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LE BANCHE EUROPEE E I CAPITALI NECESSARI

Per andare oltre l’eterna emergenza degli ultimi anni le banche europee devono fare un nuovo giro di stress test e ricapitalizzarsi. Glielo suggerisce il Fondo monetario internazionale. Ma l’Europa per ora fa finta di niente. Fino alla prossimo salvataggio, quando i contribuenti e la Banca centrale europea potrebbero chiudere il rubinetto.

Christine Lagarde, il nuovo direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale, è stata chiara, anche se un po’ sintetica: le banche europee devono ricapitalizzare. Voleva dire che devono irrobustire il loro capitale per far fronte alla situazione di incertezza sul fronte dei debiti pubblici di cui sono pieni gli attivi dei loro bilanci. Ma la Commissione europea e a ruota le banche europee stanno facendo finta di niente. Fanno male. Fare finta di niente sulla necessità di nuovi e più sensibili stress test e dei possibili ulteriori aumenti di capitale oggi significa proseguire nella strategia “ha da passa’ ‘a nuttata” seguita finora nella gestione della crisi finanziaria. Strategia che non ha funzionato e non funziona.

LA SIGNORA LAGARDE E L’EUROPA CHE FA FINTA DI NIENTE

Sulle borse europee i titoli bancari vanno un po’ meglio dopo le tempeste di agosto, trainati da buoni o ottimi risultati trimestrali di bilancio. Addirittura, le azioni delle banche greche in un solo giorno (il 29 agosto) hanno guadagnato in alcuni casi il 20 per cento, sulla spinta di notizie relative a una possibile fusione tra due banche locali, Eurobank e Alphabank, che ha alimentato la convinzione (la pallida speranza, per ora) che le banche greche possano farcela senza ulteriori iniezioni di capitale pubblico. In questa situazione è quindi arrivata come un fulmine a ciel sereno la frase pronunciata dalla signora Lagarde, che vorrebbe obbligare le banche europee a rafforzare il loro capitale di riserva a fronte del persistere della crisi dei debiti sovrani.
Bisogna dire che la signora Lagarde non si è svegliata una mattina di cattivo umore. La sua opinione è per esempio condivisa dall’ex capo economista del Fondo, Simon Johnson, che da tempo (ad esempio sul suo blog del
New York Times il 25 agosto) sostiene la necessità di un nuovo giro di stress test per le banche europee. Vale la pena di fare gli stress test (esercizi del tipo “cosa succede se …” per capire quanto solidi sono i bilanci delle banche) se li si fa per davvero, cioè valutando la probabilità di eventi anche spiacevoli che potrebbero verificarsi. Come spiega Johnson, il recente round di stress test svoltosi sotto la guida della neonata Eba (European Banking Authority), così come il precedente di metà 2010, non ha soddisfatto questo prerequisito perché la probabilità del default sui debiti sovrani dei paesi europei non è stata considerata tra gli eventi di cui valutare il potenziale impatto. E infatti, la pubblicazione dell’esito degli stress test, proprio nei giorni della tempesta motivata anche dai dubbi sulla solvibilità di Spagna e Italia, non è stata presa molto sul serio dai mercati.

ANDARE OLTRE L’EMERGENZA

Eppure, l’Europa – cioè la Commissione Europea e le banche europee – sembra fare spallucce di fronte alle esigenze poste dal direttore esecutivo del Fondo e dal suo precedente capo economista. Si tratta di un grave errore. Vorrebbe dire proseguire la strategia seguita fino a questo momento nella gestione della crisi cominciata sulle borse di tutto il mondo nell’agosto 2007 e poi culminata con il fallimento di Lehman Brothers del settembre 2008 e la Grande Recessione del 2009.
L’approccio “ha da passa’ ‘a nuttata” seguito finora non ha funzionato e non funziona. Non si può andare avanti come se nulla fosse quando arriva una brutta notizia (di recente: si diffonde l’opinione che il governo del paese x potrebbe essere insolvente nel rimborso del suo debito, con “x” collocato nell’Europa del sud). Le cose sono cambiate rispetto al 2007-09: la prossima volta, quando ci sarà di nuovo da
batter cassa, le banche presso i governi nazionali e i governi nazionali, ormai in bolletta, presso i contribuenti o la Banca centrale europea, potrebbero trovare la cassa chiusa. Meglio dunque fare qualcosa prima che l’esigenza si manifesti. Meglio procurarsi l’estintore prima che scoppi il prossimo incendio.
E tra gli istituti chiamati a dover fare qualcosa, potrebbero esserci anche le
banche italiane che pure sono uscite indenni dagli stress test di luglio 2011. Per due ragioni. Prima di tutto, i loro attivi (vicini ai 3000 miliardi) riportano per 200 miliardi circa titoli del debito pubblico italiano, cioè titoli di un governo che continua a rinviare pericolosamente nel tempo la predisposizione di una manovra della qualità e della quantità richiesta dalla situazione. La quota di titoli del debito pubblico italiano non è dunque una frazione troppo elevata del loro attivo, ma non può essere sottovalutata. In secondo luogo, come ricordava Maximilian Cellino sul Sole 24 Ore, proprio la manovra prevede l’omogeneizzazione del trattamento fiscale delle rendite finanziarie, il che porterà ad aumentare dal 12,5 al 20 per cento la tassazione su una delle fonti privilegiate di approvvigionamento di fondi delle banche italiane, cioè l’emissione di obbligazioni bancarie, che i risparmiatori italiani sono abituati a sottoscrivere massicciamente consigliati dal loro consulente bancario di fiducia, ma che potrebbero diventare meno appetibili nel futuro

