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ATENEO PIÙ CARO, MA CON PIÙ BORSE DI STUDIO

Una recentissima sentenza ha fatto scoppiare il bubbone delle tasse universitarie in eccesso alla normativa. Che prevede che le tasse pagate dagli studenti non superino il 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario. Ma è la legge che va cambiata, e con urgenza. Per vincere l’ostilità studentesca, è opportuno riprendere un punto del patto per l’università proposto dal governo Prodi: la metà dell’aumento sia redistribuita agli studenti sotto forma di borse di studio e servizi gratuiti ai meno abbienti.

 

Che farà il nuovo ministro dell’Università, Francesco Profumo, quando dovrà riconoscere che anche l’ateneo di cui è stato rettore fino a ieri, il Politecnico di Torino, è fuori legge? Una vecchia norma (Dpr 306/1997) impone che le tasse pagate dagli studenti non superino il 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) assegnato dallo Stato. Ma gli atenei in media ne traggono oltre il 25 per cento; e quando si va a controllare sede per sede, risultano oltre il limite trentatré atenei, grandi e piccoli, tra cui Torino, Milano, Genova, Padova, Bologna, Firenze e Napoli; sette, tra cui i tre atenei pubblici milanesi , addirittura sopra il 30 per cento.

UNA LEGGE DA CAMBIARE

Il fenomeno dura da anni, ma si è aggravato nell’ultimo triennio con l’arresto e poi la diminuzione del fondo statale. Gli atenei sarebbero lieti di stabilizzare il numeratore, le tasse, se riprendesse a salire il denominatore, cioè il finanziamento statale. E si spera che l’ex rettore Profumo possa quanto meno arrestare la discesa del Ffo avviata da Tremonti-Gelmini. Ma non ci possono essere illusioni al riguardo. Le tasse andranno aumentate, la legge dovrà essere modificata. E di corsa. Perché il fatto nuovo è che il Tar della Lombardia ha appena imposto all’università di Pavia di restituire il prelievo sopra il limite.
Tutto sommato, è bene che il bubbone sia scoppiato, perché non c’è modo peggiore di gestire la cosa pubblica di quello che vede amministratori seri disobbedire alle leggi per salvare le istituzioni e il servizio ai cittadini di cui sono responsabili. Disobbedire di quanto? Non appena si esce dall’ambito della legge, si genera un’incertezza che toglie riferimenti e freni, spiana la strada anche agli amministratori non seri ed  esalta agli occhi degli amministrati il responsabile più temerario nel fare deficit. È la storia della finanza locale nella seconda metà degli anni Settanta, uno dei mali strutturali del Paese, da cui solo ora (e forse)  potremo uscire con il federalismo fiscale.
Nel caso universitario, poi, la questione è aggravata dal fatto che all’università avviene una redistribuzione perversa, dai poveri ai ricchi, dato che il reddito medio delle famiglie degli studenti è ben superiore a quelle medio degli italiani. La crisi congiunturale quindi non fa che esaltare la necessità di un intervento da lungo tempo invocato su basi strutturali. Ma non è chiedere troppo sul piano politico al nuovo governo che deve fronteggiare una situazione sociale già molto tesa? Certo, sono da mettere in conto reazioni studentesche, ma che non dovrebbero essere generalizzate e nemmeno maggioritarie. Occorre che l’aiuto agli atenei sulle spalle delle famiglie preveda un rafforzato sostegno agli studenti non abbienti, come impone, in aggiunta alla Costituzione, l’interesse economico del paese che ha un bisogno spasmodico di attuare una politica meritocratica e quindi di individuare e premiare i talenti. Si tratta quindi di attuare in contemporanea una duplice manovra: aumentare le tasse su chi può, graduandole in base alla ricchezza (l’università ha preceduto il paese nell’impiegare l’Indicatore della situazione economica delle famiglie, che considera il patrimonio in aggiunta al reddito); e dare di più a chi non può, sotto forma di borse di studio e di servizi gratuiti, lasciando peraltro un margine netto per il finanziamento degli atenei.
Questa strada era stata indicata in quel patto per l’università che il governo Prodi aveva fatto proprio su suggerimento della Commissione tecnica per la finanza pubblica e che la Conferenza dei rettori aveva accettato verso la fine del 2007. Il punto in questione, uno dei 14 punti del patto, recitava: “gli atenei devono poter aumentare le tasse universitarie fino alla concorrenza del 25 per cento del Ffo, con vincolo di destinazione di almeno il 50 per cento dei maggiori introiti ai servizi agli studenti e alle borse di studio per i meritevoli”. Come ex presidente della Commissione, mi sento di riproporre lo stesso testo, con una sola ma decisiva variante. Il nuovo limite va alzato da un quarto ad almeno un terzo, a riprova che i mali non curati tempestivamente si aggravano e richiedono cure più dolorose.

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  1. martino

    Non concordo sull’aumentare le tasse per i ricchi. In Italia non ha senso! In alcuni stati stranieri ci sono alte tasse universitarie, ma più basse tasse sui redditi. E poi, basta con questa continua contrapposizione ricchi / poveri, quando il 10% più ricco paga il 50% di imposte sui redditi. E per essere in questo 10% basta avere un reddito di 40mila euro!! Cosa facciamo, a chi è così ricco gli aumentiamo anche le tasse universitarie (oltre magari a fargli pagare più Imu, un po’ di ticket sanitari, ecc ecc)? Siete sicuri che così questo “ricco” contribuente non si senta un po’ preso in giro?

