Lavoce.info

CHI TROVA UN AMICO TROVA UN LAVORO

La crisi economica ha creato, nei paesi Ocse, 16 milioni di disoccupati. La ricerca di un nuovo impiego non è mai semplice e viene attuata attraverso vari canali. Se nei paesi anglossassoni si utilizzano principalmente strumenti come giornali e internet, in Italia sono molto importanti i canali informali: parenti, amici, conoscenti. L’evidenza mostra che, nel nostro paese i cosiddetti network sono indispensabili. E che chi ha un maggior numero di amici con un lavoro ha maggiore facilità a trovarne uno.

La crisi finanziaria globale ha duramente colpito il mercato del lavoro. Secondo l’Ocse, tra il 2007 e il 2010 il numero di occupati nei paesi membri è diminuito di quasi 5 milioni, quello dei disoccupati è aumentato di oltre 16 milioni. Dopo circa due anni dal punto di minimo del ciclo, e nonostante i segnali di ripresa dell’attività economica e della domanda di lavoro, in molte economie avanzate i tassi di disoccupazione restano su livelli storicamente elevati (figura 1.) Il continuo aumento del rapporto tra il numero di posti di lavoro offerti (posti vacanti) e quello dei disoccupati ha generato, specialmente negli Stati Uniti, un acceso dibattito (1): per alcuni esso segnalerebbe l’aumento del tasso di disoccupazione strutturale, per altri, un livello insufficiente della domanda aggregata. Una possibile spiegazione alternativa è data dal deteriorarsi dei meccanismi attraverso i quali vengono prodotte e diffuse le informazioni sulle opportunità d’impiego disponibili.

Il mercato del lavoro è caratterizzato da diffuse asimmetrie informative. I lavoratori non sono a conoscenza di tutte le opportunità d’impiego disponibili, le imprese non conoscono le caratteristiche dei potenziali candidati. I sondaggi indicano che le persone in cerca di occupazione fanno ricorso a una vasta gamma di strumenti per riempire questi vuoti informativi, in particolare sulle opportunità esistenti. Alcuni di questi canali sono formali (ad esempio, le agenzie per l’impiego o i giornali), ma i più diffusi sono quelli informali (amici, familiari, ex-colleghi). In Italia, nel 2007, l’80 per cento di chi era alla ricerca di un lavoro aveva contattato parenti, amici o conoscenti; per un raffronto, solo circa i due terzi avevano esaminato giornali o Internet. Negli Stati Uniti circa il 50 per cento degli occupati dichiara di essere venuto a conoscenza del posto attraverso questi canali.
Quali sono le conseguenze di una crisi economica in un simile contesto? Numerosi
contributi teorici hanno mostrato che uno shock negativo all’occupazione può avere effetti di lungo periodo se la quantità d’informazione che circola all’interno di una rete sociale dipende dallo status occupazionale dei contatti (ad esempio, perché gli occupati hanno accesso a maggiori informazioni o perché i disoccupati sono meno propensi a condividerle). Una recessione che determini un forte aumento del tasso di disoccupazione interrompe questi canali, riducendo l’efficienza della matching function e rallentando la ripresa dell’occupazione.


