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UNA LAUREA IN PRESTITO

Gli studenti italiani scelgono spesso la loro università sulla base della vicinanza al luogo di residenza. Perché allontanarsi dalla famiglia è costoso e muoversi per frequentare l’ateneo migliore resta appannaggio di pochi privilegiati. La soluzione è un sistema di prestiti per finanziare gli studi, con rimborsi calibrati sui redditi futuri. Si introdurrebbero elementi di concorrenzialità tra atenei. E le università potrebbero disporre di più risorse per migliorare la propria offerta fissando liberamente le tasse di iscrizione. Le differenze con la proposta del governo.

Alla riforma dell’università manca una gamba. O, più esattamente, mancano molte gambe: quelle degli studenti che, scegliendo consapevolmente l’ateneo in cui iscriversi, sottopongono le università alla disciplina della concorrenza.
Allontanarsi dalla propria famiglia, tuttavia, è costoso, e muoversi per scegliere l’ateneo migliore potrebbe restare appannaggio di pochi privilegiati. C’è però un modo per evitare il perpetuarsi del privilegio: prendere oggi un prestito, per finanziare i propri studi, e rimborsarlo con il reddito a cui in futuro la laurea darà accesso. (1) Peraltro, con un sistema di prestiti per il finanziamento degli studi, le università potrebbero raccogliere maggiori risorse per migliorare la qualità della propria offerta, fissando liberamente le tasse di iscrizione, senza con questo escludere gli studenti con reddito familiare basso.

RIMBORSI IN FUNZIONE DEL REDDITO

Anche prescindendo dagli effetti pro-concorrenziali, la disponibilità di prestiti agli studenti è in sé una buona idea. Non è detto che il talento dei figli sia correlato al reddito dei genitori e non è quindi opportuno, per la società, che abbiano maggiori possibilità di studiare i figli dei più ricchi. D’altra parte, un’istruzione superiore di qualità è spesso la chiave per guadagnare redditi maggiori, e appare equo che colui che beneficerà dei secondi sopporti i costi della prima. Il finanziamento attraverso un prestito risolve la contraddizione tra il desiderio di svincolare l’accesso agli studi universitari dal reddito familiare e quello di farne pagare il costo a colui che maggiormente ne beneficerà: con un prestito, infatti, non sono i redditi correnti (dei genitori) a essere importanti, ma quelli futuri (del laureato).
Lo studente all’inizio della propria carriera universitaria è però, a buon diritto, molto incerto sui suoi redditi futuri e sarà perciò restio a caricarsi di un debito la cui rata di rimborso, fissata in anticipo, potrebbe assorbire una parte preponderante del suo reddito.
Una soluzione è rendere il rimborso una quota costante del reddito futuro: se (e fino a quando) il reddito sarà basso, altrettanto basso sarà il rimborso, e nessuno ne risulterà strozzato. Allo stesso tempo, però, per garantire che il debito venga alla fine rimborsato, il periodo in cui i rimborsi sono dovuti dovrà essere variabile: quanto più bassi saranno i rimborsi, tanto più lungo sarà quel periodo (al limite, per tutta la vita lavorativa); viceversa, chi avrà redditi elevati finirà prima di rimborsare il proprio debito.
Richiedere che il debito sia alla fine interamente rimborsato risponde a elementari criteri di equità e di convenienza (da parte di chi presta, che altrimenti non lo farebbe). Ma è anche importante per gli incentivi che induce. Se un reddito più basso desse diritto non solamente a pagare, in ogni periodo, di meno (per più tempo), ma anche a pagare di meno nel complesso, chi prende un prestito avrebbe meno incentivo a impegnarsi per guadagnare abbastanza da ripagarlo rapidamente, ci sarebbero più casi di mancato rimborso e il loro costo finirebbe per pesare sugli altri. Inoltre, coloro che pensano di avere migliori prospettive di reddito futuro, anticipando di dover sopportare il costo di coloro che non rimborseranno, deciderebbero di non prendere a prestito, e quindi lo farebbero solo coloro con redditi attesi più bassi, innescando un circolo vizioso e rendendo così non sostenibile il sistema di prestiti.
Il prestito dovrebbe dunque far sì che (a) gli ex-studenti paghino in proporzione al proprio reddito, e risultino perciò assicurati dal rischio che il rimborso ne assorba una quota esorbitante; (b) coloro che guadagneranno di più finiscano di rimborsare prima il proprio debito; (c) ciascuno resti responsabile del proprio debito, fino ad averne completato il rimborso.

