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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, DALLA RETORICA AI FATTI

La modernizzazione della pubblica amministrazione è una questione cruciale per l’Italia, non solo perché ce lo chiede l’Unione Europea, ma perché servizi pubblici efficienti e di qualità sono un’importante risorsa per cittadini e imprese. Il miglioramento dei servizi pubblici arriverà attraverso il lavoro sul campo, la capacità di gestire le organizzazioni pubbliche e l’abilità di diffondere le innovazioni. Per farlo non servono nuove leggi. Ma si deve passare da una prospettiva autoreferenziale a una rivolta all’esterno, che parta dalle esigenze degli utenti.

Il nuovo governo è appena stato costituito. Tra i suoi molti compiti, assolutamente prioritario e non banale, rientra il miglioramento dei servizi pubblici. La modernizzazione della pubblica amministrazione è una questione cruciale, non solo perché ce lo chiede l’Unione Europea, ma anche perché servizi pubblici efficienti e di qualità possono costituire un’importante risorsa per cittadini e imprese.

CAMBIARE LA RETORICA

La partita sulla Pa sarà sicuramente difficile, non solo a causa della situazione alquanto problematica in cui versa il settore pubblico, ma anche a causa della sequenza di errori, insuccessi e riforme in buona parte mancate degli ultimi vent’anni. Inoltre, la Pa corre il rischio di finire ingessata: con il blocco del turnover per i prossimi tre anni e la necessità di ridurre la spesa, il rischio è che inefficienza e inefficacia persistenti e l’invecchiamento del personale portino al collasso un settore già in declino.
In un momento di crisi e di budget sempre più risicati, che cosa si può fare?
Uno degli errori principali del ministro uscente è stato quello di aver fondato la sua riforma sull’attacco ai dipendenti pubblici, additati come scansafatiche e buoni a nulla. In nessuna organizzazione, pubblica o privata, si sono mai visti miglioramenti sostanziali e nel lungo termine, attraverso la denigrazione della risorsa principale di cui si dispone. Speriamo che il nuovo Governo punti su innovazione, sperimentazione e valorizzazione di conoscenze (non solo sviluppate all’interno della Pa italiana).
Il miglioramento dei servizi pubblici arriverà attraverso il lavoro sul campo, la capacità di gestire (e non solo di amministrare) le organizzazioni pubbliche e l’abilità di diffondere le innovazioni. Per fare questo non servono nuove leggi. Quelle introdotte negli ultimi anni sono già tante, troppe, e hanno creato grande confusione e dispersione di risorse.

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CELEBRARE I SUCCESSI

La Pa è una galassia di organizzazioni non solo molto diverse (dai ministeri con decine di migliaia di dipendenti, ai comuni minuscoli), ma anche capaci di ottenere risultati profondamente differenti. (1) La diffusione di buone pratiche e analisi comparative, basate su gruppi (cluster) sufficientemente omogenei, potrebbero contribuire a maggiore trasparenza, riduzione delle profonde distorsioni esistenti e miglioramento dei servizi. Questo però dovrà essere un lavoro attento sul campo; molte analisi documentali sono già state fatte e sono servite a poco.
Sebbene l’erba del vicino non sia sempre la più verde, la sindrome del “non inventato qui” si sbandiera più spesso per giustificare incapacità che per riflettere effettive differenze. D’altronde, la Pa italiana è caratterizzata da bassissima efficacia e in progressivo deterioramento (figura 1) e da livelli di efficienza assolutamente inaccettabili (figura 2). (2) Inoltre, l’Italia è ultima tra i paesi Ocse per quanto riguarda la fiducia dei cittadini nel settore pubblico e la stima verso i dipendenti pubblici. (3)
Possiamo davvero continuare a difendere la nostra unicità e a bollare le pratiche gestionali sviluppate nei paesi del Nord Europa, in testa per efficacia, e nei paesi anglo-sassoni, in testa per efficienza, come irrilevanti per il nostro contesto?

