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QUELLA TASSA SUI CITTADINI EUROPEI*

L’impegno dei contribuenti europei per il salvataggio della Grecia ammonta ormai a più di 200 miliardi. Ben più modesto il contributo dei privati, ovvero delle banche, che pure sono le responsabili maggiori della pessima allocazione del credito. I governanti europei si sono fatti condizionare dalla potente lobby bancaria e hanno raggiunto un accordo che è un gigantesco trasferimento di ricchezza verso i più ricchi, a danno del contribuente. E allora a minacciare davvero l’euro è una possibile rivolta dei contribuenti contro l’élite finanziaria.

A fine luglio i capi di Stato e di governo europei hanno stanziato altri 109 miliardi di euro per il piano di salvataggio della Grecia, che si aggiungono ai precedenti 110 miliardi: l’impegno totale del contribuente della zona euro (e dell’Fmi) supera ora i 200 miliardi di euro. Quale politica economica sottende a un simile accordo? E perché il settore finanziario è riuscito a negoziare un gigantesco trasferimento di ricchezza al 5 per cento più ricco della popolazione mondiale?

UN’ANALISI DEL RISULTATO

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha rimarcato come il coinvolgimento del settore privato sia il risultato dell’intransigenza della Germania: apparentemente i creditori privati hanno dovuto accettare una riduzione del 21 per cento delle loro pretese, per un contributo totale di 37 miliardi di euro. Hanno inoltre concesso altri 12,8 miliardi sotto forma di prestiti per il buyback del debito greco, anche se questa somma non dovrebbe essere conteggiata perché altro non è che lo scambio di debito con altro debito. In conclusione, il contributo dei creditori privati è estremamente modesto se lo si confronta con il nuovo stanziamento pubblico da 109 miliardi di euro. E tuttavia sono proprio i creditori privati che più hanno da perdere e lo sconto del mercato sul debito greco era già del 50 per cento: il risultato del negoziato è dunque molto negativo per il contribuente della zona euro. Ma un’analisi più accurata mostra che la situazione è ancora peggiore. Il nuovo piano prevede il cosiddetto rafforzamento del credito per nuovo debito: ciò significa che il nuovo debito greco è in gran parte garantito dall’Esfs, ovvero dai contribuenti. Non è una concessione da poco, considerato che la ripresa della Grecia è molto incerta perché l’economia soffre ancora per il peso di un debito eccessivo, intorno al 132 per cento del Pil, mentre le riforme strutturali non sono ancora state avviate e potrebbero fallire. La maggioranza dei creditori può facilmente prevedere una simile evoluzione della situazione ed è ben felice di accettare garanzie pubbliche per il debito che detengono nei loro portafogli, prima che arrivi un nuovo e ben maggiore taglio (haircut). Possiamo dunque aspettarci che accetteranno “volontariamente” l’offerta di scambio del debito, si tratta infatti di un regalo ai creditori sovrani e non di un contributo al salvataggio.

CHE FINE HA FATTO L’EGALITÉ?

Ancora più sorprendente è la posizione di Nicolas Sarkozy: ha interpretato il nuovo accordo come un passo importante verso una governance europea dell’economia. Ma prima di inorgoglirsi troppo, Sarkozy dovrebbe ricordarsi che il sussidio da 200 miliardi di euro ai creditori sovrani è un gigantesco trasferimento di ricchezza dal contribuente a quello che è in definitiva il 5 per cento più ricco della popolazione mondiale. Negli Stati Uniti, il 5 per cento più ricco delle famiglie controlla circa il 70 per cento della ricchezza finanziaria e la percentuale non è molto diversa nel resto del mondo. In definitiva, la proprietà del capitale bancario e del debito sovrano è concentrata nelle mani di individui estremamente ricchi, tanto che possiamo definire il sussidio per il salvataggio come una “impôt pour la fortune”, una patrimoniale a favore dei ricchi. Tutto ciò dovrebbe risultare problematico in un paese come la Francia, dove il dibattito sulla patrimoniale è stato molto aspro, benché questa forma di tassazione della ricchezza contribuisca per soli 4 miliardi di euro alle entrate statali. Perché i francesi non sono (ancora) saliti sulle barricate contro l’impianto del piano di salvataggio della Grecia? Un ruolo lo gioca senz’altro l’auto-censura dei principali media francesi – per lo più di sinistra – che non vogliono fornire munizioni all’euro-scettica Marie Le Pen in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno. Ma anche in Francia non passerà sotto silenzio il fatto che quasi tutti gli stanziamenti pubblici vanno ai creditori e non portano alcun beneficio al cittadino greco medio. UN CATTIVO AFFARE PER I CONTRIBUENTI In linea teorica, i governi dovrebbero trovarsi in una posizione molto forte. Il fallimento di un privato può concludersi con la liquidazione della società, ma un paese non può essere liquidato. Ciò mette i creditori privati in una posizione molto debole quando si arriva al negoziato con il governo, mentre rafforza la posizione di quest’ultimo. Perché non è stato così nell’attuale crisi del debito? I banchieri e molti giornalisti rimandano l’impressione che la scelta da affrontare sia tra un pieno salvataggio sovrano e una catastrofica crisi bancaria. Lorenzo Bini Smaghi, membro del board esecutivo della Bce, ha persino affermato che ogni discussione a proposito di bail-in dei privati avrebbe fatto aumentare il costo per il contribuente. Affermazioni simili aumentano la confusione invece di rendere più chiara la situazione, perché suggeriscono (ed è falso) che non esistono alternative. Il settore bancario è certamente il punto debole di ogni piano di ristrutturazione che coinvolga un fallimento sovrano e una decisa svalutazione del debito. In questo caso, il sostegno diretto alle banche, attraverso la loro ricapitalizzazione, è molto più efficace e meno costoso di una piena garanzia del debito sovrano. I contribuenti possono ottenere in cambio azioni della banca e sperare di recuperare i loro soldi nel lungo periodo. La crisi del 2007-2009 ha dimostrato che i governi hanno realmente la possibilità di contenere una crisi bancaria con azioni risolute, come la ricapitalizzazione forzata e la temporanea nazionalizzazione delle banche. Tanto più si è preparati ad affrontare eventi simili, tanto minore sarà l’impatto sull’economia, e i governanti europei hanno avuto molto tempo per prepararsi nel corso dell’ultimo anno. Perché questo tipo di soluzione non è stata presa in considerazione? Le ragioni sono politiche. Questa soluzione avrebbe toccato i potenti interessi costituiti delle banche, anche se avrebbe imposto i costi su coloro che sono i maggiori responsabili di una pessima allocazione del credito di enormi dimensioni. Una forte posizione negoziale dei politici si scontra però con due ostacoli importanti. Primo, generalmente il ministro delle Finanze e l’autorità bancaria non hanno le competenze e le informazioni necessarie per preparare piani contingenti di ricapitalizzazione delle banche. E alla notevole mancanza di preparazione del ministro si associa il muro di segretezza eretto da un settore bancario restio alla cooperazione. In secondo luogo, il forte potere di lobby del settore bancario impedisce ai politici di prepararsi in anticipo e di agire a favore del contribuente. I conflitti di interesse tra politici e banchieri sono evidenti. Dopo la disastrosa prestazione fornita da molti banchieri nella gestione del rischio nella crisi bancaria del 2007-2009, sorprende che quelle stesse persone abbiano ancora una così forte influenza sui processi della politica. Le conseguenze sono facili da prevedere: se si chiede a una rana il piano per svuotare uno stagno, è probabile che si finisca per avere una proposta che prevede un maggior afflusso d’acqua nello stagno. Allo stesso modo, si è chiesto ai banchieri di proporre un piano per il coinvolgimento del settore privato, affidandone la guida a Josef Ackermann e all’Institute for International Finance (Iif): è stato come chiedere all’industria del tabacco di elaborare una nuova politica sulla salute pubblica. Un problema ulteriore è la frammentazione del potere politico in Europa, che non permette alle autorità politiche di avere una forte posizione negoziale nei confronti dei creditori sovrani. Mentre nel 1982 James Baker nel poté rifiutare in modo netto le richieste di far pagare ai contribuenti Usa il salvataggio dei creditori della crisi del debito in America Latina, la posizione di Angela Merkel è molto più debole: nell’ultimo periodo la Banca centrale europea ha fatto ostruzione contro qualsiasi vero coinvolgimento dei creditori privati e ha così contribuito a tenere in ostaggio le autorità politiche. In alcune occasioni, i membri del board della Bce hanno dato l’impressione di essere loro stessi “catturati” dalle élite finanziarie dei loro paesi di origine. La Bce ha minato fortemente la sua credibilità mettendosi così strenuamente dalla parte dei creditori e dei banchieri invece di difendere i contribuenti e i cittadini europei.

E IL FUTURO?

Se il recente salvataggio della Grecia prefigura la futura “governance economica” dell’Eurozona, allora la domanda diventa: per quanto tempo l’euro può sopravvivere con questo tipo di governance? È improbabile che la politica economica dei salvataggi europei migliori prima dello scoppio della prossima crisi. Richiederebbe che i politici riuscissero a prevalere sulla lobby bancaria, imponendo standard di capitalizzazione molto più alti alle sottocapitalizzate banche europee e non c’è alcun segnale che questo possa accadere. A minacciare realmente l’euro potrebbe essere, allora, una rivolta del contribuente contro una élite finanziaria che ha tradito gli interessi della maggioranza dei cittadini.

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  1. giancarlo

    Davvero un’analisi molto lucida e politicamente stimolante. Non mi pare di aver trovato sulla stampa italiana qualcosa di altrettanto istruttivo.

  2. mirco

    Finalmente qualcuno che dice le cose come stanno… altro che analisi matematiche ed econometriche…

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