LO SCHEMA DEL CONTRATTO

Un contratto di questo tipo difficilmente verrebbe offerto da una banca, che vorrà evitare l’incertezza circa l’orizzonte temporale con cui rientrerebbe in possesso di quanto ha prestato, e comunque richiederebbe un tasso di interesse elevato per farsene carico. Lo Stato invece ha una maggiore capacità di sopportare rischi di scadenza e può offrire il contratto senza ricarico.
La proposta che qui si avanza è formulata nell’ipotesi che il contributo finanziario da parte dello Stato sia minimo o nullo, per esplorarne la fattibilità sotto vincoli di bilancio stringenti. È peraltro semplice, e probabilmente necessario, incorporare elementi di sussidio a carico del bilancio pubblico. Questi, anche prescindendo da considerazioni distributive, trovano una giustificazione nella differenza tra il beneficio privato e quello sociale dell’istruzione superiore. Si tratta di un aspetto sul quale bisognerà tornare.
Lo schema potrebbe in estrema sintesi funzionare così (per numerosi dettagli e qualificazioni, necessari a tenere in conto varie complicazioni qui trascurate per motivi di spazio, si veda il documento completo): 

1.       Tutti gli studenti iscritti a un corso di laurea triennale o specialistico che soddisfino alcuni requisiti di merito e di età possono ottenere un prestito di 6mila – 10mila euro l’anno, per un numero di anni pari alla durata del corso. L’ammontare massimo del prestito può essere aumentato per la frequenza a corsi universitari in cui le tasse di iscrizione siano particolarmente elevate;
2.       Alla fine del periodo di studio lo studente avrà accumulato un debito D, pari ai prestiti ricevuti, capitalizzati con un tasso di interesse privo di rischio (per concretezza, il 2 per cento reale);

  1. Il prestito è inizialmente erogato da una banca, ma è successivamente rilevato dallo Stato, che lo rimborsa alla banca. Il ruolo della banca è quello di un agente di pagamento; le banche concorrono tra loro per fornire il servizio. In alternativa al sistema bancario, si potrebbero coinvolgere le Poste. 
  2. A partire da un anno dopo la fine del corso di studi (o dopo l’abbandono dell’università), l’ex-studente comincia a rimborsare il suo debito, attraverso un prelievo fiscale addizionale, effettuato direttamente dallo Stato, pari al 10 per cento della parte del suo reddito che supera una soglia minima. La soglia può essere quella attualmente prevista per il pagamento delle imposte (corrispondente a circa 8mila euro), oppure una più elevata: maggiore è il sussidio che si volesse offrire agli studenti più poveri, maggiore dovrebbe essere la soglia minima. Il prelievo continua fino a quando la somma dei prelievi annuali, scontati al 2 per cento, è pari a D;
  3. Se i redditi sono bassi, si allunga il periodo in cui avviene il rimborso. Potrebbe succedere che il reddito sia sotto la soglia minima per un periodo di tempo così lungo da rendere sostanzialmente impossibile il recupero del credito nell’arco della vita lavorativa (per esempio, nel caso di disabilità permanente o di morte prematura); è verosimile che una certa frazione dei prestiti non verrà interamente restituita. Di tale frazione può farsi carico lo Stato, oppure si può prevedere che i rimborsi riscossi siano in media sufficienti a compensare l’erario anche per quelli non recuperati a causa di morti, gravi disabilità permanenti, profili di reddito eccezionalmente bassi o evasione totale.