Figura 1: Governance effectiveness scores (World Bank Governance indicators – Kaufmann et al., 2009, in Pollitt, C. e Bouckaert. G. (2011), p. 128)

Figura 2: Government efficiency (IMD’s competitiveness yearbook – Van de Walle, 2006, in (Pollitt, C. e Bouckaert. G. (2011), p. 141).

In molte realtà, sia a livello nazionale che locale, i margini di miglioramento sono incredibilmente ampi: l’introduzione di progetti di miglioramento continuo possono costare relativamente poco e generare benefici considerevoli anche nel breve termine, come dimostrato da successi conseguiti all’estero. (4)

PARTIRE DAGLI UTENTI

La Pa deve passare da una prospettiva autoreferenziale a una rivolta all’esterno. Capire e soddisfare priorità e necessità di cittadini e imprese si traduce in servizi più efficaci, che richiedono tempi ridotti e un numero inferiore di passaggi burocratici. Inoltre, è importante ricordare che la gran parte della domanda di servizi pubblici consiste in richieste derivate dall’incapacità di soddisfare una domanda iniziale. (5)
Partire dagli utenti rende le organizzazioni non solo più efficaci, ma anche più efficienti.
Nonostante la situazione in cui versa la Pa sia drammatica, le resistenze al cambiamento saranno fortissime: le rendite di posizione sono molte e l’insuccesso di riforme passate sarà utilizzato come scusa per ostacolare ogni cambiamento. I fatti e non la retorica, il lavoro sul territorio e non le norme, aiuteranno il nuovo governo in questa sfida.

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(1)
Si veda ad esempio: http://www.corriere.it/politica/11_novembre_15/rizzo_stella_stile-ombardo-risparmio-785-milioni_d5365b0a-0f56-11e1-a19b-d568c0d63dd6.shtml

(2) Nel commentare questi dati, gli studiosi di pubblica amministrazione Christopher Pollitt e Geert Bouckaert  commentano: “sembra che la maggior parte dei punteggi sia diminuita tra il 1996 e il 2008 – cioè che l’efficacia del governo stia peggiorando. Poi c’è l’ovvio “caso strano” – l’Italia, che ha punteggi drammaticamente più bassi di tutti gli altri paesi”. Vedi Pollitt, C. e Bouckaert. G. (2011), Public management reform: A comparative analysis – New Public Management, Governance, and the Neo-Weberian State, 3rd ed., OUP Oxford. p. 128).

(3) Vedi Pollitt, C. e Bouckaert. G. (2011).

(4) Si veda ad esempio:http://www.institute.nhs.uk/quality_and_value/rie/rapid_improvement_events_%e2%80%93_benefits.html , http://www.dwp.gov.uk/docs/delivering-more-for-less-22mar10.pdf e http://www.thetimes100.co.uk/case-study–continuous-improvement-kaizen–56-338-2.php

(5) http://www.leanuk.org/downloads/dan/eliminating_failure_demand.pdf

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23 commenti

  1. Stefania Sidoli

    Le considerazioni svolte nell’articolo sono tutte condivisibili, in particolare da parte di chi opera in una Pubblica Amministrazione che per sua natura istituzionale e per vocazione è necessariamente rivolta al pubblico. C’è però una questione che credo debba essere alla base di una modernizzazione vera e non solo fatta di parole: la conoscenza della PA medesima, del mondo che la compone, delle situazioni all’interno delle quali opera e della modalità con cui lo fa. Ho la sensazione che spesso si affrontino i problemi della PA come se la stessa fosse un’entità indistinta ed indistinguibile, nella quale i contesti sono uguali, le differenze non sono percepibili, le caratteristiche sono sovrapponibili. Così non è: e temo che se non si ha ben chiara questa differenziazione, se non si ragiona a partire dal ruolo che la governance sovlge – o dovrebbe svolgere- si continuerà a porre il problema dei lavoratori della PA e non del ruolo che essa ha e dell’importanza che lo svvgolga in modo efficiente, efficace ed economicamente compatibile ascoltando i bisogni dell’utente e dando ad essi risposte credibili.

