soggetti più fragili: ad esempio una esenzione dell’Ici per i possessori di abitazione principale in condizioni economiche critiche sotto il profilo personale e familiare.

(1) I coefficienti di incremento delle rendite vanno del 60 per cento per le abitazioni e i negozi, al 20 per cento per gli immobili in categoria D e alla invarianza della categoria B.
(2) In media oggi al 6,48 per mille e con una base imponibile non rivalutata.
(3) Esempio calcolato su un immobile di pari valore catastale (100mila euro).
(4) Rilevanti differenziali di impatto tra locatori e non si verificano anche se si considerano contribuenti con reddito Irpef inferiore. Nel caso dell’applicazione dell’aliquota minima del 23 per cento, il non locatore paga in più rispetto all’attuale regime 273 euro, comunque 321 euro in meno rispetto a chi affitta.
(5) Dato medio riscontrabile nelle analisi dell’Agenzia del Territorio.

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QUEL MATRIMONIO DI INTERESSE TRA UNIVERSITÀ E IMPRESE *

  1. Lettore attento

    I conti qui si fanno subito e non c’è nulla da eccepire. Io ho ereditato un piccolo appartamento dai miei genitori e da 20 anni è affittato regolarmente allo stesso inquilino. Già oggi tra Ici e Irpef giro allo stato 5 mesi di pigione, così passiamo a 7. Già così devo chiedere un affitto che mi sembra mostruoso per quel buco di casa, con che coraggio scaricherò questa cifra sull’inquilino (pensionato a basso reddito) al prossimo rinnovo? Mi accorgo che l’appartamento vale, secondo lo Stato ai fini Imu, ben 74.000 euro. Se trovo uno che me ne offre 60.000 glielo vendo di volata.

  2. serlio

    L’assunto base è che si debba pagare una imposta sui beni posseduti, ma perchè mai? Trattasi di invidia sociale nella migliore delle ipotesi o di comunismo becero in quella più verosimile. quei beni sono stati acquistati con i soldini scampati ad una tassazione perversa, e sin tanto che non vengono venduti (per gli immobili) non generano reddito, anzi. perché incrementare la tassazione sulle seconde case? Che male hanno fatto le poverine? Vengono utilizzate saltuariamente e nella maggior parte dei casi si tratta di un investimento in perdita, ma questo al massimalismo fiscale non interessa. d’altronde gli estensori delle note di lavoce.info, saranno anche economisti di vaglia, ma sono anche dipendenti pubblici, che vivono a carico del sistema produttivo e dal quale prelevano i loro emolumenti. pertanto qualsiasi ricchezza che sfugga alla tassazione viene, da questi vista come qualcosa che viene tolto loro e non come un impoverimento complessivo del sistema economico come in realtà è.

  3. michele

    Sotto il,profilo del gettito, niente da dire, ovviamente. Sotto il profilo dell’equità, la tesi mi sembra un po’ semplicistica e forse appesantita da una punta di pregiudizio ideologico. Ma non c’è spazio per parlarne qui. . E’ sotto il profilo pratico, oltre l’equità, che chiedo come distinguere chi non vuole affittare, da chi non riesce a farlo, per scarsità di domanda o perché dovrebbe accettare forti rischi di danneggiamento e perdita di valore dell’immobile. Penso anche a chi dspone di immobili deteriorati, locabili solo affrontando oneri che non si può permettere. O a chi ha una proprietà agricola comprendente immobili, che è già passiva. So ovviamente che a tutti questi dubbi c’è una risposta: ridurre la richiesta per affittare a qualunque prezzo, cedere la propriatà, indebitarsi e simili. Ma, a parte l’impatto psicologico disastroso e politicamente costosissimo (credo sia questa la ragione dell’esenzione), credo che il suggerimento avrebbe un altro valore se inquadrato in un intervento più ampio sul mercato immobiliare, che tenga conto anche della più che settuagenaria normativa vincolistica sugli affitti.

