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L’ITALIA VIRTUOSA DELLA SPESA SANITARIA

L’Italia scivola sempre più indietro nella classifica dei paesi Ocse per la spesa sanitaria. Ma la perdita di posizioni non è una cattiva notizia. Anzi è ottima, perché il nostro paese dimostra di avere saputo controllare la dinamica della spesa più e meglio di altri. Tra il 2000 e il 2009 il tasso di crescita della spesa pro-capite è stato dell’1,6 per cento all’anno, contro una media Ocse del 4 per cento. Sono le pessime condizioni della finanza pubblica e l’impegno ad azzerare il deficit a negare risorse per una crescita fisiologica del settore.

L’Italia scivola sempre più indietro nella classifica dei paesi Ocse per la spesa sanitaria. Ma non è una cattiva notizia. Sono appena stati pubblicati gli OECD Health Data 2011 dove il nostro paese figura al diciottesimo posto. Dieci anni fa occupava stabilmente la posizione mediana (quindicesimo posto) tra i trentuno paesi dell’organizzazione, oggi divenuti trentaquattro, per spesa pro-capite: era difficile allora stabilire se dovesse allargare o contenere la spesa. Guardando a destra della graduatoria, si poteva argomentare in favore di un maggiore livello di spesa, seguendo Francia, Germania, Canada e Stati Uniti; guardando a sinistra, si poteva sostenere la necessità di risparmiare, come i paesi più virtuosi: Regno Unito, Giappone, Spagna. Nel 2002 l’Italia era passata al sedicesimo posto, nel 2003 al diciassettesimo e nel 2004 al diciannovesimo posto, superata stabilmente da Regno Unito, Irlanda, Finlandia, e per qualche anno insidiata da Giappone e Grecia.

STESSO POSTO PER DUE CLASSIFICHE

Esistono due modi per misurare la posizione relativa di un paese nei confronti degli altri: il primo è attraverso la spesa pro-capite (in dollari a parità di potere d’acquisto), il secondo come incidenza percentuale della spesa sanitaria sul Pil. La spesa da considerare è quella corrente totale (pubblica e privata), esclusi gli investimenti. (1)
Secondo la prima graduatoria, l’Italia con 3.020 dollari (in ppa) nel 2009 è superata non solo dai maggiori paesi (Usa 7.598 dollari, Canada 4.139, Germania 4.072, Francia 3.872, Regno Unito 3.311), ma anche da piccoli paesi come Svizzera, Paesi Bassi, Norvegia, Danimarca, Austria, Belgio (vedi tabelle 1A e 1B). Oggi è
sotto la media dei paesi Ocse. La classifica cambia poco se si considera la sola spesa sanitaria pubblica. L’Italia perde quattro posizioni nell’ultimo decennio, passando dal quattordicesimo al diciottesimo posto.
Anche secondo l’altra classifica l’Italia si colloca oggi al diciottesimo posto con il
9,1 per cento sul Pil, dopo aver tenuto per un decennio la quattordicesima-sedicesima posizione. È stata superata nel 2009 da Portogallo, Grecia, Spagna e Regno Unito. I maggiori paesi hanno da tempo oltrepassato la soglia del 10 per cento: Francia (11,5 per cento), Germania (11,2 per cento), Canada (10,8 per cento), per non dire degli Stati Uniti, che hanno raggiunto addirittura il 16,6 per cento . La graduatoria si basa sul rapporto tra due grandezze e dunque risente dell’andamento del Pil (al denominatore), che negli ultimi anni è crollato o è rimasto fermo.
Ma la perdita di posizioni non è una cattiva notizia, anzi è ottima, perché l’Italia dimostra di avere saputo controllare la
dinamica della spesa più e meglio di altri paesi. Tra il 2000 e il 2009 il tasso di crescita reale (depurato dell’inflazione) della spesa pro-capite è stato in Italia dell’1,6 per cento all’anno, contro una media Ocse del 4 per cento, percentuale che ci colloca al terzultimo posto per incremento. Nello stesso periodo nel Regno Unito la crescita annua è stata del 4,8 per cento, in Spagna del 4 per cento, in Grecia del 6,9 per cento, negli Usa del 3,3 per cento. Una crescita inferiore alla media Ocse si era registrata anche nel decennio precedente (2 per cento per l’Italia contro il 3,7 per cento dell’Ocse), segno che la politica di controllo della spesa, perseguita da tutti i governi in carica, ha avuto successo. Senza peraltro fare troppi danni, perché l’Italia è pur sempre al terzo posto in assoluto per aspettativa di vita (81,8 anni), dietro a Giappone e Svizzera. Spendere di meno o di più non implica di per sé un peggioramento o un miglioramento delle condizioni di salute: non c’è a tutt’oggi evidenza scientifica di questa relazione. Il nostro paese segue da anni un sentiero virtuoso per la sanità (statisticamente provato), spendendo quanto il livello di sviluppo economico ci “permette” di spendere. Non vive al di sopra dei propri mezzi, come sembra invece accadere per Germania, Francia, Canada, Svizzera, Grecia, Portogallo e, soprattutto, Stati Uniti.
Dunque, se non fosse per le pessime condizioni della finanza pubblica e l’impegno ad azzerare il deficit, non vi sarebbe ragione di negare risorse a una
crescita “fisiologica” della sanità italiana (+1,6 per cento reale e +2 per cento di crescita dei prezzi). Come fa invece la manovra finanziaria, che prevede solo un +1 per cento sull’intero triennio. È la solita – ma efficace – politica del sotto-finanziamento, che ha prodotto alcuni guasti, ma garantito il controllo della spesa (deficit compresi). In attesa di mettere mano ai veri sprechi della sanità.