  2. Vincesko

    La PA è semplicemente indifendibile (e chi lo fa è complice): più o meno 1/3 di assenteisti, 1/3 di fannulloni; 1/3 che lavorano, ma per chi? Tutto l’apparato pubblico, da sempre tra i peggiori in Europa Occidentale ed una vera emergenza nazionale, inclusa la normativa, è da riformare. Qui sì che ci sarebbe da tagliare, risparmiare, cambiare, migliorare. http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2576028.html

  3. Davide Muratori

    Nella Pubblica Amministrazione si incontrano e sommano tanti interessi. Interessi tutti di grande rilievo economico .Lo stato ricordiamolo, è il maggior datore di lavoro del paese, sia come numero di dipendenti sia come di impresa che ha rapporti con altre imprese. E’ all’intrerno di questi rapporti che si creano le diseconomie. Rapporti viziati da interessi particolari persequiti a danno dell’interesse generale .La corte dei conti nei suoi documenti è esplicita: “ad ogni appalto, fornitura, lavoro eseguito a carico dello stato, corrisponde nella grande maggioranza a dei casi, un atto di corruzione con danno grave per i conti pubblici. La più grande riforma e la prima da dover fare è liberare gli uffici amministrativi dalle persone rivelatesi inaffidabili per i loro comportameti ambigui nei confronti della P.A. Solo chi dimostra nei fatti di lavorare per il bene collettivo, e solo per quello, deve ricoprire le cariche amministrative dello stato.

  4. gianp2

    Sono docente in un liceo del Veneto: le citatissime ricerche PISA ci dicono che mediamente in questo tipo di scuole e in queste zone il livello di competenze dei nostri allievi supera gli standard europei. Cito un 614 ottenuto nelle competenze matematiche da uno scientifico di qui. Abbiamo occasione attraverso gli scambi culturali di confrontarci con analoghe istituzioni europee (Francia, Germania, Belgio) e statunitensi (San Diego) e di fronte al dato empirico (viviamo insieme anche all’interno dell’istituzione scolastica per un certo periodo pur relativamente breve) risulta che il livello di preparazione dei nostri studenti è pari se non superiore a quello degli altri. Risulta altresì che la quantità di risorse altrove investite (stipendi del personale, attrezzature) sono molto maggiori. Ciò tuttavia in ampie parti del paese una schiera di operatori sottopagati con risorse limitate riesce a garantire livelli alti al confronto con altri paesi. Asserisco infine che nella realtà a cui mi riferisco vi è un buon livello di soddisfazione da parte dell’utenza. In quest’ambito della P.A. purtroppo ricerche approfondite con numeri veri mancano troppo spesso. Saluti

  5. Elia Ezio

    Un’occasione unica: la PA non va lasciata in mezzo al guado di riforme incompiute e talvolta in contraddizione. Il blocco contrattuale economico-giuridico conseguente alle manovre 2010-2011 può essere trasformato, in ottica di lungo periodo, in un’occasione per costruire. Alla riapertura dal 2014 delle normali dinamiche contrattuali è grave presentarsi senza aver riordinato da capo a fondo tutto il corpus contrattuale normativo che regola la PA, anche raccogliendo esperienze e idee. Ai governi decidere la missione della PA del futuro ma bisogna imparare dai problemi degli ultimi 20 anni per costruire un contesto con risorse, anche decentrate, certe e non a rischio, ruoli chiari e norme coerenti che non richiedano ogni volta pareri e circolari per essere applicate. L’equità tra i comparti della PA va migliorata se la mobilità dovrà essere sempre più uno strumento per ottimizzare l’allocazione del personale. Chiunque si occupi di personale sa che la cosa peggiore è cambiare in continuazione le regole. Un futuro di risorse scarse e maggior produttività si affronta con un quadro durevole per inviare ai dipendenti messaggi coerenti che facciano emergere il tanto di buono che c’è.

