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SVALUTAZIONE FISCALE PER DAR FIATO ALL’ITALIA

La priorità per l’Italia dovrebbe essere il recupero di competitività esterna per svincolarsi dalla necessità di finanziarsi all’estero. E per convincere i mercati che, alla lunga, il paese riuscirà a restare nell’euro perché ha allineato i costi a quelli della concorrenza internazionale. Si può fare attraverso una svalutazione fiscale, con un aumento dell’Iva abbinato a una riduzione della tassazione del lavoro. Rendendo così più competitive le imprese esportatrici. In Germania un provvedimento simile ha dato ottimi risultati.

La situazione critica sui mercati finanziari richiede misure che possano avere un effetto immediato e che diano un segnale forte all’estero. Il governo Monti si concentra naturalmente sull’aggiustamento fiscale e la lista delle riforme richieste dall’Unione Europea. Un governo può ridurre il suo deficit e decidere (e poi attuare) riforme strutturali. Ma che cosa può fare un governo per rendere il paese più competitivo? Ed è questo il vero problema dell’Italia.

IL TALLONE D’ACHILLE

L’Italia dipende dai mercati internazionali perché metà del debito pubblico è detenuta da investitori esteri e perché ha un deficit corrente con l’estero. È questo il tallone d’Achille del paese che, nel suo complesso, ha un debito estero molto contenuto: se l’Italia avesse un surplus corrente esterno, il risparmio degli italiani sarebbe sufficiente per finanziare il disavanzo pubblico e il paese non dipenderebbe tanto dai mercati internazionali. Abbattere i costi per far crescere le esportazioni dovrebbe essere pertanto un traguardo chiave della politica, non solo per favorire la crescita, quando lo Stato deve spendere di meno.
L’importanza dei conti con l’estero si vede dall’esempio del Belgio: ha un debito pubblico simile a quello italiano, ma paga un premio di rischio molto più contenuto, nonostante non abbia ancora un governo a distanza di un anno e mezzo dalle elezioni, proprio perché i conti con l’estero sono in surplus. La priorità per l’Italia dovrebbe pertanto essere il recupero di competitività esterna per svincolarsi dalla necessità di finanziarsi all’estero e per convincere i mercati che, alla lunga, il paese riuscirà a restare nell’euro perché ha allineato i costi a quelli della concorrenza internazionale. Come fare?

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L’ESEMPIO DELLA GERMANIA

In genere i costi di lavoro sono determinati dalle parti sociali che dovranno dare prova di grande senso di responsabilità. Ma anche le autorità fiscali possono fare qualche cosa. L’ideale in questa situazione sarebbe una “svalutazione fiscale”, cioè un aumento dell’Iva abbinato a una riduzione della tassazione del lavoro. L’Iva colpisce soltanto i consumi, non le esportazioni. Per le imprese esportatrici, l’aumento dell’Iva non rappresenta pertanto nessun costo addizionale. Ma la riduzione del costo del lavoro, per esempio attraverso una riduzione dei contributi sociali, alleggerisce i costi. Per le imprese che possono esportare la combinazione di un’Iva più alta con una riduzione dei contributi sociali avrebbe pertanto lo stesso effetto di una svalutazione: rende le esportazioni italiane più competitive.
La Germania ha adottato una misura simile quando, qualche anno fa, si è ritrovata con un deficit strutturale. Sembra incredibile oggi, ma la Germania aveva all’epoca un grosso problema fiscale. I fatti sono chiari: tra il 2001 e il 2005 il deficit fiscale tedesco è stato per ben cinque anni al di sopra della soglia del 3 per cento del Pil, e in media era più alto di quello italiano. La Germania è riuscita a eliminare il deficit soltanto grazie a un aumento dell’aliquota Iva di tre punti.
Nel caso dell’Italia, l’eliminazione delle esenzioni/riduzioni sarebbe forse ancora più importante di un aumento dell’aliquota, che dovrebbe comunque essere dello stesso ordine di grandezza.
In Germania, parte dell’aumento dell’Iva è stato compensato con una riduzione degli oneri sul lavoro. Questa misura non era strettamente necessaria visto che la Germania a quel punto aveva già un surplus corrente, ma ha contribuito senz’altro all’aumento dell’occupazione, iniziato soltanto allora, dopo molti anni di altissima disoccupazione.
Nell’Italia di oggi non ci si dovrebbe attendere miracoli da una misura simile. Una svalutazione fiscale potrebbe incidere soltanto per qualche punto percentuale sui costi delle imprese esportatrici, mentre il costo del lavoro è aumentato dal 2001 del 20 per cento, mentre in Germania meno del 5 per cento. La strada da percorrere per recuperare pienamente la competitività perduta è ancora lunga. Ma un primo passo significativo dovrebbe aiutare a ridurre la tensione sui mercati finanziari.

