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NON PER CASSA MA PER EQUITÀ

Tra i provvedimenti più urgenti che possono arrestare la drammatica crisi di credibilità del paese, c’è ai primi posti una definitiva riforma delle pensioni. Che deve superare i trattamenti d’anzianità, essere equa e semplificare la giungla di regole introdotte negli ultimi anni. Occorre estendere le regole del sistema contributivo a tutti i lavoratori. Per uniformare le regole di pensionamento fra categorie, sessi e generazioni diverse, salvaguardando i diritti acquisiti per chi va in pensione a partire dai 65 anni di età. Sulla base di esempi concreti vediamo come si possono raggiungere questi obiettivi.

I mercati e la troika che ormai monitora le politiche economiche nel nostro paese -Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale- ci chiedono una riforma delle pensioni. Può essere un’opportunità per fare un’operazione che non solo porti a ridurre il peso della spesa previdenziale sulla spesa corrente primaria (salito fino al 40 per cento dopo la Grande recessione), ma anche e soprattutto a superare le palesi iniquità del sistema attuale, a incoraggiare una maggiore partecipazione al lavoro fra gli ultra-cinquantacinquenni e a semplificare la giungla di trattamenti, di regimi diversi che si è venuta a creare con i tanti micro-aggiustamenti apportati al sistema negli ultimi 15 anni.
Prima di illustrare le nostre proposte, è bene richiamare brevemente le iniquità del sistema attuale.

LE PENSIONI DEI GIOVANI

Diversi quotidiani nei giorni scorsi hanno dibattuto sulle pensioni future dei giovani ponendo l’accento sui “tassi di rimpiazzo” (rapporto tra prima pensione e ultimo salario). Peccato che questi calcoli si basino su (i) ipotesi irrealistiche per quanto riguarda la crescita del Pil potenziale, (ii) non tengano conto degli effetti delle frequenti interruzioni di carriera sulle prestazioni pensionistiche nell’ambito del regime contributivo, e (iii) non mostrino mai i livelli assoluti delle prestazioni limitandosi a mostrare il rapporto tra pensione e ultima retribuzione.
La tabella 1  mostra che per un giovane che ha cominciato a lavorare a 23 anni dopo il 1996 (e quindi è soggetto interamente al sistema “contributivo” nel quale è rilevante il valore totale dei contributi effettivamente versati), se pure i tassi di rimpiazzo fossero intorno al 70 per cento – la pensione potrebbe non eccedere  i 1.000 euro al mese.  Se andasse in pensione a 64 anni avrebbe appena 900 euro!!  Per un lavoratore giovane non possiamo considerare a normativa vigente una uscita a 61 anni , ma è chiaro che si avrebbe una pensione che non raggiungerebbe neanche gli 800 euro al mese con tassi di rimpiazzo inferiori al 60 per cento.
C’è quindi un problema di equità intergenerazionale che deve essere affrontato nel rimettere mano al nostro sistema pensionistico.

LA NOSTRA PROPOSTA

Come già da tempo proposto su questo sito, è fondamentale armonizzare tutti i trattamenti ai principi del sistema introdotto nel 1995, vita lavorativa secondo principi di equità attuariale e garantendo flessibilità alle scelte di pensionamento, permettendo a chi decide di ritardare l’andata in pensione di ottenere quiescenze più alte. È un modo per rispondere a esigenze diverse e a diverse lunghezze auspicate (o imposte dal mercato del lavoro) della vita lavorativa, sia per gli uomini che per le donne, sia per i dipendenti pubblici che per i privati. In questo modo si può tener conto del fatto che i tempi del lavoro e del non-lavoro sono diversi non solo tra uomini e donne, ma anche tra le persone dello stesso sesso, cioè tra le donne e gli uomini che hanno fatto scelte diverse in quanto a responsabilità famigliari, carriere lavorative, redditi per la vecchiaia e durata del loro impegno professionale. Questo valorizza il lavoro e permette di ridurre la spesa pensionistica al tempo stesso.
Il regime contributivo, inoltre, scoraggia il lavoro irregolare in quanto fa dipendere l’ammontare delle pensioni future dai contributi versati fin da quando si è iniziato a lavorare. È un fatto importante per un paese come il nostro, con un’economia informale molto estesa.

COME PASSARE A REGOLE UGUALI PER TUTTI

La riforma che andrebbe attuata subito consiste nell’estendere le regole del sistema contributivo a tutti i lavoratori. È un modo di uniformare le regole di pensionamento fra categorie, sessi e generazioni diverse. Il tutto salvaguardando i diritti acquisiti per chi va in pensione a partire dai 65 anni di età.
Questo significa essenzialmente due cose.
Primo, per i lavoratori che secondo la normativa attuale potrebbero solo accedere alle pensioni di vecchiaia, a partire da 65 anni, la riforma implica che l’importo della pensione, da qui in poi verrà calcolato in base a correttivi del tutto analoghi a quelli introdotti dalla riforma del 1995 (sulla base dell’ultima revisione dei coefficienti di trasformazione, aggiornati periodicamente in base alle disposizioni previste dal 2007). Questo cambiamento incide sui lavoratori attualmente soggetti interamente al sistema retributivo- quei lavoratori che nel 1995 avevano più di 18 anni di contributi versati – oppure alla quota “retributiva” dei lavoratori soggetti al sistema misto.
Il secondo effetto di questa riforma è cambiare per tutti le regole sull’età di pensionamento in modo da rimuovere le asimmetrie di trattamento fra uomini e donne, dipendenti pubblici e privati. Chi, con le regole attuali, avrebbe potuto andare in pensione prima dei 65 anni di età in particolare con la regola delle “quote”, potrà ancora farlo dopo aver raggiunto almeno 62 anni, ma con pensioni più basse se andrà in pensione prima di aver raggiunto 65 anni o più alte se andrà in pensione più tardi, fino a 70 anni. Le riduzioni (o incrementi) verranno calcolate sulla base dei coefficienti di trasformazione e dei loro aggiornamenti. Allo stato attuale si tratta di circa un 4 per cento in meno (in più) per ogni anno di anticipo (posticipo) rispetto al raggiungimento dei 65 anni di età. Questo significa che anche i lavoratori con 40 anni di anzianità contributiva, pur dovendo attendere fino ad almeno 62 anni per andare in pensione, verranno in parte compensati per questo prolungamento forzoso della loro vita lavorativa dall’aumento della loro pensione. Con le regole attuali, invece, ogni anno in più di lavoro non avrebbe loro fruttato alcun incremento nelle quiescenze future.
In questo senso la nostra riforma considera tutto l’arco della vita poiché ricevono rate più elevate di pensione coloro che ne godranno per un numero inferiore di anni e viceversa.
Dato che la crisi ha fortemente intaccato i patrimoni di molti e l’unico modo di ricostruirli è lavorare di più, molti lavoratori potrebbero vedere di buon grado uno scenario in cui vanno in pensione più tardi ma con una pensione più pesante di prima, anche a parità di stipendio.
La forbice 62-70 anni si ottiene tenendo conto dell’allungamento della vita rispetto al 1995, quando è stato introdotto il sistema contributivo nel nostro ordinamento, e del prolungamento indotto dal sistema delle finestre oggi in vigore. Questa gamma di età poi si sposterebbe gradualmente verso l’alto in base agli aggiornamenti delle tavole di mortalità dell’Istat, come del resto già previsto dal nostro ordinamento. Questa sarebbe la riforma definitiva del nostro sistema previdenziale nel senso che chiuderebbe la transizione al sistema contributivo, che è sostenibile nel lungo periodo, senza richiedere alcun’altra modifica.

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UNA RIFORMA PER AUMENTARE IL LAVORO

Si ritiene spesso che i lavoratori italiani vogliano andare in pensione il prima possibile, ma non è così. Il 50 per cento di loro non va in pensione appena maturati i diritti e questa percentuale è destinata a salire quando ai lavoratori venissero offerti incrementi nelle quiescenze future per ogni anno di lavoro in più. Inoltre, completando il processo di riforma verrebbe meno un altro potente stimolo ad andare in pensione prima possibile: quello di evitare di rimanere intrappolati nell’ennesima arbitraria riforma delle pensioni.
Non si dica che questa riforma renderebbe più difficile il riassorbimento della disoccupazione giovanile. Al contrario, come mostra l’esperienza internazionale, gli ultra-sessantenni hanno un ruolo cruciale nel facilitare l’ingresso produttivo dei giovani nel mondo del lavoro. Del resto basta guardare a casa nostra per rendersi conto che abbiamo due primati poco invidiabili: quello della quota più alta di giovani che non lavorano e non studiano al tempo stesso e quello di chi ha vite lavorative più brevi. Lavorando più a lungo possiamo ridurre la pressione fiscale che grava sui giovani e aumentare assunzioni e rendimento dell’istruzione fra chi ha meno di 24 anni.