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MEDICINA, UN TEST DA RIFARE

  1. Tommaso Pieragnoli

    Sono d’accordo, ma credo che oltre alla ricapitalizzazione sia necessario anche una nuova regolamentazione sulla materia finanziaria. Si deve suddividere le banche in due categorie: retail e banche d’affari. Per avere effetto dovrebbe comunque essere adottata dalle maggiori economie mondiali. Se non ricordo male fino al 2000 negli Stati Uniti questa normativa era in vigore poi abrogata dall’amministrazione Clinton. Questa deregulation ha poi creato la crisi odierna…

  2. Silvio

    Fino a che livello le banche troveranno investitori privati disponibli a sobbarcarsi l’onere di nuovi aumenti di capitale? Il Roe del settore bancario è già ridotto al lumicino: aggiungere nuovo capitale di rischio significa ridimensionarne ulteriormente la redditività. Non vedete in questi pressanti inviti a nuove iniezioni di capitale un tentativo di nazionalizzare il settore?

  3. Alberto

    Ho letto questa mattina un articolo sul WSJ on line che mi ha reso ancora più perplesso sulle banche europee. La Banca dei regolamenti internazionali sostiene che le banche europee hanno un’esposizione verso l’economia greca di 94 miliardi di Euro, di cui 40 quelle francesi e 24 quelle tedesche. Dexia ha un’esposizione verso il debito greco pari al 39% del suo capitale, Commerzbank del 27%. L’UBS stima che le banche europee hanno nei loro bilanci 46 miliardi di Euro di debito greco: 9.4 le banche francesi, 7.9 quelle tedesche. Sarà poi interessante vedere se queste banche hanno provveduto a valutare questi debiti a prezzi di mercato. Come si vede la strada da fare è tutta in salita.

  4. Silvio

    E’ vero che gli attivi delle banche europee sono colmi di titoli di Stato periferici, ma se è questo il problema (e lo è) quale azionista di buon senso potrebbe rispondere positivamente alla chiamata per un’ennesima ricapitalizzazione? Aderire ad un aumento di capitale che ha come unico obiettivo quello di ripianare perdite che sono già nella realtà dei fatti, ma ancora da contabilizzare, significa vedere azzerare in pochi giorni il valore della liquidità versata (fenomeno puntualmente verificatosi in occasione dei recenti aumenti di capitale). Curare la crisi finanziaria ricapitalizzando le banche significa preoccuparsi dei sintomi della malattia ignorandone la causa. Bisogna andare alla radice del problema: solo restituendo credibilità al debito pubblico europeo la crisi si risolverà. Non importa come (Eurobond, politiche restrittive di bilancio, monetizzazione del debito etc.), ma solo ristabilendo la piena fiducia nei titoli di Stato europei gli attivi delle banche cesseranno di essere fonte di preoccupazione.

  5. mr.d

    E’ importante sapere che chi decide se e quante banconote stampare sono le Banche Centrali. Prima che l’Italia entrasse nell’euro, a decidere era la Banca d’Italia. Dopo che il nostro Paese è entrato nell’euro, questa decisione e questo potere è stato trasferito alla Banca centrale Europea (BCE). Per gli europei la BCE rappresenta la banca centrale mentre per gli americani la stessa figura è rappresentata dalla FED che ha il potere di decidere se e quanta moneta stampare. Ora starai pensando che le Banche centrali (BCE e FED) appartengano allo Stato o agli Stati. Errore, esse sono detenute da soggetti Privati. Per farti un esempio, la Banca d’Italia detiene il 14% della Banca centrale europea, ma chi detiene la Banca d’Italia? Le quote di maggioranza sono di Unicredit, Generali e Intesa SanPaolo e, come sai, le quote delle suddette banche sono in mano ai Privati!

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