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29 commenti

  1. luigi

    Bene l’alleggerimento sul lato del lavoro. Ciò che mi preoccupa è che a differenza della Germania, noi non abbiamo un welfare all’altezza, per cui a soffrirne sarebbero i beneficiari di redditi mediobassi e bassi. Quindi bisognerà riformare il nostro welfare? Prendere dai redditi alti ad i medi e dare agli altri alla Robin Hood…?

  2. Tommaso Pieragnoli

    Teoricamente sarebbe bellissimo, ma come la mettiamo con i consumi interni e l’aumento dell’inflazione?

  3. alias

    Credo che un aumento sull’IVA sia controproducente; se il “deficit corrente” dell’Italia è quello di parte corrente della bilancia dei pagamenti (in conto merci e servizi; presumo, riconducibile soprattutto ai secondi, e non alle prime), non si vede come da un rincaro IVA ne possano giovare i nostri esportatori (se esportiamo fuori UE, non fatturiamo forse al netto IVA?). Sul mercato interno, oltretutto, i consumatori (quelli che in realtà già rimettono gran parte dei propri risparmi all’estero) comprerebbero ancor meno! Non è neanche detto infine che un rincaro dell’IVA possa innescare politiche commerciali più selettive e aggressive verso l’estero, o indurre i produttori a sostituire e/o produrre di più, posto che non siamo certo sulla frontiera delle possbilità di produzione, anzi, siamo molto sotto al Pil potenziale. Chiamare “svalutazione fiscale” infine questo mix è illusorio, perchè non abbiamo a disposizione nè gli strumenti monetari (la chimera della svalutazione) nè tantomeno, alla luce di questa crisi, quelli fiscali…

  4. rita

    Vorrei chiederle se sbaglio pensando che una parte dei benefici di questo scambio sono teorici, perchè in realtà le imprese esportatrici usano anche beni di produzione nazionale e quindi gravata dall’aliquota IVA più elevata. Poi penso che per un’analisi compiuta non dovremmo solo dare i dati sull’aumento del costo del lavoro, ma dovremmo ragionare sulle responsabilità delle singole componenti di quel costo. Grazie

  5. giovanni la torre

    L’ho sentita dire diverse volte, ma non mi ha ancora convinto questa tesi che un aumento dell’Iva agevoli le esportazioni. Le esportazioni intracomunitarie scontano l’Iva del paese importatore, allora – le nostre esportazioni pagheranno la stessa iva di oggi anche se in Italia dovesse aumentare; – le importazioni è vero che pagherebbero un’Iva aumentata, ma sarebbe la stessa che pagherebbero le imprese domestiche, le quali non avrebbero alcun vantaggio competitivo. Inoltre, non vorrei che si dimenticasse che le imposte sui consumi sono “regressive” e la riduzione dell’Irpef sui redditi bassi mi sembrerebbe una presa in giro, una sorta di gioco delle tre carte. La riduzione dell’Irpef si deve fare senza l’aumento dell’Iva, allora sì che rilancerebbe la domanda, anche perchè l’Iva italiana è già la più alta d’Europa

