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LA CONSOB E I FURBETTI DEL MERCATINO

La Borsa italiana è troppo piccola e va sistematicamente peggio delle altre: cresce meno quando i mercati salgono e scende di più quando le cose vanno male. La diagnosi del neo-presidente di Consob è condivisibile. Eppure, a partire dagli anni Novanta le riforme non sono mancate. Ma negli ultimi dieci anni l’elenco delle aziende quotate in cui sono stati individuati comportamenti illegali di ogni sorta è impressionante. E allora è forse utile ricordare che le autorità di mercato hanno innanzitutto un ruolo di vigilanza, in modo da dissuadere i furbetti del mercatino.

 

La prima intervista del nuovo presidente della Consob, Giuseppe Vegas, (Corriere della Sera, 6 febbraio) parte da una diagnosi condivisibile di uno dei problemi fondamentali del mercato finanziario italiano, ma non entra nel merito delle cause profonde e quindi dei rimedi necessari.

LA DIAGNOSI

Partiamo dalla diagnosi: la Borsa italiana è troppo piccola e va sistematicamente peggio delle altre: cresce meno quando i mercati salgono e scende di più quando le cose vanno male. Come un ciclista che arranca in salita e frena in discesa e che al Giro d’Italia finisce fatalmente per indossare la maglia nera, il nostro mercato occupa un posto sempre più marginale nel sistema finanziario e nel confronto internazionale.
A metà del 2010 erano quotate in Italia 290 aziende, una in meno rispetto al 2000. È vero che riduzioni, anche più nette delle presenze al listino, si sono registrate in altri paesi, ma a questo punto il nostro mercato si presenta come uno dei più poveri dal punto di vista del numero assoluto di società quotate, superato (si fa per dire) solo dalla Spagna, che peraltro nel decennio, come si dirà fra poco, ha registrato un incremento significativo delle presenze al listino, passando da 172 a 279. (1)
L’effetto congiunto dell’andamento dei corsi e del numero di società quotate ha ridotto significativamente la capitalizzazione di borsa che in valore assoluto è diminuita del 52 per cento nel decennio, riportando il rapporto rispetto al Pil al 25 per cento. Nell’intervista, il presidente Vegas cita i dati del 2011, ma il problema purtroppo non riguarda solo l’ultimo anno. Il grafico seguente sintetizza la deludente performance della Borsa italiana dall’inizio del 2000 alla metà del 2010. (2)
In ascissa è indicato il rapporto fra capitalizzazione di borsa e Pil dei principali paesi (o gruppi di paesi, come nel caso di Euronext), in ordinata la variazione della capitalizzazione nell’arco del decennio considerato (che è abbastanza correlata con la variazione dell’indice di borsa del periodo).

L’apparente successo del caso spagnolo va interpretato e in qualche misura ridimensionato: i numeri ufficiali includono infatti sia le finanziarie che controllano aziende familiari di piccola e media dimensione (ma meglio questo delle nostre finanziarie lussemburghesi), sia le società sudamericane, soprattutto banche, quotate su uno specifico segmento di mercato. (3) Non è tutta farina del sacco spagnolo, quella che viene presentata in queste cifre, ma si tratta comunque di aspetti che indicano una significativa vitalità e competitività di quel mercato.

LE RIFORME DEGLI ANNI NOVANTA

Risulta a questo punto evidente che l’ondata delle grandi privatizzazioni degli anni Novanta si è esaurita e anzi è stata completamente annullata, riportando il mercato di borsa italiano a una posizione assolutamente marginale, con l’aggravante che nel frattempo tutti i paesi, compresi quelli dell’Europa continentale in cui l’intermediazione di borsa ha tradizionalmente avuto un ruolo marginale, hanno comunque compiuto passi significativi. In altre parole, mentre per tutti i paesi, l’arretramento dell’ultimo decennio è soprattutto un fatto ciclico, per quanto dominato da eventi particolarmente importanti, nel caso italiano, sembra aggiungersi un fatto strutturale, in qualche modo diverso e più grave rispetto a quanto accade negli altri paesi.
Eppure, lo sforzo riformatore non è mancato: a partire dagli anni Novanta il sistema delle regole, a cominciare da quelle per la tutela degli azionisti di minoranza è stato allineato a quello dei principali paesi, il sistema degli scambi è oggi fra i più efficienti e meno costosi, sono state offerte alle società diversi segmenti di mercato tendenti a soddisfare esigenze diverse, a cominciare da quelli rivolti alle piccole e medie imprese che rappresentano la spina dorsale del nostro sistema produttivo. Nonostante tutto questo, il mercato di borsa italiano ricorda sempre di più una bella festa organizzata nel migliore dei modi: buoni cibi, vini raffinati, ambiente elegante. Peccato che non siano arrivati gli invitati.
Viene in mente il romanzo di Irène Némirosvsky “Il ballo”, ma lì c’è una mano maliziosa che determina l’insuccesso. E nel nostro caso? Certo, non c’è un solo colpevole, ma non si può fare a meno di rilevare che, soprattutto nell’ultimo decennio, troppi sono stati gli episodi che portano a dire che complessivamente le imprese italiane hanno usato molto più spesso la Borsa per motivi opportunistici del gruppo di controllo, anziché come corretto strumento di finanziamento, arrivando in molti casi alla frode bella e buona.