I TRATTAMENTI PENSIONISTICI CON QUESTA RIFORMA: ALCUNI ESEMPI

Dei molti casi che si potrebbero presentare, ne abbiamo scelti due esemplificativi: del Signor Rossi, che inizia a lavorare a 23 anni nel 1974 e del Signor Bianchi, che inizia sempre a 23 anni ma nel 1996. A questi due casi applichiamo la normativa vigente e mostriamo gli effetti della nostra proposta solo nel primo caso (Rossi) per rendere evidente il principio dell’equità.
Tutti gli esempi considerano il medesimo profilo salariale lungo l’arco della vita, basato sui dati di un individuo “medio”,  che inizia con 840 euro mensili e raggiunge circa 1700 euro dopo 35 anni di carriera fino a 1770 euro dopo 40 anni di carriera. Il profilo non è “lineare” ma è tipicamente con una fase di crescita e una successiva stabilizzazione dopo i 40 anni fino a raggiungere un picco tipicamente intorno ai 50 anni (come si osserva nella realtà).
Il medesimo profilo viene traslato nel tempo a seconda della data di nascita utilizzando valori monetari tutti in termini reali. In questo modo si pongono i due lavoratori “sullo stesso piano” pur appartenendo loro a generazioni diverse.
Per ciascun caso è interessante considerare diversi risultati:

  1. la prima rata di pensione, che rappresenta il risultato più diretto del calcolo pensionistico
  2. il tasso di rimpiazzo (il rapporto tra prima pensione e ultimo salario)
  3. la “ricchezza pensionistica lorda” cioè il valore scontato all’età di pensionamento dell’intero flusso di pagamenti che il pensionato riceverà fino ad una sopravvivenza “media” che abbiamo ipotizzato a 84 anni. La ricchezza pensionistica non è solo una misura di “valore della pensione” per il lavoratore, ma anche di “debito” del sistema previdenziale nei confronti del lavoratore stesso.
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IL SIGNOR ROSSI

Il Signor Rossi ha cominciato a lavorare nel 1974 a 23 anni, è quindi in un regime completamente  “retributivo” (ma si applicano comunque due quote di calcolo della pensione una pre-1993 e una post-1993). Con le regole attuali Rossi può andare in pensione di anzianità a 62 anni (avendo fatto domanda a 61 anni a quota 97 con 38 anni di contributi) e potrà percepire una prima pensione di  1.342 euro con un tasso di rimpiazzo del 76 per cento circa (1). Se invece Rossi aspetta fino ai 65 anni avrà una rata di pensione (riscossa a 66 anni) più alta e anche un tasso di rimpiazzo leggermente più elevato, ma interessante notare che la sua ricchezza pensionistica lorda diminuisce perché la pensione è goduta per un numero di anni inferiore.
La nostra proposta applica dei correttivi attuariali alle rate di pensione che sono il più possibile aderenti ai coefficienti di trasformazione della Legge del 1995[1]. Se il lavoratore va in pensione a 65 anni (cioè ottiene la pensione a 66) non ci sono correttivi e riceve lo stesso trattamento della normativa vigente, per ogni anno di anticipo rispetto ai 65 anni si riduce la rata di pensione, mentre dopo i 65 anni la rata di pensione aumenta.  In media il correttivo è del 4 per cento  annuo, con una riduzione massima del 16 per cento totale a 62 anni (avendo fatto domanda a 61 anni). Da notare che per le regole di uscita sono state mantenute le regole vigenti.
Il primo risultato è che ovviamente la pensione a 62 anni si riduce (1.149 euro contro 1.342 euro) e anche il tasso di rimpiazzo. Il dato interessante è che la ricchezza pensionistica a 62 anni è molto più vicina al valore che si avrebbe a 65 anni e questo riflette l’equità attuariale della proposta. Interessante anche notare che a 69 anni il lavoratore riceverebbe una pensione più alta di quanto non otterrebbe con le regole retributive grazie all’incentivo attuariale, mantenendo così “invariata” la sua ricchezza pensionistica che invece crolla per un lavoratore che posticipi il lavoro nel regime retributivo.

IL SIGNOR BIANCHI

Bianchi ha cominciato anche lui a lavorare a  23 anni ma dopo il 1996 (è quindi un “contributivo” puro che andrà in pensione sulla base del valore dei contributi effettivamente versati e secondo la normativa vigente) (2), inoltre Bianchi in questo caso ha una carriera piena. Un primo fatto è che Bianchi non potrà andare in pensione prima dei 64 anni (avendo fatto domanda a 63 anni). Inoltre, se da un lato è vero che il tasso di rimpiazzo di questo giovane lavoratore a 66 anni non sarà drammaticamente più basso di quello di Rossi (71 per cento contro 79 per cento) è da notare che il livello della sua pensione a 66 anni è ben inferiore al livello di pensione di Rossi a 62 anni, per non parlare della ricchezza pensionistica. Se poi la sua carriera è intermittente – con alcuni anni di “buco” – Bianchi non potrà godere della pensione in ogni caso prima dei 65 anni e il livello della pensione (ricevuto a 66)  sarà appena sui 1.000 euro. Non presentiamo il caso in cui Bianchi andasse in pensione a 64 anni (riscuontendo a 65 anni) con appena 900 euro !!!

(1)   In realtà raggiunge i requisiti anche a 60 anni a quota 96, ottenendo la pensione a 61 anni, ma per il nostro esempio è meglio considerare tutto spostato di un anno in avanti.
(2)  
Le penalizzazioni (incentivi) sono ulteriormente corrette per tenere conto che la promessa dell’1,5 per cento implicita nella Legge del 1995 non è sostenibile.

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70 commenti

  1. Gilberto Allesina

    Vorrei conoscere il vostro parere sulla gestione separata, questo mostro che sta soffocando tutti quei liberi professionisti come me, traduttore tecnico, che in dieci anni si sono visti raddoppiare il percentuale di contributo, da 13% nel 2000 a più di 26% nel 2011. La sensazione che ho è che siamo stati scelti come la gallina da spennare per fare cassa a uno stato incompetente. I percentuali sono asfissianti e, in più, sei costretto ad anticipare i contributi se salti certi livelli di fatturato, ossia, vieni penalizzato se sei bravo (o fortunato) e produci di più… Per finire, il rapporto contribuzione/pensione è tutto da vedere. Come vengono trattati questi soldi che versiamo all’INPS, quanto fruttano e soprattutto, quanto avremo in tasca nel momento della pensione?

  2. pieffe

    Sono pienamente d’accordo con l’unificazione del metodo di calcolo delle pensioni. Per quanto riguarda l’accesso, mi sembra giusto però tutelare lavori particolari. In aggiunta, andrebbe realizzata la completa fusione degli enti previdenziali, al momento avvenuta in modo solo parziale con la manovra di settembre.

  3. lucori

    Il confronto non tiene conto di due elementi: 1) il tasso di rimpiazzo del sistema retributivo dipende fortemente dal reddito, infatti scende velocemente all’aumentare del reddito. Un reddito lordo pari al doppio di quello ipotizzato comporterebbe per il Sig. Bianchi, salvo errori, un tasso di rimpiazzo attorno al 62% mentre quello del Sig. Rossi resterebbe invariato. 2) il sistema contributivo si accompagna alla Previdenza Integrativa i cui costi sono in parte in carico alla collettività per effetto degli sgravi fiscali. Di fatto nella migliore delle ipotesi il Sig. Bianchi ne avrebbe potuto usufruire solo per metà della sua vita lavorativa.

  4. PAOLO ROSA

    Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle corte UE i diritti quesiti non sono di ostacolo a riforme strutturali dirette a salvaguardare la solidarietà intergenerazionale laddove sia tutelata la pensione minima. Avv. Paolo Rosa.

  5. MC

    L’Italia è un paese che cresce poco, per cui le pensioni saranno sempre basse! Non si risolve il problema andando in pensione a 70 anni. Sempre che ci si arrivi. Molto meglio avere un’indicizzazione “base” della pensione sulla base di un meccanismo di rivalutazione tipo il TFR (1.50%+75% dell’inflazione) qualora il Pil non raggiunga livelli adeguati di rivalutazione pari alla media dell’area euro (> del 2.25%). Ricordiamoci che il vero Welfare in Italia è costituito dalla famiglia, che funge da vero ammortizzatore sociale, ma con le pensioni ipotizzate anche con la Vs proposta, verrà distrutto anche questo “pilastro”. Molto meglio, allora che lo Stato non chieda i contributi ai lavoratori ed ognuno dalla propria busta paga decida come costruirsi la pensione. Grazie.

