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SE ATENE PIANGE, LISBONA NON RIDE

Tocca ora al Portogallo soffrire una crisi del debito sovrano che sembra inevitabilmente condurre verso un nuovo bail-out. Ma la cattiva gestione della finanza pubblica non è l’unico problema. Negli ultimi dieci anni il paese ha infatti registrato una crescita assai debole e un forte aumento del debito privato: in termini lordi è quasi quattro volte il Pil e cinque volte la dimensione del debito pubblico. Senza dimenticare i deficit delle partite correnti. Necessarie quindi riforme per recuperare competitività ed efficienza. Per ora, nessun rischio contagio.

 

Dopo Grecia e Irlanda è ora il Portogallo a soffrire una crisi del debito sovrano che sembra inevitabilmente condurre verso un nuovo bail-out. Tuttavia i problemi del Portogallo non risalgono esclusivamente a una cattiva gestione della finanza pubblica. Il paese è caratterizzato da un debito privato elevato e da un debito estero che rimane il più alto del gruppo dei Pigs. Il rischio di contagio, soprattutto nei confronti della Spagna, non viene attualmente considerato dai mercati come un evento probabile.

GLI SQUILIBRI DI FINANZA PUBBLICA

Il Portogallo – come Grecia e Irlanda – soffre di un ampio disavanzo pubblico, anche primario. Nel 2010 il deficit pubblico – dopo le ultime revisioni, realizzate su sollecitazione di Eurostat, per tener conto dell’operazione di ricapitalizzazione di 2 miliardi di euro a vantaggio del Banco Portoguese de Negocios – è risultato pari all’8,6 per cento del Pil (anziché il previsto 7,3 per cento che costituiva l’obiettivo del governo). Il saldo primario ha invece registrato un deficit del 4,5 per cento. Il debito pubblico – che agli inizi del 2000 era ancora inferiore alla metà del Pil – ha ora raggiunto l’85 per cento del prodotto interno lordo. I vari piani di austerità (ben quattro negli ultimi dodici mesi) presentati dal governo Socrates miravano a realizzare una forte riduzione del deficit già a partire dal 2011, per raggiungere l’obiettivo del 3 per cento entro il 2013. Tuttavia il livello dei tassi di interesse – ora mediamente pari al 7 per cento, che esprime uno spread nei confronti del Bund superiore ai 500 punti base – unito alla persistente fase recessiva, rendono irrealizzabili gli obiettivi dell’ex governo e conducono a un giudizio di insostenibilità per lo stato della finanza pubblica portoghese. Il surplus primario che dovrebbe essere conseguito per stabilizzare il rapporto debito pubblico-Pil sui livelli attuali risulta infatti vicino al 6 per cento del Pil, un risultato assolutamente fuori portata per la fragile economia portoghese, nonostante i recenti progressi realizzati nei primi due mesi del 2011 sul fronte delle maggiori entrate e delle minori uscite del bilancio pubblico.
Non casualmente nel corso della settimana passata le agenzie di rating hanno nuovamente rivisto al ribasso il loro giudizio sul Portogallo. Il rating del debito sovrano portoghese secondo S&P è ora BBB-, solo un gradino al di sopra del livello attribuito ai titoli considerati speculative grade. Venerdì scorso anche Fitch ha nuovamente ritoccato verso il basso il suo rating sull’onda di preoccupazioni crescenti espresse soprattutto su quanto potrebbe accadere nel più breve periodo. Ad aprile è infatti prevista una prima importante scadenza con titoli da rinnovare per 4,3 miliardi di euro, mentre a giugno andranno in scadenza titoli per 4,9 miliardi; nel complesso si evidenzia un fabbisogno superiore ai 9 miliardi di euro che non risulterà facile finanziare, anche se nell’asta organizzata venerdì scorso il governo portoghese è riuscito a raccogliere oltre 1,5 miliardi a quindici mesi a un tasso di interesse (5,79 per cento) inferiore a quello praticato sul mercato secondario (6,4 per cento) per analoga scadenza.
Qualora le preoccupazioni espresse dai mercati assumessero nuova consistenza e le agenzie di rating rivedessero ulteriormente al ribasso il loro giudizio – come peraltro appena deciso da Moody’s che ha portato da A3 a Baa1 il merito di credito attribuito al Portogallo – le conseguenze sarebbero chiare. I tassi di interesse corrisposti sui titoli del debito pubblico portoghese aumenterebbero ancora (sul quinquennale sono ormai vicinissimi al 10 per cento) non solo per effetto del downgrading del rating sovrano, ma anche per via della riduzione della domanda da parte di quei fondi di investimento che per statuto non possono investire in titoli aventi un rating inferiore all’investment grade. A quel punto il ricorso al sostegno fornito dall’Efsf (European Financial Stability Facility) diventerebbe inevitabile.
È curioso notare come l’attuale vuoto di governo ponga un problema di non poco conto, in quanto non è chiaro chi potrebbe richiedere ufficialmente il sostegno all’Efsf – che secondo recenti stime non dovrebbe risultare inferiore ai 70 miliardi di euro. Èprobabile che l’apertura ufficiale della fase finale della crisi verrebbe quindi rinviata al mese di giugno, dopo che le elezioni politiche avranno indicato la nuova coalizione di governo. Nel frattempo, le pressioni sulla Bce – sotto forma di finanziamenti erogati alle banche e di operazioni di acquisto di titoli del debito pubblico portoghese – acquisirebbero una dimensione rilevante.

E DOPO IL BAIL-OUT?

Non va dimenticato che la situazione portoghese è tale da richiedere, anche dopo l’attuazione dell’eventuale salvataggio, il proseguimento di una incisiva azione di consolidamento fiscale per eliminare il deficit primario esistente. Ma soprattutto va tenuto in conto che l’eventuale ritorno a un condizione di sostenibilità per la finanza pubblica portoghese costituisce uno (ma non l’unico) dei passi necessari per ripristinare un quadro macroeconomico ordinato, che consenta una partecipazione all’Unione monetaria europea priva di nuove tensioni, nel rispetto delle nuove indicazioni espresse dal vertice del Consiglio europeo dello scorso 24-25 marzo.
Negli ultimi dieci anni, il Portogallo ha infatti registrato una crescita assai debole (+0,6 per cento il tasso medio annuo di incremento del Pil nel periodo 2000-2010) che si è manifestata contemporaneamente a un forte aumento del debito privato (che in termini lordi è quasi quattro volte il Pil e cinque volte la dimensione del debito pubblico) e a continui deficit delle partite correnti. Queste ultime nel corso degli ultimi dieci anni hanno (quasi) sistematicamente registrato deficit nell’ordine dei 10 punti percentuali di Pil, concorrendo in tal modo all’accumulazione di un debito estero di dimensioni senza pari all’interno di qualsiasi altra economia periferica europea, superiore al 110 per cento del Pil.
Perché si riducano gli squilibri macroeconomici ancora oggi esistenti saranno quindi più che mai necessarie riforme utili per recuperare competitività ed efficienza, oltre che interventi volti a favorire un (inevitabile) processo di deleveraging del settore privato. Se Atene piange – in  conseguenza delle dolorose politiche di aggiustamento introdotte a partire dal maggio scorso – Lisbona certamente non ride, pensando a quanto dovrà essere fatto per correggere squilibri che non si limitano unicamente all’ambito della finanza pubblica.

C’È RISCHIO DI CONTAGIO?

La correlazione tra il rendimento sul decennale di Portogallo e Spagna – che per motivi di interdipendenza economica e finanziaria è ritenuta l’economia più esposta al contagio in caso di crisi portoghese – ha recentemente assunto un valore negativo. (1) Gli spread sui Cds, che nel caso del Portogallo sono continuamente cresciuti nelle ultime settimane sino a raggiungere i 570 punti base, riferiti ad altri titoli sovrani della periferia europea hanno conosciuto una dinamica decisamente contenuta. L’analisi di questi semplici indicatori lascia quindi prevedere, per il momento, l’assenza di un effetto “contagio”. Non è tanto, per consolarsi, ma non è nemmeno pochissimo.

(1) Sulla base degli ultimi dati (rilevazione a fine III 2010) messi a disposizione dalla Bri, relativi al grado di esposizione delle banche aderenti nei confronti dei quattro paesi Pigs, si nota come le banche spagnole abbiamo un’esposizione verso il Portogallo superiore a 100 miliardi di dollari, più che doppia rispetto a quella delle banche tedesche e francesi.

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EMERGENZA UMANITARIA TRA IPOCRISIE E REALTÀ

  1. Alessio Liquori

    Circa il 40% del debito sovrano portoghese è coperto da CDS: 57,4 miliardi su 143 miliardi. Il rischio contagio non c’è se l’aiuto di EFSF interviene efficacemente e nei tempi giusti, prima che dall’illiquidità si passi all’insolvenza. In quest’ultimo caso, infatti, qualsiasi forma di haircut provocherebbe pagamenti a catena – a cominciare proprio dai CDS – e il contagio, a mio modesto parere, sarebbe inevitabile.

  2. Lorenzo

    Salve, dopo aver letto attentamente il suo articolo voglio porle una domanda. Cosa ne pensa della tesi, portata avanti in italia da Emiliano Brancaccio, riguardo agli squilibri europei? In particolare nell’individuazione del surplus commerciale come causa dei deficit dei Piigs. Inoltre, non ritiene che venga smentita la tesi che minori tasse e basso costo del lavoro portino all’industrializzazione dei paesi? E che al contrario, per avere un aumento del pil, sia necessaria una forte e costante domanda, quindi essa debba essere di natura pubblica?

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