  6. luca cigolini

    Questa la scelta operata dalla politica, non solo negli ultimi anni! Anch’io, come l’autore del precedente commento, insegno in un liceo del Nord (Lombardia) e posso confermare che anche qui risultati sopra la media europea (alti punteggi PISA) e soddisfazione dell’utenza vanno di pari passo. D’altra parte sono evidenti alcuni “insuccessi” e “inadempienze nella fornitura del servizio”, sia pur molto circoscritti, che dovrebbero essere corretti. Ma nei miei vent’anni di servizio non ho mai assistito ad alcuna riforma che premiasse in qualche modo il merito scoraggiando tali comportamenti. Molti miei colleghi (ma anche alcuni amministrativi) sono stati allontanati negli ultimi anni attenendosi esclusivamente a due criteri: ridurre la spesa, allontanare i meno garantiti, cioè più giovani! E’ senza dubbio più facile ripetere luoghi comuni usati come clave nei confronti di un’intera categoria che assumersi la responsabilità di scegliere: mi pare che in quest’arte poco invidiabile il ministro Brunetta abbia primeggiato.

  7. Dario Quintavalle

    Caro Micheli, anche definire la PA “autoreferenziale, resistente al cambiamento, sorda ai bisogni dell’utenza” è una retorica. Dirigo un ufficio pubblico che si apre sulla strada, e traggo molte soddisfazioni e incoraggiamenti da come l’utenza apprezza il nostro lavoro. Semmai, autoreferenziali sono le ‘alte sfere’, ben poco interessate al nostro compito quotidiano, e al modo di facilitarlo. Io in dieci anni ho servito sotto sei ministri della Giustizia, e non ne ho conosciuto uno. Autoreferenziale è una Casta che ha fomentato i disprezzo verso i pubblici dipendenti per stornare da sé le sue colpe. Autoreferenziale è stato un ministro vanesio, che ha speso il suo mandato per farsi pubblicità senza il minimo senso del ridicolo (no, il suo non è stato un “errore”, ma una scelta deliberata). E la stessa CIVIT, di cui lei ha fatto parte, non m’è sembrata molto interessata a prendere contatto con la nostra realtà. Strani questi medici che non toccano mai il paziente, e non ci parlano…

  8. giuseppe pasquale

    Condivido appieno l’analisi e in particolare la inutilità di norme, leggi e regolamenti. Tutto si gioca sulla capacità di inventarsi, diversamente da contesto a contesto, i giusti obiettivi (target) da mettere sulle spalle del dirigente, responsabile di unità operativa. Non serve scriversi addosso con regole che generano ostilità e innescano meccanismi automatici di difesa (da esse), esaurendo in tal modo la spinta propulsiva di qualunque essere umano. Il segreto, pertanto, è di creare un sistema nel quale il dirigente “sa” che deve procurare determinati risultati. Un esempio positivo è quello dell’agenzia delle entrate che negli ultimi 10 anni è stata protagonista di una rivoluzione copernicana, sul piano dell’efficenza ed economicità, grazie ad un obiettivo (cosiddetto obiettivo monetario) misurabile in termini oggettive e senza il filtro di una mediazione valutativa di tipo discrezionale. Vedi anche http://www.crusoe.it/merito-opportunita/perche-il-privato-funzionass/955/ http://www.crusoe.it/merito-opportunita/cosa-hanno-in-comune-fannulloni-e-furbi-evasori-ss/946/

