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STABILIZZARE IL DEBITO TRA TAGLI E TASSE

L’Italia sta fronteggiando una seria crisi di fiducia dei mercati, causata dai timori che le riforme per far ripartire la crescita continuino ad essere rinviate e che l’economia alla fine soccomba sotto il peso del debito pubblico accumulato. È necessario un aggiustamento di bilancio. Che andrebbe perseguito prima tagliando le spese e poi, solo se necessario, aumentando poi l’imposizione fiscale, esattamente l’opposto di quanto appena approvato in Parlamento. Il nuovo Governo ha un’opportunità unica per segnare un punto di svolta.

Il debito pubblico rappresenta uno dei principali vincoli allo sviluppo del paese. Il rapporto tra debito e prodotto interno lordo (Pil) ha raggiunto il 120 per cento, vanificando i risultati ottenuti nello scorso decennio, quando era diminuito fino al 104 per cento. Studi recenti mettono in luce come il tasso di crescita dell’economia rallenta sensibilmente quando il debito pubblico aumenta, specie se eccede la soglia critica del 90 per cento del Pil (Reinhart e Rogoff 2010; Eberhardt e Presbitero 2011). La causa principale di queste crisi di crescita è che l’elevato debito scoraggia gli investimenti per effetto delle aspettative di un futuro aumento della tassazione, necessario per rimborsarlo. Evidenza a sostegno di questa teoria – il cosiddetto debt overhang – è fornita dalla Figura 1, che mostra una forte correlazione negativa tra debito e investimenti in Italia nel corso dell’ultimo ventennio.

QUANDO SI ALLARGA LO SPREAD

Specialmente in periodi di tensione sui mercati finanziari internazionali, come quella attuale, il paese è particolarmente vulnerabile rispetto all’andamento dei tassi di interesse. La perdita di fiducia innescate, in parte, anche da timori circa la sostenibilità futura del debito pubblico e, nel caso dell’Italia, dalle modeste prospettive di crescita, determinano un ampliamento dello spread rispetto ai titoli di stato tedeschi. L’incremento nel costo del debito per il 2011, stimato in circa 1,238 miliardi di euro a seguito di un aumento di questo spread di 150 punti base, potrebbe rendere vani gli sforzi compiuti per registrare avanzi primari tra i più alti in Europa negli anni recenti. Ciò imporrebbe un costo significativo per le finanze pubbliche del paese, limitando la possibilità di attuare politiche anticicliche e rischiando di generare un “effetto valanga” che metterebbe a repentaglio la sostenibilità del debito.

QUELLA LETTERA DI AGOSTO

Esiste quindi un consenso ampio sulla necessità di ridurre il debito pubblico, o per lo meno di stabilizzarne il rapporto con il Pil nel breve periodo. Appaiono tuttavia più ambigue le strategie attraverso cui raggiungere questo obiettivo. Il precedente Governo per mesi è sembrato esitare tra soluzioni diverse e a volte contraddittorie: aumento dell’Iva, patrimoniale, introduzione del contributo di solidarietà, condoni, aumento dell’età pensionabile, riduzione dei costi della politica, privatizzazioni, ecc. A discapito dei buoni intenti riflessi nel pacchetto iniziale di riforme per la crescita e lo sviluppo, alla fine il governo Berlusconi ha approvato un aggiustamento fiscale focalizzato principalmente sull’aumento delle tasse. Ma nella lettera di Draghi e Trichet dello scorso agosto si legge che “Il Governo ha l’esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche (… e che) l’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011 (… ottenibile) principalmente attraverso tagli di spesa“. Il nuovo Governo tecnico ha un’opportunità unica per far ripartire la crescita attraverso l’approvazione della lunga serie di riforme strutturali di cui il paese necessita, con la possibilità di ridurre significativamente l’entità della manovra fiscale complessiva.

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DIVERSE STRATEGIE

La maggiore preoccupazione dei mercati è che il consolidamento fiscale possa avere effetti negativi sulla crescita. D’altro canto, teoricamente, non tutte le strategie hanno gli stessi risultati ed una restrizione fiscale non ha necessariamente effetti recessivi; al contrario, in particolari condizioni potrebbe avere effetti espansivi (Giavazzi e Pagano 1990). Per esempio, recenti stime del moltiplicatore fiscale mostrano che questo è significativamente minore di uno ed è negativo nelle economie fortemente indebitate, come quella italiana, generando forti dubbi sull’efficacia degli stimoli fiscali e suggerendo che i consolidamenti fiscali siano meno “costosi” in termini di riduzione del prodotto. Un consolidamento fiscale potrebbe addirittura produrre effetti espansivi nel caso in cui la manovra riuscisse a modificare le aspettative del settore privato, eliminando le previsioni di futuri aggiustamenti e stimolando così la fiducia e la domanda aggregata. In particolare, recenti analisi dei passati episodi di consolidamento fiscale nei paesi Ocse mostrano come gli aggiustamenti incentrati sul taglio delle spese siano stati più efficaci di quelli basati su un aumento delle entrate nel ridurre il deficit e il rapporto debito-Pil.

