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La posizione netta verso l’estero di un paese, cioè la differenza tra le attività e le passività finanziarie con i non residenti, è un indicatore tornato al centro dell’attenzione. Perché alcuni paesi investiti da turbolenze finanziarie sono caratterizzati da una Pne fortemente debitoria. E l’Italia? Bisogna tener conto delle attività di portafoglio detenute all’estero e non dichiarate. Il saldo debitorio effettivo potrebbe essere inferiore, al 17,5 per cento del Pil.

La posizione netta verso l’estero (Pne) di un paese,– cioè la differenza tra le attività e le passività finanziarie con i non residenti, è un indicatore macroeconomico tornato di recente al centro dell’attenzione. Alcuni paesi investiti da turbolenze finanziarie sono caratterizzati da una Pne fortemente debitoria. Come si vede nella tavola, in Grecia la Pne è negativa per il 98 per cento del Pil alla fine del 2010; i valori corrispondenti per l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna sono il 97, il 108 e l’87 per cento dei rispettivi Pil. In Italia, la Pne è negativa per un ammontare decisamente inferiore, circa il 24 per cento del Pil.

ATTIVITÀ SOTTOSTIMATE

Varie considerazioni, fra cui la dimensione rilevante delle attività estere emerse con gli “scudi fiscali” del 2001-2003 e del 2009-2010, inducono a ritenere che le attività dell’Italia verso il resto del mondo siano sottostimate. (1) In realtà, il problema è generale e non riguarda soltanto l’Italia. Contabilmente, nel mondo le attività sull’estero di un paese dovrebbero corrispondere alle passività verso l’estero segnalate dagli altri paesi verso di esso. I dati non soddisfano però questo vincolo contabile, in particolare per gli investimenti di portafoglio (azioni, fondi comuni di investimento e titoli di debito). Sebbene la tendenza sia meno netta nei periodi più recenti, i confronti internazionali mostrano fino al 2008 una preponderanza a livello globale delle passività di portafoglio verso l’estero rispetto alle attività dichiarate dai paesi investitori. I paesi tendono quindi a sovrastimare le proprie passività e/o a sottostimare le proprie attività. È molto probabile che il secondo caso sia predominante, verosimilmente a causa della omessa dichiarazione di attività detenute dai soggetti privati al di fuori del canale degli intermediari nazionali, sui quali ricadono obblighi di segnalazione statistica.

STIME SULLE ATTIVITÀ ALL’ESTERO

In un nostro lavoro abbiamo verificato questa ipotesi e quantificato il potenziale ordine di grandezza del fenomeno. (2) Il metodo di stima è basato sul confronto delle statistiche mirror degli investimenti di portafoglio. Questi ultimi sono i dati sullo stesso fenomeno derivabili dalle statistiche prodotte dai paesi controparte. Il lavoro si avvale delle informazioni derivanti dalla Coordinated Portfolio Investment Survey (Cpis) condotta dall’Fmi, integrati da una pluralità di statistiche internazionali. La discrepanza a livello globale – la somma delle discrepanze di ogni paese – si attesta, nella media del periodo 2001-2008, al 7,3 per cento del Pil mondiale (a fine 2008 era pari a circa 4.500 miliardi di dollari). L’under-reporting è particolarmente accentuato per i fondi comuni di investimento in Lussemburgo – dove le attività segnalate dai paesi investitori raggiungono solo il 60 per cento delle passività dichiarate da questo paese – e nei centri off-shore. Sui titoli di debito, la discrepanza risulta meno marcata e riguarda soprattutto i titoli emessi dai maggiori paesi (Stati Uniti, Francia, Olanda, Giappone e Italia ai primi posti).
La distribuzione dell’
under-reporting complessivo tra i paesi conduce per l’Italia a una stima di circa 140 miliardi di euro a fine 2008. L’approccio da noi seguito è uno dei possibili metodi per valutare le attività all’estero non dichiarate e prescinde dalle modalità usate dai soggetti economici per la detenzione all’estero di tali fondi, ad esempio tramite società anonime residenti in centri offshore. A una stima di importo simile o superiore si potrebbe arrivare partendo da valutazioni basate sulla dimensione dell’economia sommersa italiana.
Le stime relative a fine 2008 sono state confrontate con i dati dello
scudo fiscale del 2009-2010. Poiché i titoli di portafoglio “scudati” ammontano a poco meno di 60 miliardi di euro, le attività estere di portafoglio ancora non dichiarate – e quindi non incluse nella Pne ufficiale dell’Italia – sarebbero pari a circa 80 miliardi (5,5 punti percentuali di Pil). (3) Per la fine del 2010, tenendo conto degli aggiustamenti di valutazione, una proiezione innalzerebbe l’integrazione per i capitali non dichiarati al 6,8 per cento del Pil. Aggiungendo tale stima alla Pne, dell’Italia il saldo debitorio scenderebbe dal 24,3 al 17,5 per cento del Pil.

Per quanto riguarda gli altri due settori eventualmente interessati da under-reporting, gli investimenti diretti e i depositi bancari, gli elementi esaminati lascerebbero supporre che l’entità dei capitali non dichiarati dovrebbe essere meno rilevante di quella relativa alle attività di portafoglio. (4)
Le nostre stime delle attività sull’estero non dichiarate provengono da analisi preliminari. Sono necessari approfondimenti ulteriori per valutare il loro eventuale impiego nella compilazione delle statistiche ufficiali italiane. Su questo tema sono importanti il coordinamento con le istituzioni internazionali e la discussione con quei paesi che osservano distorsioni simili nelle statistiche sull’estero.

* Banca d’Italia, Servizio Statistiche economiche e finanziarie: le opinioni espresse dagli autori sono personali e non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.


(1)
Si veda la nota metodologica al Supplemento al Bollettino statistico bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero pubblicato il 23 giugno 2011 e disponibile nel sito web della Banca d’Italia.
(2)
Si veda “Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività sull’estero non dichiarate dagli italiani”, a cura di Valeria Pellegrini ed Enrico Tosti, pubblicato nella collana “Questioni di economia e finanza” della Banca d’Italia.

(3)
È stata attribuita all’ammontare dei titoli scudati anche larga parte dei depositi scudati probabilmente originati dalla liquidazione di portafogli in titoli immediatamente precedente alla regolarizzazione.
(4)
Le caratteristiche delle statistiche internazionali attualmente disponibili in questo ambito rendono però scarsamente affidabili stime di questo genere.

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  1. Marco Galbiati

    Grazie, articolo molto interessante. Mi domando se si abbiano info simili su altri paesi, per facilitare il confronto. La tabella nell’articolo suppongo si riferisca a dati ufficiali, ovvero possibilmente da ‘ritoccare’ per tenere conto dell’under-reporting.

  2. cristina raciti

    Il testo dell’articolo sembra suggerire il contrario: ma Lussemburgo rientra nella categoria centro di finanza offshore.

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