  9. Fabio Palladino

    Faccio una proposta molto concreta. Stato, Provincia, Regione, Comune, Inps, Inail, Asl, Agenzia delle Entrate, Camera di Commercio… Nessuno può chiedere al cittadino o a un’impresa un di produrre un qualsiasi documento le cui informazioni sono già presenti in un archivio di un’altro ente della PA. Un provvedimento del genere, sarebbe a costo zero per la PA, farebbe immediatamente risparmiare tempo al cittadino, obbligherebbe i dipendenti della PA a lavorare in modo più efficiente e a richiedere innovazioni tecnologiche per il collegamento delle banche dati. Grazie

  10. ANGELO RICCIARDI

    Sono da 31 anni nalla P.A. e quasi nulla è cambiato (in particolare nalla gestione del personale), mi sorge il dubbio che forse faccia comodo a qualcuno! I dirigenti sono una vera casta (ben pagata) al servizio del potere e non della “gestione” del lavoro! Ogni amministrazione ha una gestione “personale” dei lavoratori, con enormi discrepanze nel trattamento economico e con ridicoli investimenti nella riqualificazione! La realtà è ben diversa di tante teorie e notizie giornalistiche.

  11. luca

    Sono un architetto e come tale riporto una piccola parte della mia esperienza con la PA; innanzi tutti gli enti locali sono troppi!!! non possiamo avere a fronte di una legge regionale, centinaia di comuni che la declinano a modo proprio, ognuno differente dall’altro, sia come procedure che come modulistica o “interpretazione”. A tale proposito l’ordine degli ingegneri della provincia di Bologna lo scorso hanno ha pubblicato diverse pagine sul corriere della sera, cronaca locale, reclamando proprio questo, una omologazione delle procedure e di quanto sopra descritto. Al massimo si assiste a consorzi di comuni, costretti per risparmiare sulle spese, che lavorano in questo modo, ma non oltre. I costi di questa mancanza di standardizzazione ricadono sui professionisti e sui cittadini, e sono migliaria di ore sprecate senza aggiungere alcun valore a ciò che viene fatto. Si riporti questa situazione a livello di sistema e la si estenda a tutti gli altri ambiti in cui accadono simili “disfunzioni” è si ha l’idea di come i danni afflitti a questo paese dalla Pa siano dunque immensi.

  12. Cosimo Benini

    Occorrerrebbe un nuovo modello contrattuale, in primo luogo, che superi tanto la rilegificazione di parti consistenti del rapporto di pubblico impiego, quanto i megacontratti del modello introdotto nel 1993, puntando ad innovazioni pragmatiche come un nuovo ordinamento professionale, che superi il sistema delle carriere orizzontali a favore di carriere specialistiche e verticali: tecnico-informatiche, giuridiche, tecnico-amministrative, con declinazioni contestualizzate alle specificità delle singole amministrazioni, premessa coerente delle altre assi di riforma del modello di lavoro pubblico. Sarebbe necessaria poi la puntuale classificazione evolutiva delle abilità professionali, per formazione ed esperienza, di tutti i dipendenti dell’Amministrazione Centrale, da mettere a base di un nuovo sistema di progressioni che dovrà riconoscere il merito e l’ìmpegno dei migliori, senza pregiudicare, chi offre il suo contributo in via di ordinaria, normale e assidua applicazione quotidiana. La banca dati così realizzata dovrebbe essere gestita ed utilizzata da uno Strumento Finanziario Nazionale di Formazione e Riqualificazione Professionale dei dipendenti pubblici che potrebbe affidarsi, in termini operativi, a preesistenti enti bilaterali finanziati con i fondi strutturali comunitari, ove possibile, con fondi a compartecipazione delle amministrazioni, ove necessario, coinvolgendo gli Enti erogatori di competenze già in essere (SSPA, SSEF, Formez) come parte pubblica di servizio. La creazione di un Sistema Nazionale di Audit Pubblico, con l’obiettivo preciso di definire una serie di indicatori chiave di prestazione e poi un parametro di riferimento per la valutazione delle Amministrazioni come elementi produttivi di PIL pubblico, è un passo decisivo per superare sia il sistema controlli esterni della Corte dei Conti, ed il meccanismo delle valutazioni interne individuali che consegna le risorse incentivanti destinate al lavoratore pubblico, alla decisione di un singolo, ad una decisione cioè del tutto soggettiva. Il Sistema di Audit dovrebbe articolarsi in una rete capillare di servizi di audit interno in ogni amministrazione e in un’agenzia nazionale. La rivisitazione dei fondi incentivanti, tramite realizzo di effettivi risparmi di spesa, potrebbe essere realizzata tramite un processo reinternalizzazione delle funzioni effettive, giustificato dall’acquisizione di nuove professionalità (o dalla riacquisizione di vecchie professionalità in veste aggiornata) e la ricreazione di rami dì attività, da sottrarre alle società controllate, miste o totalmente pubbliche. Ciò determinerà certamente un saldo positivo per il quadro di finanza pubblica che può, in parte, essere destinato ad incrementare i trattamenti accessori. Certo ne deriverà un saldo politico elettorale negativo, ma, al punto in cui siamo, ci sono dei prezzi da pagare che, seppur apparentemente esosi per certa politica, risultano certamente vantaggiosi rispetto ai costi di una scelta di conservazione, che verrebbero pagati innanzitutto dalla coesione sociale e dalle prospettive di sviluppo del Paese.