L’IMPORTANZA DEI NETWORK


Per verificare la rilevanza dei network sociali nella ricerca di occupazione, in un recente lavoro abbiamo sfruttato la disponibilità di oltre 20 anni di dati relativi all’universo dei rapporti di lavoro dipendente in due province del Nord-Est. Il dataset consente di
assegnare a ciascun individuo, approssimandola, una specifica rete sociale, quella formata dai colleghi incontrati fino a quel punto della carriera lavorativa. Data questa definizione, assumiamo che la percentuale di contatti occupati a una certa data costituisca una ragionevole approssimazione della quantità di informazioni disponibili all’interno del network. L’analisi empirica consiste nel confrontare la durata della disoccupazione dei lavoratori espulsi dal mercato per ragioni esogene (la chiusura d’impresa) mettendola in relazione con il tasso di occupazione dei loro network, a parità di una vasta gamma di caratteristiche individuali e di gruppo.
I nostri risultati indicano che il tasso occupazione del network ha un ruolo rilevante nel determinare la durata della disoccupazione, solo lievemente inferiore a quello delle proprie competenze, approssimate dal salario individuale: una quota di conoscenti occupati più alta di 10 punti percentuali implica, a parità di altri fattori, una riduzione della durata della disoccupazione del 4 per cento. La condizione occupazionale dei
contatti ha maggior rilevanza quando essi hanno da poco cambiato lavoro (presumibilmente perché dispongono di informazioni aggiornate sulle opportunità d’impiego esistenti) e se il loro attuale datore di lavoro è più vicino (sia dal punto di vista geografico che in termini di tecnologia di produzione) al disoccupato.
Le informazioni diffuse dagli occupati all’interno della propria
rete sociale sono pertanto un elemento importante in un mercato del lavoro frizionale, in cui l’incontro tra domanda e offerta di lavoro non è istantaneo. Un marcato calo dell’occupazione può ridurre in modo persistente l’efficienza del meccanismo d’incontro tra le due parti con effetti dirompenti e duraturi. Alcuni recenti risultati basati sull’analisi della dinamica del rapporto tra posti vacanti e disoccupazione nel lungo periodo (la tensione nel mercato del lavoro), mostrano che l’uscita dalle recessioni si è costantemente accompagnata con un picco temporaneo di tale rapporto (Tasci e Lindner, 2011). I nostri risultati suggeriscono che questo potrebbe derivare dal peggioramento della quantità e qualità dell’informazione sulle opportunità di lavoro disponibili, piuttosto che da una mancata corrispondenza tra domanda di lavoro e le caratteristiche dell’offerta. In questo contesto, le politiche di stimolo o salvaguardia dell’occupazione potrebbero avere effetti positivi sull’occupazione anche per via indiretta, aiutando a ripristinare il flusso di informazioni all’interno del mercato del lavoro.


(1)
Kocherlakota, 2010; Hall, 2010; Valletta e Kuang, 2010
(2)
Ringraziamo Giuseppe Tattara e Marco Valentini per averci messo a disposizione e aiutato con i dati (Veneto Working Histories Database, Università Ca’ Foscari di Venezia)


Per saperne di più

Barnichon R., Elsby M., Hobijn B. and A. Șahin (2010). “Which industries are shifting the Beveridge curve?”, JOLTS Symposium. (http://www.frbsf.org/publications/economics/papers/2010/wp10-32bk.pdf)
Cingano F. and A. Rosolia (
forthcoming). “People I know: job search and social networks”, Journal of Labor Economics. (https://sites.google.com/site/alfonsorosolia/publications)
Dickens, W. (2010). “Has the recession increased the NAIRU?”
(www.albany.edu/economics/research/seminar/files/William_Dickens.doc)
Hall, R.E. (2010). “The Labor Market in the Current Slump,”.
(
http://www.stanford.edu/~rehall/Labor%20Market%20Current%20Slump%202010.pdf)
Kocherlakota, N. (2010). “Inside the FOMC”, Federal Reserve Bank of Minneapolis (
http://www.minneapolisfed.org/news_events/pres/speech_display.cfm?id=4525)
Ș
ahin A., Song J., Topa G. and G. Violante (2010). “Measuring Mismatch in the
U.S. Labor Market”, (
http://www.newyorkfed.org/research/economists/topa/USmismatch_v14.pdf)
Tasci, M. and J. Lindner (2011). “Has the Beveridge curve shifted?, Federal Reserve Bank of Cleveland, Economic Trends (
http://www.clevelandfed.org/research/trends/2010/0810/02labmar.cfm)
Valletta
, R. and K. Kuang (2010). “Is Structural Unemployment on the Rise?”, Federal Reserve Bank of San Francisco, Economic Letters
(
http://www.frbsf.org/publications/economics/letter/2010/el2010-34.html)

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Perché l'impiego pubblico piace meno di un tempo
Leggi anche:  I contratti pirata? Ecco dove si trovano

Precedente

IL RISCHIO DELLA CRISI DI LIQUIDITÀ

Successivo

UNIVERSITÀ, LA CHIAVE È IL DIPARTIMENTO

  1. Ste

    Secondo me si dovrebbe lavorare un po’ sul presupposto per cui l’occupazione è il risultato dell’incontro domanda/offerta tra due parti. Capisco che per studiare un fenomeno con strumenti matematici bisogna modellarlo e quindi un certo grado di idealizzazione è inevitabile, ma così mi sembra un po’ troppo idealizzato.

