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QUELL’INCERTEZZA CHE FA MALE ALL’EUROPA

Non è scontato che una nuova ricapitalizzazione delle banche sia sufficiente a spezzare il circolo vizioso fatto di incertezza sulla loro solidità, caduta dei mercati e stagnazione dell’economia. Siamo in un paradosso analogo alla trappola della liquidità. Meglio allora puntare sul ridimensionamento dei valori dell’attivo delle banche su livelli più adeguati a quelli attuale dei patrimoni. Un default controllato e concordato eliminerebbe le incertezze sul valore dei crediti verso Grecia, Irlanda e Portogallo. E gli elementi di contagio nei confronti di Spagna e Italia

 

È stata un’’estate da dimenticare per le banche mondiali. Solo dopo il fallimento di Lehman si era assistito a crolli di borsa generalizzati come quelli registrati da luglio in poi. Guardando all’’ampio campione di banche globali analizzato da Ubs, rispetto a un anno fa, nel solo mese di agosto, le banche americane hanno perso il 13 per cento, quelle britanniche il 25 e quelle dell’Europa continentale fra il 30 e il 40 per cento. (1) Ancora peggio ovviamente, Grecia e Portogallo. Un disastro, insomma.

RICAPITALIZZARE NON È LA RICETTA GIUSTA

Molti, a cominciare dal nuovo direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, hanno chiesto di sottoporre le banche, soprattutto europee, a una nuova cura di ricapitalizzazione. Non è però scontato che questo possa avvenire, né che sia sufficiente a spezzare l’’attuale circolo vizioso fatto di incertezza sulla solidità delle banche, caduta dei mercati e stagnazione dell’economia.
È ormai chiaro che la stagnazione è dovuta all’’eccesso di debiti che pesa come un macigno sulle principali economie: al livello eccezionale di debiti privati accumulato negli anni della lunga bolla del credito, si è aggiunta l’’esplosione dei debiti pubblici dal 2008 in poi. Per non parlare dei paesi come il nostro che si erano portati avanti con i compiti facendo esplodere il debito pubblico fin dagli anni Ottanta. Ma come si fa a smaltire l’’eccesso accumulato? Governi e autorità avevano finora puntato su un assorbimento graduale e in qualche modo indolore. Un cocktail fatto di crescita economica, rigore fiscale e sostegno alle banche (anche con tassi di interesse eccezionalmente bassi) avrebbe dovuto riportare il debito a livelli sostenibili. Purtroppo quello scenario ottimistico è stato superato dai fatti e l’’ipotesi di una lunga stagnazione si fa sempre più concreta.
Può servire un’’ulteriore immissione di capitale nelle banche? Giunti a questo punto, è lecito dubitarne, soprattutto perché la ricapitalizzazione avvenuta finora è tutt’altro che trascurabile. Gli stress test europei sono stati superati dalla stragrande maggioranza delle banche solo grazie agli oltre 50 miliardi di euro raccolti negli ultimi mesi. Una ricerca di Citibank dimostra che dall’’inizio della crisi le banche europee hanno aumentato i capitali di oltre 270 miliardi. È difficile immaginare un ulteriore sforzo nelle condizioni attuali dei mercati, con prospettive di reddito corrente assai problematiche e soprattutto tenendo presente che ormai quasi tutte le grandi banche hanno una capitalizzazione largamente inferiore ai valori contabili e dunque dovrebbero emettere nuove azioni a condizioni a dir poco stracciate.
Non a caso, la lobby dei banchieri ha immediatamente rilanciato. Non di nuovi capitali abbiamo bisogno, affermano, ma di una bella garanzia sulle emissioni a lungo termine, magari usando il Fondo europeo costruito per aiutare gli Stati in difficoltà. Insomma, un’’altra tornata di sussidi alle banche, in forma più discreta magari, ma politicamente ancora più inaccettabile dei salvataggi passati.