  13. SAVINO

    Di sicuro la P.A. non può continuare ad essere un ammortizzatore sociale, ma, nell’interesse del cittadino-utente, ci deve lavorare al suo interno gente ipercompetente. Una volta i posti pubblici si regalavano, senza concorso nè titoli. Oggi ci sono vincitori di concorso precari e vincitori di concorso mai assunti, tutta gente laureata e specializzata. Il problema si risolve solo mandando a casa un’intera generazione di dipendenti pubblici dalla vecchia mentalità, assai tutelati e viziati, e sostituendoli con dei giovani capaci di restituire professionalità alla pubblica funzione. In prospettiva di ciò sono giusti già provvedimenti come la mobilità e i contratti di solidarietà. Ci vuole poi ulteriore flessibilità all’uscita, compresa la libertà di licenziare chi non merita e non apprezza quel lavoro alle dipendenze della p.a.

  14. Barbara M.

    Lasciando il suo incarico, il prof. Micheli se la prendeva col prevalere dei giuristi. Oggi viene nominato Ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi, magistrato al Consiglio di Stato, gran collezionista di incarichi (not to forget il doppio stipendio di Catricalà, vedi Report). Ecco, magari un giorno sarebbe il caso di far luce sulle meravogliose carriere di queste eminenze grigie che sono i magistrati, in teoria arbitri imparziali tra Stato e cittadino, ma alla fine sempre pronti ad acquattarsi nell’ombra calda del potere (vedi gli 84 Magistrati al Ministero della Giustizia).

  15. Pietro Micheli

    Vorrei ringraziare chi ha inviato i commenti a questo post e rispondere brevemente ad alcuni punti sollevati. La pubblica amministrazione è, come avevo appunto scritto, una galassia di organizzazioni molto diverse sia per tipologia che per capacità e risultati ottenuti. Perciò, dire che la PA sia disastrosa sarebbe inaccurato, come sarebbe inaccurato dire che funziona bene. Il mio punto del mio post era che, in media, la PA italiana fa peggio della maggior parte dei paesi Ocse sia in termini di efficienza che di efficacia. Ovviamente si parla di medie nazionali. Nel caso dell’istruzione, come hanno giustamente notato gianp2 e luca cigolini, ci sono dei casi di eccellenza. In totale, però, l’Italia non è messa molto bene. E poi, siamo soddisfatti di range di risultati così ampi per cui, per esempio, secondo i reading test 2009 Lombardia e Val D’Aosta sono al livello di Canada e Nuova Zelanda, mentre la Calabria se la gioca con Cile e Serbia? Per quanto riguarda il mio giudizio sulla PA, caro Dario, non credo che questa sia in generale “autoreferenziale, resistente al cambiamento, sorda ai bisogni dell’utenza”. Credo che però non primeggi in nessuno di questi aspetti e che ci sia tantissimo lavoro da fare. Sempre utilizzando una prospettiva comparata, l’Italia non e’ per nulla capace di attrarre investimenti dall’estero, perché aprire un’attività richiede tempi e costi assolutamente non in linea con quanto offrono altri paesi OCSE, il nostro sistema giudiziario è di una lentezza incredibile, etc. Riguardo al commento sulla Civit “being out of touch”, durante il mio anno a Roma ho passato 110 giorni a girare per l’Italia a lavorare con persone a “contatto con la realta’”. Quando mi sono dimesso, anche perché vedevo che la Civit non poteva e non voleva avere un impatto proprio su quelle realtà, i miei colleghi mi hanno tacciato di aver passato troppo tempo fuori ufficio… Infine, mandare a casa gli anziani (commento di Savino) potrebbe essere una buona idea, ma resterebbero pochissime persone!