Per alcune considerazioni su questa proposta, e per un confronto con quella del governo, si rinvia a un secondo articolo.

(1) Questo articolo, sebbene redatto indipendentemente, ha molti punti in comune con quanto scritto da Andrea Ichino sul Sole-24Ore del 27 maggio 2011.

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28 commenti

  1. Andrea

    Idea interessante, peccato che fino a quando per l’accesso a molte professioni o nei concorsi pubblici sarà richiesto solo il titolo di laurea senza che si facca una discriminazione sull’università dove si è ottenuta questa laurea, per molte discipline non esisterà una vera concorrenza. Una laurea in legge presa dalla più disperata università telematica fa accedere al concorso da avvocato o notaio con lo stesso punteggio di una laurea presa in una delle più prestigiosa scuole di legge italiane). Inolte se si prevede un meccanismo per cui è possibile non rimborsare il prestito si rischia di creare incentivi i 18-19 enni ad abusare del prestito per "provare a fare l’università", magari per avere l’occasione di stare un po in una città diversa da quella di nascita. Anche nel caso di mancato rimborso ci devono essere dei meccanismi che responsabilizzano lo studente a seguire con profitto gli esami universitari

  2. Alessandra

    Si si, io studio sociologia (la facoltà i cui laureati hanno piu difficoltà di tutti a trovare un lavoro qualificato), ma io guadagnerò sicuramente un milione al mese! Posso accedere ad un prestito di 100 mila euro?? cosi posso prendermi una stanzuccia in affitto tutta per me (e non condividerla più) e finire gli studi entro i 5-10 anni che mi ero posta come obbiettivo. Fa nulla se per l’auto mi sono già indebitata per i prossimi 5 anni, e devo pagare le ratine della carta di credito per tutta la vita, se a natale ho regalato ai miei la lavatrice nuova ma inizio a pagarla a fine anno? Eddai, fiducia nella gioventu! Già ci abbiamo rimesso sicurezza sociale, possibilità di impiego consolidata, la pensione, non ci potremmo permettere casa e rimarremmo con i genitori fino a quando esasperati non ci butteranno fuori, non faremo figli perchè manco i pannolini potremo permetterci! ma scusate…ma non era la Grecia che si indebitava con il pensiero di poter rimborsare "con i proventi futuri"?????

  3. Patrizio Biffoni

    Sono d’accordo con la proposta. Le università avrebbero più inventivo a migliorare l’offerta formativa (avrebbero), disporrebbero di più risorse e il costo degli studi, quando il sistema sarà a regime, sarà a carico di chi ne ha beneficiato. Non sono d’accordo sul timore riguardo alla selezione avversa: io penso che nessuno studente appena iscritto all’università, eccetto i figli di papà con posto garantito, sappia di quale reddito può disporre fra 10 anni. Inoltre metterei una soglia 15-20 anni oltre la quale il debito residuo è cancellato. Ci può sempre stare che qualcuno non trovi sbocchi lavorativi adeguati alla laurea. In tal caso il rischio di un’istruzione inadeguata è bene che so lo becchi lo stato, proprio come adesso. Non solo gli studenti, ma anche lo stato deve vigilare sulla proliferazione di corsi, in apparenza utili e professionalizzanti, ma che in verità creano solo posti di lavoro per professori. Come alcuni corsi nell’area delle professioni sanitarie.