  6. Vincesko

    Vorrei osservare che: a) il sistema pensionistico italiano, dopo le 7 più o meno importanti riforme varate dal 1992 [1], è in attivo [2] ed in equilibrio fino al 2050 [3]; b) per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia è in linea addirittura col “benchmark” europeo [5], poiché è già ora a 66 anni (per effetto dell’eufemistica “finestra” di 12 mesi), dal 2013 a 66 anni e 3 mesi, per effetto dell’adeguamento all’aspettativa di vita; per crescere fino a 67 nel 2021 ed oltre 68 nel 2032 [6]; c) è vero, invece, che non sono state riformate ulteriormente le pensioni di anzianità anticipate (età + anzianità di lavoro), disallineate rispetto alla media Ocse [7]; ma quelle ordinarie sono già a 41 anni e saliranno anch’esse gradualmente in base all’aspettativa di vita; d) come ha scritto Carlo D’Ippoliti su Lavoce.info, v. “L’austerità vista da sinistra”, il problema del sistema previdenziale non è soltanto l’età pensionabile di anzianità o non è soltanto il “tasso di sostituzione”, ma anche l’assenza di un limite agli importi pensionistici [8]. [continua nel ‘post’ allegato]. http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2695770.html

  7. FERDINANDO PICCINI

    Sicuramente valide le vs considerazioni e studi. Tuttavia, anche per quanto riguarda le pensioni di anzianità, non viene mai evidenziata la verità, cioè che sono gli imprenditori che, appena possono, si liberano dei “costosi” 55/60enni scaricando il costo della ristrutturazione sulla collettività attraverso appunto le pensioni di anzianità (vedi G.U del 19,9,1997, dove si INCENTIVAVA L’ESODO delle donne di 50 anni e gli uomini di 55 anni, concedendo un beneficio fiscale sulla somma corrisposta per lasciare il lavoro). Questa “politica industriale” (introdotta in Italia dal 1965) di pensionamento anticipato è stata ed è utilizzata per favorire l’uscita dalla forza lavoro di ingenti masse di lavoratori anziani che, vicini all’età di pensionamento, non avevano ancora raggiunto i requisiti per ottenere la pensione, giustificata spesso, ed erroneamente con il bisogno di creare spazi per l’occupazione giovanile. Recente è il caso di Banca Intesa che riduce il personale di 5 mila unità, attraverso i prepensionamenti (dei 55/60 enni appunto). Il lavoro viene impedito , proprio da quelli che lo invocano. Si propone pensione a 67 anni e chi resta a piedi prima come se la cava?

  8. antonio

    Le pensioni non vanno tagliate, perchè il sistema con le ultime riforme e già sostenibile, come ha affermato il dir. generale dell’INPS. Anzi, se si separasse l’assistenza (assegni familiari, disoccupazione, assegni sociali, ecc.) dalla previdenza, come già accade in tutta Europa, ci sarebbero fondi più che sufficienti per un vero patto con le giovani generazioni e si potrebbe concedere la gratuita’ dei contributi per i neo assunti. Le risorse per la crisi vanno reperite da tasse serie per i patrimoni, riduzione delle spese militari, lotta reale all’evasione fiscale e reintroduzione dell’ ICI sulla prima casa. E poi se gli anziani non lasciano posti liberi, quando mai i giovani si potranno occupare? A regime l’ età pensionabile sarà già 67 anni per tutti, perché allora insistere su altri ulteriori prolungamenti? I giovani, oggi, per loro sfortuna, purtroppo, hanno soprattutto lavori precari, quindi a 67 anni difficilmente avranno 40 anni complessivi di contributi, perché alzare tale soglia? Noi lavoratori siamo stufi, in Francia hanno fatto le barricate per difendere l’età pensionabile, dovremo farle anche noi, e la Lega, la più decisa a difenderci aumenterà i consensi.

  9. giorgio cavallari

    Sono pienamente d’accordo con la proposta, che semplifica e rende trasparenti le regole. Si deve far capire che ognuno un capitale pensionistico calcolato sui contributi versati e questo va poi diviso per il numero di anni che vanno dall’andata in pensione alla durata media della vita. Con una regola semplice e chiara è piu’ facile per ciascuno fare i suoi calcoli e decidere cosa è meglio per lui, senza rischiare penalizzazioni di finestre e altre astruserie. Sarebbe interessante fare un paragone con i sistemi pensionistici in vigore in Europa. Un sistema simile era comunque già in vigore in un’organizzazione internazionale a Ginevra.

  10. Alliandre

    Portare il contributo della gestione separata per gli autonomi al 28% non è equità, perché per i dipendenti il contributo si calcola sulla RAL, per gli autonomi sul netto. Si sta pilotando il default dei lavoratori autonomi. In gestione separata non ci sono solo cocopro cui l’azienda paga i 2/3 dei contributi. http://www.actainrete.it/2011/11/aliquota-inps-al-28-le-ragioni-del-no/

  11. Paolo

    Sono dipendente pubblico di 57 anni e con 35 anni di lavoro. Rientro ancora nel “retributivo” avendo poco più di 18 anni di anzianità nel 1995. Concordo senz’altro sull’esigenza di parificare le situazioni: uguale trattamento a pari condizioni, nel pubblico come nel privato. Mi domando se basti creare un incentivo a permanere al lavoro più a lungo: quanto rimani al lavoro non dipende solo da un interesse economico immediato, ma da tanti altri fattori (salute, situazione familiare, ecc.). E’ possibile immaginare al lavoro fino a 67 e oltre: insegnanti di scuola materna, pompieri, poliziotti, operai di fonderia, autisti, ecc. senza prevedere almeno un di part time non troppo penalizzante per la pensione? Ho una figlia di 18 anni, quando andrà a lavorare? Se mi calerà la pensione, calerà anche il welfare familiare che per ora posso ancora reggere. Nel breve periodo è un effetto probabilmente generalizzato.

  12. Giovanni Tinella

    L’articolo qui postato e’ un’ottima base di partenza per una vera riforma pensionistica ma tralascia di considerare e dare una risposta ad una domanda lecita: esiste una misura ad hoc per i lavori usuranti? Cosa propone per i lavoratori precoci? Ossia per chi ha iniziato a lavorare prima dei 20 anni? Bisogna dare risposte anche a queste domande. Io sono nato al sud e vi posso garantire che ci sono molte persone che non hanno avuto la possibilita’ di frequentare la scuola secondaria e che hanno iniziato a lavorare gia’ dopo la scuola media (ed in alcuni casi anche prima a nero). E’ giusto chiedere a costoro di lavorare per piu’ di 50 anni? Inoltre molto spesso molti di loro fanno anche lavori usuranti. Ma si puo’ mai pensare di costringere i lavoratori in Agricoltura lavorare per 50 anni? E’ possibile chiedere ai lavoratori della siderurgia o dell’edilizia lavorare fino a 67 anni? Io penso di no, quindi sarebbe necessario uno sforzo teorico affinche’ si possa approdare ad una riforma definitiva che tenga in considerazione anche le esigenze di coloro che hanno gia’ dovuto affrontare una vita non facile e piena di sacrifici.

  13. Lucio Zaltron

    Non capisco perchè non sia possibile stabilire un tetto massimo (per esempio pari a 5 volte la pensione minima). Le ragioni sono le seguenti : – chi attulmente genera una alta pensione vuol dire che ha generato nella sua vita lavorativa un elevato reddito che ha potuto accantonare; – Ogni persona che va in pensione diventa uguale a tutti gli altri pensionati e cioè è una forza improduttiva per lo stato ; – Per un concetto di equità sociale ogni esubero dovebbe quindi confluire per l’innalzamento delle pensioni minime.

  14. M

    Proposta corretta. Nulla da eccepire. Piccolo problema: chi se li tiene questi quasi pensionati per altri anni ancora? Non è vero che le aziende se ne vogliono liberare solo perchè a reddito alto, ma perchè spesso non più preparati (quanti non masticano le lingue, usano il computer come la vecchia macchina da scrivere, ecc…), con poca voglia di fare (già con la testa alla pensione futura e le braccia conserte) e/o con contratti ben remunerati non più attuali ( spesso con indennità che non hanno più senso, o per il cambiato clima finanziario, o perchè non più rispondenti all’effettiva funzione svolta). Come si stimolano queste persone ad essere effettivamente efficienti, preparate, dinamiche? I sindacati rispondono: con premi di produzione! Ma se i loro stipendi sono già alti, li si premia per fare il loro lavoro? Purtroppo l’Italia è in un vicolo cieco, anche perchè le cattive consuetudini sono troppo diffuse e difficili da sradicare velocemente.

  15. Silvestro De Falco

    Gentili Professori, è difficile poter esprimere un giudizio sul vostro auspicio del passaggio al metodo contributivo visto che non ne analizate gli effetti in maniera compiuta.

  16. tiberio

    Il fatto che quasi il 30% dei giovani sotto i 25 anni non lavora e non studia indica semplicemente che nel nostro paese non nascono nuove imprese in grado di assorbirli; chi ha un lavoro se le tiene mentre gli altri sono fuori dal mercato del lavoro. In momenti come questi è difficile che nuove imprese si insedino nel nostro territorio per sostituire una marea di imprese manifatturiere in crisi, a partire dalla meccanica di precisione, anche perché le nuove imprese dovrebbero occupare settori diversi da quelli tradizionali che richiedono ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, e questa è una caratteristica che non fa parte della cultura imprenditoriale italiana. Quindi non vedo come con un semplice riequilibrio delle pensioni si possano creare posti di lavoro e nuove imprese. Penso invece che solo uscendo dall’arretratezza sociale e culturale italiana, una tara che ci accompagna da decenni, si potrà sperare in una vera ripresa , ma la faccenda è complessa in quanto è di natura culturale e riguarda l’intera popolazione a partire dalla classe politica, che deve abbandonare il clientelismo ed il trasformismo e il perseguimento del potere come fine a se stesso.

  17. andrea

    Sono d’accordo con Antonio. Riforme delle pensioni ne abbiamo fatte anche troppe in questi ultimi anni. L’INPS sostiene che il sistema SIA PERFETTAMENTE SOSTENIBILE. Non solo l’INPS. Uno studio dell’Universita’ La Sapienza di Roma e’ arrivato alle stesse conclusioni. Il sociologo Luciano Gallino ne ha illustrato i contenuti. SEPARARE ASSISTENZA E PREVIDENZA, come avviene in tutti gli altri paesi.Ritoccare calcolo per categorie privilegiate: i dirigenti d’azienda da soli creano un buco di qualche miliardo di euro. STABILIRE UN TETTO MASSIMO. Come si possono pagare pensioni da 91.000 €/mese? EMERSIONE DEL LAVORO NERO. Questi 4 provvedimenti da soli garantirebbero da soli la tenuta del sistema e permetterebbero di estendere il sistema retributivo anche ai giovani. Il retributivo permette una vita dignitosa. Il contributivo ti costringe alla fila davanti ai cassonetti della spazzatura.

  18. Michele carugi

    Analisi molto dettagliata. Però caro Boeri, si é dimenticato di dire cosa si farebbe per quelli come me (e siamo purtroppo tanti) che avendo perso il lavoro dall’aprile 2010 con quasi 37anni di contributi aspettano di maturare i requisiti di età nel 2012 versando la volontaria. Noi non abbiamo la possibilità di continuare a lavorare perchè i 60enni l’industria non li vuole. Cosa facciamo, secondo lei? Continuamo la volontaria per 3 – 4 anni? Sa quanto costa? E chi non ha neppure i risparmi della vita per pagare la volontaria? Inoltre le sembra di buon senso una riforma ulteriore senza gradualità? Di colpo, basta essere nati un giorno dopo (31 Dicembre o 1 Gennaio) e la differenza sarebbe radicalissima. Insomma, nel paese reale ci sono problemi reali e risolverne alcuni provocandone altri non è una buona medicina; è da apprendisti stregoni. Non pensa che si rischi di creare una schiera di disperati con effetto 1 gennaio? Cosa facciamo, ci suicidiamo così la famiglia ha la reversibilità subito e il mercato abbassa lo spread? Guardi che non è una provocazione, saremmo disperati.

  19. Roberto C.

    Mi sembra che, ancora una volta, si parli di un mondo che non esiste, ossia quello dei sig.ri Bianchi e Rossi. Nel mondo reale io ho visto: – fabbriche piene di apprendisti 15enni, 16enni e 17enni (anni ’70 e ’80); – 45enni accompagnati alla pensione (ristrutturazione industriale negli anni ’80 e ’90) – esodi incentivati di 50enni e 55enni (ristrutturazione banche, enel, sip negli anni ’90 e 2000) – disoccupati 50enni che non sanno come tirare a campare fino alla pensione di vecchiaia (crisi del 2008); – ex commercianti falliti che si riciclano al lavoro dipendente, con alle spalle una storia contributiva disastrosa; – giovani che, quando lavorano, pagano miseri contributi INPS (riforma Treu, legge Biagi); – aziende che incentivano gli anziani ad andarsene per assumere giovani che costano la metà. Io auspico che per risanare il paese si possa finalmente mettere mano agli sprechi della pubblica amministrazione, non nel senso inteso da Brunetta, ma nel senso di smetterla con opere pubbliche finalizzate solo ad arricchire gli amici degli amici. Per le pensioni abbiamo già dato, grazie.

  20. antonio

    Si parla molto della necessità di estendere a tutti i lavoratori il sistema contributivo. Nulla si dice su quanto questa richiesta di variazione porterà sia in termini di benefici alle casse dell’INPS e sia per quanto riguarda la penalizzazione a carico dei rispettivi lavoratori. Sono nato nel 1951 e ho iniziato a lavorare nel 1973. Oggi, pur potendo andare in pensione, ho deciso di continuare a lavorare, anche perchè ho due figli disoccupati. Non vorrei essere penalizzato dopo tanti anni di lavoro, nel mentre continuo a lavorare (senza pesare sull’Inps) e concretizzando la diffusa forma di Welfare familiare.

  21. Lettore attento

    Evidentemente la speranza di vita incide fortemente sui cacoli. Dai dati ISTAT 2010 per i nati quest’anno (e non per quelli come me che hanno già 60 anni) Maschi 79,2 anni Femmine 84,6 anni Pertanto i calcoli sono fatti per la signora Bianchi (signorina visto che è appena nata) ma non per il signor Bianchi. Perchè insistere tanto sui pensionandi e così poco sui pensionati? Un blocco totale per 4 anni degli adeguamenti all’inflazione darebbe un bel risparmio, d’altronde anche loro, come gli statali, non possono essere licenziati.

  22. ermes zanoli

    Sono nato nel 1955, ho 37 anni di contributi. Sono un modesto impiegato bancario, lavoro in banca. Per tutti un lavoro sicuro, bello, tranquillo che non rientra mai nel novero dei lavori stressanti. Ho avuto solo 5 rapine, per non parlare di budget, pressioni commerciali, normative, antiriciclaggio, etc. etc. “Questo vale per tutti i lavori: dopo tanti anni i lavori usurano il cervello ed il corpo delle persone”. Dietro le pensioni ci sono persone: donne e uomini che hanno storie, corpi, speranze legate alla pensione. Propongo: separare dal computo delle spese pensionistiche l’assistenza (per chiarezza), rendere tutti i pensionati simili (per equità) – per tutti sistema retributivo; nessuno, compresi politici, guidici, militari, religiosi, giornalisti, economisti, può percepire una pensione superiore ai 6.000 euro netti mensili (per giustizia); contributo di solidrietà a crescere per chi oggi percepisce più di 3.000 euro di pensione netta.

  23. Piero

    Non e’ un problema di pensioni, trattasi di crisi finanziaria, non gestibile dai singoli stati, occorre riportare il cambio dell’euro sul dollaro in parità, come era all’inizio della moneta unica, e la BCE deve difendere in ultima istanza il debito sovrano del paese euro, perche’ altrimenti non vi può essere uno stato senza moneta.

  24. Piero

    Dobbiamo ridurre il numero dei parlamentari, invece il nostro saggio Presidente ne nomina uno in più, nella persona di Monti, nessuno ha precisato quali sono stati i servizi da lui prestati per l’Italia, se non quale candidato futuro Premier, certo se dopo la sua reggenza salva l’Italia, allora sarebbe giusta la nomina, ma adesso la nomina è inopportuna ed anche una caduta di stile del nostro Presidente Napolitano.

  25. Alessandro Vaccari

    E’ inutile fare finta di non vedere il problema delle pensioni, e tra l’altro non si comprende appieno che abolire le pensioni di anzianità significa difendere le categorie più deboli – quelle che faticosamente arrivano alla pensione di vecchiaia – a favore di categorie di lavoratori che godono dei soliti privilegi. Gli operai e i lavoratori che usufruiscono delle pensioni di anzianità non sono nemmeno il 20%, le statistiche dell’INPS parlano chiaro, non si comprende allora questa chiusura anche “da sinistra” sull’abolizione di tali pensioni. Tra l’altro questo consentirebbe di dirottare risorse su coloro che effettivamente hanno bisogno; in attesa che si estenda il contributivo per tutti, questa sarebbe la vera soluzione equa e giusta soprattutto per le nuove generazioni in relazione agli over 40.

  26. Osvaldo Forzini

    Il sig. Piero si chiede per quale motivo la nomina di Monti a Senatore a vita, “un parlamentare in più, ce n’era bisogno?”. Ma come siamo tutti più bravi degli altri… Il “perchè “l’ha spiegato un editoriale di De Bortoli sul Corriere della Sera, dove viene evidenziata anche la “simbologia” di quello che è successo: http://www.corriere.it/editoriali/11_novembre_10/debortoli_possiamo-farcela_5eb5c08c-0b60-11e1-ae33-489d3db24384.shtml
    Cito: “Una mossa che sottrae il nome dell’economista milanese alla contesa politica e ne sottolinea le qualità super partes”. Ecco il perché. Saluti.

  27. Roberto

    Sono un giovane lavoratore del sud e in tutti questi anni mi sono indignato molte volte a sentire sia ragazzi che persone adulte con famiglia dire che possono lavorare 3 – 4 mesi all’anno e poi sfruttare la disoccupazione. Sono soldi che non permettono allo stato di incamerarli e rinvestirli, la domanda che mi pongo è: per quale motivo non far funzionare i centri dell’impiego con efficenza e addottando per esempio il sistema finlandese, un sistema di sussidio per chi non lavora fin quando il centro dell’impiego non propone un lavoro ed ad un eventuale rifiuto si elimina quest’ultimo, con un controllo sia dei lavoratori sia per gl’imprenditori evasori o furbetti che utilizzano molte volte impropriamente le trentamila agevolazioni date dal governo berlusconiano a non versare le tasse dovute?

  28. gianmario nava

    Ho lavorato come autonomo senza contributi, ho lavorato come professionista versando alla cassa professionale, ho lavorato come professore universitario cersando alla gestione separata lavoro, come dipendente pubblico versando all’inpdap credo che molta parte dei miei versamenti saranno semplicemente regalati e senza un vero perchè. Ci sono decine di migliaia di lavoratori che non usufruiranno dei loro contributi “silenti”. C’è una soluzione “equa” a queste situazioni? Ho pagato a chi la legge mi imponeva di pagare la legge impone una frammentazione degli enti, se i frammenti di versamento sono ciascuno sotto il limite di “efficacia pensionistica” non avrò nessuna pensione (frammentata o meno)… ma ha senso tutto questo?

  29. lello da bergamo

    ho quasi 52 anni (a febbraio 2012), 34 anni di contribuzione. me ne mancherebbero 6 per l’agognata pensione. più 1 e più 3mesi… ergo ci andrò effettivamente dopo aver lavorato quasi 42 anni. la domanda che vi faccio è: volete anche il sangue? voi, di sicuro, in fabbrica nn ci siete mai entrati, nn sapete neppure immaginare cosa sia il lavoro in produzione… lasciate perdere va…

  30. marco galliano

    Vorrei chiedere al dottor boeri io nato nel 1963 ho iniziato a lavorare nel 1978 raggiungero 41 anni di contributi nel2019 con56 anni di eta e35 anni di lavoro a ciclo continuo vuol dire l avorare 3 sabati e domeniche tutti imesi se ritiene che tale situazione sia normale o se per caso io e ormai pochi altri come me siamo una specie in via di estinzione….

  31. Angelo

    Io sono uno di quelli che credono che il debito sul 120% del PIL esuli dai pagamenti delle Pensioni di Anzianità & Vecchiaia, per il semplice fatto che l’erogazione economica viene emessa dall’INPS e non dallo Stato. L’Istituto Previdenziale ha entrate ben definite che si chiamano “Contributi Previdenziali” che servono al sistema a ripartizione per potersi autonomamente perpetuare. Le casse dello Stato, invece, hanno entrate distinte che si chiamano “IRPEF & IVA + tasse varie” che servono alla spesa Pubblica, da dove deriva il famoso debito pubblico. Aliquota Entrate contributive: sono quelle pagate da chi lavora in regola e versa contributi. Abbiamo quindi un’entrata contributiva del 33% in IVS fino a raggiungere il 41% con l’aggiunta di altre aliquote: http://www.inps.it/docallegati/mig/doc/Professionista/aliquote/Aliquote/Industria/1.3%20Industria%20piu%2050.htm. Ricordo che in Germania si versa complessivamente il 19%, in Spagna si versa il 18%, in Francia si versa il 16%. L’istituto INPS è in attivo da 6 anni a questa parte, ha una situazione Patrimoniale al 2010 di 45 milardi… Cosa c’entra con il debito pubblico?

  32. Stefano Bracchi

    I soldi risparmiati per un eventuale innalzamento dell’età pensionabile restaranno nelle casse dell’INPS, allo Stato non viene in tasca nulla di niente! Oggi la notizia che l’Istituto INPS raccoglierà 10 miliardi in più rispetto al 2010: http://www.repubblica.it/economia/2011/11/11/news/dati_inps-24852141/?rss. Piuttosto, se c’è una cosa da fare, è la separazione fra assiztenza & previdenza. In Assistenza spendiamo il 40% delle uscite, alcune di queste sono pagate con i Contributi Previdenziali dei Lavoratori, mentre dovrebbero essere a carico di tutta la collettività. http://img163.imageshack.us/img163/4549/spesainps.jpg. Il Prof. Boeri dice che la sua ricetta farà sparire il lavoro nero. Sarà il contrario purtroppo! Lavorare in nero ti consente comunque di avere una pensione sociale o minima di 450 € al mese per 13 mensilità, così come la Legge recita. Perchè dovrei versare 45 anni il 33% e percepire 800 €, quando me ne regalano 450 €? Gli italiani sono più “furbi”, metà italia stà già lavorando in nero! La media della speranza di vita rispetto ai mestieri (lavori) è molto diversa dalla MEDIA, mica son tutti economisti e giornalisti!

  33. Giorgio Di Maio

    In un libro degli anni 40, “Abolire la miseria”, Ernesto Rossi proponeva il modello pensionistico della Nuova Zelanda: una pensione uguale per tutti dall’età di 65 anni cumulabile con qualsiasi reddito e finanziata con le imposte. Niente contributi previdenziali, versati o evasi, niente retributivo o contributivo, niente periodi senza contributi, nessun trasferimento di contribuzione da una categoria all’altra. Semplificazione enorme dell’intera gestione contributiva e pensionistica per lo Stato e per i privati. Cosa ne pensate? A parte questo non capisco come il problema pensionistico, che è evidente dal confronto tra la posizione dei vecchi del sistema contributivo e i giovani del sistema retributivo e che però consiste nell’insufficienza delle future pensioni, debba essere interpretato come un problema di equità tra generazioni. Lo è solo se si considera il sistema pensionistico come a sè stante ma non lo è se lo si considera come parte dello stato sociale, e questa visione mi sembra più corretta. Tra l’altro si dimentica che il patrimonio accumulato dall’INPS nel periodo in cui i contributi erano superiori alle erogazioni è stato trasferito allo Stato negli anni passati.

  34. Pietro Brugiolo

    Vorrei sapere quale è l’aspettativa di vita effettiva per gli operai. Non penso sia quella che voi dite, ma minore, perché non pubblicate i dati scorporati per professione? Pensate che le aziende accetteranno di avere a carico il 25% di operai ultrasessantenni? Nel mio caso fra 5 anni saremo 30 operai ultrasessantenni su 120, per me ci rottameranno e prenderanno ricambi più giovani (poiché a quanto pare siamo macchine buone solo per pagare i contributi finchè non ci danneggiamo) e noi che faremo? I disoccupati vecchi in contrapposizione ai giovani. Io sono del ’58, con 39 anni e 5 mesi di fabbrica metalmeccanica, secondo voi dovrei lavorare come operaio per 52 anni? Dite la verità, si punta sulla morte di buona parte degli operai prima del raggiungimento della pensione, così il risparmio sarà totale visto che molti di noi hanno la moglie che lavora quindi niente reversibilità. Perché non lasciarci una via d’uscita, visto che l’enorme privilegio di cui godiamo, secondo voi, ha rovinato il paese, fatti i 41 anni lasciateci uscire col contributivo se non ce la facciamo più.

  35. Piero

    Rispondo a Osvaldo, lasciamo da parte i giornali che in Italia sono faziosi, il Prof. Monti per accettare una carica a tempo da Premier per fare provvedimenti di “macelleria sociale” voluti dalle lobby finanziarie, ha chiesto ed ottenuto il suo compenso, la carica di senatore a vita. Non vi e’ un’altra verità, in ogni caso, qualsiasi provvedimento prenderà potrà, per fortuna, essere messo in discussione dal futuro governo politico che nascerà dopo le elezioni, di qualunque colore esso sia. Ben venga la legge elettorale nuova che fa scegliere il popolo. In ogni caso qualsiasi provvedimento verrà preso sarà inutile, come i provvedimenti presi all’epoca di Amato per sostenere la lira, fu inserita una imposta patrimoniale inutile e anticostituzionale.

  36. lenzi donata

    Sul passare subito al contributivo per tutti già dicono i commenti, comunque va studiata l’eventuale accelerazione. Quali effetti porterebbe non è chiaro. Piuttosto la proposta dovrebbe essere ulteriormente spinta nella direzione di uniformare le aliquote e abolire le varie gestioni, gestione separata compresa, perchè al giorno d’oggi si cambia mestiere molte volte e sarà sempre più così. Che senso ha allora versare a fondi diversi che sono poi sempre all’INPS? Ci si iscrive all’inps e basta. E perchè avere aliquote diverse ? Uniformiamo progressivamente calando un po’ quella del lavoro dipendente, così caliamo il costo del lavoro. Non vera è l’affermazione che il contributivo favorisce l’emersione dal nero, fino a che la pensione sociale sarà di pochi euro, più bassa della pensione di vecchiaia, il fenomeno continuerà, basta guardare i dati delle pensioni erogate al sud.

  37. antonio

    Si chiedono sacrifici ai soliti noti. Anche un lavoro da impiegato postale o bancario può essere usurante come quello di un operaio. Avendo iniziato a venti anni, dopo 38-40 anni si può essere anche fisicamente e psicologicamente ai limiti della possibile sopportazione, senza contare lo stillicidio di tante manovre già effettuate che hanno allungato, dagli anni novanta ad oggi, già abbondantemente l’età pensionabile, rendendo simile il percorso lavorativo verso il pensionamento a quello di un assetato viandante nel deserto che man mano che si avvicina all’oasi la vede sparire come un miraggio. Il Governo in carica è intervenuto più volte sulle pensioni e in particolare su quelle di anzianità e delle donne, utilizzando i lavoratori dipendenti come un bancomat da svaligiare: – nel 2010 il Governo ha inventato le ‘finestre lunghe’: il lavoratore matura il diritto di andare in pensione ma deve aspettare un anno per percepire l’assegno pensionistico; – nel 2011 sono stati aggiunti altri 3 mesi con il risultato che sulla carta il lavoratore ha diritto alla pensione ma nella sostanza deve lavorare altri 15 mesi per poterla avere. Basta, non ne possiamo più.

  38. LEONARDO ROSSELLI

    Il tono dei commenti spiega perchè è tanto difficile per i partiti di governo e opposizione far digerire al paese una riforma tanto necessaria quanto impopolare. Speriamo lo faccia il nuovo (eventuale) governo con l’appoggio di tutti. La proposta contributiva subito a tutti è indubbiamente la migliore e più equa proposta tra le possibili soluzioni. Permette risparmi certi, dà libertà al lavoratore in termini di programmazione e quantificazione delle future pensioni che riceverà, è sostenibile. Soprattutto risolve un problema generazionale imbarazzante che è quello che gli under 35 andranno in pensione con pensioni da fame mentre gli attuali cinquantenni godranno di pensioni “non coperte” pagate proprio d chi ne sarà penalizzato. La riforma delle pensioni deve essere accompagnata dalla ristrutturazione delle aliquote (che devono essere più contenute e progressive con l’età salvo voler aumentare soggettivamente la percentuale), e dalla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Questo per far capire che i sacrifici che si fanno a monte devono poter essere distribuiti a valle tra i lavoratori e le imprese.

  39. Massimo Manassero

    Mi riferisco al commento “Perfetto o quasi” che, sia pure con troppo cinismo verso persone che dopo aver tirato la carretta per 30 anni meriterebbero maggior rispetto, evidenzia un problema che si rivelerà devastante nei prossimi anni, se si vorrà proseguire a tutti i costi sulla strada di dissennati aumenti dell’età pensionabile propugnati anche da questa testata. Eh già, si può costringere per legge la gente a rimanere in servizio, ma non farli diventare per legge “efficienti preparati e dinamici” … vorrei capire qual’è la soluzione proposta: licenziamento in massa? O reintroduzione della figura dell’aguzzino munito di scudiscio negli uffici, tipo trireme romana? Basterebbe capire che i tempi di una vita lavorativa dinamica sono molto più brevi della mera sopravvivenza biologica. E per far quadrare i conti pensionistici, intervenire una buona volta sugli assurdi trattamenti erogati nel passato: contributo sulle baby pensioni (< 50 anni) e taglio netto delle maxi pensioni (nessuno prenda di pensione più di 3-4000 euro).

  40. Piero Atzori

    Sono un docente di liceo. Due osservazioni: 1. Prima di toccare nuovamente il tasto “pensioni di anzianità”, occorre eliminare i privilegi, che non sono certamente quelli di chi ha lavorato per 40 anni e riceve una pensione inferiore al vitalizio di un parlamentare relativo a soli 5 anni di legislatura. 2. Mentre in Germania un parlamentare riceve un compenso netto pari circa al triplo di quello di un insegnante (euro 84.108 contro 26.900), in Italia il parlamentare riceve circa il decuplo rispetto ad un insegnante (euro 144.084 contro 14000).

  41. giancarlo

    Secondo me questa della spesa pensionistica è un po’ una bufala. Nel senso che risulta sballata la sua incidenza sul PIL. I soldi della pensione sono già stati versati in anticipo dal lavoratore e dunque gli vengono semplicemente restituiti. A gravare sulle finanze dello Stato sarà caso mai solo la differenza fra quanto versato e quanto ricevuto. Ho molta simpatia per lei, il suo sito, per la proposta di riforma illustrata qui sopra, ma ho l’impressione che molti di voi vivano sulle nuvole… Io per esempio avrei voluto lavorare più a lungo, ma quando ti lasciano a casa a 50 anni, mi creda, è difficile trovare un altro lavoro.. Poi l’ho trovato a collaborazione, poi nulla. Adesso ne ho 63 e si figuri se trovo alcunchè. Senza reddito da 3 anni. E devo aspettare di averne 66 (cosa che mi parrebbe inconstituzionale: diritto negato). Quello che lei non ha vissuto (forse) è che il destino dei lavoratori poveri non è nelle loro mani. Saluti

  42. Adriano

    Delizioso articolo scritto da chi il lavoro proprio non lo conosce. Il tutto basato su una speranza di vita di 84 anni (mai dimostrata) e senza tenere in nessun conto il fattore umano. Ma quali lavori si possono fare fino a 65 anni o 69 anni (così si rsparmia di più) ad es. muratore, fabbro, catena di montaggio, asfaltatore, mestra d’asilo ecc.? Naturalmente dai calcoli risulta anche che i datori di lavoro sarebbero contentissimi di tenersi dei vecchietti pieni di acciacchi e si rifiuterebbero di sostituirli con dei giovani che pagherebbero di meno. Per una volta ho voluto sentirmi un genio anch’io ed ho provato a fare alcuni calcoli: ho scoperto che, siccome la vita media considerata da voi è di 84 anni, se portiamo l’età pensionabile a 83 anni tenedo conto della finestra di 1 anno e tre mesi, la “ricchezza pensionistica lorda” sarebbe di poche centinaia di euro. Un bel risparmio, non vi pare? Provate a fare un giro in qualche posto di lavoro vero e parlate con la gente, poi se volete riscrivete il tutto.

  43. Francesco

    Chi ha studiato negli states ha la stessa impostazione dell’economia neoliberista: lo stato sociale è un inutile fardello di cui liberarsi, punto e basta. Disuguaglianze? Poverta? Privilegi? Sapete che col sistema contributivo milioni di lavoratori, magari pure usuranti arriveranno ad avere forse a 70 anni una pensione con la quale potranno andare a cercare cibo nella spazzatura un giorno sì e l’altro anche? Ma quando spandete queste vostre teorie ve la mettete mai una mano sulla coscienza? La proposta sarebbe semplicissima, equa e facilmente sostenibile: con 40 anni di lavoro tutti in pensione con una pensione pubblica uguale per tutti a 1500 euro il mese, chi vuole di più se la faccia privata, i mezzi di sicuro non gli mancherebbero (dirigenti, quadri, boiardi di stato, generali, ecc ecc) così il problema sarebbe risolto una volta per tutte. Ma sarebbe illiberale secondo i vostri dettami. Invece sarebbe molto più liberale e sostenibile del contributivo, che è un sistema sostenibile solo per i pochi che guadagnano dai 2500-3000 in su, per gli altri sarà la fame.

  44. matteo

    Non contesto la correttezza in astratto della proposta, però ritengo che sia il classico ragionamento da torre d’avorio di chi è sempre stato (anche con merito) nella parte privilegiata della società. Sono d’accordo solo sul discorso che sarebbe corretto passare al contributivo per tutti, però pensare che un lavoratore debba sempre e comunque arrivare a 65 anni per avere un misero assegno di pensione vuole dire non conoscere il vero mondo del lavoro. Non è che tutti i lavoratori abbiano uno stipendio alto, mansioni interessanti e bramino di restare al lavoro, anzi, la maggior parte degli italiani sono in situazioni di lavoro se non pesante quanto meno sotto pagato. Sul fatto poi della sostenibilità o meno della spesa pensionistica, sono d’accordo che andrebbero ridotti una serie di abusi e privilegi (vitalizi, baby pensioni, pensioni d’oro ecc), ma credo comunque che se si recuperasse parte del sommerso e della corruzioni i soldi per pagare pensioni decenti non mancherebbero

  45. FERDINANDO PICCINI

    Si criminalizzano i quasi 60 enni, che vanno (o più verosilmente sono mandati) in pensione di “anzianità”. Ma avete mai considerato che chi ha incominciato a lavorare a 17/18 anni lo ha fatto o perchè non incline agli studi, o spesso per motivi economici della famglia che non poteva sopportare il costo degli studi del figlio? Inoltre, chi ha iniziato a lavorare a 17/18 anni ha contribuito al benessere ed allo sviluppo economico del Paese, contribuendo al PIL di quegli anni, pagando con il proprio stipendio i contributi INPS e le tasse, permettendo così di sostenere anche i costi delle università di cui altri (voi compresi) hanno potuto beneficiare. Quindi perchè accanirsi con chi a contribuito per 40 anni alla crescita del Paese? Se si vuole eliminare le pensioni di anzianità, perchè non costringere gli imprenditori a non ricorrrere ai Preponsionamenti?