  6. andreaG

    Sono un povero aziendalista ormai in pensione. Concordo sul passaggio, per quanto possibile, da un’imposizione diretta ad una indiretta. Credo di aver ben capito le argomentazioni del sig. Gros e le condivido. Non capisco, sempre da povero aziendalista, quale sia la relazione tra esportazioni e possibilità, per il risparmio interno, di finanziare più facilmente. Non è polemica ma ignoranza. Grazie per una spiegazione. AndreaG

  7. andreaG

    Sono un povero aziendalista ormai in pensione. Concordo sul passaggio, per quanto possibile, da un’imposizione diretta ad una indiretta. Credo di aver ben capito le argomentazioni del sig. Gros e le condivido Non capisco, sempre da povero aziendalista, quale sia la relazione tra esportazioni e possibilità, per il risparmio interno, di finanziare più facilmente il disavanzo pubblico Non è polemica ma ignoranza. Grazie per una spiegazione.

  8. Marcello Battini

    Non sono un fautore dell’aumento dell’IVA, anche se reputo interessante lo scambio: +IVA -Costo Lavoro, perché questo potrebbe accentuare una ulteriore caduta dei consumi interni, con effetti deleteri per l’occupazione interna. C’è, però, una soluzione, da me caldeggiata, che potrebbe evitare gli effetti collaterali della proposta Gros: quello d’elevare, anche in misura cospicua, l’IVA sui beni lusso e sull’acquisto di immobili (escludendo la prima casa). Essa non avrebbe, me ne rendo conto, la stessa potenza quantitativa della proposta Gros, ma potrebbe avere degli effetti collaterali, quanto meno virtuosi, che potrebbero amplificare i risultati positive diretti.

  9. ony

    Purchè l’aumento dell’IVA escluda tutte le merceologie di generi di prima necessità, altrimenti sarebbe un addebitare i costi ai meno abbienti, abbastanza ignobile (no, la riduzione dulla tassazione del lavoro non compensa, per ovvii motivi )

  10. AG

    Sono perfettamente d’accordo. Si potrebbe migliorare applicando contemporaneamente una riduzione non solo del carico fiscale sul costo lavore delle imprese, ma anche sul carico fiscale sul reddito dei lavoratori a basso reddito, per esempio con un forte aumento della detrazione per “lavoro dipendente”, eliminando così l’impatto negativo sui redditi modesti dell’aumento dei prezzi.

  11. luigi collareda

    Tutte cose che magari sarebbero buone, ma il povero(e fesso) cittadino intanto vedrà aumentare il costo di tutto, o quasi, quello che compra per vivere.

  12. Giannandrea Dagnino

    Se è vero che uno dei principi ispiratori delle misure da adottare dev’essere quello dell’equità, non si vede come un aumento dell’Iva generalizzato possa corrispondere a questo criterio. Diverso sarebbe il caso di un forte innalzamento dell’Iva (30%) sui beni di lusso, anche se ciò porterebbe ad introiti meno ampi e più incerti (ad esempio perché i falcoltosi potrebbero acquistare certi beni all’estero). Inoltre un aumento Iva generalizzato potrebbe avere un effetto recessivo, comprimendo ulteriormente certi consumi. Siamo proprio sicuri che la svalutazione fiscale da voi invocata non possa essere realizzata con altri provvedimenti? Ad esempio con tracciabilità dei pagamenti superiori ai 50 euro, abolizione di privilegi e sprechi, privatizzazioni (Poste & Co.), vendita o messa a reddito del patrimonio immobiliare dello Stato, reintroduzione dell’Ici nella versione Prodi, patrimoniale di solidarietà su grandi fortune, contributo di solidarietà su grandi e sulle baby pensioni?

  13. AlessioB

    Anche io non capisco bene come l’aumento dell’Iva possa incrementare l’export. Se per le imprese esportatrici l’Iva non rappresenta un costo perchè le esportazioni non sono soggette a tale imposta, un aumento dell’Iva non rappresenterebbe certo un costo addizionale, ma nemmeno costituirebbe un incentivo alle esportazioni. Se per l’export, l’Iva è una variabile ininfluente, ogni azione su quest’ultima non dovrebbe ripercuotersi sull’export. Casomai vi sarebbe una incidenza sulle importazioni che invece sono soggette a Iva, le quali sarebbero disincentivate e cio potrebbe migliorare la bilancia commerciale. Ma al tempo stesso l’aumento dell’Iva potrebbe penalizzare i consumi interni: siamo disposti a sacrificare la domanda dei residenti per un miglioramento della bilnacia commerciale? Ne vale la pena o è a somma zero?