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UN CAMBIO DI STRATEGIA

Che fare allora? La domanda vera da porsi è: qual è il livello di capitale che può essere considerato adeguato dal mercato nelle attuali condizioni? Purtroppo non esiste un numero magico da inseguire. La crisi è dovuta all’’incertezza sul valore effettivo delle attività detenute dalle banche, che ha un duplice effetto negativo: aumenta le probabilità di perdite sotto forma di svalutazioni e aumenta il costo della raccolta sul mercato, che è elevata soprattutto per le banche europee.
Siamo così in un paradosso analogo alla trappola della liquidità: qualunque azione dei policy-maker viene vanificata dall’’incertezza. Per questo motivo, appare più importante cambiare strategia e puntare non sull’’aumento dei patrimoni, ma sul ridimensionamento dei valori dell’’attivo delle banche su livelli più adeguati al livello attuale dei patrimoni. Innanzitutto, possono essere le stesse banche a sottoporsi a cure dimagranti, eliminando le molte attività non strategiche accumulate negli anni del boom effimero. Soprattutto, occorrerebbe riportare il valore dei debiti, sia privati sia pubblici, a livelli ragionevolmente sostenibili. Per quanto riguarda il settore privato americano, Raghuram Rajan ha citato sul Financial Times una proposta di Eric Posner e Luigi Zingales che potrebbe dare un contributo importante anche nei paesi europei come il Regno Unito che si trovano in posizione analoga. (2)
Ma la cosa più urgente è stendere un cordone sanitario intorno ai tre paesi europei che sono ormai in condizioni di insolvenza. Anche il piano di luglio, che pure imponeva modeste perdite alle banche creditrici, è stato sonoramente bocciato dai mercati, con l’’effetto di estendere definitivamente il contagio a paesi come Italia e Spagna che non solo hanno problemi ben più gestibili, ma soprattutto hanno debiti pubblici troppo grandi per l’’attuale livello di capitale delle banche. Non dobbiamo dimenticare che da trent’’anni la vigilanza prudenziale è basata sull’’ipotesi che il debito dei grandi paesi sovrani sia esente da rischio. E quindi non richieda nemmeno un centesimo di capitale. Semplicemente, l’’attuale sistema bancario internazionale è geneticamente inadeguato a sopportare un mondo in cui vi sono rischi di insolvenza collegati a grandi emittenti sovrani.
Come dimostrano i dati degli stress test di luglio e le recenti voci sulle stime del Fondo monetario internazionale, il livello attuale di capitale è sufficiente a sopportare significativi write-down dei crediti verso Grecia, Irlanda e Portogallo, anche proporzionali agli attuali tassi di perdita impliciti nei Cds. (3) Un default controllato e concordato eliminerebbe le incertezze sul valore dei crediti ai paesi periferici e dunque gli elementi di contagio nei confronti di Spagna e Italia. Questi ultimi dovrebbero avviare programmi credibili di risanamento dei conti pubblici e di rilancio dell’economia (una bella impresa, almeno per noi, visto l’andazzo delle ultime settimane), ma non sarebbero più le vittime indirette dei problemi dei tre paesi periferici.
Ovviamente, questo presuppone una capacità politica dell’’Europa che è finora mancata, ma dopo quello che è successo nelle settimane scorse non c’è più dubbio che il tempo delle soluzioni di compromesso è finito e che è in gioco ormai la sopravvivenza dell’’euro e dell’’intera costruzione europea.

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(1) Ubs, Global Bank Valuations, 1 September 2011.

(2) Raghuram Rajan, Why we cannot inflate our way out of debt, in “The Financial Times”, 15 August 2011. Per i dettagli della proposta: Eric Posner e Luigi Zingales, A Loan Modification Approach to the Housing Crisis, University of Chicago, 2011.

(3) Alan Beatt e Chris Giles, IMF and eurozone clash over estimates, 31 August 2011.

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LE BANCHE EUROPEE E I CAPITALI NECESSARI

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LA STANGATA

  1. Raffaello Carinci

    Più che un commento, una domanda. Quando si parla di debito pubblico italiano ci si riferisce al debito dello stato (che viaggia verso i 2.000 miliardi di Euro) rappresentato da strumenti finanziari delle tipologie note. Vi chiedo: nella valutazione del nostro paese come e dove viene considerato il debito degli enti territoriali (regioni, province, comuni) e dei loro entti strumentali? La domanda viene spontanea constatando da un lato, ad esempio, che tantissimi comuni sono endemicamente in “anticipazione” di tesoreria o hanno in essere mutui con banche, dall’alytro che di questa voce di debito “collettivo” (e, per le banche creditrici, del relativo rischio di credito), nessun analista parla mai. Se il mio dubbio è fondato (si tratterebbe di un bel po’ di “spazzatura” nascosta sotto il tappeto) non pensate sia necessaria una bella indagine sullo specifico aspetto? Vi ringrazio per la risposta e per il servizio che svolgete. Cordialità. Raffaello Carinci

  2. francesco pontelli

    Ascoltando le ” troppe ” trasmissioni nelle quali tutti offrono le proprio ricette…. sono rimasto sbalordito dall’On.Letta in relazione le Sue ” ricette ” come risposta ai mercati internazionali ed alle indicazione di rigore che vengono della UE . Per sconfiggere l’evasione la tracciabilità a 500 euro regala difatto alle banche altro spazio, quindi sarebbe opportuno o che i costi fossero detraibili dalla dichiarazione dei redditi non solo per i soggetti a partita Iva ma per tutti i contribuenti . Per altro si ricorre sempre ad un ipotetico codice etico quando si pretende dal contribuente che chieda la fattura ma non si pensa mai a offrire anche un incentivo fiscale per richiedere la stessa. Lo stesso codice etico poi sparisce quando si parla di verificare dove e come vengano spese le risorse dagli enti pubblici : ricordo che qui a Mestre ci sono degli stupendi analfabeti economici che percepiscono 250.000 euro con contratti a tempo indeterminato presso le società partecipate dal comune . Ricordo , poi , che fu il Governo Prodi, del quale Letta era ed è nostalgico sostenitore, ad abbassare l’età pensionabile annullando lo ” scalone Maroni “.

  3. giuseppe baraldi

    Un articolo lucido e purtroppo assolutamente condivisibile. Temo siamo ormai alla “cronaca di una morte annunciata”. L’intera classe politica europea, con la nostra decisamente peggiore, pare essere guidata solo dalla difesa dei suppposti interessi nazionali e comunque delle corporazioni .Dobbiamo forse accontentarci del fatto che, almeno fino ad ora, stiamo evitando un grande conflitto armato mondiale come successo nel secolo scorso? O possiamo solo sperare che le anchilossate democrazie elettorali partoriscano una leadership capace di governare pacificamente il riequilibrio mondiale delle risorse e del “benessere” o, per meglio dire , del “malessere” o forse di un “diverso essere”?

  4. Umberto Cherubini

    Concordo con il fatto che uno dei temi di fondo della crisi attuale sia il problema della incertezza, intesa come mancanza di trasparenza dei bilanci. Su questo ho commentato nel mio blog su http://www.linkiesta.it .Non concordo invece con l'ipotesi di un "default controllato". In primo luogo, è proprio il tentativo di default controllato del 21 luglio sul debito greco che ha innescato i problemi di reporting contabile che il chairman dello IASB ha segnalato nella sua recente lettera all'ESMA (di fatto ha segmentato il mercato). In secondo luogo, il default è un gioco tra i creditori ed il debitore, e non vedo come tagliare il debito greco da 150% del GDP a 130% possa rappresentare un equlibrio per il debitore. Se per default controllato si intende ristrutturazione, un equilibrio potrebbe essere una perdita tra il 50 ed il 70% del nominale, e sarebbe una pessima notizia per le banche europee.

  5. mirco

    Se è vero come è vero che ora gli stati si ritrovano con deficit pubblici enormi e ancora la crisi economica in atto, occorre veramente cambiare strategia: nazionalizzare le banche, rimetterle in sesto senza creare danni all’economia reale, riconducendole alla loro attività tradizionale. Ri-separare le banche tradizionali da quelle ad investimento rischioso. Ripartire con i bond europei anche per avviare lo sviluppo.

  6. SAVINO

    Controllato o non controllato, io tifo per il default. Sarà questa, a mio avviso, l’unica amara conclusione della vicenda italiana, fatta di decenni di incuria del debito pubblico. Ci si dovrà, poi, rimboccare le maniche per risorgere dalle macerie. In fondo, ad un anziano con la pensione al minimo o ad un cassintegrato cosa cambia se il debito sovrano crolla o è ristrutturato? In entrambi i casi non si riescono a risolvere i loro problemi. Bisogna constatare il fallimento di quelli che millantano di essere politici o economisti e mandarli a casa, sostituendoli con gente più giovane e che viene dal basso. Sarà, infatti, un uomo della strada a sollevarci da questi problemi.

  7. Silvio

    La nazionalizzazione delle banche mi sembra davvero una non soluzione, anche se questi continui inviti alla ricapitalizzazione costituiscono, secondo me, un tentativo di ottenerla in modo strisciante. Nessun azionista privato sarà infatti più disponibile a mettere un solo soldo in imprese che, oberate da un eccesso di capitale di rischio, non potrebbero più remunerarlo in modo appropriato. Che senso ha, poi, che le banche (la cui debolezza deriva soprattutto dall’avere negli attivi titoli del debito pubblico) vengano ricapitalizzate dallo Stato? Si arriverebbe, nel caso dell’Italia (ma non solo), all’assurda coincidenza fra la causa della debolezza e la fonte della ricapitalizzazione. Bisogna risanare le finanze pubbliche e ricostituire la fiducia nel debito pubblico europeo: questa è la sola soluzione che, se praticata, risanerebbe buona parte degli attivi bancari e annullerebbe la necessità di ulteriori ricapitalizzazioni o, peggio, nazionalizzazioni. Qualcuno si ricorda come venivano gestite le grandi banche italiane quando erano nelle mani pubbliche? Altro che sub-prime!

  8. piero

    Ad oggi non ho letto una soluzione possibile per la sistemazione del debito pubblico italiano, tutti ritengono che è impossibile riportare al livello medio UE dell’87%, circa 500 miliardi, in dieci anni dobbiamo pagare 50 miliardi annui più gli interessi pari a 100 miliardi annui, ciò in presenza di una piena recessione economica che lascia fermo il pil italiano, senza la possibilità del governo italiano dello strumento della politica monetaria. Se l’Italia fino ad oggi ha retto ad una situazione simile, penso che siamo il paese migliore della zona euro. Non dobbiamo dimenticare che il problema permane e nessuno ha proposto delle soluzioni strutturali, è chiaro che l’evasione va combattuta, è chiaro che le spese pubbliche vanno controllate e rese produttive, ciò non è la soluzione, in quanto a livello economico sia l’aumento delle imposte da evasione che la diminuzione delle spese dei consumi deprimono la domanda interna e quindi si crea piu recessione se non aumentiamo l’esportazioni, che oggi con la politica monetaria attuale sono penalizzate.

  9. andrea

    L’unica via è quella dell’insolvenza del debito. Non si paga.

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