  46. roberto portoghesi

    Non entro nel merito delle proposte, che se destinate a nobili fini sono tutte percorribili a patto di sapere a cosa sono destinati gli eventuali sacrifici, ( inserito in fondo di solidarietà con 38 anni di contributi e 58 anni di età ) Vi chiedo come siano possibili 4 interventi negli ultimi 5 anni, ultimo dei quali luglio 2010, visto che il tema interessa l’intera vita di una persona.? Come sia possibile non tenere conto di coloro che a vario titolo hanno perso il proprio lavoro ed essendo inseriti in varie forme di protezione, una volta finite se si cambiano le regole si rischia di farle trovare senza nessun reddito e in assenza di qualunque forma di tutela. Si vuole cambiare lo si faccia ma con cura, con impegno , con serietà e senza odi sociali o rivalse, si dia la possibilità a chi si trova in queste delicate situazioni di uscire senza traumi..si dica: si cambia da…escludendo chi….

  47. antonio

    Togliere diritti acquisiti come l’ opzione retributiva a chi l’ha maturata è iniquo e forse anticostituzionale, infatti non si può chiedere ad un sessantenne di optare per il contributivo, perchè a questa età ormai non può costruirsi una pensione integrativa, a sessant’ anni sta per raggiungere un traguardo sognato da una vita e già pianificato, non puo’ di punto in bianco ridurre drammaticamente le proprie prospettive di reddito. Le risorse esistono, bisogna tassare seriamente i redditi elevati e i patrimoni, ridurre le spese militari, agire sull’ evasione, reintrodurre l’ ICI sulla prima casa, etc. Basta con i tagli sulle pensioni, con certe proposte offensive per tutti coloro che hanno lavorato una vita, la pensione si fa sempre più un miraggio. Chi ha 40 anni di contributi, magari viaggiando da pendolare e con l’attuale taglio e peggioramento delle corse, ha già fatto abbondantemente la sua parte. Cerchiamo di essere obbiettivi e non rendere ancora una volta martiri le persone che hanno fatto sempre il loro dovere. Noi lavoratori siamo stufi, in Francia hanno fatto le barricate per difendere l’ età pensionabile, dovremo farle anche noi?

  48. Sandokan1954

    La proposta di modificare le pensioni colpendo ulteriormente chi si appresta ad andare in pensione con 40 anni di contributi, che diventano 41 con l’attesa per la pensione è semplicemente assurda totalmente inaccettabile. Qualora questa fosse realmente proposta andremo a Roma e ci resteremo finchè non sarà abolita. Non è accettabile far pagare sempre e comunque chi ha già versato tanto. E tutti quelli che hanno perso il posto e non riescono a trovarlo? Se volete la rivolta ditelo. Andate a prendere i soldi da chi li ha e non massacrate ancora i soliti che sono veramente stufi!

  49. Claudio

    Prof. Boeri, ma qual’è il suo sentimento nel leggere di tutte le testimonianze qui ospitate? Ma nessuno prende coscienza delle problematiche di chi è stato espulso dal lavoro per ristrutturazione aziendale proprio perché in prossimità della pensione di anzianità? Possibile che questi adesso vengano abbandonati cambiando all’ultimo momento le regole che hanno peraltro reso possibile tali situazioni? Come si giustificherebbe alzare l’età pensionabile e poi non dare a tutti la possibilità di lavoro?

  50. stefano delbene

    Non si può negare che negli scorsi decenni siano state compiute delle operazioni discutibili, come il diritto ad andare in pensione a 40 anni o anche meno, ma anche l’aver accollato all’INPS le gestioni deficitarie di alcune professioni. Ma ora mi sembra che si stia veramente esagerando: a parte alcune “perle” tipo lo sviluppo di carriera che porterebbe quacuno ad uscire dal mercato del lavoro con 1770 € di retribuzione, cosa assolutamente irrealistica per molti, mi viene da chiedere come si possa pensare che un lavoratore medio, chiunque esso sia, possa rimanere attivo oltre i 65 anni, dopo averne lavorati 40 e più. Ogni lavoratore ha diversi sistemi di aspettative, valori, aspirazioni, e andrebbe quindi preservata la flessibiltà, magari gestendo il passaggio alla vecchiaia in maniera graduale, riducendo progressivamente l’orario di lavoro, fino ad arrivarne alla conclusione “naturale”.

  51. anma

    Egregi Boeri e Brugiavini, leggo con interesse la vostra proposta di riforma del sistema previdenziale. Purtroppo i dati forniti non sono, a mio avviso, sufficienti per trattare la materia. Ad esempio sarebbe interessante conoscere il montante contributivo versato dal signor Bianchi e dal signor Rossi. Credo emergerebbe che i contributi versati siano ben superiori al “credito pensionistico” assicurato.

  52. luca fiorini

    Massimo rispetto per l’illustrazione delle vostre ipotesi che offrono un contributo da economisti e studiosi. Però poi ci sono le persone e aziende! Sulla carta il vostro ragionamento fila (anche se con lo spettro scaramantico della morte “misurata con il tasso di vita medio): ma nelle imprese esce in mobilità chi ha la fortuna di agganciare la pensione e non viene sostituito da nessuno. Non siamo in una fase di crescita, ragazzi. Certo il costo complessivo del sistema pensionistico in una fase come l’attuale incide sull’aspetto finanziario di sostenibilità del Paese. Ma è con dati economici “sulla pelle della gente che lavora (troppo poco, perchè non ce n’è)” che si fa la crescita! La quale non è impedita dal peso delle pensioni (altrimenti le nostre imprese sarebbero vincenti nella competizione internazionale), ma dalle caratteristiche dell’apparato produttivo nazionale. Ma guardate a che succede dentro le aziende reali e unifichiamo gli sforzi (intellettuali) vostri e quelli (anche intellettuali) di chi lavora tutti i giorni (se ci riesce), Comunque buon lavoro.

  53. carlo

    Così premiamo tutti quelli che si sono inboscati da una vita e sono espertissimi nell’eludere ogni tipo di lavoro gravoso; e puniamo quelli che hanno sempre fatto il loro dovere,assumendosi tutte le loro responsabilità ,sin dal primo giorno di lavoro. Questi ultimi se oggi vogliono lasciare il lavoro(spesso pur amandolo:sono un pediatra ospedaliero) e’ solo perchè non ce la fanno più. Io ho un’altra proposta da farvi:mandare via per legge proprio quelli che vogliono restare. Se vogliono restare è perchè stanno fin troppo comodi.

  54. Salari Federico

    La proposta è molto tecnica e difficile da capire. Qualche osservazione può essere fatta alla luce della proposta del CERP di Torino, istituto che si occupa di pensioni ed è diretto dall’attuale Ministro Elsa Fornero. Consiglio a tutti di leggerla, perchè è semplice e chiara e sostiene – unica tra le tante – la necessità di un intervento sulle pensioni in essere alte, liquidate col metodo retributivo, alte, intervento aggiuntivo al contributo di solidarietà vigente. A differenza della proposta de La Voce Info, contempla inoltre la possibilità di uscita prima dell’età minima richiesta per il pensionamento, fissata a 63 anni, se la pensione viene calcolata col il metodo contributivo. Ciò risolverebbe il problema dei senza lavoro in mobilità, salvo a verificare di quanto si ridurrebbe la pensione.

  55. Salari Federico

    La proposta è molto tecnica e difficile da capire. Qualche osservazione può essere fatta alla luce della proposta del CERP di Torino, istituto che si occupa di pensioni ed è diretto dall’attuale Ministro Elsa Fornero. Consiglio a tutti di leggerla, perchè è semplice e chiara e sostiene – unica tra le tante – la necessità di un intervento sulle pensioni in essere alte, liquidate col metodo retributivo, intervento aggiuntivo al contributo di solidarietà vigente. A differenza della proposta de La Voce Info, contempla inoltre la possibilità di uscita prima dell’età minima richiesta per il pensionamento, fissata a 63 anni, se la pensione viene calcolata col il metodo contributivo. Ciò risolverebbe il problema dei senza lavoro in mobilità, salvo a verificare di quanto si ridurrebbe la pensione. Fino al 31.12.2011 le pensioni verrebbero calcolate con il vecchio sistema, interamente retributivo o misto a seconda dell’anzianità contributiva al 31.12.1995.Dal 1.12.2012 contributivo per tutti. Ci sono da rivedere alcune posizioni particolari, ma per il resto convince ed è semplice.

  56. Stefano Morgantini

    Sono nato nel 1957, ho iniziato a versare contributi nel 1972 da operaio e non apprendista perchè il lavoro non prevedeva l’apprendistato,non ho mai smesso tranne alcune settimane tra il 1972/1976 per cui tra aprile e luglio 2012 farò i 40 anni di contributi,io non ho il tempo di aggiustarmi la pensione con l’integrativa dovrò pagare dazio per la pensione contributiva? E poi l’ICI, e quant’altro,la mia generazione sarà la sfigata perchè dopo aver pagato i contributi a tutti devo subire le conseguenze, se così è vergognatevi.