  4. carlo ardizzone

    L’ autore sembra dimenticare che ci sono molte abitazioni, regolarmente censite, che non si riescono ad affittare, soprattutto nei piccoli centri. Non si capisce perchè aggiungere ulteriori balzelli. Le autorità tributarie centrali e locali, verificando gli allacciamenti e i consumi possono, se vogliono, scoprire eventuali affitti in nero.

  5. Paolo Manzoni

    Uno spunto per la riflessione. Un cittadino con 200.000 euro faticosamente risparmati decide di comprare una casa da 300.000 euro con un mutuo di 100.000 euro. Da questo momento questo cittadino paga piú imposte. Finché le norme portano a questo risultato, a mio avviso non sono eque e sono recessive.

  6. AM

    L’autore sembra non aver chiara in mente la fondamentale differenza fra imposisione sul reddito e imposizione sul patrimonio. Se un’abitazione è sfitta non produce reddito, ma solo costi, e sarebbe scorretto ed iniquo assoggettarla all’IRPEF è giusto invece assoggettarla all’imposta patrimoniale. E’ vero che in precedenza in questi casi si applicava comunque l’IRPEF, ma si trattava di una delle tante “furbate” del Fisco italiano che hanno contribuito a creare quel clima di diffidenza tra i contribuenti che non ha giovato al contrasto dell’evasione. Mi pare infine improponibile l’ipotesi applicare comunque l’IRPEF alle case sfitte per colpire chi affitta in nero. Sarebbe come applicare l’IRPEF ai disoccupati per colpire chi lavora in nero.

  7. Lorenzo Lusignoli

    A me pare che dal punto di vista tributario il nuovo provvedimento abbia una sua giustificazione. Se il valore dell’immobile viene tassato con un’imposta sul patrimonio (l’Imu o ieri l’Ici) non ha molto senso tassare lo stesso valore anche con un’imposta sul reddito. O meglio si tratta di una sorta di doppia tassazione. Se invece l’immobile produce un flusso di guadagno perché è locato allora ha senso che questo guadagno venga tassato con un ‘imposta sul reddito (irpef o cedolare). Ho l’impressione che il mantenere l’assoggettamento del valore dell’immobile ad Irpef, dopo l’introduzione dell’Ici nel 1993, sia stata una scorrettezza (forse per ragioni di gettito) e che questa venga oggi in realtà sanata nell’ultima manovra. Imporre l’irpef anche sul valore dell’immobile rispondeva alla concezione della “comprehensive income tax” degli anni ’70, poi ampiamente superata (nel bene e nel male) con la progressiva esclusione di molti redditi dalla base imponibile irpef. Era un modo per tassare il patrimonio immobiliare senza introdurre un’imposta patrimoniale. Il decentramento fiscale contempla una razionalizzazione del sistema con una tassazione locale di tale patrimonio. La questione equitativa può essere analizzata confrontando il vecchio sistema progressivo col nuovo proporzionale. Da questo punto di vista sembra che il nuovo sistema sia meno equitativo del precedente, anche se potrebbe permanere il dubbio che sia più equo imporre sugli immobili una forte imposta sul patrimonio (l’Imu) piuttosto che una debole imposta progressiva (L’Irpef). Se si volesse migliorare l’equità sembrerebbe preferibile e più razionale, piuttosto che reintrodurre l’Irpef, rendere maggiormente progressiva l’Imu. La possibile differenza di aliquota per gli immobili non locati sembra vada in un’analoga direzione. Mantenere le opzioni al livello locale rispetta l’autonomia tributaria di un’imposta che dovrebbe avere vincoli minimi al livello centrale per operare a dovere (opinabile quindi la prevista ripartizione del gettito). Infine, purtroppo, con riguardo al nero, la scomparsa dell’Irpef sugli immobili è poca cosa rispetto al mancato controllo sull’uso degli immobili. La scommessa della cedolare secca era di ridurre la tassazione, rinunciando alla progressività e facilitando i controlli, in cambio dell’emersione. Il tempo ci dirà se verrà vinta o persa.

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