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PUÒ FUNZIONARE UN’EUROPA SPEZZATA IN DUE?

 Quella che è stata vista come la spaccatura dell’Unione Europea, potrebbe in realtà essere l’unico vero risultato del vertice di ieri: sancire una integrazione a due velocità tra paesi all’interno e all’esterno della zona euro. Ma siamo ancora lontani da una vera unione fiscale nell’area, perché manca un percorso definito che dia legittimità democratica alle istituzioni che dovrebbero guidarla. Deludente anche la Bce, in cui prevale la rigidità della Bundesbank.

Il vertice dell’eurozona di ieri si è concluso accogliendo nella sostanza la posizione franco tedesca, concordata nell’incontro di lunedì scorso tra la cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy.

L’ACCORDO PER PUNTI

I punti salienti dell’accordo raggiunto nella notte sono i seguenti.
a. Sanzioni semi-automatiche per i paesi che violano il tetto del 3 per cento al rapporto disavanzo/Pil. L’applicazione delle sanzioni potrà essere fermata solo da un voto contrario del consiglio UE a maggioranza qualificata.
b. La Corte di giustizia europea dovrà verificare che le norme sul pareggio di bilancio (il deficit strutturale non deve eccedere lo 0,5 per cento del Pil), inserite nelle costituzioni nazionali, siano coerenti con i Trattati europei.
c. L’accordo intergovernativo (da siglare entro marzo prossimo) non deve necessariamente coinvolgere tutti i 27 paesi dell’Unione. In effetti, coinvolgerà solo i 17 paesi della zona euro più altri sei. Resta aperto alla adesione di altri, ma la Gran Bretagna si è già chiamata fuori.
d. L’entrata in funzione del nuovo fondo Esm verrà anticipata da metà 2013 a metà 2012. La partecipazione dei creditori privati alla ristrutturazione dei debiti sovrani non sarà più una condizione necessaria per avere gli aiuti dell’Esm: si seguirà la pratica dell’Fmi di valutare caso per caso la necessità di coinvolgere il settore privato. Il caso della Grecia dovrebbe rimanere eccezionale. Le decisioni dell’Esm verranno prese con una maggioranza qualificata dell’85 per cento, anziché all’unanimità.
e. L’Fmi potrebbe ricevere risorse addizionali per 200 miliardi di euro dagli stati europei.

MANCA IL PROGETTO POLITICO

Nei giorni scorsi, la cancelliera Merkel aveva parlato della necessità di fare un salto di qualità, verso una “unione fiscale” tra i paesi della zona euro. Ha ragione: è l’unica soluzione. Ma se questa è la sua visione di una unione fiscale, non ci siamo. La posizione tedesca è fatta solo di vincoli alla politica fiscale e di sanzioni per i paesi devianti, oltretutto applicate da organismi tecnici privi di ogni legittimità democratica. È la solita ricetta, che non ha funzionato negli ultimi dieci anni di unione monetaria e che non funzionerà nei prossimi, ammesso che ve ne siano.
Il progresso verso una unione fiscale dovrebbe invece comprendere meccanismi istituzionali nuovi, tali da consentire un trasferimento di alcune decisioni dalle autorità nazionali a quelle comunitarie: Parlamento, Consiglio, Commissione. Proprio la Commissione dovrebbe avere una maggiore legittimazione democratica, prevedendo che almeno il suo presidente sia eletto dai cittadini. Il bilancio comunitario dovrebbe essere potenziato, aumentandone le risorse proprie e prevedendo che alcune materie siano di sua competenza. Non è necessario far tutto subito, forse in questo momento sarebbe anche controproducente, visto il livello di consenso popolare verso le istituzioni europee dopo due anni di mala gestione della crisi. Ma il percorso dovrebbe essere definito, con alcuni passi significativi immediati e un chiaro punto di arrivo. Solo così si potrebbe progredire verso una federazione, correggendo il vizio di fondo della unione monetaria europea: la condivisione della politica monetaria senza alcuna condivisione della politica fiscale.
L’unica novità rilevante dell’approccio franco-tedesco è la previsione che si possa procedere con un accordo tra i soli paesi della zona euro, lasciando agli altri la possibilità di aderirvi, se vorranno, in un secondo momento. È una buona idea, che è stata subito applicata. La crisi ha ormai ampliato la distanza tra paesi euro e non; e le stesse istituzioni europee hanno già cominciato un processo di specializzazione al proprio interno, con la formazione di organismi specifici per la gestione dell’euro (Eurosummit). È inevitabile; condividere la moneta non è la stessa cosa che formare un mercato unico; e non si può governare la prima con le stesse istituzioni della seconda. Tanto più, se come è necessario in futuro, il processo di centralizzazione della politica fiscale venisse accompagnato da un aumento della legittimità democratica delle decisioni, alla lunga l’unica soluzione accettabile. Ma come può un Parlamento europeo, nel quale siedono anche i Tories inglesi, che non vogliono né mai vorranno aderire all’euro, decidere sulla politica pensionistica, la politica tributaria, il mercato del lavoro e le altre materie dei paesi dell’euro? Una “Unione a due velocità” è purtroppo iscritta nelle cose; e, peggio ancora, per evitare veti inglesi, si procede con accordi intergovernativi (tipo “Shengen”) piuttosto che sfruttando le potenzialità degli strumenti già previsti nei Trattati europei, come le “cooperazione rafforzate”. L’accordo di ieri sancisce probabilmente la fine dell’Unione Europea come l’abbiamo conosciuta. Ma il problema è che a causa della rigidità tedesca e della mancanza di progetto dei politici europei potrebbe non tanto sancire la nascita di una federazione politica più coesa attorno alla moneta unica, ma solo il proseguimento degli inutili patti intergovernativi sugli equilibri di bilancio in salsa teutonica che abbiamo visto nell’ultimo decennio. Anche l’applicazione semi-automatica delle sanzioni per i paesi con disavanzi eccessivi non è una novità: era già prevista nel Patto di stabilità riformato nel corso di quest’anno (il cosiddetto “Patto euro plus”).

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IL CAPITOLO BCE

Una visione così minimalista della integrazione fiscale nella zona euro, come quella emersa nell’accordo notturno, si poteva giustificare solo come espediente tattico, per consentire alla Bce di rafforzare il suo programma di acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario. Si poteva sperare che, pur non affidando un mandato esplicito alla Banca centrale, si sarebbero create le condizioni perché il Securities Market Program facesse un salto di qualità, senza urtare troppo la sensibilità degli elettori tedeschi e della Bundesbank. Una estensione di quel programma, capace di dare un segnale più chiaro al mercato sui livelli massimi di spread tollerati, non sarebbe in contrasto con il mandato e lo statuto della Bce (Tosato, BCE: Cosa può fare e cosa no). L’uniformità dei tassi d’interesse tra i paesi della zona euro è una condizione perché la politica monetaria unica si trasmetta correttamente in tutta l’area, e questo rientra nei compiti della Bce. Se la Banca centrale annunciasse un limite esplicito allo spread tra i titoli sovrani dell’area, oltre il quale la Banca interviene sui mercati, le aspettative degli operatori avrebbero un’ancora e la dimensione degli interventi necessari sarebbe minore di quanto molti temono. Peraltro, la Bce ha già speso 200 miliardi in interventi che hanno avuto scarso successo, proprio perché i suoi annunci sono andati nella direzione sbagliata: interventi limitati e temporanei, senza un target preciso.
Purtroppo le dichiarazioni di Mario Draghi, dopo la riunione del board di ieri, hanno chiuso la porta a questa speranza. La rigidità della Bundesbank continua evidentemente a prevalere nelle decisioni della Bce: lo testimonia il fatto che anche la riduzione dei tassi d’interesse non è stata approvata all’unanimità. La Bce ha ampliato i suoi mezzi per evitare una crisi di liquidità del sistema bancario: finanziamenti a tre anni, allargamento delle attività utilizzabili come collaterale, riduzione del coefficiente di riserva obbligatoria. Tuttavia, così la Bce cura solo i sintomi del malessere, sostituendosi di fatto al mercato monetario anziché farlo funzionare davvero. I problemi delle banche derivano dal rischio sovrano che hanno in portafoglio, e su questo la Bce non sembra disposta a fare nulla.
Concludiamo con una nota positiva: l’abolizione della cosiddetta clausola di bail-in, ovvero la partecipazione dei creditori privati come condizione per avere l’assistenza del fondo di stabilità europeo. La clausola era fortemente destabilizzante (Baglioni, I mercati brindano, ma i problemi restano), perché creava negli investitori l’aspettativa che avrebbero dovuto subire perdite rilevanti in caso di intervento del fondo (50 per cento per la Grecia). Si creava così l’effetto di minare la fiducia degli investitori e indurli a vendere i titoli di debito dei paesi a rischio di insolvenza: esattamente l’opposto di quello desiderato.

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POCHI RISPARMI SENZA LE PROVINCE

  1. Mirco

    La Gran Bretagna è stata il cavallo di troia dell’unione. Gli inglesi dalla loro postazione della borsa di londra sono stati la causa della crisi mondiale con tutti i derivati del caso. Gli inglesi hanno sempre concepito la Ue come mercato e mai come una nuova federazione di stati inserita in un futuro comune. Giusto quindi fare un patto a 17 più chi ci sta. Ma negli accordi avrebbero dovuto decidere una nuova vera costituzione. Un governo, un parlamento nuovo, una corte di giustizia, e nel govern federale almeno il presidente , un ministro degli esteri un ministro dell’economia e un ministro della difesa. Avrebbero dovuto decidere di trasferirsi in altra citta capitale (aquisgrana o strasburgo) e da li partire. A quel punto la UE sarebbe stata composta da: inghilterra svezia cechia, ungheria, e dalla nuova federazione europea. Con un cambio fisso euro – monete nazionali per i 6 che ancora sono fuori euro e un piano di adesione all’euro al massimo di un anno per questi ultimi sei. Purtroppo Spinelli e altri si rivoltano nella tomba. La BCE avrebbe dovuto essere autorizzata a fare tutto il possibile per la difesa della moneta.

  2. Umberto Cherubini

    Carissimi,
    non sono d'accordo sul ruolo della BCE. Il suggerimento di chiudere la crisi fissando il prezzo e monetizzando tutto secondo me è un'estrema ratio, che porterebbe a uno scenario estremo. Comunque ho riportato commenti più estesi sul mio blog
    http://www.linkiesta.it/blogs/cosi-e-se-traspare-storie-finanza-e-mancanza-trasparenza/tabellini-draghi-ed-il-sostegno-ai-ti
    Un caro saluto, umberto

  3. umberto carneglia

    Puntare unicamente su misure restrittive (per quanto giustificatissime) in un contesto in recessione è un errore già sperimentato nella crisi del ’29. La Germania e la BCE, d’altro canto, hanno mille ragioni di non fidarsi e di pretendere drastiche misure strutturali di risanamento dai Paesi con un elevato debito pubblico, chiedendo ad esempio dall’Italia di eliminare i 500 miliardi l’anno di corruzione evasione ed illegalità che la destabilizzano. Però, soddisfatte queste condizioni drastiche, la BCE dovrebbe intervenire. Purtroppo il risanamento non passa sempre per la trattativa democratica, ma anche per le prove di forza, perchè dietro gli apparati democratici ci sono fortissimi interessi costituti, leciti e illeciti, come ad esempio quelli che determinano le resistenze italiane ad affondare il bisturi nella corruzione politica e non e nell’illegalità. Speriamo che da questo pasticcio si possa uscire, con un’Europa risanata anzicchè travolta dalla recessione. Io darei le due possibilità al 50% ciascuna.

  4. Piero

    Penso che dobbiamo smetterla di dare i numeri, in Italia 500 mld di evasione, il momento è difficile, le misure che devono essere prese le sanno tutti, politica monetaria espansiva per la soluzione dei debiti statali paesi euro ( monetizzare almeno il 50 % del debito), politica di bilancio per tutelare i piu’ deboli che verranno colpiti dall’inflazione e politiche nazionali per aumentare la COMPETITIVITA e ridurre l’evasione al fine di diminuire le aliquote. Non vedo vie d’uscita altrimenti dobbiamo uscire dall’euro subito, non possiamo aspettare a marzo, altrimenti i danni divengono irreparabili, perché con la restrizione del credito alle imprese ci sarà un’avvitamento che porta a degli squilibri sociali.

  5. Rino baldini

    Se dovessi decidere di alimentare “amici” corrotti e incompetenti per risanare i loro debiti, tenderei anch’io ad essere un tantino “rigido”. Si mandano a quel paese anche i propri fratelli per molto meno, figuriamoci nazioni straniere.

  6. Anonimo

    Le politiche monetarie restrittive causali di una crescente protezione negli scambi dei commerci internazionali (tramite aumento dei tassi di cambio delle valute) sono la determinazione di un aumento dei deficit di bilancio di natura pubblica e, anche, privata con il consequenziale apprezzamento dei valori mobiliari e, quindi, delle attività finanziarie come lo sono anche i debiti finanziari.

  7. Anonimo

    L’aumento dei tassi di interesse causa il maggiore afflusso di capitale nelle relazioni dei commerci internazionale, determinano un divario (vedi spreads) degli stessi tassi di cambio delle valute delle economie dei Paesi in libero scambio (vedi U.E.M.) a favore di una speculazione direttamente positivia di natura finanziaria, o detta, dei vincoli di bilancio di natura pubblica/privata tali da comportare un aprezzamento “irrazionale” dei beni di acquisto finanziari con la seguente crescita della “inflazione finanziaria”. Compito della Banca Centrale mediare le scelte di acquisto di asset finanziari come risultano le obbligazoni di Stato da parte degli investitori privati.

  8. HK

    Alla nascita dell’euro i fondatori avevano sperato facesse seguito una crescita del processo di integrazione. Purtroppo tutto il contrario è ciò che è avvenuto. L’Inghilterra e il suo alleato d’oltre oceano hanno con successo impedito ogni sviluppo. Possiamo tutti ritenere sia un grande successo del vertice essere riusciti a creare una speranza per l’Europa. L’Italia purtroppo ha bisogno prima di fare i con se stessa. PS: Grazie per la fantastica opportunità che ci date di tener vivo il cervello

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