ANALISI DI SOSTENIBILITÀ

La tradizionale analisi di sostenibilità permette di calcolare il livello di avanzo primario che stabilizza la dinamica del debito. (1) Perché il rapporto debito-Pil non esploda, è sufficiente che l’economia cresca ad un tasso maggiore del tasso di interesse reale, condizione che in Italia si è raramente verificata negli ultimi venti anni (Figura 2). Ne consegue che, nel caso italiano, per stabilizzare il rapporto debito-Pil è necessario, sulla base dei dati riferiti al 2010, un avanzo primario pari al 3,09 per cento  -un dato che implica un aggiustamento fiscale pari al 3,56 per cento del Pil. L’approccio tradizionale alla sostenibilità del debito tuttavia fornisce solo  un’indicazione circa la dimensione totale dell’aggiustamento fiscale, ma non è in grado di orientare i policy makers in termini di composizione della manovra. Né tantomeno tiene conto del fatto che una diversa composizione tra spesa ed entrate della manovra di aggiustamento può risultare in sforzi fiscali complessivi diversi. In altri termini, l’approccio tradizionale non considera i possibili effetti che la politica fiscale, attraverso una variazione dei tassi di interesse e del tasso di crescita economica, può avere sull’economia e sulla sostenibilità del debito, che rappresentano la preoccupazione principale dei mercati in questo momento.

SCELTE DI POLITICA ECONOMICA

Se si considera un approccio all’analisi di sotenibilità del debito opportunamente modificato per tenere in considerazione questi effetti (Andrian, Kozlowski e Rebucci 2011), si ottengono risultati significativamente diversi e più utili per guidare le scelte di politica economica. In particolare, è possibile mostrare che la composizione della manovra può determinare una riduzione della differenza tra il tasso di interesse reale e il tasso di crescita economica, e quindi ridurre la dimensione dell’aggiustamento totale necessario a stabilizzare il debito. Per esempio, la calibrazione di questo modello sui dati italiani mostra che la stabilizzazione del rapporto debito-Pil è ottenibile attraverso un aumento dell’imposizione fiscale di 3,2 punti percentuali di Pil, oppure attraverso una contrazione della spesa pubblica del 2,9 per cento del Pil, con una differenza tra le due alternative di quasi mezzo punto percentuale del Pil. Differenze maggiori si possono ottenere con assunzioni meno conservative sui parametri chiave del modello.
Se ottenuto principalmente attraverso una riduzione della spesa piuttosto che un aumento della tassazione, il consolidamento non solo può richiedere uno sforzo fiscale minore, ma può anche generare effetti espansivi maggiori su consumi ed investimenti. In particolare, la calibrazione del modello mostra che l’aggiustamento attuato interamente dal lato di una maggiore tassazione si associa a una contrazione degli investimenti del 3,9 per cento e ad un aumento dei consumi dell’1,4 per cento. In confronto, un aggiustamento attraverso la riduzione delle spese determina un incremento degli investimenti pari al 6,5 per cento e una crescita dei consumi del 5,6 per cento.

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PRIMO, TAGLIARE LA SPESA IMPRODUTTIVA

Ne consegue che le scelte su come raggiungere un certo livello di debito non sono prive di conseguenze. In pratica, il consolidamento fiscale andrebbe perseguito dapprima tagliando le spese improduttive e, se necessario, aumentando poi l’imposizione fiscale per completare l’aggiustamento. Aumentare direttamente l’imposizione fiscale, già a livelli estremamente elevati rispetto agli standard internazionali, rischia di richiedere uno sforzo fiscale maggior perché può avere maggiori effetti recessivi rispetto a una riduzione delle spese. Il settore privato vedrebbe ulteriormente ridotti gli incentivi all’investimento, in parte vanificando il potenziale effetto positivo del consolidamento fiscale sulle aspettative.
Una riduzione delle spese, specie se concentrata nelle aree meno produttive, ispirata a principi di efficienza e di meritocrazia e mirata a salvaguardare gli investimenti pubblici in istruzione, ricerca e sviluppo potrebbe rafforzare l’effetto positivo sulle aspettative. Per questo motivo, l’aggiustamento fiscale deve essere accompagnato da un riordino della spesa, volto a favorire politiche che stimolino la crescita. Il segnale di un cambio di rotta potrebbe aumentare la fiducia dei mercati e stimolare la domanda aggregata, contribuendo alla sostenibilità futura del debito.

Figura 1: Debito pubblico e investimenti

Fonte: elaborazioni su dati World Economic Outlook (IMF 2011).
Figura 2: Crescita economica e tasso di interesse reale

Fonte: elaborazioni su dati World Economic Outlook (IMF 2011).

(1) L’approccio standard alla sostenibilità del debito richiede che sia soddisfatta la seguente identità: ps = (r-g)/(1+g)d, dove ps è il rapporto tra l’avanzo primario e il PIL, d è lo stock di debito pubblico in rapporto al PIL, r il tasso di interesse reale e g il tasso di crescita dell’economia.