  57. anna

    Lavoro da quando avevo 15 anni studiando la sera,ho quindi maturato 39 anni di contributi.Invitata dalla mia azienda ad uscire (il mio lavoro spostato in India) dopo anni di mobbing ho accettato l’incentivo e lìuscita.Pago i contributi volontari per arrivare a 40 di contribuzione.Arrivo alla proposta:restituite sia a me che a mio marito tutti i contributi versati e noi rinunciamo alla pensione. Grazie.

  58. BERNARDO NOVELLI

    Nel merito giudico interessante tutte le vs analisi.. Ma mi chiedo: avete una idea di quante persone come me ,ex dirigente costretto a a lasciare ora in prosecuzione volontaria per conseguire il traguardo dei 40 anni, senza lavoro,con le attuali regole deve attendere la finestra ex L.122/2010 le aspettative di vita etc… Cosa ci si deve aspettare?? Finire di pagare la prosecuzione volontaria e rimanere in balia delle decisioni che adesso la Prod Fornero si accinge a sfornare?? Nella mia situazione ci sono migliaia di famiglie e per varie categorie lavorative che con enormi sacrifici versano la contribuzione all’INPS per che cosa?? Buon lavoro PS Potete fare una indagine e farvi dire da iNPS quanti sono attulanente i prosecutori volontari INPS??

  59. gianp2

    Non so se tutti sono a conoscenza, mentre si discute di abolizione delle pensioni di anzianità, di quella norma dell’illustre ministro Brunetta in base alla quale nell’impiego pubblico chi abbia maturato anni 40 di anzianità contributiva, comunque maturati, è unilateralmente dimissionato dalla amministrazione statale di appartenenza. Ci sono lavoratori, è il caso di chi scrive, docente di liceo, che rimarrebbero più che volentieri in servizio ma sono costretti invece ad andarsene in pensione in base a questa cervellotica norma,

  60. luigi

    Caro Boeri, mi sembra che ciò che scrivete sia troppo teorico e lontano dalla realtà. La signora Verdi ha inizato a 15 anni a lavorare in un’industria tessile che poi ha chiusa per andare in Cina, poi si è riciclata ed arrivata con molti sacrifici a 50 anni con 35 anni di contributi tirando su anche una famiglia (senza colf e bambinaie varie). Adesso che pensava che tra 5 anni poteva andare in pensioni con 40 anni (che poi ormai sono 42 e quindi tra 7 anni) si sente dire che è una privilegiata. Complimenti! Certo chi come il signor Neri che ha lavorato in fabbrica da quando aveva 18 anni come operaio specializzato, e adesso sarebbe arrivato a 60 anni in pensioni gli dicono di pazientare ancora qualche anno perchè anche lui è fortunato (non come Boeri e Professori vari che fanno un lavoro che li sfinisce) peccato che la sua ditta stia per chidere ed a lui già adesso macherebbero 4 anni di contributi!

  61. EMANUELE Salvatore

    Secondo il vostro giudizio per equità non per cassa, bisognerebbe rivedere tutto il sistema pensionistico, anche chi è già andato in pensione. Perchè ci troveremmo in una sistuazione anomala, chi è andato già in pensione con il sistema retributivo, prende già una pensione discreta direi per vivere, mentre chi andrà in pensione dal 2012 in poi non solo deve lavorare di più ma, rischia di prendere una pensione da fame. Quindi non parliamo di equità.

  62. Angelo

    1-debito pubblico italiano = 1.812,790 miliardi di euro
    2-valore del patrimonio privato dei beni in possesso dei superricchi = circa 4000.miliardi di euro
    3-ammontare del patrimonio pubblico italiano= 1800 miliardi di euro
    4-faccio presente inoltre che l’Italia ha riseve auree tra le piu’ ricche d’europa (e oggi il valore dell’oro è aumentato di molto) altro che provvedimenti iniqui sulle pensioni, approfittando delle bugie sui giovani…
    Questa sarebbe vera e risolutiva equità e redistribuzione delle ricchezze. Dunque non è difficile capire, anche senza essere degli economisti , che basterebbe fare un mix tra patrimoniale, dismissioni di parte del patrimonio pubblico e, al limite, di vendita di parte delle scorte oro (Prodi a suo tempo lo propose) per ridurre o addirittura azzerare completamente il nostro debito pubblico.

  63. degan graziano

    In relazione all’articolo del 09/11/2011″ non per cassa ma per equità”, vi chiedo di evidenziare i criteri con cui viene calcolata l’età media del signor Rossi. ringrazio per l’attenzione distinti saluti

  64. andrea

    Per equità, perchè come lavoratore dipendente devo pagare le eventuali pensioni di invalidità o di accompagnamento dei giornalisti, tanto per fare un piccolo esempio ?

  65. Fabio

    Voglio solo sperare che la vostra proposta sia solo una provocazione…

  66. boeri-brugiavini

    Non so se vi rendiate conto che un dipendente pubblico che ha un ruolo di grande responsabilità, come nel caso di un segretario comunale, possa continuare a lavorare con questi ritmi fino a 67 anni. Il prossimo 15 marzo maturo 37 anni di contributi (sistema retributivo) con 60 anni di età e già mi sento di non poter continuare a lavorare perchè spremuto oltre ogni limite. E’ facile per voi pontificare perchè non provate a lavorare nelle nostre condizioni e poi vedremo se continuerete a fare queste proposte, portate avanti anche dal nuovo ministro. Pensate prima a come togliere i privilegi a chi non ha dato niente e si è preso sempre tutto.

  67. Elio

    Leggo di tutti questi economisti che si dilettano al calcolo delle pensioni e dei privilegi relativi al retributivo e contributivo e di quanto sia ingiusto il trattamento calcolato sulla riforma Dini. Non vedo però nessun commento sui privilegi non dico dei politici perchè scontato, ma non parlano mai però dei soldi dati a FIAT o delle fatt. che non fanno i liberi professionisti.Basta andare in qualsiasi studio medico e guardare sulle agende l’elenco delle visite e poi a fine giornata controllare quante ricevute sono state emesse. Nessuno più parla di quando agli imprenditori venivano erogati prestiti al 3/4% e invece di investirli nelle fabbriche compravano i BOT al 9/10%. E che l’assistenza che dovrebbe essere a carico di tutta la collettività (così era prima del 69) ed invece è a carico dell’INPS ne vogliamo parlare? Il fatto è che nessuno di questi colletti bianchi sa cosa vuol dire lavorare su un’impalcatura a 20 mt d’altezza o lavorare sotto il sole in una strada a fare l’asfalto in Luglio e poi sentirsi dire che l’esposizione al sole è dannosa. Si può lavorare fino a 67 anni,Si, ma in ufficio! Ma lo mandereste vostro padre di 65 anni a riparare un cornicione a 25 mt??

  68. Precario 2

    Sarò gentile e non vi insulto, ma semplicemente vi dico.”Andate a rileggervi sul vocabolario il significato della parola equità!” Eccovi un esempio: Maria Rossi 59 anni d’età, perso il lavoro a 52 anni e mai più trovato, contributi pagati di tasca propria per raggiungere almeno i 37 anni di contribuzione con 60 anni d’età (quota 97) ed adesso di colpo dovrebbe auto pagarsi altri anni o prendere una bella penalizzazione oltre che quella dovuta al cambio di sistema di calcolo. Molto equo, molto. E di casi così ce ne sono almeno un miglione. Quante riforme pensionistiche ci sono state dal 92 ad oggi? Troppe! Amato 1992, Dini 1995, lo Salone di Maroni, gli Scalini di Damiano, le finestre mobili di Tremoni (insegnategli ad uscire dalla porta), ma questa è un salto con l’asta e non tutti possono eseguirlo. Il contributivo come sistema è giusto, ma occorrono i tempi di messa a regime. Chi sta per andare in pensione ormai è in ritardo per costruirsi una pensione complementare (come chi è giovane) e neppupre può cambiare di colpo la sua propensione al risparmio/consumo, stile di vita, (come chi è di mezza età). Dategli il tempo di adattarsi. ma invece occorre fare cassa.

  69. P. Atzori

    Confrontiamo: uomo nato in dicembre 1951, con 36 anni di contribuzione e uomo nato in gennaio1952, con 38 anni tondi di contribuzione. Il primo va in pensione nel 2012, il secondo nel 2016. L’assegno dovrebbe essere simile.

  70. Tito Boeri

    Ho letto una parte dei commenti relativi alle nuove disposizioni per il calcolo delle pensioni, e devo anch’io dire che non sono d’accordo sull’immediatezza dell’applicazione di queste norme che penalizzano troppo chi era “prossimissimo” alla pensione ed aveva quindi già programmata una sua uscita dal lavoro. Sono nata nel 1948 e sono in pensione da tre anni, vi assicuro che solo ora mi rendo conto che andando avanti con gli anni non si hanno più le stesse capacità lavorative ma finalmente, salute permettendo, si può svolgere qualche attività piacevole e si può anche fare i nonni. Non voglio dilungarmi troppo ma credo anche che non sia vero che la vita si sia allungata come ci viene detto e credo che dal lavoro si passerà direttamente alla casa di riposo, soldi permettendo.

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