  14. Fulvio Krizman

    Non voglio qui fare considerazioni che lascio agli esperti,ma comunicare solo alcuni dati per stimolare le suddette considerazioni. Un punto IVA vale dai 4,9 miliardi ai 6 miliardi di euro secondo i campi di applicazione. Rispetto al 2007(pre-crisi),a parità di consumi si è perso un potere di acquisto di 570 euro. Nel 2010 il Pil era composto per il 59,9% dai consumi delle famiglie,per il 41,8% per la spesa pubblica(investimenti ecc.) e per l’1,8% negativo(saldo esportazioni importazioni) in domanda estera. L’ultimo aumento dell’IVA costa mediamente a famiglia 400 euro l’anno. C’è la possibilità di ridurre la pressione fiscale specialmente sul lavoro dipendente ed equivalente tanto da recuperare potere d’acquisto e rilanciare la domanda interna? Fulvio Krizman

  15. Franco A.Grassini

    Con tutto il rispetto per il Prof. Gros, temo non valuti a sufficienza che il problema dell’insufficienza delle esportazioni italiane non dipende tanto dal costo del lavoro, quanto dalla struttura della nostra industria caratterizzata da imprese le cui dimensioni mal si adattano, con poche eccezioni, alla presenza su mercati lontani. Inoltre aumenti dell’IVA rischiano di rappresentare un ulteriore incentivo all’economia sommersa.

  16. manuel84

    A voler essere pignoli, un’imposta che tocca i consumi fa diminuire il potere d’acquisto delle famiglie; comunque è ovvio che da qualche parte dobbiamo pure cominciare. Non voglio qui criticare questa proposta che potrebbe dare un tocco di di competitività in più, ma vorrei ricordare ai più che esportiamo sempre di meno perchè le nostre imprese non innovano (tranne rare e piccole eccezioni che ovviamente non fanno sistema) e soprattutto non innova la grande industria. Le nostre tanto bisfrattate università sfornano ottimi laureati in fisica, chimica, biologia ecc. e finiscono a far la fortuna di altri Paesi. Senza innovazione è e sarà impossibile sostenere salari europei.

  17. ferdinando lombardo

    E’ vero però che il gettito derivante dall’aumento dell’iva sul fronte interno dovrebbe essere garantito da una politica di lotta all’evasione efficace. Purtroppo in Italia vi è il grave malcostume di farsi la proria politica fiscale, sempre secondo quel famoso assunto della “legge naturale” che stabilisce una soglia oltre la quale la tassazione è iniqua, come diceva S.B.. Non vorrei che poi i cittadini si difendessero da sè da tale aumento

  18. mb

    Credo di aver capito che gli esportatori abituali recupererebbero il maggior credito IVA e si gioverebbero di un minor costo del lavoro per esportare a prezzi inferiori. Mi sembra una buona strada da seguire.

  19. Roberto A

    Ho la sensazione che diversi commentatori non abbiano capito il perchè aumentare l’IVA aiuterebbe le imprese esportatrici. Non è l’aumento dell’IVA a comportare un aiuto,ma il fatto che il maggior gettito venga utilizzato per ridurre il costo del lavoro e quindi, anche il costo del lavoro per le imprese esportatrici, il che le aiuterebbe ad essere più competitive sul prezzo. Però il problema è capire se basti questa riduzione e relativo beneficio in termini di costi e magari di abbassamento di prezzo, per migliorare la compettitività delle nostre imprese oppure se i loro problemi siano essenzialmente altri quali, ad esempio, le ridotte dimensioni, i pochi investimenti in ricerca e quindi l’innovazione, i settori o i prodotti su cui puntano ecc ecc…

  20. Armando

    Spero sia una manovra ben studiata, perché se le esportazioni non aumentano, ci troveremo semplicemente in una situazione molto critica. C’è da tenere in conto che molte persone (soprattutto al sud) vivono svolgendo lavori in nero. Poi una domanda: la riduzione del costo del lavoro agevola le aziende o i lavoratori (dipendenti, liberi professionisti, privati)?