Riferimenti

Andrian, Leandro, Julian Kozlowski e Alessandro Rebucci. 2011. Debt Sustainability With (or Without) Growth, mimeo, Inter-American Development Bank.
Daveri Francesco. 2011. L’aritmetica dello spread e del debito a valanga, lavoce.info, 3 Agosto.
Eberhardt, Markus e Andrea F. Presbitero. 2011. The Long-Run Effect of Public Debt on Growth, mimeo, University of Nottingham e Università Politecnica delle Marche.
Giavazzi, Francesco e Marco Pagano. 1990. Can Severe Fiscal Contractions be Expansionary? Tales of Two Small European Countries, NBER Macroeconomics Annual, 5:75-111.
Reinhart, Carmen M. e Kenneth S. Rogoff. 2010. Growth in a Time of Debt, American Economic Review, 100(2): 573–78.

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LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA BUNDESBANK

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PATRIOTTICI SÌ, MA CON GIUDIZIO

  1. Andrea B

    Complimenti, questo è il genere di articoli per cui ho finanziato (anche se solo con 50 euro dato che sono uno studente) in parte questo sito.

  2. Pirro

    Queste sono misure per il futuro per competere in un mondo globalizzato, che dopo l’apertura alla Cina è diventato più competitivo. Per il passato queste misure sono inefficaci, i debiti dell’area euro pari al 90% circa del PIL europeo, sono visti dai mercati finanziari debiti a rischio non rimborsabili. Prima o poi ci sarà la ristrutturazione, il mercato valuta questo debito più rischioso del debito inglese o giapponese o americano a prescindere dal rating dato dalle agenzie. Il motivo è a tutti noto: in Europa non vi è una banca centrale che svolga la funzione di prestatore di ultima istanza agli stati.

  3. umberto

    L’articolo focalizza molto bene gli effetti perversi della sconsiderata crescita di un debito già elevato in partenza (2008 inizio del governo Berlusconi). Inoltre pone il dito sulla piaga: la spesa eccessiva ed in parte improduttiva. A quest’ultimo proposito vorrei ricordare che una recente analisi economica stima in 500 milardi l’anno il costo della corruzione, dell’illegalità e dell’evasione fiscale in Italia. Una vera miniera d’oro cui attingere per abbattere il debito, liberando il Paese dall’esosa tassa che esso paga alla corruzione politica e non ed all’illegalità.

  4. Ivo

    Finalmente una proposta che ha un senso politico ed economico riconoscibile. Come si può sperare anche solo di stabilizzare il debito se si comprime la crescita eil potere d’acquisto degli italiani con nuove tasse? Sono un piccolo commerciante e credo di poter capire bene le difficoltà di chi vede diminuire la propria capacita di spesa (se non intaccando i risparmi), ma aumentare le spese. Sono un sostenito convinto del welfare state e di uno Stato capace di indirizzare investimenti in scuola e formazione, ma credo anche che in Italia esistano ampi margini per ridurre la spesa pubblica improduttiva (due esempi: stop ai trasferimenti a fondo perduto al meridione, ma credito d’imposta, standard riconosciuti nel rapporto tra servizi e personale, costi standard nelle prestazioni) senza toccare le tasse già molto elevate.

  5. Piero

    A livello economico i mercati non guardano solo il debito pubblico, ma il debito totale detratto il risparmio totale, l’Italia sul punto è più virtuosa della Germania, quindi il problema della solvibilità non è nel livello del debito ma sulla modalità del debito, ossia il debito in euro per i paesi area euro è come se fosse in valuta estera, pertanto i mercati stanno speculando su tale aspetto, sanno che i singoli stati non possono stampare moneta, quindi attaccano in massa e lucrano grosse plusvalenze. Ma già tutti gli economisti, gli addetti alle istituzioni finanziarie dicono: intervento massiccio Bce, svalutazione del cambio per la competitivà dell’Europa con il resto del mondo, vincoli di pareggio dei bilanci nei paesi euro, politiche nazionali per l’arretramento dello stato dall’economia. Ricordiamoci che all’inizio dell’euro il cambio con il dollaro era 0,90 oggi 1,35, ciò perchè in questi 10 anni la Fed ha fatto una politica monetaria espansiva, mentre la Bce non ha fatto nulla, in presenza di un debito superiore all’America, le cause della crisi sono queste.

  6. cosimo benini

    A me pare che, pur con dati e grafici, l’articolo versi piuttosto sul generico. Innanzitutto va detto che la pressione fiscale in Italia è un dato teorico: l’evasione genera un’imposta occulta a carico del lavoro dipendente per il quale la pressione fiscale tende a coincidere con quella sostanziale. Vago è altresì il concetto di spesa improduttiva: in Italia esiste soprattutto spesa tossica, non sempre per corruzione, spesso per incuria e superficialità. Sono i meccanismi che presiedono all’esercizio ed al monitoraggio della spesa pubblica che vanno rivisti: ad esempio non è pensabile che ogni ASL abbia il suo ufficio gare ed il suo prezziario anche per costose apparecchiature. Occorre ricentralizzare una funzione di controllo preventivo e validazione delle spese nei settori che maggiormente impegnano il bilancio dello Stato e, soprattutto, occorre spogliarsi di rigidità ideologiche che limitano la razionalità delle scelte.

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