  16. Pietro Micheli

    Per quanto riguarda il mio giudizio sulla PA, caro Dario, non credo che questa sia in generale “autoreferenziale, resistente al cambiamento, sorda ai bisogni dell’utenza”. Credo che però non primeggi in nessuno di questi aspetti e che ci sia tantissimo lavoro da fare. Sempre utilizzando una prospettiva comparata, l’Italia non è per nulla capace di attrarre investimenti dall’estero (http://www.pietroichino.it/?p=15523), perchè aprire un’attività richiede tempi e costi assolutamente non in linea con quanto offrono altri paesi OCSE (http://www.corriere.it/economia/11_novembre_21/rapporto-doing-business-world-bank_e7fe5594-1456-11e1-ab68-9c5b3cac959b.shtml), il nostro sistema giudiziario è di una lentezza incredibile, etc. Riguardo al commento sulla Civit “being out of touch”, durante il mio anno a Roma ho passato 110 giorni a girare per l’Italia a lavorare con persone a “contatto con la realtà”. Quando mi sono dimesso, anche percheè vedevo che la Civit non poteva e non voleva avere un impatto proprio su quelle realtà, i miei colleghi mi hanno tacciato di aver passato troppo tempo fuori ufficio…

  17. Pietro Micheli

    Infine, mandare a casa gli anziani (commento di Savino) potrebbe essere una buona idea, ma resterebbero pochissime persone! (http://www.oecd-ilibrary.org/governance/government-at-a-glance-2009_9789264075061-en)

  18. Dario Quintavalle

    Sono perfettamente consapevole che l’Italia ha nel suo settore pubblico un freno notevole alla crescita. Ma quando si parla di “burocrazia” si mettono indebitamente insieme due cose: 1) la PA come organizzazione, il cui compito è di implementare politiche pubbliche; 2) la normazione che incorpora queste politiche. Lo strumento lascia magari a desiderare, ma la colpa è nel manico, cioè in chi adotta determinate politiche e crea costi aggiuntivi, non solo per i cittadini e per le imprese, ma per le medesime PA. Eppure sentiamo ministri che tuonano contro la “burocrazia” come se questa, in entrambe le accezioni, non dipendesse da loro. Oggi che una intera classe politica alza bandiera bianca di fronte ai problemi del paese è il caso di riconoscere che tutto questo tempo passato a immaginare vessazioni per i travet, dalle visite fiscali ai tornelli, è stato tempo sprecato. Il pesce puzzava dalla testa, ma tutti guardavano alla coda.

