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SANTORO E DINTORNI

Prima, gli interventi di Berlusconi nei telegiornali al di fuori di ogni par condicio, poi l’addio di Santoro alla Rai. Il problema è sempre lo stesso: il controllo della politica sulla televisione pubblica. Mentre l’anomalia italiana resta quella di un mercato televisivo dove due gruppi controllano l’80 per cento della audience e dove un presidente del Consiglio controlla quasi interamente entrambi. Per affrontarla occorre andare a incidere sulla proprietà e sui meccanismi di governance. E nel mondo digitale occorre anche riflettere sulla funzione di servizio pubblico.

 

E così in pochi giorni abbiamo avuto il presidente del Consiglio a reti quasi unificate che interviene a sostegno dei candidati di centrodestra impegnati nei ballottaggi fuori da ogni disciplina di par condicio, e l’addio di Michele Santoro alla Rai. Due casi che condividono un elemento: il prevalere di logiche politiche su regole che dovrebbero valere per ogni emittente, o su logiche di equilibrio economico dell’azienda radiotelevisiva pubblica.

LE MANI DELLA POLITICA SULLA TV

I due fatti ci insegnano altre cose: la prima è la facilità con cui i tentativi di mantenere un equilibrio nell’informazione televisiva almeno durante le campagne elettorali siano aggirabili, soprattutto quando un gruppo televisivo è pronto a pagare centinaia di migliaia di euro, che escono dalle tasche di noi abbonati, per le multe prontamente comminate da Agcom. Il sempre sorprendente ex-giornalista Augusto Minzolini si è mostrato stupito, ribattendo che la prima uscita di Silvio Berlusconi dopo la batosta del primo turno delle elezioni amministrative era una notizia che nessun giornalista avrebbe perso. Lasciandoci il dubbio, con questa sua affermazione, sul perché i giornalisti del Tg3 e di La7 non avessero colto l’appetibilità di queste breaking news, o forse non avessero ricevuto la richiesta di intervista. Né, d’altra parte, il puntuale intervento di Agcom è potuto andare al di là della rilevazione dei tempi di trasmissione dedicati in prima serata al presidente del Consiglio. Senza poter, ad esempio, considerare il problema dell’equilibrio nella conduzione dell’intervista, o stigmatizzare lo stile coranico degli intervistatori, proni in direzione della Mecca di Arcore mentre ponevano delle non domande.
Al di là di questi elementi di cronaca, il punto generale è che, in presenza di un forte squilibrio nel controllo dei canali televisivi principali, la mera regolamentazione delle condotte giornalistiche, anche quando implementata con multe tempestive in caso di inadempienza, non modifica le forti distorsioni nell’informazione televisiva, che tutt’oggi rappresenta la fonte principale di formazione dell’opinione pubblica. Né, d’altra parte, va dimenticato che le forme di regolamentazione note come par condicio operano solo durante le campagne elettorali, lasciando del tutto sguarnita l’informazione dei telegiornali fuori da questi limitati periodi, con le conseguenze che l’Osservatorio di Pavia periodicamente testimonia circa la sovraesposizione di maggioranza e presidenza del Consiglio.
Anche il caso Santoro, sperando di poterci risparmiare un caso Gabanelli, evidenzia come sia il controllo politico sulla televisione pubblica il problema cruciale, controllo che preferisce sacrificare un programma di informazione di successo, per quanto partigiano, piuttosto che investire in altri programmi di informazione di diversa impostazione che aumentino la pluralità delle opinioni offerte.