UN LUNGO ELENCO DI COMPORTAMENTI ILLEGALI

L’elenco delle aziende quotate in cui sono stati individuati comportamenti illegali di ogni sorta negli ultimi dieci anni è impressionante: Cirio, Parmalat, Popolare di Lodi, Italease, Giacomelli, Mariella Burani (le ultime tre di nuova quotazione) solo per citare i più noti. Le manipolazioni non si contano e nel caso più recente è addirittura coinvolto un ex presidente della Corte Costituzionale (Antonio Baldassarre per Alitalia). In altri casi ci sono stati comportamenti che possono non essere considerati rilevanti penalmente dal tribunale, ma che comunque possono essere censurati sul piano della completezza dell’informativa fornita al mercato (su tutti, Fiat-Exor: e con buona pace dei comunicati ufficiali, le assoluzioni in sede penale non possono essere presentate come patente di correttezza).
Come non bastasse, ci sono i tanti casi di azioni di nuova quotazione che sono stati offerte a prezzi tanto elevati da registrare poi performance largamente peggiori della media. Il caso più clamoroso è quello di Saras, che ha dato origine anche a un’azione penale della procura di Milano, ma non si tratta affatto di un episodio isolato. In una ricerca con Marco Fumagalli, in via di completamento, mettiamo in evidenza che dal 2000 al 2010, oltre la metà dei titoli di nuova quotazione ha registrato performance inferiori all’indice di borsa, e che in ben venticinque casi, si tratta di differenze superiori al 25 per cento.
Sarebbe ingeneroso dire che tutto questo è successo perché l’attività di vigilanza non è stata adeguata e comunque alcuni aspetti (in primis il prezzo di emissione) esulano del tutto dall’ambito di intervento della Consob. È chiaro però che davanti a un quadro del genere, sarebbe stato gradito vedere ricordato che le autorità di mercato sono innanzitutto watchdog, cani da guardia: nessuno chiede che sbranino come rotweiler, ma che abbaino al momento opportuno, dissuadendo in tutti i modi possibili i “furbetti del mercatino”, questo sì; molto meglio che invocare regole “semplici e non vessatorie”. I vessati sono fra i risparmiatori e se non li tuteliamo abbastanza, la Borsa italiana continuerà a essere la Cenerentola d’Europa. Senza alcuna speranza di principe azzurro, ovviamente.

(1) Si ricorda che, correttamente, i dati Mediobanca da noi utilizzati (vedi nota successiva) non comprendono le Sicav e i fondi di partecipazione che gli spagnoli si ostinano a includere nelle loro statistiche ufficiali di borsa, creando un evidente caso di doppio conteggio.
(2) I dati sono tratti da Mediobanca, Indici e dati relativi ad investimenti in titoli quotati, Milano 2010. I dati 2010 sono riferiti al 30 giugno.
(3) Sono grato a Luca Filippa per le precisazioni in proposito, che spero di aver bene interpretato.

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ANNO CHE VIENE, INCENTIVO CHE PORTA

  1. bob

    Dissuadere? Chi lo fa, colui che alza il telefono da Parigi per chiamare il questurino e farsi fare un favore? O coloro che tentano di aprire qualche ufficio in più della Consob a Milano per metterci dentro l’amico dell’amico? La cosa deprimente che dietro questi masaniello, per puri interessi personali, si nascondono persone che con le teorie più strambe sostengono mediocri assurdità. In pratica lanciare il sasso e nascondere la mano.

  2. Giovanni Fistetti

    Le grandi banche italiane non hanno alcun interesse a contribuire ad accrescere il peso della Borsa, che rappresenta un canale di finanziamento alternativo a quello bancario. E siccome le banche advisor, che dovrebbero sostenere il processo di apertura delle aziende ai mercati dei capitali sono controllate o collegate alle principali banche commerciali, non vi sono in Italia soggetti del tutto indipendenti che fungano da catalizzatori del mercato di borsa. A questo si aggiungono una tradizionale reticenza del capitalismo familistico delle PMI italiane verso la quotazione nei mercati internazionali e l’assenza di un supporto professionale verso le Pmi in materia di finanza aziendale (abbondano i fiscalisti, ma languono i consulenti d’impresa).