  19. Ing. Giovanni Rossi

    L’ efficienza della PA si coniuga con le parole competenza e meritocrazia; il primo atto significativo che questo stato dovrebbe promuovere è quello di formare dirigenti capaci, come avviene in Francia attraverso l’ alta scuola di formazione per la pubblica amministrazione e l’ adozione delle migliori pratiche esistenti a livello internazionale,questo ,unitamente al coinvolgimento dei dipendenti con incentivi premiali sia dal punto di vista economico che in termini di carriera e il licenziamento per i più lavativi , stimolerebbe la produttività di tutto il sistema

  20. Daniela Gerla

    Quando sono entrata nella PA tramite concorso pubblico, dopo 8 anni di lavoro nel privato in una multinazionale, ho subito notato la profonda differenza fra i due mondi: nella PA l’obiettivo è il tornaconto di qualcuno e la salvaguardia dei posti di lavoro, nel privato il profitto attraverso la vendita di un bene o servizio richiesto dal mercato. salvaguardia dei posti di lavoro significa una burocrazia kafkiana con iter e procedure inutili solo per giustificare il lavoro di una gran parte di persone. Il lavoro istituzionale, quello che giustifica l’esistenza stessa dell’ente assorbe a malapena il 40% delle risorse, la maggior parte degli stipendi se ne va per mantenere in vita l’apparato amministrativo. Il sindacato gioca un ruolo fondamentale, perché lavorando per gli iscritti fa in modo che nulla cambi e azzoppa qualsiasi riforma che premi il merito. A farne le spese sono spesso i giovani funzionari laureati che hanno superato concorsi impegnativi che vengono “usati” per lavorare veramente ma il cui numero è talmente basso che non hanno voce per pretendere almeno il riconoscimento del lavoro che fanno; è il sistema che trasforma una persona valida in un vegetale della PA.

  21. Remotti Renzo

    Sono contento che si sia dimostrato un lieve cambiamento nei confronti dei dipendenti pubblici. E’ pur vero che l’articolo non prende in esame il vero problema della pubblica amministrazione, ovvero le profonde iniquità organizzative causate da indebite interferenze politiche sulle carriere dei funzionari. il d.lgs. n. 150/2009 smi ha introdotto una metodologia di valutazione, che addirittura faciliterà questo malcostume. Mi limito al cd comportamento organizzativo. Come si può immaginare di valutare un funzionario laureato, che non riesce ad accedere alla dirigenza per mancanza di opportunità e di equità nei concorsi pubblici, sulla base del grado di docilità caratteriale nei confronti della gerarchia? Io non sono un professore universitario né un ricercatore, ma solo un burocrate. Pertanto non conto nulla. Eppure se si iniziasse ad ascoltare un po’ di più i burocrati forse le cose potranno cambiare.

  22. Cristina Bortoletto

    Molti di noi sono attivi e propositivi all’interno della P.A. e disposti al cambiamento. Tanti lavorano con passione e dedizione, troppo pochi forse per creare una reale svolta, ma contiamo di farcela. Poco alla volta.

  23. Arturo Impellizzeri

    Sono assolutamente d’accordo sul fatto che la priorità di qualunque governo sia quello di ammodernare la PA. Se è vero che, visto i blocchi, c’è il problema del turnover il problema più grave a me sembra che sia quello della assoluta inefficienza del settore pubblico. Come ci può essere turnover serio se prima non si riporta a maggiore efficienza il settore pubblico? Non credo che sia possibile. Da circa 20 anni lavoro come consulente in vari comparti del settore pubblico e misuro quasi sempre, con grande fatica vista la scarsa disponibilità all’innovazione presente nella PA, la produttività organizzativa del lavoro. Il risultato? Grande inefficienza accoppiata, tante volte, a grande assenteismo. I tornelli? Una cretinata del precedente ministro : se è vero che si riduce l’assenteismo, fattore etico, è soprattutto vero che si abbassa ancora di più l’efficienza. Ma il dramma è che l’inefficienza a lungo andare si porta dietro l’inefficacia (se tu non fai niente, a parità di salario, perchè io dovrei fare di più?) Il risultato ? I tempi si allungano, le risorse che dovrebbero essere investite (es. dalla concessione edilizia richiesta) non vengono più investiti. Saluti.

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