  4. Marco Trento

    La politica del prestito agli studenti è del tutto fallimentare, come mostra l’esperienza del Regno Unito (dove vivo). È un sistema che soffoca lo studente e spinge le università ad aumentare a dismisura le rette. Ormai una università pubblica media costa 10’000 euro all’anno. Il che significa che un ragazzo di 24 anni alla fine del suo percorso di studi si trova un debito di almeno 40’000 euro sulle spalle, che lo soffoca per anni, impedendo di iniziare la vita adulta in libertà e di acquistare una casa (gli studenti inglesi infatti odiano il sistema). Poi ci sono enormi costi di gestione. Molti laureati partono all’estero ed è difficile rincorrerli. Infine è iniquo. Chi ha i genitori ricchi può fare l’università spensierato, chi no deve indebitarsi. Per ovviare a questo paradosso, il governo inglese ha deciso che tutti devono accettare il credito del governo (cioè indebitarsi). Ma la sostanza non cambia, perché le famiglie ricche aprono un conto apposta per il il credito governativo che non viene toccato fino alla laurea, in modo da restituirlo subito. Lasciamo perdere il modello anglosassone. Il vivere a debito ha fatto scoppiare la crisi subprime. Che serva di lezione…

  5. Alessio Calcagno

    No way someone (state, bank or whatever crazy entity you can think of..) will give a lump sum of money in order to get a degree in a country where the 20s, 30s and 40s nowadays…. unemployed reach nearly 35 percent. Any job, please? Otherwise Italians will keep being risk adverse for new debt which they know they will never be able to pay back.

  6. Gaetano Criscenti

    Apprezzo lo sforzo di dettaglio che l’autore ha voluto mettere nell’articolo, ma credo che, al di là della giusta affermazione sul sistema dei prestiti d’onore come volano di ascensore e frullatore sociale, nonchè primo elemento di autonomia finanziaria delle Università – nell’auspicio di una assoluta competitività delle stesse per fornire le migliori chance e quindi i migliori professori agli studenti – si sbagli ad insistere sullo Stato come punto centrale e garante del sistema. Al punto cui siamo giunti, e nell’opinione che " bisogna affamare la bestia" del sistema statale, credo necessario affidarci ad altri strumenti ed organizzazioni. Come le Fondazioni bancarie. Se si affidasse loro esclusivamente due campi d’azione: 1) fornire il capitale necessario ai prestiti d’onore, sia sedendo nel board dei CDA universitari, sia seguendo invece lo sviluppo territoriale a beneficio del territorio di competenza 2)fornire parte del capitale di rotazione necessario a sviluppare e rendere solide le piccole e medie aziende tramite il sistema dei cofidi. Sarebbe una novità e darebbe una reale svolta al sistema universitario obbligandolo a darsi come meta l’offerta formativa di alto profilo.

  7. Monica de Simone

    Scusate, ma non si diceva che si deve chiedere un prestito pure per solo segnarsi all’università, dato che per migliorare l’offerta bisogna accrescere le entrate? Quindi: chiedo il prestito perchè la retta è più alta di prima. Poi chiedo un prestito per cambiare città, anche perchè le università italiane non hanno dormitori, quindi mi servono i soldi per una casa privata…o almeno un letto. Ho capito bene? E per avere più probabilità di riuscire a ridare i soldi indietro vado in una università di alto prestigio…ergo: Vado all’estero! giusto? perchè in italia le università, come ci hanno spiegato svariate volte, sono tutte di pessima qualità….tant’è vero che per alzarne i servizi, sonno stato chiamato a pagare una retta più alta….un miracoloso discorso circolare che comunque sempre all’estero mi porta, volendo seguire le leggi del libero mercato E poi…ma tutti quelli che si laureano si aspettano veramente di guadagnare piu’ i 1-2Keuro al mese? e poi la casa dei sogni come se la comprano?

  8. GIANCARLO FICHERA

    Ho 4 lauree (scientifiche, economiche, giuridiche) prese in varie sedi e ho imparato una cosa: le università italiane sono tutte uguali cioè quasi tutte da buttare perchè basate sulla lezione ex-cathedra (in quelle scientifiche almeno ci sono i laboratori). Quello che rende la differenza sono i professori: ci sono quelli che si impegnano di più e quelli che si impegnano di meno, ma questo non dipende dalla fama dell’Ateneo, dipende dalla persona. Comunque, un corso universitario viene fatto normalmente in sole 60 ore o al massimo in 120 ore. Quindi andare a spendere soldi per sedi fuori residenza non conviene. Ma avete visto che ci si può laureare in Economia e Commercio in sedi anche costosissime e famosissime senza sapere che cos’è l’Iva?