SOLUZIONI DRASTICHE

In un contesto di concentrazione degli ascolti tutt’oggi molto pronunciata, i fatti recenti hanno segnalato ancora una volta come soluzioni intermedie, basate su forme di controllo, o di autoregolazione, dei comportamenti degli operatori televisivi non siano efficaci, siano facilmente aggirabili anche in presenza di prescrizioni molto dettagliate, e non portino quindi a una informazione equilibrata laddove la concentrazione naturale del mercato televisivo si combini con una governance dei gruppi editoriali maggiori fortemente permeata dalla politica.
Si dirà che il mercato tende ad auto correggersi, che a fronte del Tg1 bulgaro dell’era Minzolini il telegiornale di Enrico Mentana su La7 ha superato i 10 punti percentuali di share, che Santoro e magari altri transfughi delle reti pubbliche normalizzate troveranno accoglienza nel canale di Telecom Italia. Magra consolazione per chi si ostina comunque, per dovere civico, a pagare il canone. E correzione parziale, poiché l’effetto di traino dei canali maggiori esiste e non è ovvio che Santoro raggiungerà gli stessi ascolti su una rete minore. Nonché consolazione tutta da verificare, assieme al coraggio che un gruppo come Telecom Italia sarebbe chiamato a dimostrare mentre sono aperti tavoli fondamentali di confronto con il governo, primo tra tutti quello della rete a banda larga.
Insomma, l’anomalia italiana è e rimane quella di un mercato televisivo dove due gruppi controllano l’80 per cento della audience e dove un presidente del Consiglio controlla quasi interamente i due gruppi. O il problema viene affrontato in questi termini, o continueremo a scalare verso il basso le classifiche internazionali sulla libertà di informazione.
La cura è ovviamente drastica, perché occorre andare a incidere sulla proprietà e i meccanismi di governance dei gruppi televisivi. Nel mondo della televisione digitale limiti al potere di mercato debbono essere posti, in una prospettiva di pluralismo, sulla audience complessiva raggiunta, oltre i quali scattino meccanismi correttivi severi che vadano da un inasprimento dei tetti pubblicitari al ritiro delle licenze. E nel mondo digitale occorre riflettere sulla funzione di servizio pubblico, sulla necessità di canali televisivi dedicati a tutela di quei contenuti che vengono giudicati meritevoli, sulla necessità di separare la programmazione pubblica associata al servizio pubblico da quella commerciale, e sulla possibilità di privatizzare quest’ultima. Nonché su forme di governance che mantengano la distanza dell’esecutivo dalla gestione dei canali pubblici rimasti.
Progetti complessi, per la cui disamina queste righe non bastano, ma su cui spesso su lavoce.info in questi anni siamo tornati. Ritrovandoci sempre alla casella di partenza: senza affrontare il problema della proprietà e del controllo dei canali televisivi, non si esce dalle distorsioni profonde dell’informazione italiana.

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15 commenti

  1. Marcello Tava

    Apprezzo sempre il tono anglosassone che La Voce sa mantenere anche quando le tocca confrontarsi con i problemi terzomondisti del nostro paese. Ma questa volta non resisto alla tentazione di chiedere all’autore a quale soggetto specifico egli si rivolga quando formula gli interventi necessari a conclusione del suo pezzo ("Occorre… occorre…"). Al governo e al suo presidente? Al parlamento e alla sua maggioranza? All’opposizione che per bocca di un suo autorevole rappresentante anni fa confessò pubblicamente di aver rinunciato a una legge sul conflitto di interessi per paura di una rappresaglia mediatica? Agli intellettuali che si esprimono da quotidiani cofinanziati dallo stato? Mai come in questo caso sarebbe utile un contributo che al posto di ripetere per l’ennesima volta cosa occorra fare (in fondo basterebbe guardare oltralpe) indicasse chi e come questi pregevoli consigli possa mai realizzare. Ma è un compito improbo per chiunque.

  2. AM

    Seguo spesso i programmi di Santoro, sono per me un diversivo e mi spiace di questa rottura con la Rai. Tengo a precisare tuttavia che i punti di vista di Santoro, così come quelli di altri personaggi della TV pubblica e privata non hanno mai influenzato il mio voto. Penso che anche la maggioranza degli italiani non sia influenzata da TV e giornali. I partiti politici, soprattutto quelli di opposizione, sopravvalutano gli influssi sul voto. La cacciata di Santoro non gioverà quindi al governo in termini di aumento di consensi.

  3. Sam

    Forse è vero come dici tu che se la televisione dice di votare per Tizio non è che ipso facto ciò sottragga voti a Caio… però è sicuramente vero che quello che la televisione non dice (in un paese in cui la stragrande maggioranza dei cittadini si informa solo tramite la TV) non permette ai cittadini stessi di avere gli elementi conoscitivi in base ai quali decidere con cognizione di causa se sia meglio votare Tizio o Caio o Sempronio.

  4. Giuseppe

    Ieri sera Castelli ad "Anno Zero" diceva: "Santoro è liberissimo di fare televisione, ma non voglio che venga pagato con il mio canone". Beh, io dico lo stesso per i conduttori dell’ "Isola dei famosi", di "Domenica In" di "Affari tuoi", di "L’Eredità" e di tutto il trash che la Rai ci propina. Non ho diritto anch’io a vedere questi programmi chiusi?