  21. Rinaldo Sorgenti

    Interessante la riflessione qui sopra. Ora, come sappiamo, l’IVA NON è un costo per le imprese (che compensano IVA a debito con quella a credito), mentre lo è per i consumatori! Chiaro che se si aumenta l’IVA si grava sul singolo cittadino (incidendo quindi sui consumi, con una ripercussione sull’economia interna), mentre se si usa una parte di questo maggiore gettito fiscale per abbassare il costo del lavoro, si aiutano le imprese a competere. Poi il cittadino ne potrebbe ricavare un beneficio con un mercato del lavoro più dinamico e competitivo. I sindacati aiuteranno a farlo comprendere alla gente?

  22. Tino Piccinali

    Analisi interessante e provvedimenti condivisibili, ma il mio chiodo fisso è che il popolo italiano possa sopportare di tutto e di più, le misure economiche possano essere diverse, ma la strada per instaurare qualsiasi nuova norma passa attraverso un ordine delle azioni non derogabile:
    1) riduzione del numero dei parlamentari dalla prossima legislatura 1 ogni 200 mila cittadini
    2) riduzione immediata dell’indennità a livello di stipendio base di un dirigente pubblico
    3) abolizione immediata del vitalizio parlamentare, anche per chi già lo incassa
    4) abolizione immediata delle scorte personali per tutti, ad esclusione del ministro dell’interno e dei giudici impegnati in processi di mafia
    5) abolizione immediata del diritto all’auto blu per diverse centinaia di aventi diritto
    6) abolizione dei parlamenti regionali (basta il governatore con 6 assessori al massimo) e relativi costi/privilegi
    7) applicazione immediata della indennità media UE ai parlamentari europei italiani 8) tutte le rimanenti misure economiche, fiscali, politiche necessarie non è questione di numeri ma di scala di valori e di esempio a partire dal vertice della piramide. grazie

  23. Piero

    Lo spostamento della tassazione dai redditi ai consumi non rende più competitiva l’Italia, ma serve a spostare i consumi dall’interno all’esterno, si consuma meno e si paga il debito pubblico, un aumento del 5% (ove sia possibile) non paga nemmeno l’aumento attuale del tasso del debito (100 miliardi). La crisi attuale, ricordo, non è la crisi dell’Italia ma la crisi della moneta unica. L’Italia potrebbe continuare ad avere un debito del 120% del PIL se avesse una banca centrale con funzione di prestatore di ultima istanza (non vi sarebbe speculazione come in Giappone e in Inghilterra e le manovre sarebbero apprezzate dal mercato). Usciamo subito dall’euro se la Bce non annuncia la monetizzazione del debito di almeno il 50% dei debiti pubblici area euro in un decennio.

  24. rosario nicoletti

    Anche se capisco poco di economia, l’idea di aumentare l’IVA per ridurre le tasse sul lavoro mi sembra ottima. Una domanda: la prima mossa del governo è stata quella di differire parte dell’anticipo della tassazione di Novembre, credo con lo scopo di lasciare più soldi alle famiglie per Natale. Mi pare – e vorrei che qualcuno mi illuminasse – che il provvedimento del governo vada nella direzione opposta (favorire i consumi interni). Mi sbaglio?

  25. Augusto A.

    Alzare l’IVA, raffreddando ulteriormente i consumi interni, per diminuire di qualche punto percentuale i prezzi di chi esporta? Mi sembra più dannoso che utile, e poco lungimirante. Dannoso per l’effetto depressivo sui consumi, oltre che iniquo. Poco lungimirante perché pensare che l’Italia debba competere sul prezzo con gli altri paesi non è una prospettiva realistica. Vogliamo competere con la Cina o con l’India, sul prezzo? O dobbiamo indirizzarci verso segmenti di alta qualità e ad elevatissimo contenuto tecnologico, dove il prezzo non è così importante?