  9. Jorge

    Il sistema proposto è a mio avviso utile e equo. Forse lo si può associare, nel caso di studenti particolarmente meritevoli non dotati di mezzi, ad un sistema serio di borse di studio. Ciò che purtroppo sfugge ai più, a causa del prevalere di posizioni ideologiche, è che un sistema come l’attuale, in cui il finanziamento della istruzione superiore è quasi interamente a carico della fiscalità generale, ha un effetto fortemente regressivo: tutti pagano per dei servizi di cui di fatto beneficiano soprattutto i ceti medio-alti. Da questi ultimi proviene infatti la larga maggioranza degli studenti universitari.

  10. bellavita

    … nel senso che allo scopo di sistemare più docenti hanno moltiplicato i corsi di laurea di assoluta fantasia, che come sbocco professionale hanno solo la speranza di restare dentro al sistema universitario. Cosa possibile solo se si hanno parenti docenti. Il mio bagnino è laureato in geografia a Genova, e ha scoperto che nessuno ha bisogno di lui, per esempio. Secondo me, se un laureato con voti legali non riesce a sistemarsi, il debito dopo un po’ va a carico del bilancio dell’università che lo ha indotto a frequentare i corsi dei figli del rettore.

  11. Andrea Zhok

    Mi piacerebbe fare una critica costruttiva, visto l’onesto tentativo argomentativo del redattore, ma è davvero difficile. – In sintesi, l’argomento è fallace se il suo senso è di incentivare la mobilità studentesca (di per sé desiderabile) ed è intrinsecamente iniqua. Facendo due conti: la differenza tra studiare vicino casa in "provincia" o studiare, per dire, a Milano o Roma è di almeno 700 euro/mese, per 5 anni di laurea specialistica fanno 42.000 euro. Alzi la mano chi è disposto a scambiare un’università, supponiamo, migliore con un supplemento di debito con cui iniziare di 42.000 E.? Se invece guardiamo all’indebitamento complessivo di uno studente senza supporto né famigliare né statale, parliamo di un minimo di altri 400 x 12 mesi (sopravvivenza) + 2.000 E (tasse) all’anno per 5 anni = 34.000 Euro, per un totale complessivo di 76.000 euro. E chiediamoci ora quanti ritengono valga la pena partire con E. 76.000 di debiti, con la sicurezza di riuscire a rimborsarli senza restare azzoppati tutta la vita. Saranno tutti principi del foro, notai ed archistar? E tutti gli altri restino pure con la scuola dell’obbligo? E’ questo il Brave New World che ha in mente il redattore?

  12. Marco Antoniotti

    La questione sollevata dall’interrogazione di alcuni senatori PD e della maggioranza sulla falsariga di quanto proposto in UK dal governo conservatore (i liberaldemocratici, come è noto, contano meno del 2 di picche) ha avuto moltissimi commenti negativi, che andrebbero riportati nel dibattito. Ma, a parte ciò, i sostenitori della proposta dovrebbero dimostrare come minimo che questa sia più efficiente ed efficace del semplice ricarico progressivo sulle aliquote e che la proposta risulterebbe in una forma di tassazione molto più progressiva e con relativa redistribuzione dei redditi globale. Ovviamente si assume che la progressività della tassazione complessiva ed una pesante redistribuzione dei redditi sia un obiettivo da raggiungere. (Al contrario della proposta ventilata da Tremonti di abbassamento dell’aliquota massima alla Marcegaglia.) A presto Marco Antoniotti

  13. angela

    Salve dott. Terlizzese, sono una studentessa, che usufruisce di borse di studio, che mantengo studiando. Vorrei porle delle questioni: 1 lei conosce il concetto di diritto allo studio? Le offro come spunti di riflessione l’art.34 e 3 della Costituzione….. Quei ragazzi, che dovranno richiedere il prestito per poter studiare non saranno solo quelli che hanno semplicemente voglia di spostarsi dalla propria città alla ricerca di una facoltà migliore. Si tratta di cittadini italiani “privi di mezzi e meritevoli”. Questo vuol dire figli di altri cittadini italiani, che guadagnano meno di 1000 euro al mese…e non perchè non abbiano avuto modo di formarsi e quindi di guadagnare di più…ma per ragioni, che lei, in quanto collaboratore di un giornale economico conoscerà bene….! Studenti privi di mezzi vuol dire orfani di uno o entrambi i genitori. Studenti privi di mezzi vuol dire gente, che vive l’Università come una vera opportunità di formazione, studia il più possibile e con passione: non ci sarà un altro momento, un altro corso privato o a pagamento per recuperare la possibilità di istruirsi.

  14. angela

    Le faccio un confronto: lo Stato italiano spende per il diritto allo studio cento milioni. Lo Stato italiano spende trecento milioni in più rispetto alle spese "ordinarie", per non voler accorpare l’ultimo Referendum alle Amministrative. Che ne pensa? 2) Lei dice che ad un’istruzione di qualità corrisponderebbe una retribuzione elevata, perciò bisogna sopportare i costi della formazione: forse lei non sa che molti laureati finiscono per fare i centralinisti?? Come poter ricorrere ad un metodo come quello dei prestiti in un paese in cui non funziona il modello della flexicurity o flessibilità del lavoro? 3) Probabilmente lei non è al corrente su quello che sta succendendo negli Usa, dove gli studenti, che hanno usufruito di prestiti, non riescono a ripargare? 4) Senza offesa, le porgo una domanda "personale": lei come si è formato per poter diventare Direttore di Einaudi-economia e finanza? Le spiego la ragione dell’ultima domanda: mi indigna leggere il funzionamento dei prestiti, perchè ad ogni diritto corrisponde un dovere. Il dovere di studiare con merito, come fanno moltissimi giovani studenti! Studiare è un diritto sociale.

  15. giancarlo c

    Perché invece di far muovere gli studenti, non facciamo muovere un po’ i docenti lungo il territorio nazionale? Gli studenti sono degli utenti, i docenti dei public servants (o almeno dovrebbero esserlo, dato che il sistema universitario è pubblico)…

  16. Vencap

    Non è vero affatto che la politica del prestito sia fallimentare. Anzi è stata attualmente migliorata. E visto che vivo anche io nel Regno Unito ne so qualcosa, avendola provata sulla mia pelle. Mi sono indebitato con l’università per 13 mila euro. Senza tale prestito non avrei potuto accedere a quel corso di specializzazione. Di quei 13 mila euro per i primi 4 anni non ho pagato nulla, poichè non raggiungevo il reddito minimo (o meglio pur raggiungendolo, scaricavo le spese dalle tasse e quindi non ero tenuto a pagare). Senza quel corso, non avrei potuto fare quello che faccio. Perciò se è iniquo il prestito, allora è ancora più iniqua la situazione attuale, dove chi ha i mezzi può permettersi tutte le università in tutti i luoghi, mentre chi non ha i mezzi, si deve accontentare della mediocre università locale.

  17. Francesco Rinaldi

    Il sostegno agli studi dovrebbe venire dallo stato non dalle banche. Ho 21 anni e non vorrei mai trovarmi tra tre anni già con un debito. Con i rimborsi calcolati sui redditi futuri, con i redditi che ci aspettano, ci porteremo dietro questo fardello per decenni dopo la laurea. Questo ritarderà l’età in cui ci sposeremo e avremo dei figli e avrà altre grosse conseguenze a lungo termine dannose che vanno valutate attentamente. Studiare è un diritto! e lo sviluppo di una nazione dovrebbe essere misurato dal grado di istruzione e specializzazione dei sui abitanti. Questo provvedimento potrebbe infine giustificare scelte governative che mirano alla riduzione dei sussidi.

  18. fabrizio valloni

    Non sono d’accordo con la premessa. I ragazzi e le ragazze non vanno via da casa perché manca la cultura, nella stragrande maggioranza non è mai un problema di soldi. I genitori e i figli nascondono sotto l’utile argomentazione del risparmio ancora circondato di valori etico-culturali positivi, l’incapacità dal lato dei genitori di accettare che i figli siano cresciuti, dall’altro quello dei figli, di essere persone autonome e libere. A maggior ragione, nessuno si indebiterebbe mai per studiare, posto che poi spesso il merito, sul mercato del lavoro, è riconosciuto con molto ritardo.

  19. rosario nicoletti

    Penso che l’idea dei prestiti per conseguire una laurea faccia parte del mondo dei sogni. Se si sogna di vivere in un paese dove esiste meritocrazia, mobilità sociale, mobilità nel lavoro e non ci si sveglia si possono anche sognare i prestiti per svolgere gli studi universitari. Chiedo scusa della brutalità, ma è esattamente quello che penso dopo avere visto il continuo peggiorare del sistema paese.

  20. MarcoViola

    Ogni articolo sul tema prestiti universitari, a prima vista dà l’impressione è quella di una proposta logica, elegante ed equa. A pensarci bene però la forza di questa proposta poggia su un quadro incompleto, e perde molta della sua appetibilità se si considera ad esempio che (1)si rischia di legittimare un disimpegno del governo nel finanziare istruzione e diritto allo studio (siamo già tra i paesi che vi investono %mente meno al mondo, ca. come la Slovenia); (2)assumendo (come pare faccia Terlizzese) che l’unico compito degli atenei sia "formare studenti per offrire migliori prospettive di reddito" sembra plausibile scaricare su loro (i clienti) il costo del servizio. Ma certe funzioni degli atenei (es.ricerca, trasferimento tecnologico, aumento del livello culturale) non sono invece a beneficio della società tutta? (3)il passaggio dal welfare studentesco "a fondo perduto" (oggi in crisi) ad un sistema di prestiti presumibilmente diminuirà il numero di immatricolati e di laureati (già in calo dal 2008). L’Italia ha una % di laureati < di ogni altro paese industrializzato, e (quindi e/o perché) settori produttivi poco innovativi. Vogliamo davvero aggravare questa situazione?

  21. Lucia Pasquadibisceglie

    Ho dovuto scegliere di non pesare ulteriormente sui miei genitori e di studiare nell’Università più vicina. Forse questo meccanismo spaventa ma io sono la prima a scommettere sul mio futuro e lo vorrei fare con i miei soldi! Certo, in un’Italia più equa ed intelligente lo Stato dovrebbe sostenere i talenti più meritevoli, ma se questo non c’è meglio auto-sostenersi! A patto di poter sopravvivere!!

  22. Porcu Silvana

    Prima di leggere i commenti ero più entusiasta. Continuo però a pensare che avere un prestito d’onore sia una buona opportunità. Deve essere legato al merito perchè in Italia si spende già troppo per una scuola fallimentare.
    L’università deve essere percepita come una cosa seria e deve essere valorizzata. La situazione attuale non fa ben sperare.

  23. Rino

    Consiglio di fare una breve ricerca su google con questi termini: student loans bubble

  24. andrej drosghig

    Ho visto menzionata la Slovenia…ebbene in Slovenia funziona così: in qualsiasi facoltà si devono superare test attitudinali, ossia le università pubbliche sono tutte a numero chiuso. Dopodichè l’università è gratuita. A tutti gli studenti viene erogato un finanziamento di 300 euro al mese, che devono restituire nel caso non superino un certo numero di esami. L’effetto motivatore è evidente… Forse i soldi sono anche pochi, ma certo sono spesi più razionalmente che in Italia.

  25. azac

    Mi pare che una proposta di questo genere, ora, costituisca un escamotage per rimpinguare le casse universitarie (in pessime condizioni, anche perchè in alcuni casi clamorosamente malversate – vedere il caso senese). Il modello può funzionare (ha funzionato) in periodi di espansione economica, in cui la mente d’opera trova lavori ben retribuiti con relativa facilità. Ma parlare con laureati tecnici rimasti col debito e senza lavoro, con scarse prospettive di reimpiego e nessuna di mantenimento del precedente livello salariale, fa cambiare idea. La triste verità è che il paese non può permettersi il diritto allo studio come era stato concepito a causa di diverse priorità nella spesa. E temo che la cosa non riguardi esclusivamente l’attuale maggioranza.

  26. alessandro75

    Vorremmo meritrocrazia e uguaglianza delle opportunità attraverso un accesso universale al credito. E intanto i giovani che oggi partono senza debiti, potendo, se il lavoro lo permette, acquistarsi una casa, si troverebbero a 25 anni la prima ipoteca sulla loro vita. con i nostri stipendi da fame e contratti precari, impiegherebbero una vita a ripagarsi una laurea all’estero. E per quale motivo dovrebbero investire tanto denaro pe runo stipendio di 1200 euro? non è la creazione di un indebitamento generalizzato che porterebbe i giovani a rivendicare retribuzioni adeguate ai prestiti da onorare. Ci sono in giro ottimi specialisti indiani e cinesi a basso costo Perchè lo Stato dovrebbe essere garante di un affare privato fra banche e cittadini? Gli studenti farebbero debiti per trarre profitto dai propri studi e le banche difendrebebro un sistema dove lo studio ha una mera valenza privata di arricchimento personale,e nessun valore al servizio del bene comune. Per quale motivo lo Stato e le nostre tasse dovrebbero ripagare i prestiti d’onore degli inadempienti, ovvero lo stato riscuotere un prelievo addizionale per girarlo alle banche?

  27. Nicola Di Cesare

    Premesso che la nostra costituzione non è un pezzo di carta imbrattato a casaccio da giuristi annoiati è bene ricordare che questa afferma il principio secondo cui tutti gli studenti meritevoli hanno diritto ad accedere alla formazione universitaria in funzione delle proprie possibilità economomiche. In assenza di un vero strumento di determinazione del reddito e del patrimonio personale (e se esiste, della famiglia di appartenenza) dello studente, in Italia si è dato sempre tutto a tutti e più spesso maggiormente a chi ne ha meno bisogno. Pensare ad un sistema che porti all’indebitamento dello studente sarebbe già iniquo se ci trovassimo in una condizione di alti rendimenti futuri attesi dell’investimento formativo figuriamoci in un sistema economico che non riesce a garantire nemmeno i livelli occupazionali e reddituali del ceti medio-alti. Le strade sono solo due. Aiutare solo chi merita ed efficientare le strutture didattiche riorganizzando sulla base delle moderne tecnologie telematiche le faraoniche e mal utilizzate istituzioni universitarie.

  28. Gianni Andretti

    Per l’autore si migliora l’Italia aumentando la spesa pubblica. Invece di proporre la privatizzazione integrale dell’università mettendo a carico dello studente ogni spesa visto che i benefici della laurea sono esclusivamente personali e non collettivi, l’autore fa l’esatto contrario, trasformando l’università in un vero e proprio affare, per chi la frequenta e per chi ci lavora. Un affare per tutti, tranne per chi si alza alle 6 e lavora 12 ore al giorno pagando una marea di tasse. Allora perché non mettere a carico dello Stato anche il Master? La Laurea sì e il master no?Non siamo più negli anni ’50, epoca in cui chi nasceva in Italia era destinato a lavorare-vivere-morire in Italia e la laurea (non importava in cosa essere laureati, bastava averla) garantiva un ottimo lavoro a tempo indeterminato.

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