  3. stefano mengoli

    Come cerco tentativamente di insegnare agli studenti è persino meglio l’assenza di regole a regole in assenza di effettivi controlli (enforcement della legge). Nel west, in assenza di sceriffo, era infatti meglio che non ci fosse il divieto di portare la pistola altrimenti si sarebbe arrivati alla situazione paradossale in cui i “buoni”, rispettosi della legge e quindi senza pistola, erano alla merce’ dei cattivi che invece la portavano. A Bologna recentemente hanno portato il biglietto dell’autobus da 1 a 1.2 euro per ripianare il bilancio. Il problema è che a Bologna sono pochi quelli rispettosi della legge e quindi quelli che fanno il biglietto. Sarebbe stato molto meglio aumentare i controlli piuttosto che far pagare di più a chi il biglietto già lo faceva. In sintesi, basta regole. In Italia ce n’e’ fin troppe. Iniziamo a farle rispettare e a far funzionare i tribunali.

  4. Franco Pedriali

    L’analisi e le considerazioni sono condivisibili ma certamente non nuove, per cui conviene spostare l’ottica e osservare invece i numeri: nell’ultimo decennio i rendimenti annui composti per i mercati azionari sono stati tutti negativi: Italia – 5,79%, Europa -2,85%, Mondo – 3,02% (fonte indici MSCI,senza dividendi). Per contro i mercati obbligazionari (indici JPMorgan Global) hanno espresso performance positive. Il rendimento annuo composto per l’Italia è stato + 4,96%,per l’Europa +4,71% e per il Mondo +3,37%. Ha ancora senso dibattere sul mercato azionario italiano considerando, anche, che i principali gestori italiani hanno correttamente un’ottica internazionale e la presenza nel risparmio gestito di azioni italiane è pressochè nulla?

  5. Luciano Pontiroli

    Non si può certo dire che ci sia mancanza di regole, né che siano semplici. Il prof. Onado conosce benissimo l’articolazione del sistema, ma sa anche che il disegno seguito dalle varie direttive europee che lo hanno connotato non è sempre coerente. Le molte regole lasciano spazio a incertezze, che dovrebbero essere superate da un’attività di vigilanza – il c.d. terzo livello della regolamentazione à la Lamfalussy – per la quale, probabilmente, mancano le risorse. Forse la stessa idea di fondo, l’empowerment degli investitori al dettaglio, dovrebbe essere ripensata ed adeguata all’esperienza della crisi, che non è nata nei mercati retail ma li ha infettati.

  6. Hans Suter

    Siamo sicuri che la borsa abbia un futuro? Felix Salmon pensa di no: http://www.nytimes.com/2011/02/14/opinion/14Salmon.html?_r=1&hp

  7. Antonio Tognoli

    Analisi impeccabile e considerazioni condivisibili. Alle Autorità di Vigilanza, che pure hanno ben vigilato nel corso degli anni, si potrebbe forse imputare una forte azione repressiva ma poco preventiva. Ma per fare questo sarebbe stato necessario dotare le Autorità di una struttura parzialmente diversa da quella attuale. Che fare ora, dunque. Occorre rivolgere l’attenzione su quello che abbiamo: le piccole e medie imprese. Inutile "copiare" gli altri paesi, che hanno aziende e regole diverse. Da tenere conto che delle circa 4.3 mln di imprese Italiane, oltre il 99% sono piccole e medie (così come definito dalla legge Europea) e occupano oltre l’80% della popolazione attiva. In Borsa è sotto gli occhi di tutti come siano rappresentate. Ma ancor più scoraggiante è il quadro normativo che consente ai money manager di acquistarle. Occorre un grande sforzo nazionale per creare un quadro normativo fatto di poche regole (ma certe e condivise) che consenta un più facile accesso al mercato di rischio.

  8. enrico villa

    Nessuna regola piò dissuadere i "furbetti" se il loro ingresso in Borsa avviene dopo l’accanita concorrenza tra advisor, collocatori, global coordinators per assicurare il miglior prezzo (per chi vende) e,di conseguenza,conquistare cospicue commissioni. Spesso tali atteggiamenti avvengono in palese conflitto, come peraltro già segnalato da precedenti Presidenti della Consob. Anche le privatizzazioni, da tempo al palo, non sono state esenti da tali comportamenti, sino ad attribuire incentivi ad personam. Si deve ricondurre tutto l’impianto delle IPOs ad una nuova moral self suasion tra collocatori, in virtù dei dimenticati principi dell’underpricing (money on the table, detto all’anglosassone). In sintesi: chi è più furbetto? L’azienda che entra in Borsa all’insegna del mordi e fuggi o chi asseconda questa miope logica?

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