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PERCHÉ NON SIA UNA LETTERA A BABBO NATALE

Nella lettera all’Europa il governo non ammette né gli errori fatti in questi anni né la necessità delle riforme indipendentemente dalla crisi in atto. Le misure indicate rimarranno solo vuote promesse? Se vogliamo che la Bce continui ad acquistare i nostri titoli di Stato, bisogna passare ai fatti. Tanto più se le proposte non mancano, come nel caso della riforma del mercato del lavoro. Gli interventi possibili contro la precarietà e l’evasione fiscale. E in una fase di debolezza del mercato interno, serve anche un sostegno ai redditi delle famiglie.

La lettera del governo all’Europa è la lettera di un governo che, a dispetto di ciò che non ha fatto nei tre anni e mezzo dall’aprile 2008 a oggi, prova a posizionarsi come l’esecutivo che intende modernizzare il paese. Non riconosce nessuno degli errori fatti e non ammette che si tratta di misure che bisognerebbe attuare indipendentemente dalla crisi in atto semplicemente perché il mondo è cambiato. Invece, nel suo preambolo, dà la colpa dei provvedimenti all’Europa disegnata male e un po’ anche al mondo e alla finanza. Così com’è, la lettera rischia di diventare come le letterine dei bambini che promettono a Babbo Natale di “fare i buoni” per ottenere i regali desiderati. Con la neanche tanto segreta speranza di poter continuare a “fare i cattivi” una volta ottenuti i regali.
Stavolta non andrà così: Natale viene una volta l’anno, mentre la Bce deve decidere tutte le settimane se continuare a comprare i titoli di Stato dell’Italia. E non sarà più morbida solo perché in cima alla sua gerarchia siede un italiano. Meglio quindi passare subito dalla lettera all’azione per dare contenuti precisi alle promesse.

COMINCIARE DALLA PRECARIETÀ

Anziché aspettare otto mesi per riformare il mercato del lavoro, già oggi si potrebbe far uscire dal cassetto la revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori secondo le linee guida indicate non certo da oggi in molti contributi sul nostro sito e nella cosiddetta proposta Ichino giacente al Senato con molte firme di parlamentari di governo e di opposizione.
Tra le altre proposte per combattere la precarietà di cui si è già discusso, di particolare attualità sembra essere quella di parificare, per i nuovi contratti e per i rinnovi, gli oneri contributivi per tutte le tipologie di contratto di lavoro, incluse le partite Iva individuali, fissandolo nella media ponderata dei contributi attuali. Oneri e benefici sarebbero a carico delle imprese: così che gli stipendi netti non cambiano. Ci sarebbero benefici competitivi a chi assume a tempo indeterminato, a danno di chi ricorre alla precarietà.
In più, sempre per rafforzare la lotta alla precarietà, si potrebbe introdurre una sovrattassa per tutti i datori di lavoro che, su base annua, impiegano più del 10 per cento di forza lavoro con contratti precari (esclusi gli stagionali). La sovrattassa potrebbe essere pari al 3 per cento del costo del lavoro precario utilizzato eccedente il 10 per cento. Il ricavato potrebbe essere destinato a garantire la continuità contributiva per tre/sei mesi dopo la fine dei contratti a termine.

E SOSTENERE LE FAMIGLIE

L’abolizione dell’articolo 18 presenta oggi un grave rischio, però. Le vendite al dettaglio sono tornate nel luglio 2011 al loro livello del 2005; e anche la grande distribuzione continua a registrare segni “meno”, dopo anni di crescita stabile. Il rischio è che in una fase di debolezza del mercato interno una più ampia possibilità di licenziare e assumere si traduca semplicemente in tanti licenziamenti in più. Dei cinquantenni che pesano troppo nei bilanci aziendali come dei giovani precari. Il pacchetto per la crescita deve quindi necessariamente comprendere anche misure che sostengano i redditi delle famiglie.
Una misura di ampia portata e potenzialmente di grande popolarità, del tutto coerente con gli obiettivi dichiarati durante l’estate di combattere l’evasione, potrebbe essere quella di rendere detraibile per il 25 per cento del totale le fatture relative a spese domestiche per sanità, assistenza, istruzione, manutenzione ordinaria e straordinaria dell’alloggio principale, fino a un massimo di 4mila euro l’anno, con indicazione sul modello unico dei percettori.

SPECIE QUANDO PENSANO AL DOMANI

E poi, sempre per dare contenuto pratico all’altro obiettivo dichiarato nella lettera all’Europa, quello di “incoraggiare l’investimento in capitale umano”, si potrebbe dare una mano soprattutto alle famiglie che mandano i figli lontano dall’università sotto casa. Lo Stato potrebbe dare un contributo generoso (del 50 per cento) sui contratti di affitto per studenti sotto i venticinque anni. In tal modo si contribuirebbe anche a fare emergere questi contratti, “neri” per la loro quasi totalità. Su questa strada, si potrebbero rendere detraibili i fondi messi a disposizione dalle imprese per borse di studio, istituendo magari un obbligo di destinare lo 0,3 per cento degli utili lordi a questo fine per le imprese quotate.
Naturalmente si può discutere e calibrare l’entità delle misure, in funzione delle disponibilità di bilancio e della volontà politica di reperire le risorse necessarie. Ma l’importante è che la lettera non finisca nel sacco di Babbo Natale con le altre.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

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MA LA CREDIBILITÀ NON È TUTTO

  1. AM

    Concordo con quanto scritto nell’articolo. La BCE non è Babbo Natale e si deve passare al più presto dalle parole ai fatti, anche se sarà duro raccogliere voti in parlamento e resistere alle pressioni delle corporazioni (confindustra, sindacati, ordini professionali, ecc). Nel campo delle locazioni si dovrebbero snellire e semplificare gli adempimenti (registrazione e segnalazione alla questura) e i costi accessori ed esentare dalla tassazione i locatori che non hanno ancora incassato i canoni.

  2. Graziano Camanzi

    Copio e incollo, TESTUALE, dalla lettera trasmessa dal Governo italiano alle autorità europee. ———- Tale piano d’azione sarà definito entro il 15 novembre 2011. a) promozione e valorizzazione del capitale umano b) efficientamento del mercato del lavoro; c) apertura dei mercati in chiave concorrenziale; d) sostegno all’imprenditorialità e all’innovazione; e) semplificazione normativa e amministrativa; f) modernizzazione della pubblica amministrazione; g) efficientamento e snellimento dell’amministrazione della giustizia; h) accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia; i) riforma dell’architettura costituzionale dello Stato. ———- Siamo a fine ottobre e il Governo si è impegnato a fare questo “pazzesco” elenco di cose in 15 giorni. Da notare, un Governo presieduto da uno che 17 anni fa aveva promesso 5 cose 5 non realizzandone, in pratica, nemmeno una. Un uomo che ci prende in giro da 17 anni (ma chi si fa ancora prendere in giro da uno così???). A me viene solo da ridere. Viva l’Italia, l’Italia che resiste.

  3. mario

    Oltre l’evasione fiscale vi è anche una delle somme dovute alla P.A. In proposito la Corte dei conti, ha condannato, con sentenze definitive di condanna a svariate persone fisiche individualmente determinate, al pagamento di somme, liquide ed esigibili, che nessuno si preoccupa di riscuotere. Per importi di 60 miliardi di euro all’anno quale maltolto da corruzione che i corrotti individuati e condannati devono rifondere alla pubblica amministrazione. Propongo che, con apposita norma di legge (meglio con un decreto legge, vista la necessità e l’urgenza di recuperare somme dovute di siffatta portata), dette sentenze definitive siano munite di clausola di immediata riscossione per mezzo di ingiunzione ai sensi della legge 639/1910, e che – trascorsi inutilmente 30 giorni dalla notificazione – siano riscosse coattivamente da Equitalia, direttamente a favore del ministero dell’Economia, che provvederà a stornarle agli enti che pur avendo il dovere di provvedervi, di norma non lo fanno per ignavia o perché costrettivi dalla Casta a loro sovra ordinata. Mario Maceroni

  4. Alessandro

    Sono d’accordo che non è il caso di prendere in giro Babbo Natale altrimenti quando si stufa (perché in realtà se ne è già accorto) ci travolge con la slitta e ci fa orinare sopra dalle renne. E mi piacciano le proposte in questo articolo perché si indirizzano dei temi a me cari, in maniera magari non globale, ma assolutamente precisa. Il primo è quello dell’evasione fiscale. In queste proposte lo vedo legato a dei “meccanismi” che la renderebbero meno conveniente (sostenere le famiglie), questa è la strada principale da percorrere. Renderla meno conveniente. Quali altri misure simili possiamo immaginare? Il secondo tema a me caro è quello del lavoro e sono d’accordo nel dire che serve flessibilità. La flessibilità è amica dell’efficienza e nemica dello spreco (che aborrisco), ma la flessibilità deve avere una contropartita, senno’ a guadarci sono sempre gli stessi. E’ quello che capita a grana grossa con le pensioni: prima di ridurre le pensioni che si elimini l’evasione fiscale! Prima di essere flessibili che ci sia il lavoro (o delle misure compensative).

  5. bob

    invece di rendere più facili i licenziamenti sarebbe da rendere molto più facili le assunzioni. Oggi per una piccola azienda è praticamente impossibile. Un mio cliente in Francia paga 400 euro di contributi su 1200 di stipendio, noi paghiamo 1400 euro di contributi sullo stesso stipendio. In questo contesto si innescano meccanismi di difficile gestione perchè ul dipendente vuole soldi in busta e quindi preferisce il nero, soprattutto se straniero

  6. LUCIANO GALBIATI

    L’articolo 18 è l’ultima (disperata) tutela contro la deregolamentazione selvaggia dei licenziamenti individuali. Una precisazione. La proposta di riforma Boeri/Garibaldi differisce in modo sostanziale da quella di Ichino. La prima conserva la tutela reale dell’articolo 18 ; tutela che si “conquista” dopo un periodo (più o meno lungo) di “flessibilità” dal momento di ogni nuova assunzione. Al contrario, la proposta Ichino, cancella l’articolo 18 sostituendolo con adeguato risarcimento economico e formazione professionale. Il modello di riferimento è la – molto costosa e forse inapplicabile in Italia – flexicurity scandinava. Tale proposta è palesemente irricevibile se l’adeguato risarcimento si riduce a poche mensilità e a qualche inutile corso di formazione professionale. Il grave rischio è sommare alla precarietà dei giovani l’ecatombe occupazionale per gli anziani. Meritevole l’intenzione di rendere più costoso il ricorso al lavoro “flessibile”; occorre anche sfoltire il numero abnorme di tipologie di contratto atipico. Particolarmente devastanti le finte partite iva e i finti “progetti” che nascondono lavoro meramente subordinato.

  7. Domenico

    Mi riferisco alla crisi “dei debiti sovrani” che sembra stia minacciando di travolgerci. Chi ha la mia età (over 65) ricorda perfettamente un tempo non molto lontano in cui sia l’inflazione che i tassi d’interesse viaggiavano allegramente oltre le due cifre. Sui BOT si è arrivati a pagare oltre il 20% e lo spread con i bund tedeschi, di cui allora non si parlava, era a quattro cifre. L’ammontare del debito pubblico era già una cifra incommensurabile per una mente normale. E la crescita non mi risulta fosse mai stata sopra il 2, massimo 3%. L’unica differenza era la lira al posto dell’euro, ma le svalutazioni “competitive”, appunto, non è che avessero una grande influenza sulla capacità di crescita. Eppure nessuno ha mai parlato di default: abbiamo passato momenti terribili di “austerity”, abbiamo pagato le tasse più strane; ci hanno sequestrato i punti di contingenza dandoci BOT in cambio; ne sono successe di tutti i colori, ma nessuno, ripeto nessuno ha mai pensato o detto che stavamo per fallire o dubitato che il Tesoro non fosse in grado di ripagare quei buoni. Ora i BTP sono al 6%, l’inflazione non arriva al 3%, e sento dire che abbiamo massimo sei mesi di vita. Qualcuno può spiegarmi il motivo di questo allarme? Cosa è cambiato?

  8. Piero

    Gli annunci ufficiali sia della Bce che del Governo italiano non parlano di fallimenti, sono i giornali che nella maggior parte dei casi sono portati allo sfascio pur di dare notizie per aumentare la tiratura.

  9. AM

    La spiegazione è semplice. Adottando l’euro, abbiamo rinunciato alla sovranità monetaria. La nostra situazione antecedente è come quella odierna di USA e Inghilterra che non hanno il rischio di default. Il debito pubblico italiano era espresso in lire e quindi la possibilità di rimborso non era in discussione.

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