  2. Giovanni Volpe

    Un notevole contributo alla diffusione del criterio del merito per le selezioni del personale, ad esempio, può giungere dal concentrare i contributi a fondo perduto, a tasso agevolato, in favore di imprenditori di talento, innovativi, con un maggiore titolo di studio (laurea).

  3. SAVINO

    Chi seleziona il selezionatore? l’Italia è stracolma di talenti, ma scarseggia di gente capace di cogliere il talento dai curricula e dai colloqui. Invece di lavorare nell’approfondimento delle capacità individuali si sceglie la via breve delle conoscenze. Il fatto che molti selezionatori cerchino di colmare le loro lacune andando a consultare il profilo facebook del candidato la dice lunga.

  4. Paolo

    La riforma c.d. Biagi ha avviato già un progresso verso le sinergie per l’intermediazione da parte dei c.d. servizi competenti: purtroppo in tale direzione è stato fatto poco al fini di integrare effettivamente le varie realtà nella politica attiva del lavoro, per garantire un servizio minimo garantito costituzionalmente. Posso citare però il dato per cui in Germania la sola Agenzia Federale per l’Impiego media il 35% delle vacancy sul mercato del lavoro e per esse 1 su 2 viene a creare un effettivo impiego del candidato. Lascio al lettore la verifica dei relativi dati italiani: se il welfare è questo non abbiamo più nulla da perdere se non i c.d. ammortizzatori.

  5. Piero

    Italia paese di raccomandati… sia nel pubblico che nel privato.. e questa massiccia assenza di meritocrazia la vera causa del declino economico italiano.. tutti gli altri parametri come spesa R&S o Flessibilità Lavoro o Specializzazione Produttiva a Basso Valore Aggiunto.. sono solo conseguenze di quel vulnus morale e sociale che chiamiamo Social Network per nobilitarla un pò..

  6. FEDERICA BRUNI

    Il mio commento non riguarda i servizi per l’occupazione, bisognosi di irrobustimento e risorse (e per questo ben venga una concettualizzazione, come auspicato da “ste” nel suo commento), ma le politiche attive del lavoro, cioè le azioni volte a migliorare l’occupabilità dei lavoratori: formazione, orientamento, conoscenza di servizi e normativa e altro che renda più “matchable” l’impatto tra disoccupato e territorio/mercato. Ringrazio gli autori dell’articolo perché danno un contributo agli operatori (tipo me) di accompagnamento al lavoro e orientamento. Incontriamo persone che hanno già fatto il bilancio di competenze, hanno già elaborato il curriculum e analizzato il loro settore di interesse, di questi tempi facilmente senza successo. Non tutte le professionalità sono efficacemente veicolate dai consueti canali. Soffrono perché il mercato “non li vede”. Da una decina d’anni propongo la Teoria delle Reti di Buchanan e utilizzo le osservazioni del saggio “La forza dei legami deboli” di Mark Granovetter (vecchiotto ma inedito per i lavoratori). Come i dati riportati da Cingano e Rosolia, offrono nuovi strumenti per i percorsi di ricerca del lavoro.

  7. Guido di Rado

    Apprezzo La voce che consulto spesso per avere dati e spunti di approfondimento ma quando leggo articoli basati su chissà quale”dataset” e con chissà quale astrusa variabile, rimango basito. Ci vuole una ricerca univesitaria per capire che in Italia, sopratutto in tempo di crisi, amici e parenti sono più importanti che in altri paesi per trovare lavoro? E gli autori sono mai usciti dai loro seminari dorati ed entrati in un’azienda sull’orlo del fallimento in provincia, chessò, di Rovigo? O Detroit, Lille, Malaga? No perché forse sarebbe loro di aiuto. Ed eviterebbero di porsi il dubbio se il problema è la disoccupazione strutturale o la domanda aggregata.  A mio avviso porsi interrogativi del genere nel corso di una recessione da cui non si è in uscita, come è scritto nell’articolo, e che ricorda sempre di più quella del 1929 (quella che “risolsero” non le teorie di Keynes, ma i 60 milioni di morte della guerra mondiale) è paradossale per persone con un dottorato in economia. Peccato perché il titolo era promettente e avrei letto volentieri proposte concrete per uscire dal familismo e dal corporativismo che incancreniscono il nostro paese.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén