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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo tutti per gli utili commenti ad una riflessione di due economisti che, lo ripetiamo, resta confinata all’ambito dell’analisi economica del diritto. Ad essa vanno certo affiancate altre considerazioni, di diversa natura.

Noi ci siamo limitati, come dice Giorgio Zanarone, ad una lettura neutra, a leggere cioé la norma e ad analizzarne gli effetti in termini di incentivi, indipendentemente da ogni pur meritevole considerazione di altro genere. Opportunamente, Federico Grillo Pasquarelli traduce per noi in cifre i processi eliminati dalla norma, una volta approvata, secondo i dati forniti dal Ministro Alfano: quel trascurabile 0,05% dei processi interessati dalla norma comporterebbe circa 6000 o 7000 processi che muoiono d’un tratto. Un numero impressionante, se pensiamo alle altrettante presunte vittime che aspettano giustizia. Qualche imputato ne avrà un beneficio, ma si tratta certamente di un “peggioramento paretiano”.

Il punto che invece abbiamo voluto sottolineare é che, secondo l’approccio di analisi economica del diritto, tra le motivazioni che spingono a commettere un illecito o un reato vi è il confronto tra benefici attuali privati e costi attesi privati. Questi ultimi derivano dal valore della sanzione (monetaria e/o non monetaria) moltiplicata per la probabilità di essere scoperti e condannati, se colpevoli. La prescrizione dei tempi processuali evidentemente riduce questa probabilità. Ci sono, in genere, ottime motivazioni sociali per questo e la letteratura che citiamo le evidenzia. Si contemperano due esigenze: quelle della vittima e quelle dell’imputato. Un cittadino che non ha commesso il reato, ad esempio, viene liberato da un peso ingiusto, a meno che non preferisca usare il processo per dimostrare compiutamente la propria innocenza. Ci rendiamo conto che è una visione particolare, quella appunto dell’analisi economica al diritto, e ha certamente ragione Federico Grillo Pasquarelli quando evidenzia che altre motivazioni possono manifestarsi.

Nel nostro schema, ciò che difficilmente trova una spiegazione razionale in termini di policy è il diverso trattamento dei tempi di prescrizione, tra incensurati e non, che la nuova norma introduce. La prescrizione viene cioè modulata non in funzione dei reati, ma dei rei. E’ qui il vulnus, anche economico. Perché è vero che tra gli incensurati vi possono essere innocenti (come evidenziato da Francesco Saverio Salonia), ma vi saranno anche i colpevoli, cioè persone che effettivamente hanno commesso l’illecito o il reato per il quale sono imputati. Al tempo stesso tra i recidivi sotto processo, vi potranno essere innocenti. Il punto che abbiamo voluto evidenziare è che trattare diversamente, ai fini della prescrizione, non già i diversi reati ma i diversi rei può generare effetti perversi. Perché la quota di coloro che hanno commesso reati e che non sono stati (ancora) condannati potrà aumentare in quanto per questi soggetti la sanzione attesa diminuirà. Per via di questo meccanismo, la norma novellata ridurrà la deterrenza. Non abbiamo assunto pertanto, come osservato da Francesco Saverio Salonia, che tutti gli imputati abbiano effettivamente commesso il reato, abbiamo solo convenuto che tra questi, coloro che sono colpevoli ma incensurati avranno ridotti incentivi a rispettare la legge. Non bisogna confondere il piano dell’errore giudiziario post-sentenza (innocenti giudicati colpevoli), con il piano dell’accertamento pre-sentenza (colpevoli prescritti in quanto incensurati).

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E’ vero, come rilevato da Matteo Villa, che a seguito di questa norma si potranno generare nuovi (convergenti?) equilibri, ma il nostro ragionamento vale per ogni “nuova” generazione di rei e dunque è altamente probabile, nel nostro schema logico che i reati incrementino a seguito della riduzione di deterrenza generata da una riduzione della prescrizione, anche se per la sola popolazione di incensurati.

Nella nostra lettura abbiamo ovviamente “assunto”, come dice Raffaello Morelli, che a fronte di un processo vi sia un illecito o un reato. Cioè un fatto contrario alla legge. E che quindi qualcuno quel fatto lo abbia commesso, ovvero che vi “debba” essere un colpevole che possa o meno essere poi coinvolto in un processo. E’ certamente vero, come suggerisce Morelli, che questa prassi dell’approccio economico al diritto si possa scontrare con l’idea, giuridicamente vincolante, che è unicamente il processo a stabilire tanto l’esistenza di un reato quanto l’eventuale colpevolezza. Se questo è vero, a maggior ragione però occorrerebbe evitare di intervenire prima del processo, trattando diversamente rei e incensurati, in quanto si utilizzerebbe una verità non processuale “prima” che siano accertati fatti, reati e rei. Peraltro, il piano dell’analisi economica del diritto, per la parte che qui rileva, si basa sulla deterrenza ovvero sugli incentivi a commettere o meno un illecito o un reato in funzione delle regole previste. Dunque il modo in cui “funziona” un processo, nonché il sistema di controlli che lo attiva, influenzano gli incentivi a commettere o meno reati, ceteris paribus. Le conseguenze logiche dell’osservazione di Morelli ci paiono, invece, alquanto estreme, se non paradossali.

Marco Pierini e Giorgio Zanarone evidenziano come il problema della giustizia italiana sia dato da un lato dalla inefficiente macchina amministrativa e dall’altro dai lunghi tempi dei processi. E’ su quel piano che occorrerebbe intervenire. Non già eliminando il processo, con incentivi perversi ai rei. ma garantendone il suo svolgimento in tempi accettabili, con incentivi opportuni a tutti gli attori, giudici e avvocati. Magari depurando le opportune esigenze garantiste dal crescente opportunismo da “azzeccagarbugli” volto ad allungare i processi per ottenere la prescrizione dei reati.

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I DANNI COLLATERALI DI UN REFERENDUM

  1. Raffaello Morelli

    Ringrazio gli autori per le osservazioni. Confermano in sostanza del mio primo commento, quando scrivono che, siccome il piano dell’analisi economica si basa sulla deterrenza agli illeciti o ai reati, allora " occorrerebbe evitare di intervenire prima del processo, trattando diversamente rei e incensurati" poiché "il modo in cui “funziona” un processo, nonché il sistema di controlli che lo attiva, influenzano gli incentivi a commettere o meno reati". Appunto per questo il presupposto inespresso dell’analisi è pericoloso. Perché quando si passa dall’assunto economico al regolare la libera convivenza, non è più possibile adottare l’occhio della comunità (non quello processuale) e dare per scontato che il reato sia stato commesso. Se si fa, si condanna il cittadino a prescindere dal processo. Dando così un potere abnorme non ai giudici ma ai pm. Tale conclusione non è paradossale, è chiara. In termini di libertà civile, non regge il valutare gli aspetti giuridici della convivenza facendo riferimento solo ai criteri economici. Decenni fa, Einaudi ha distinto nettamente tra la politica liberale, che punta alla libertà, ed il liberismo economicista, che ha una funzione diversa.

  2. etienne64

    L’argomento sulla prescrizione è sostanzialmente errato, pur muovendo da una osservazione giusta anche se un po’ banale. La pena rappresenta un rischio per chi compie atti qualificati come reati e, come tutti i rischi, l’entità di tale rischio è pari al prodotto della probabilità dell’evento (probabilità di essere baccati, insomma) e magnitudo della disutilità conseguente alla applicazione della pena. E fin qui, tutto giusto, è il vecchio discorso di Beccaria. Quello di cui il Suo discorso non tiene conto è che, PROPRIO SULLA BASE DI QUESTA PREMESSA, si dovrebbe concludere convenendo sul fatto che la prescrizione incide sulla concreta severità della pena. Ora, è ovvio che tanto più una pena sarà severa e tanto più sarà deterrrente. Tuttavia, si ritiene che l’efficacia deterrente non possa superare certi limiti che comporterebbero dei costi non economici ma valoriali eccessivamente elevati. Sarebbe di certo più deterrente giustiziare i criminali con atroci torture sulla pubblica piazza: ma si ritiene che nessuna efficacia detrrente giustifichi supplizi stile Ravillac.
    Sicché, limitarsi a constatare che riducendo la prescrizione si riduce la severità della pena e quindi la sua efficacia aggira la discussione sul vero problema delle pene e cioé quale sia il limite massimo di sofferenza che si è disposti ad infliggere per conseguire il desiderato effetto deterrente. E il limite massimo, proprio per quel che è stato scritto nel post, non è dato solo dal massimo edittale, ma dal massimo edittale E da tutte le condizioni di concreta punibilità, prescrizione compresa.
    Infine (scusate, il triplo commento dovuto al limite di caratteri), per quanto a me non piaccia, l’incremento della prescrizione per i recidivi non è una novità e ha una sua ragione sotto il profilo special preventivo. Dal 1930 e cioé da quando fu promulgato il codice, la prescrizione della pena (non del reato, della pena) è crescente in ragione del fatto che taluno sia pregiudicato o meno. In secondo luogo, si assume che il pregiudicato sia maggiormente propenso a delinquere e che, quindi, la minaccia debba essere più forte nei confronti del recidivo. Sempre per le ragioni da voi esposte (e cioé che la disutilità della sanzione è il prodotto di probabilità per magnitudo) l’incremento della prescrizione ha la stessa logica della aggravante della recidiva. Il problema, in realtà, è un’altro: è giustificato questo inapsprimento generalizato delle pene? Io credo di no. Ma suppongo di essere piuttosto soletto nel sostenere un tanto.

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