  5. alfredo ferrari

    Penso che la Rai non vada più finanziata in quanto vengono spesi soldi pubblici in maniera indiscriminata da tutti. Se vuole la tv di stato deve fare programmi culturali e notizie ma tutta la feccia di programmi propinata di parte non possono più essere tollerati. Basta canone e ognuno veda quello che vuole, libera concorrenza. Se lo stato vuole faccia dei servizi a pagamento ma le strutture devono essere indipendenti. Basta cda con pseudo-politici. Togliere di mezzo la politica dalla Rai in tutte le sue forme. Chi si è candidato o si candida e poi vuole lavorare in Rai non deve più farlo. I casi tipo Lilli Gruber e similari non ci devono più essere. Chi lavora per lo stato in questi servizi basilari per la democrazia deve essere asettico!

  6. ID

    Sono sostanzialmente d’accordo con quanto asserito nel testo, ma c’è un altro aspetto sul quale, forse, varrebbe la pena soffermare l’attenzione: con la conversione al digitale è possibile liberare frequenze e favorire l’ingresso di nuove emittenti nel mercato. Tuttavia, parte delle frequenze liberate sono state spartite tra gli editori già presenti, mentre è assolutamente inefficiente la gestione delle stesse per quanto riguarda le emittenti locali, che infatti in molti casi replicano la programmazione su più canali occupando inutilmente ampie porzioni di spettro. Bisognerà aspettare l’assegnazione delle nuove frequenze, secondo le delibere Agcom, per capire se i criteri adottati siano sufficienti a garantire realmente il pluralismo. Perché, stavolta, lo spazio sullo spettro c’è, o meglio, ci sarebbe…

  7. BOLLI PASQUALE

    Il gioco è bello quando dura poco:se dura molto,come per il governo Berlusconi,non solo non è bello, ma è, anche, un vero dramma. Tutto è stato devastato della nostra società: la giustizia, la scuola, la cultura, il concetto dell’ onestà, l’altruismo, la dignità, il rispetto delle Istituzioni, l’economia e per finire la televisione pubblica. E’ tempo, prima che sia troppo tardi, che i partiti facciano tanti passi indietro, non solo nella televisione ma in tutti gli altri campi che non sono di loro competenza, ma che appartengono al popolo sovrano. Gli italiani devono riappropriarsi di tutto e non lasciare che, con irresponsabile abdicazione, la politica si senta autorizzata ad invadere ogni campo della vita pubblica. E’ giusto che i cittadini paghino il canone ed i politici scelgano i programmi? Siamo alla stupidità! I nostri governanti sono negativi e se stanno fermi e se si muovono: nella televisione si sono mossi, nell’economia sono fermi; in ambedue i casi fanno loro interessi e, per noi, danni irreparabili. Il tempo dell’attuale governo è finito! Chiedere a Berlusconi di rimettersi in gioco è offesa ai giovani che sono: futuro, continuità e testimonianza della nostra società.

  8. andrea siani

    Personalmente, pagando il canone Rai ed essendo elettore del centro destra, trovavo e trovo ignobili certe trasmissioni che della faziosità e della menzogna fanno la loro bandiera. Non mi venga a dire Polo che le televisioni sono controllate da Berlusconi, quasi tutte, Rai e Mediaset hanno fatto dell’antiberlusconismo a prescindere la loro bandiera. Certo che degli errori ne sono stati commessi ma dove saremmo ora se ci fossero i Vendola e i Di Pietro a governarci, pensateci bene anche voi della Voce.

  9. Rinaldo Sorgenti

    E’ davvero sintomatico dell’obiettività prevalente il commento fatto sopra. Evidentemente non si riesce neppure a fare il conto di quante siano le trasmissioni e le voci sfacciatamente di parte e di sinistra per arrivare a focalizzare le note sopra riportate. Poi parlare di caso politico la vergognosa ed infinita sceneggiata del Santoro è davvero stupefacente. Ma poteva continuare all’infinito quel modo barbaro e spudorato di gestire l’informazione da parte del pretoriano fazioso, CHE CONSIDERA LA TV PUBBLICA, COSA SUA? Povera Italia, se a parlare di energia e futuro dello sviluppo si chiamano comici e giullari del cabaret e della canzonetta.