(1) Diversamente dall’Ocse, che abitualmente li include.

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MEDICINA, UN TEST DA RIFARE

  1. Marco Spampinato

    Da due recenti inchieste giornalistiche si apprende che investimenti realizzati in sanità pubblica in Calabria (Ospedale di Geraci, con tanto di pannelli solari; e un Ospedale in provincia di Cosenza) non sono mai stati aperti (Geraci) o verranno chiusi (prov. di Cosenza) per necessità di contenimento della spesa, dopo che è stato appena completato l’acquisto di costosi macchinari; tutto ciò mentre il vicino ospedale di Cosenza è stracarico, ciò che comporta forti disagi alla popolazione. La popolazione poi, immancabilmente, va a rivolgersi alle strutture private, convenzionate (ne sono state aperte nuove a Geraci). Capire “come” si taglia la spesa è quindi indispensabile per espirmere un giudizio, una valutazione, sul suo “contenimento”. Anche pensando alla fatiscenza di molte strutture pubbliche mi sembra che la notizia sia buona solo in parte. Virtuoso è chi sa risparmiare mantenendo buoni standard, non chi risparmia a casaccio.

  2. lucio sepede

    Il controllo degli sprechi richiede purtroppo interventi completamente diversi dai soli tagli, sostanzialmente lineari, effettuati finora sotto le direttive dei tavoli tecnici egemonizzati dal Mef. Per tagliare gli sprechi e migliorare la qualità delle prestazioni è necessario ridefinere i processi operativi delle prestazioni sanitarie, analogamente a quando si interviene nel core business delle aziende, anche quelle in stato di fallimento, per ristrutturarle e rimetterle sul mercato. Sarebbe necessario iniettare una diversa cultura, di tipo sanitario-organizzativa, a tutti i livelli, a partire dai tavoli tecnici del Mef e del Ministero della Salute. Bisognerebbe sviluppare la cultura e le competenze per ridisegnare le reti di assistenza sanitaria, trasformando e riqualificando le strutture territoriali e molte strutture ospedaliere che continuano a sopravvivere più per comodita di chi ci lavora (medici e infermieri) che per la qualità e la tempestività del servizio erogato al cittadino. Sarebbe necessario introdurre monitoraggi, il più possibile automatici, nei processi di erogazione delle prestazioni. Sarebbe infine opportuno incentivare l’assistenza sanitaria integrativa.

  3. anna

    Come sempre, di fronte ai numeri, nonostante l’articolo sia scritto da uno dei massimi esperti nel campo, è necessario porsi delle domande. Non è che per caso di fronte all’abbassamento della media procapite di spesa per servizi sanitari espressa in dollari e a parità di potere d’acquisto l’italiano abbia meno potere d’acquisto e quindi anche (se non soprattutto) per i servizi sanitari? Non è che forse di fronte a fatture da capogiro per cure specialistiche si arriva a chiedere lo sconto, nascondendo quindi fasce di spesa che sfuggono alle statistiche?

  4. giorgio gurrieri

    Il controllo della dinamica dei costi del SSN è un’ottima notizia, ma come ci si è arrivati? E’ diminuito il numero di prestazioni erogate o è diminuito il costo unitario delle stesse? Nel primo caso alcuni utenti sono stati costretti all’esclusione dai servizi, nel secondo caso è doveroso verificare se la qualità dell’erogato è sufficiente a coprire il Rischio presente in ogni prestazione. Il controllo della spesa farmaceutica si è ottenuto immettendo in commercio farmaci della cui qualità ci si è preoccupati solo dopo che hanno dimostrato di non essere tutti di assoluta qualità; si potrebbe verificare lo stesso nella determinazione di procedure di diagnosi e cura.

  5. Ezio Magi

    La spesa sanitaria pro capite ed in rapporto al PIL sono correlate al reddito pro capite e al PIL, all’aumentare della ricchezza si tende a spendere una percentuale sempre più ampia di questa in sanità. I paesi con economie libere sono in genere più ricchi e quindi hanno una spesa sanitaria più elevata, questo non significa che la loro spesa sanitaria sia meno efficiente di quelli, come l’ Italia, in cui esiste un servizio sanitario pubblico. Se infatti si valuta un’ indicatore efficace come la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di vari tipi di tumore al primo posto troviamo gli Stati Uniti , mentre il Regno Unito è dietro a molti paesi europei. L’Italia sembrerebbe fare meglio del Regno Unito ma, purtroppo, il dato del nostro paese non è confrontabile perchè il registro tumori è presente solo in aree molto limitate e non rappresentative dell’ andamento generale. Queste sono solo alcune brevi riflessioni critiche ma sulla tendenza al cattivo uso dei dati statistici allo scopo di giustificare una scelta politica se ne potrebbero fare molte altre.

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