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COSÌ LA SVIZZERA MANTIENE IL SEGRETO

Per recuperare nuove risorse, il governo Monti è stato invitato da più parti a concludere un accordo anti-evasori con la Svizzera, simile a quelli recentemente firmati dalla Germania e dal Regno Unito. Ma il rifiuto dell’esecutivo italiano è giusto. Perché l’accordo tedesco, in fin dei conti, non è altro che uno scudo fiscale. E il testo è pieno di altri trappoloni più o meno visibili, che lo rendono molto conveniente per la Svizzera e le sue banche. Tanto che meriterebbe un esame di conformità all’acquis comunitario (cioè l’insieme dei diritti acquisiti) da parte della Commissione.

L’affannosa ricerca di nuove risorse per alleviare il rigore della manovra Monti ha curiosamente portato parlamentari di forze politiche assai diverse a invocare a gran voce che l’Italia concluda un accordo con la Svizzera come quelli recentemente firmati dalla Germania e dal Regno Unito. Il ministro Giarda ha spiegato al Parlamento che quegli accordi sono contrari all’acquis comunitario e alla direttiva Risparmio e che non intende seguire la via aperta da tedeschi e inglesi.
La posizione del governo italiano è in perfetta continuità con quelli di tutti i governi che, in Europa e all’interno dell’Ocse, hanno sostenuto gli sforzi della comunità internazionale – Svizzera esclusa – verso l’abolizione del segreto bancario.

UNO SCUDO TEDESCO

Al di là di considerazioni politiche, proporre alla Svizzera un patto come quello tedesco o inglese non è solo inopportuno, ma è anche controproducente.
I due accordi sono sostanzialmente identici. Qui faccio riferimento a quello tedesco, ipotizzando che entri in vigore nel termine più breve possibile, cioè il 1° gennaio 2013.
L’accordo prevede che nel 2013 le banche svizzere dovranno richiedere alle persone fisiche residenti in Germania che hanno conti presso una banca svizzera di pagare alla banca svizzera una “somma” parametrata ai loro capitali che saranno ancora depositati in Svizzera il 31 maggio 2013. La somma da pagare è variabile in relazione all’anzianità del deposito e verrà girata in modo anonimo al fisco tedesco. In caso contrario, le banche gli forniranno –tramite le “autorità competenti” – nome e numero del conto.
A chi deciderà di pagare, la banca consegnerà un certificato con tutti i dati dell’operazione. In caso di un successivo controllo fiscale in Germania su redditi e capitali svizzeri basterà esibire il certificato per evitare imposte, sanzioni e interessi. Le banche verseranno le somme così raccolte a una società svizzera di nuova costituzione che consegnerà il denaro al fisco tedesco per il tramite delle competenti autorità svizzere.
Lo si chiami come si vuole: un italiano mediamente istruito da decenni di sanatorie di ogni genere troverà tutte le caratteristiche del nostro “condono tombale” e del nostro “scudo fiscale”.
Le aliquote negoziate tra Germania e Svizzera appaiono (almeno nominalmente) più elevate di quelle del nostro scudo fiscale, ma la sostanza è la stessa. L’unica vera differenza è che la Germania non avrà alcun modo di controllare se le banche svizzere si sono comportate secondo gli accordi.
La “fregatura” però è un’altra: se un residente tedesco non vuole pagare nulla e vuole continuare a restare anonimo può tranquillamente mandare i suoi soldi in un’altra banca fuori dalla Svizzera. Anche presso una filiale estera della sua banca svizzera preferita. Basta che lo faccia prima del 31 maggio 2013. Passata la buriana, i capitali potranno tornare alla banca svizzera. In questo caso, il puntiglioso accordo tedesco prevede che, con grande sforzo di trasparenza, la Svizzera comunicherà alla Germania il numero dei tedeschi che hanno lasciato le banche svizzere e il nome dei primi dieci Paesi esteri beneficiari del flusso di denaro in uscita. Nomi dei clienti? Nessuno.
Si noti bene che il regime si applica solo ai capitali tedeschi che (a) erano in Svizzera almeno dal 10 ottobre 2011 e (b) continuano a essere custoditi in quel paese il 31 maggio 2013. Per i capitali tedeschi che arriveranno dopo quella data, come per quelli pre-esistenti e decurtati dal pagamento straordinario, l’accordo prevede che le banche svizzere non avranno alcun obbligo di prelievo sul capitale, ma dovranno solo applicare una sorta di imposta pari a poco più del 25 per cento sui rendimenti. Anche questi soldi saranno periodicamente consegnati dalla Svizzera alla Germania in modo anonimo e aggregato. Nomi? Ancora una volta nessuno.
Anche il più sprovveduto dei tedeschi manderà i suoi soldi alla filiale estera della sua banca svizzera, per poi – se lo ritiene – farli rientrare nella Confederazione a fine 2013. Non pagherà dazio sul capitale, presente e futuro, e pagherà sui prossimi rendimenti più o meno quello che pagherebbe a casa sua. Non solo: i tedeschi e gli inglesi che hanno capitali esteri non dichiarati detenuti in altri paesi saranno invogliati a trasferirli in Svizzera. Non pagheranno imposte straordinarie e, se accetteranno di pagare il 25 per cento sui rendimenti, potranno godere della protezione del segreto bancario svizzero.
Se si pensa che la Svizzera è impegnata dal 2005 con tutta Europa (Germania e Regno Unito inclusi) a prelevare una imposta del 35 per cento sugli interessi (non su dividendi e capital gains) di pertinenza di residenti comunitari si capisce perché l’accordo non sia piaciuto affatto a Bruxelles.