  26. Marco Dore

    La proposta è chiara, credibile e interessante ma pone o, meglio, trascura questioni di equità e costituzionali che andrebbero contestualmente curate. Le imposte indirette non possono costituire strumenti di prelievo commisurato alla capacità contributiva. Di più: l’IVA è di fatto una imposta sui consumi e come tale incide maggiormente sui rediti più bassi, che in maggior misura sono destinati al consumo. Pertanto qualsiasi azione che incrementi la tassazione sui consumi dovrebbe essere accompagnata da misure “compensative”che incrementino la progressività delle imposte sui redditi.

  27. Piero

    La svalutazione monetaria rende più competitiva l’Italia all’esportazioni, ma l’aumento dell’iva, riduce sì i consumi italiani, ma non è detto che aumentino le esportazioni se non vi è la svalutazione della moneta. In conclusione una politica monetaria espansiva (che può fare solo la Bce) fa svalutare l’euro con il vantaggio di aumentare la competitivà con l’estero, manovre di bilancio servono per ridistribuire internamente la ricchezza per tutelare i piu’ deboli. Un aumento dell’iva è un aumento dei prezzi dei beni al consumo, quindi inflazione, va bene in una politica redistributiva insiemead una modifica delle dirette con diminuzione per i redditi più bassi.

  28. Marcello Romagnoli

    Diverse sono le ricette per uscire dalla crisi ma in tutte poca o nessuna enfasi viene data alla lotta all’evasione fiscale e il recupero rapido di ciò che è stato evaso negli anni. Si dice che “la lotta all’evasione è lunga e ora abbiamo bisogno di soldi subito”, ma non si può fare comunque qualcosa? Ecco una proposta pratica
    1) Il Parlamento emani una legge che consente di fare dei condoni fiscali solo con votazione a maggioranza qualificata del 90%.
    2) ridurre il limite massimo per i pagamenti in contanti a 500 euro in modo da favorire la tracciabilità dei flussi.
    3) emissione unica di BOT FISCALI, ovvero speciali BOT decennali acquistabili anonimamente e che permettono, se scoperti dall’Agenzia delle Entrate, di pagare senza sanzioni. Per l’eventuale eccedenza l’evasore pagherebbe per intero le sanzioni. I BOT FISCALI potrebbero essere acquistati o venduti, ma dovrebbero essere già in possesso dell’evasore quando scoperto dal fisco. In questo modo, col combinato della lotta all’evasione e l’emissione dei BOT otrebbero entrare in pochi mesi centinaia di miliardi utili a far diminuire il debito ed ad avere una idea della reale evasione fiscale.

  29. Carlo Erminero

    Giustissimo. Il problema è proprio quello di rendere più competitiva l’Italia sui mercati internazionali. Tassare di più i consumi interni aumentando l’iva (anche 2-3 punti in più) e ridurre il costo del lavoro è una mossa giusta. Ma non basterà. Occorrerebbe (a) coniugarla con strumenti efficaci per aiutare le imprese italiane sui mercati di tutto il mondo (un ICE che funzioni davvero) e una “scuola di branding” per le filiere di eccellenza del made in Italy; (b) aiutare l’offerta di servizi sul mercato italiano, per rendere più efficiente il sistema distributivo (così Monti sta facendo, mi pare, con benzinai e farmacie; ancor più dovrà fare) e per un’offerta turistica che abbia più successo: Non è vero che con il turismo si debba guadagnare poco, il nostro problema è che non sappiamo gestire in modo intelligente, salvo poche eccezioni di “distretto”, un sistema di offerta efficace. Perchè non abbiamo esempi di Starbuck, McDonald, grandi catene alberghiere, autonoleggio, ticket restaurant, compagnie aeree low cost, italiane e di successo?

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