  2. Marco Lezzi

    Sono uno studente di ingegneria presso il Politecnico di Milano. Vorrei chiarire alcuni aspetti: 1) A ben guardare, il DPR 306/1997 fissa una soglia del 20% del rapporto contribuzione studentesca/FFO, ma prevede anche che, qualora il singolo ateneo già superasse tale soglia nel 1996, si considerasse tale valore come parametro di riferimento. Questo rende ragione del fatto che molti atenei italiani oggi superano il 20%. Se è vero infatti che Tremonti e Gelmini hanno tagliato il FFO dal 2009, è anche vero che tale fondo è quasi raddoppiato nel decennio. 2) L’indicatore individuato dalla normativa vigente risulta tuttavia iniquo innanzi tutto per via della impossibilità, verificatasi di fatto, di una programmazione di medio termine del FFO destinato a ciascun ateneo. Perciò l’università si troverebbe a dover modulare le tasse studentesche in base agli stanziamenti del FFO anno per anno. In secondo luogo perché non costituisce alcuna garanzia di qualità e servizi per gli studenti. A tale proposito risulterebbe invece utile una dinamica di contrattazione decentrata, tra ateneo e studenti.

  3. marco

    Provengo da una famiglia di quella che una volta, quando ancora esisteva, si chiamava classe media- padre ferroviere e madre insegnante – I miei genitori hanno lavorato onestamente per una vita e per una vita intera hanno risparmiato e sono stati sobri nelle spese-risultato: all’università ho pagato tutte le tasse, non ho mai visto un euro di borsa di studio nonostante mi sia laureato con 110/110 e lode e mi sono arrangiato con una miriade di lavoretti per rendermi un minimo indiopendente dalla famiglia- uno studente universitario deve essere reso indipendente il più possibile dai soldi del babbo-in compenso in Italia non sono tassate le rendite finanziarie, ma solo le transazioni, regaliamo pensioni ai politici, ce ne freghiamo di recepire le direttive sulla corruzione, regaliamo buonuscite da favola a chi fotte nelle aziende di Stato, sputtaniamo 500 miliardi tra evasione, lavoro nero, mafie, finanziamo opere fantasma e inutili a suon di miliardi di euro (POnte sullo stretto, Tav ecc.) ma continuiamo a chiedere soldi agli studenti e agli sfigati?! Se vogliamo crescere i soldi li dobbiamo mettere in tasca agli sfigati, così li spendono! Dove vanno presi i soldi che mancano?

  4. Federico Pani

    A mio modo di vedere la norma del ’96 è sbagliata per come è strutturata: collegare l’importo complessivo delle tasse universitarie all’ammontare del FFO ha effetti perversi e opposti a quelli necessari, poiché a fronte di una sua drastica diminuzione (come quella avvenuta negli ultimi anni grazie a Tremonti) dovrebbe correlarsi la diminuzione delle tasse, così che il singolo ateneo finisce per strozzarsi, incapace persino di pagare gli stipendi dei propri dipendenti! Per questo aumentare la soglia dal 20 al 25-27% non ha senso. Ma soprattutto non si deve dimenticare la questione di fondo: in Italia i fondi dati all’università pubblica sono incredibilmente più bassi di quelli elargiti dai paesi con i quali dovremmo competere (Spagna, Francia e Germania) e, peraltro, si continuano a finanziare le università private. Smettiamola di prenderci in giro: prima si ridia dignità all’università pubblica (non solo economicamente ma anche con altre norme, ma non entro nel merito per motivi di spazio), poi possono venire tutti gli altri discorsi.

  5. Paolo Manzini

    Nel mentre condivido in pieno lo scritto di Gilberto Muraro, trovo alquanto esagerata l’affermazione di Marco Lezzi (disappunto) : “Se è vero infatti che Tremonti e Gelmini hanno tagliato il FFO dal 2009, è anche vero che tale fondo è quasi raddoppiato nel decennio”. Uno studente di Ingegneria non dovrebbe, proprio per la sua formazione, citare a braccio ed a spanne. I dati sull’evoluzione storica dell’FFO si possono trovare, per esempio, nella tabella 6.26 a pag. 179 dell’Undicesimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, reperibile qui. Nella tabella si vede che l’FFO delle Università statali (per le altre il vincolo del 20% non esiste) nel 1998 era di 5.273 e nel 2008 di 7.325 milioni di €. Raddoppiato?

  6. Marco Lezzi

    Non è certo mia intenzione mistifacare la realtà, tantomeno contestare i dati del CNVSU. Se l’espressione utilizzata è esagerata, basta osservare come, fatto 100 il FFO del 1994, lo stesso fondo era pari a circa 180 nel 2004. Al di là della accuratezza dei conti, ciò che è evidente è una dinamica di forte crescita del FFO, che ha conosciuto un picco storico nel 2009, prima dei tagli apportati dal Governo Berlusconi, poi in parte ripiantati. In ogni caso, sarei interessato a comprendere le ragioni del disaccordo e agli argomenti per cui si ritiene ragionevole fissare di punto in bianco un rapporto-limite del 40%.

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