999 DOMANDE DI INFORMAZIONI

Meno male che l’accordo prevede che la Svizzera fornirà, su richiesta della Germania, informazioni bancarie riferite a persone fisiche residenti in Germania sospettate di infedeltà dichiarativa. Uno sforzo non banale da parte svizzera verso una maggiore collaborazione fiscale internazionale quindi è stato fatto. Non tutte le domande saranno tuttavia accoglibili. Saranno prese in considerazione soltanto quelle fondate su “fatti plausibili”. Nel biennio 2013-2014 il i tedeschi non potranno inviare più di 999 richieste, mentre le risposte svizzere possono essere anche meno. È poi previsto un meccanismo di variazione del numero massimo di richieste annue che dipende dalla percentuale di “successo” delle domande presentate nel biennio precedente. Se almeno due terzi delle domande tedesche hanno consentito di identificare un evasore e il suo patrimonio, il numero del successivo biennio aumenta del 15 per cento. Se la percentuale di successo è tra un terzo e due terzi, il numero rimane invariato, se è meno di un terzo, le domande massime sono automaticamente ridotte del 15 per cento.
Quindi, più sarà efficiente e scaltra l’amministrazione fiscale tedesca nello scoprire evasori fiscali che sulla base di “fatti plausibili” hanno soldi non dichiarati in Svizzera, maggiori saranno le richieste che potrà inviare a Berna.
E come farà la Germania a scoprire gli evasori fiscali tedeschi? Dopo la firma dell’accordo sarà ancor più difficile che in passato, dato che la Germania si è impegnata a “non cercare attivamente di entrare in possesso di informazioni bancarie rubate a banche svizzere e relative ai loro clienti”. Niente più “liste Falciani” e simili. Basta con la volgarità dei “nomi”. Le informazioni bancarie ottenute sulla base di rogatorie penali sono coperte dal principio di specialità e non sono utilizzabili a fini fiscali. Il compito degli accertatori si farà sempre più difficile.
Il testo dell’accordo è pieno di altri trappoloni più o meno visibili. Ma bastano quelli indicati per concludere che un accordo simile conviene molto di più alla Svizzera e alle sue banche che all’Italia e ai suoi contribuenti onesti.
Se accordi di questo genere sono addirittura dannosi, cosa si può fare? Occorre innanzitutto stimolare la Commissione ad accertare senza indugio la conformità all’acquis comunitario degli accordi appena firmati da Germania e Regno Unito e, se del caso, a iniziare una procedura di infrazione.
L’Unione Europea e l’Ocse dovranno poi proseguire gli sforzi – in atto da oltre un decennio – per convincere gli Stati contrari allo scambio di informazioni bancarie a fini fiscali a cambiare rotta entro orizzonti temporali determinati. Ma è evidente che l’accettazione del segreto bancario svizzero implicita negli accordi con Germania e Regno Unito rischia di rendere ancor più lungo un percorso già tormentato.

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QUEL MATRIMONIO DI INTERESSE TRA UNIVERSITÀ E IMPRESE *

  1. michele

    Non ho motivo di contestare gli argomenti addotti dall’autore per dir no a questo accordo. Anche se la differenza di tassazione rispetto allo scudo fiscale italiano nn è certo di poco conto. Mi limito però a chiedere: visto che l’Europa su questi temi procede o in ordine sparso o con assoluta lentezza (in modo da consentire agli evasori e alle banche e ai paesi complici di trovar sempre rimedi e sotterfugi) che si fa? Si aspetta una improbabile accelerazione comunitaria, di questi tempi, oltretutto? Non esistono altre soluzioni, compreso persino il sostegno dichiarato alla delazione civile, come nel caso Falciani? Perchè quando si tratta di argomenti relativi a fiscalità, finanza, banche ci si gira sempre attorno? Il problema sarà pure complesso, ma l’impressione che ci sian collusioni, attenzioni particolari e interessi persnali (pure!) dei governi e dei ceti che più rappresntano nn è certo pellegrina. Si son messe decine di vincoli alla mobilità delle persone, qualcuno su quella dei capitali no? A chi fa male? Siamo sinceri, almeno…