  10. tiberio damiani

    venerdì mattina a radio 3 rai un giornalista inglese ha espresso forti dubbi su alcune trasmissioni tv di "informazione". questi dubbi li condivido. in primo luogo le trasmissioni tipo ballarò ed anno zero sono delle vere e proprie risse, non so chi di noi si comporta in tal modo con amici o conoscenti anche occasionali. poi si scambia l’insulto per la difesa delle opinioni, mentre le argomentazioni tecniche, quando ci sono, vengono ridotte a spot di pochi secondi. questo è un ulteriore elemento di degenerazione di queste trasmissioni. terzo mi chiedo come possa essere possibile altrimenti, nella tv italiana, fare informazione, perchè senza risse un programma è noioso e mancherebbe l’audience…? cordiali saluti

  11. Giovanni

    Vedo che molti si ostinano a non capire che trasmissioni come "Anno zero" non spostano un voto. Chi le guarda è già schierato, fa il tifo per la propria parte e si indigna nei confronti di quella avversa. Ben diverso è il caso dei telegiornali che per molti sono l’unica fonte di informazione o addirittura delle trasmissioni di intrattenimento, che hanno creato nel tempo un terreno adatto al messaggio berlusconiano. Giustamente Polo fa notare che La7 non è proprietà di un editore puro e può essere piegata con ricatti da parte della politica. Poi ognuno può pensare ciò che vuole e magari credere che Mediaset sia antiberlusconiana a prescindere.

  12. Alberto

    L’articolo è corretto e riassume tutti gli argomenti sullo stato derelitto dell’informazione in Rai. Solo non è stata menzionata la parola magica che risolverebbe buona parte dei problemi : privatizzazione! E’ l’unica soluzione possibile per togliere la Rai dalle grinfie della politica, avere maggiore pluralismo e, perchè no, liberare energie imprenditoriali, che porteranno certamente alla creazione di nuovi posti di lavoro in un settore così depresso in Italia, la cultura.

  13. Roberto Fiacchi

    Come in ogni altro comparto importante, quello della televisione risente del livello della politica. Forse che la privatizzazione della rai impedirebbe ad una politica autoreferenziale e scadente di non intervenire in modo " maldestro? ". Penso, quindi, che solo una nuova coscienza civile partecipativa possa obbligare la politica ad innestare la qualità necessaria perchè si migliori. A quel punto, con più o meno gradualità, anche la televisione potrà diventare uno strumento maggiormente democratico ed utile ai più, anzichè ai pochi. Nel frattempo il nuovo vento, che sembra essersi lievemente alzato, potrebbe, anche a breve, incidere un po’ per ottenere almeno di eliminare le esagerazioni cui si sta assistento.

  14. davide cerqua

    Che La7, alla fine, abbia chiuso le porte a Santoro non mi ha stupito. Sono gli stessi che diedero carta bianca a Luttazzi, vantandosene per mesi, e se la rimangiarono quando questi dimostrò di fare ascolti satireggiando a tutto campo: Prodi e i suoi ministri, Veltroni e il suo Bettini, il PD e le sue missioni di pace, Chiesa, Confindustria, sindacati, giornalisti embedded come Ferrara e Rossella, la stessa Telecom. Chiusero "Decameron" con un pretesto qualunque. Dunque smettiamola con le favolette: La7 non è "libera". Dà spazio a Mentana perché Mentana è OMOLOGO al sistema politico-economico che governa questo Paese. Inoltre, come gli ha rimproverato Confalonieri, Mentana ci ha messo 18 anni (!) per capire che "Mediaset era un comitato elettorale". Alla faccia del cronista scomodo. (Fu il titolo usato da Sorrisi&Canzoni per lanciare in copertina il Matrix di Mentana: "Sarò scomodo". Per chi?)

  15. Piero Tortora

    L’idea che Mediaset, con i suoi programmi, abbia, nel corso degli anni, insonnolito le coscienze, ribaltato valori secolari, allo scopo di preparare il sottobosco per la fioritura del Berlusconismo, é una ipotesi orribile e affascinante allo stesso tempo. Mi riesce difficile individuare nell’entourage de premier quel genio del male che abbia potuto reggere questo progetto per più di un trentennio, e quindi sono più propenso a pensare che le cose si siano sviluppate da sole con una dinamica degenerativa che nasce dal pensare solo all’oggi ed al proprio tornaconto. Il futuro insomma non ha alcun interesse, perché spesso non ci appartiene (soprattutto nel caso dei nonni che ci governano). Parlo naturalmente di messaggi subliminali, non delle esplicite grottesche esternazioni di personaggi come Fede, Minzolini, Ferrara, Sallusti etc. Persone che non riceverebbero un filo di credito in un paese cosciente. Santoro é esplicitamente schierato, ma almeno lui é servo di un’idea non di un uomo.

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