  2. Hans Suter

    Non ho il tempo per commentare tutto il pezzo, tiro fuori ad esempio questa frase: “una sorta di imposta pari a poco più del 25 per cento sui rendimenti”. Questa non è una sorta di imposta ( a parte il fatto che va aggiunto un 5,5% di contributo di solidarietà e, per chi desidera, anche le tasse per la chiesa) ma sono le tasse tedesche che vengono applicate in Germania e – se del caso – aggiornate nell’accordo se variano. Manzitti avrebbe fatto bene a fare un riassunto dell’accordo senza alcun commento e poi fatto sapere cosa ne pensa. Ma forse c’era la barriera linguistica ad impedirlo. Ecco il link per l’accordo.

  3. pippo

    “……..può tranquillamente mandare i suoi soldi in un’altra banca fuori dalla Svizzera. Anche presso una filiale estera della sua banca svizzera preferita. Basta che lo faccia prima del 31 maggio 2013. Passata la buriana, i capitali potranno tornare alla banca svizzera” quanto sopra dimentica che l’Accordo (art. 33) prevede grosse responsabilità per le banche svizzere e – da quello che mi risulta – almeno le due banche piu’ grandi non si prestano a simili giochetti.

  4. Cepiansa

    Dall’articolo, ben documentato e molto chiaro, capisco: 1° – che quando i quattrini – euro, sterline et al. – prendono la strada delle banche svizzere mai più torneranno nel paese di partenza, e raramente pagheranno dazio; gli evasori più generosi e prudentissimi potranno mettersi l’animo in pace con l’elemosina di qualche spicciolo. 2° – che, sommando Tremonti con Monti, il fisco tedesco incasserà meno di quello italiano. Contentiamoci, quindi, sperando che chi ha trovato rifugio nei paradisi fiscali finisca nel quinto cerchio dell’inferno, insieme agli avari. Per ora, abbiamo poche speranze di sapere chi sono ‘questi cotali’ – già lo diceva Virgilio a Dante: « la sconoscente vita che i fe’ sozzi ad ogni conoscenza or li fa bruni ». ( Inferno – Canto VII, 53-54 )

  5. PMC

    C’è un problema, in punta di diritto che non vedo mai affrontato quando si parla di queste cose e che sta prima degli effetti pratici. Se è vero che in Svizzera (come si legge da molte parti) la “sottrazione d’imposta” non è un reato, non si capisce perché le autorità elvetiche debbano collaborare per punire un comportamento che il loro ordinamento non sanziona. Se applicato questo principio è pericoloso, farebbe sì, ad esempio, che noi italiani non dovremmo scandalizzarci se il nostro paese collaborasse con altre nazioni a mandare in cella i rei d’adulterio, fatto che da noi non costituisce reato, ma che alcuni ordinamenti giuridici sanzionano, e pure pesantemente.

  6. AM

    La Svizzera ha interesse a trattare singolarmente con ognuno dei paesi Ue che si presentino in ordine sparso. La condizioni saranno differenziate in relazione alla forza negoziale di ogni paese. Quindi l’Italia, e peggio ancora la Grecia, non possono sperare di ottenere le condizioni della Germania. L’Italia per non ammettere la sua debole posizione punta su un accordo fra Svizzera e Bruxelles, ma i tempi paiono lunghi. Forse è meglio ottenere qualcosa subito, anche se meno della Germania. Dopo tante chiacchere dei politici, leggendo l’articolo ci si convince che gli scudi di Tremonti non erano poi tanto spregevoli.

  7. rita

    Nel frattempo la Commissione Europea ha ratificato l’accordo di Germania e Gran Bretagna, previa modifica che lo ha reso conforme al diritto europeo, riguardante il prelievo alla fonte per il presente e il futuro, che sarà considerato “un acconto” in attesa di una convenzione tra Unione Europea e Svizzera, che va certamente sollecitata. Quanto alla fuga dei capitali verso altri lidi, concordo con chi ha sottolineato che non è precisamente come schioccare le dta di una mano. Del resto, se le banche svizzere hanno spinto per un accordo parziale con gli Stati europei, è perchè volevano evitare di continuare a subire pressioni da parte delle polizie fiscali dei principali paesi europei: è probabile, quindi, che cercheranno di evitare di attirare nuovamente la loro attenzione. Infine, pur nei suoi limiti, e secondo i calcoli più pessimisti, l’accordo frutterebbe allo Stato italiano 37,5 mld.€ una tantum per il pregresso e 675 mln. annui di prelievo alla fonte. Credo che qualche problema aiuterebbe a risolverlo, no?

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